Sono stufa e arcistufa degli uomini che io definisco "femministi", quelli cioè che si vantano di combattere e alzare la voce per i sacrosanti e inviolabili diritti, a loro dire, di noi donne.
Mi trovavo qualche giorno fa in treno, in viaggio di ritorno con mio figlio "grande" di 6 anni e mio marito, reduce da un intervento alla spalla in Romagna.
Come sempre accade, vado a cercare il controllore, onde sincerarmi di aver preso il treno corretto con i giusti biglietti e, quando faccio ritorno al mio posto, trovo mio marito che condivide due chiacchiere col vicino.
Saluto cortesemente e mi dedico a mio figlio, a cui nel frattempo, onde ovviare all' utilizzo del telefono "baby sitter", propongo di disegnare. Mentre lo aiuto con i suoi trenini, seguo la conversazione. Il buon uomo, adocchiando il tutore di mio marito, chiede che intervento abbia avuto, dove, perché e ci confessa di tornare anche lui reduce da alcune visite di controllo, a seguito di un trapianto di rene avuto un paio di anni fa, intervento per il quale si era rivolto, giustamente, ai centri e medici migliori in Italia, prendendo anche in considerazione la possibilità di curarsi in America.
Fin qui niente di male, poi la discussione (o meglio il suo pontificare) spazia dal giudizio sulla sanità, sui medici variamente incontrati, e degenera verso l'incompetenza tipica della gente della nostra epoca, l'incapacità di letto-scrittura delle giovani generazioni e così via verso le solite chiacchiere da bar.
Io ascolto, quando chiamata a dire la mia, rispondo con modo garbato, possibilmente assentendo, presa dal disegnare trenini con mio figlio. Di fatto, si tratta di buona educazione, la conversazione del nostro interlocutore ha preso i tratti di un bieco cinismo, pieno di insoddisfazione verso tutto e tutti, incapaci di comprendere quello che invece a lui appare chiaro, se non addirittura scontato.
La chiacchierata da bar però ad una certa subisce un grosso scossone, perché, tra un volo pindarico e l'altro, non so neppure io come, il nostro vicino finisce per buttarla sulla politica o meglio sull'etica. Il suo più grave disappunto, è stato vedere che qualche anno fa, nella sua bella regione, abbiano trionfato politici conservatori, macchiatisi del grave reato - nientepopodimeno che - di non essere pienamente d'accordo con l'inviolabile diritto di aborto della donna.
PRIMA VERITÀ: TU DONNA NON HAI DIRITTO DI PENSARE DIVERSO DA ME
Alzo gli occhi dai fogli di mio figlio e guardo mio marito, seduto davanti a me, leggendo nei suoi occhi l'accorato appello: "Oh no, eccola, adesso parte! Ma dai lascia perdere, siamo quasi arrivati!". Ormai però il vaso di Pandora è stato aperto e, come ben sa, difficilmente starò zitta. Sa che sono una moglie devota e sottomessa, nella misura in cui sono devota e sottomessa al Signore della Vita.
Premetto che ho avuto sei figli, con sei gravidanze impegnative e con particolari problemi in sei anni: sono grata a Dio, so che mi ha dato davvero tanto, perché sono viva io e vivi i miei bimbi, quindi, non fosse altro che per debito di riconoscenza, non posso e non voglio tacere la Verità, che penso il Signore voglia sia proclamata.
Lascio da parte mio marito, inizia la guerra e alla veneranda età di quarant'anni scopro le "verità" di quelli che io chiamo: "uomini femministi".
Faccio notare al mio interlocutore che sono molto vicina a queste idee cattoliche e conservatrici, ree - a suo dire - di non condividere l'aborto. La risposta è: "Ma scherziamo? Una donna che non condivide l'aborto? Ma quelle povere violentate! Cosa dovrebbero fare?!".Osservo che non tutti gli aborti sono frutti di violenza, anzi, e che comunque non può essere quella la soluzione: l'uccisione di un essere senza colpe, che lascerà ferite fisiche e psicologiche enormi nella donna.
La risposta del mio interlocutore è: "Ma che dici? Non è assolutamente così. Ma quali ferite? Che ne vuoi sapere?". Certo, io da donna non lo posso sapere, sicuramente di aborti ci capirà di più lui che è un uomo.
E qui si ha la prima grande "verità" dei "femministi": tu donna, libera, indipendente ed emancipata devi pensare esattamente quello che io, essere di sesso maschile che lotta per i tuoi "diritti", ti invito a pensare e sei padrona della tua testa e del tuo corpo, solo se inneggi a quel diritto di aborto, che io ti suggerisco.
