Forse il nome di Abby Johnson qui in Italia dice poco o nulla. Ma stiamo parlando di un personaggio che sta scatenando una rivoluzione nel mondo dell'industria abortiva americana. Abby Johnson, classe 1980, era direttrice della clinica della Planned Parenthood a Bryan, in Texas. Poi, nel 2009, l'impatto con la cruda realtà dell'aborto: un bambino indifeso e senza scampo che cerca di sfuggire al suo uccisore in camice bianco.
Si trattava di un aborto monitorato con ultrasuoni cosa che, riferisce Abby nel suo libro Unplanned, uscito nel 2010 e tradotto in italiano cinque anni dopo con il titolo Scartati. La mia vita con l'aborto, "permette al sanitario di vedere esattamente quello che succede all'interno dell'utero". Una tecnica inventata per diminuire le probabilità di rischio di perforazione della parete dell'utero, ma che ha anche in sé un potenziale "non previsto": quello di mostrare con chiarezza cosa sia un aborto. E lo aveva mostrato proprio ad Abby, che di aborti ne aveva già avuti due, il secondo, il più doloroso, assumendo la RU-486.
Abby raramente era entrata in sala operatoria durante un aborto e mai lo aveva fatto quando veniva utilizzata questa procedura con gli ultrasuoni, cosa che nella clinica da lei diretta accadeva rarissimamente, perché richiedeva cinque minuti in più rispetto ai dieci "canonici", rigorosamente calcolati per raggiungere l'obiettivo richiesto dalla Planned Parenthood, e cioè di arrivare a eseguire nella clinica dai 25 ai 35 aborti ogni sabato. Questione di costi di gestione.
UN BAMBINO CHE LOTTAVA CONTRO LA MORTE
Quei dieci minuti cambiarono la vita di Abby: la visione di un bambino di 13 settimane, perfettamente formato, esattamente - ricorda Abby - come la sua bimba, Grace, data alla luce tre anni prima. Aveva imparato, nell'addestramento della Planned Parenthood, che "il tessuto fetale non sente niente quando è rimosso". Lì invece c'era un bambino che lottava contro la morte, che si contorceva prima di essere "strappato, arrotolato e strizzato come uno straccio"; evidentemente non era un semplice tessuto...
Da quel giorno la vita di Abby è cambiata radicalmente, e anche quella di molte persone, inclusi molti ex-colleghi alla Planned Parenthood, che sono riusciti, grazie ad Abby, a divincolarsi dalla trappola mentale dell'aborto come pratica per la salute riproduttiva della donna e hanno deciso di smettere di lavorare per la morte. La realtà descritta da Abby nel suo libro è eloquente. Negli otto anni in cui lei ha lavorato alla clinica, è stata l'unica ad avere figli, lottando ogni giorno per respingere le pressioni che gli venivano fatte per interrompere la gravidanza; l'unica ad avere un figlio, ma non l'unica a essere rimasta incinta: la clinica offre gratuitamente l'aborto alle sue dipendenti "incidentate"... Questo come donna. E, come direttrice, il fatto di dover rispondere alla logica del mercato: cercare di aumentare il più possibile il numero degli aborti effettuati in clinica, fino a sponsorizzarne circa 22.000 nei suoi otto anni di lavoro.
QUESTIONE DI QUALCHE MINUTO
Anche la vita di Ashley Bratcher è cambiata. Ashley è attrice e la Provvidenza ha voluto che fosse lei a interpretare il ruolo di Abby nel film Unplanned, ispirato all'omonimo libro, che uscirà quest'anno in primavera negli Stati Uniti. La lettura del libro la colpì profondamente; ma non è "solo" questo il punto. Ashley, che era già partita per l'Oklahoma per le registrazioni, venne contattata dalla madre, con la quale non aveva un ottimo rapporto. Ashley, che era dovuta partire in fretta e furia, e non aveva detto nulla alla madre, decise di raccontarle la sua nuova avventura. Al termine del racconto della storia di Abby, Ashley sentì la madre piangere in modo incontrollato, fino a raccontarle che all'età di 16 anni aveva deciso di abortire. Quando, tre anni più tardi, scoprì di essere incinta di Ashley, decise nuovamente di abortire, ma, mentre era già pronta sul lettino della clinica, sentì dentro di sé che non avrebbe mai più fatto una cosa simile; scese dal lettino e scelse così la vita di Ashley. Questione di qualche minuto, di una scelta fatta nel solco dell'errore passato, e Ashley non sarebbe stata. E invece la vita di Ashley è andata avanti per incrociarsi con quella di Abby; sono divenute due importanti pedine del grande movimento pro-life americano e stanno mettendo in crisi il sistema abortivo della Planned Parenthood. [...]
Nota di BastaBugie: Marco Respinti nell'articolo seguente dal titolo "Unplanned sfida la censura e mostra l'orrore dell'aborto" parla del film tratto dall'omonimo libro di una ex dirigente di una clinica di Planned Parenthood, convertitasi alla causa pro-vita dopo aver realizzato quel che stava facendo. La pellicola, pur subdolamente boicottata dai distributori e dalla stampa, è un successo di pubblico incredibile.