Benissimo, la faccenda prosegue: "Tanto prima, quando non era legale, se ne facevano altrettanti se non di più e le donne morivano, ora almeno si fa in sicurezza!". Rispondo che non so se prima erano di più o di meno di oggi gli aborti, ma che ad ogni modo l'aborto non è una pratica così sicura ed esente da rischi e spesso per la donna è possibile riportare conseguenze fisiche e psichiche anche molto pesanti. Infine, sottolineo, come negli ultimi tempi, all'aborto chirurgico, si stia sostituendo la pratica dell' "aborto comodamente a casa tua" con la somministrazione di semplici compresse: pratica che, mi sento di evidenziare, non è poi tanto sicura, né tanto diversa dagli aborti in casa del passato. Il povero, malcapitato, viaggiatore è fuori di sé: "Ma tu non capisci?", poi rivolto a mio marito: "Ma si rende conto? Ma anche lei la pensa così? A lei sta bene che sua moglie ragioni in questo modo?".
SECONDA VERITÀ: L'UOMO DEVE IMPORSI SULLE DONNE CON LA FORZA
E qui si ha la seconda "verità" dell'uomo "femminista": tu donna che devi essere libera, emancipata, indipendente, se non pensi quello che ti dico io, essere di sesso maschile, che mi dico combattere per i tuoi "diritti", allora devi essere richiamata alla ragione da chi detiene la patria potestas. Padre, fratello, marito, non importa chi sia, un uomo dovrà contenerti e rispiegarti come ragionare, pena la reclusione nel gineceo per tanta vergogna. Mio marito però (e menomale) non ci sta e risponde, un po' imbarazzato per la piega della situazione, con un sorriso. Per il povero viaggiatore, maschio che vuole combattere (a suo dire) per i diritti delle donne, non poter contare sulla proverbiale solidarietà maschile è troppo: alzatosi dal posto, comincia ad infilarsi lo zainetto, ben prima che il treno rallenti. "Sa che le dico? Hanno fatto bene i francesi a metterlo in Costituzione, così nessuno potrà negarlo e anche qui andrebbe fatto, radiando i medici obiettori di coscienza, che se son tali non devono fare i medici". Dico che non si può costringere nessuno ad uccidere un altro, soprattutto un bambino, ma lui non ci sta: "In Costituzione, va messo in Costituzione! Pensa alle donne in Africa violentate nelle guerre!". Ora, mentre tra me e me cerco di capire il nesso tra Costituzione italiana e problematiche africane (avrà mica ragione, servirà un uomo a spiegarmelo?), che probabilmente mi sfugge, la lingua, va avanti da sé, senza, tenere presente le vicende della malattia e del conseguente trapianto del nostro interlocutore! "Certo, poi il prossimo passo sarà l'eutanasia del malato!" rispondo io, risistemando fogli e colori di mio figlio, e avviandoci verso le porte, per prepararci a scendere, insieme al nostro compagno di viaggio. "Non ci pensare! Non ci pensare nemmeno!" risponde lui, senza più altro da dire. "Basterà essere malati fisici o psichici che si finirà per essere eliminati in nome del "best interest"! Il malato non potrà scegliere niente!"
TERZA VERITÀ: LE DONNE E I BAMBINI NON HANNO DIRITTI
Nei suoi occhi leggo un improvviso smarrimento, un tarlo che comincia a rodere, mentre frenetico il viaggiatore, ormai avviatosi all'uscita, cerca di premere, col treno non ancora arrestato, il pulsante delle porte. Qui mi si mostra la terza grande "verità": lottare per vivere, anche cercando le cure, i centri, i medici migliori, e gli organi di qualche donatore, spetta solo a me, "uomo femminista" che combatte per i "diritti" delle donne, essere che si erge al di sopra della plebaglia e che quindi non può e non deve estinguersi. Al bambino nel grembo della donna libera, emancipata, indipendente non spetta neppure lottare per vivere, ma solo farsi eliminare facilmente e senza proteste, con buona pace degli eventuali e mai da poco danni per la nuovamente libera, emancipata, indipendente, donna. Quindi aborto del bimbo sì, ma assolutamente no alla eutanasia... mia.
Il treno si ferma e il nostro si eclissa davvero alla velocità della luce.
Mentre noi ci avviamo fuori dalla stazione con i bagagli, mio figlio mi chiede: "Mamma cos'è un aborto?". Ha sentito e seguito tutto. "È quando un bambino viene eliminato nella pancia della mamma" rispondo io. "Perché? La mamma non gli vuole bene?". Adesso annaspo. Per fortuna, interviene mio marito: "No tesoro, la mamma semplicemente NON SA ancora di volergliene tanto".