Ecco l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 03-04-2019:
Calano le luci. Immagini di amena vita familiare. Poi, a pochi quadri dall'inizio, il pugno arriva diritto nello stomaco. Assisti a un aborto. Ricreato per il cinema, lo sai, ma in quel momento lo dimentichi apposta, hai già sospeso la tua incredulità, sei totalmente dentro, sei là dove e mentre sta accadendo. Ti dimeni sulla poltroncina, incapace di resistere. Vorresti strapparti le vesti, vuoi vomitare. Boccheggi, ti manca l'aria, pensi di mandare tutti alla malora e scappare lontano. La testa ti gira. Lo odi quel film, lo maledici, specie il momento in cui hai deciso di entrare in sala. Chiudi orecchi e occhi, non vuoi sapere nulla, niente di niente, risvegliarti dall'incubo a mille miglia di distanza. Senti invece le immagini scenderti nella carne, entrarti dentro. "Basta!", sbotti dentro di te, e quasi lo dici ad alta voce. Vuoi accendere la luce, uscire dal tunnel, liberarti dagli spettri. Sì, è proprio un film adatto a tutti nonostante la censura, un film da far vedere a tutti.
Si intitola Unplanned ed è la cosa peggiore del mondo. Tratto dal libro omonimo del 2011, è la storia vera e nota di Abby Johnson, che oggi ha 39 anni. Quando ne aveva 29 ha visto un aborto monitorato agli ultrasuoni. [...]
C'era una volta Bernard Nathanson (1926-2011), il medico che truccò le carte dell'aborto clandestino e che si vantava di essere stato responsabile di 75mila aborti. Poi venne l'ecografia e a Nathanson cadde la mascella. Si convertì (alla fine anche al cattolicesimo) e divenne un eroe pro-life con pochi eguali anche realizzando lo scioccante documentario L'urlo silenzioso, che un altro eroe, donna, convertita cattolica pure lei, Faith Whittlesay (1939-2018), regalò in videocassetta a ciascuno dei parlamentari americani.
Anche Abby Johnson è stata folgorata dagli ultrasuoni. Di aborti ne aveva avuti lei stessa, due. Aveva patito fisicamente le pene dell'inferno, ma non aveva mai visto cosa succede fisicamente a un bambino nel ventre di sua madre quando viene annientato per suzione. Un giorno, per caso, ma il caso non esiste, fu chiamata in sala operatoria. Svolgeva mansioni amministrative, aveva fatto carriera: da hostess on the road, di quelle che si prendono "cura" delle abortende per sottrarle ai pro lifer che cercano di dissuaderle, a dirigente di una clinica della Planned Parenthood. Ma un aborto in diretta non lo aveva ancora mai visto, benché alle turpitudini non fosse certo nuova. Fu allora che piantò tutto.
La sua conversione è stata la notizia peggiore che la Planned Parenthood abbia mai avuto. Perché ovviamente poi Abby Johnson non se n'è rimasta zitta. Ecco, Unplanned è il film della sua storia. Unplanned è la cosa più cruda che possiate vedere. La cosa più greve. E pure la più grave. Uno scannatoio ributtante. Ma ad Unplanned non si può sfuggire: perché racconta esattamente quanto accade tutti i giorni, da decenni, in migliaia di luoghi del mondo.
L'attrice Ashley Bratcher interpreta Abby alla perfezione ed Abby ha approvato la sceneggiatura. Diretto da Chuck Konzelman e Cary Solomon, il film è costato 6 milioni dollari alla Pure Flix e le sue riprese si sono svolte in segreto. Quando lo vedrete, capirete perché. Unplanned ha un vantaggio enorme. È fatto benissimo, roba da grandi major. Nei 110 "interminabili" minuti della sua cavalcata sciorina scene da fare accapponare la pelle per lo sdegno e per la compassione.
Venerdì 29 marzo è uscito in 1059 sale americane e ha incassato 3 milioni di dollari. Nei due giorni seguenti è salito a 6,4 milioni, più di quello che è costato, piazzandosi al quarto posto delle vendite del week end nel momento del trionfo di Dumbo. La Motion Picture Association of America, quella che dà le patenti ai film, lo ha marchiato "R": con meno di 17 anni va visto solo se accompagnati. Però gli aborti si possono anche se più giovani. Quindi, mentre Unplanned sbancava, Twitter ne sospendeva l'account. Per un errore, dicono. Poi l'hanno riconnesso: ovvio, s'è sollevato mezzo mondo, e tra i fan della pellicola ci sono anche Donald J. Trump e il suo vice Mike Pence.
L'ho visto in anteprima privata in margine al Congresso mondiale delle famiglie. Arriverà anche in Italia. Andremo tutti a vederlo, e soffriremo, piangeremo, urleremo, picchieremo i pugni, ma sarà fondamentale farlo vedere a chi l'aborto lo predica e lo pratica. Perché Unplanned cambia davvero la vita. Si raccolgono idee su come convincere gli abortisti a vedere questo piccolo, grande capolavoro che amiamo e odiamo allo stesso tempo.