ECCO PERCHE' E' SBAGLIATO DARE IL NOBEL AL PADRE DELLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE
Il diritto al figlio non esiste perché nessuno può essere trattato come mezzo per soddisfare i propri scopi
Autore: Giacomo Samek Lodovici
«La Chiesa nega alle coppie sterili un diritto fondamentale condannandole a rimanere senza figli». È una tesi molto spesso ripetuta da chi elogia il nobel al “padre” della fecondazione artificiale (fivet) umana. A dire il vero, per la Chiesa la nascita di esseri umani è sempre una gioia e la dignità del concepito in provetta è identica a quella degli altri concepiti, inoltre il desiderio di avere figli è molto buono e giusto, quindi si deve essere molto affettuosamente vicini a coloro che soffrono perché non ci riescono. Il problema, però, è che ci sono diverse ragioni laiche per biasimare moralmente la fivet (ne possiamo spiegare solo alcune) che risulta assolutamente inaccettabile e squallida, pur producendo alcuni bambini: infatti il fine non giustifica il mezzo. Il presupposto (che qui non possiamo argomentare) di buona parte del seguente discorso è che il concepito è un essere umano a tutti gli effetti, dunque ha una dignità incomparabile. Kant diceva che le cose hanno un prezzo misurabile, mentre l’uomo ha una dignità incommensurabile ed elevatissima, cioè non ha prezzo. Ora, per ogni nato la fivet comporta la morte di un numero enorme di embrioni, in quanto le sue percentuali di successo sono bassissime: su 100 embrioni prodotti, almeno 80 sono destinati a morire subito a quasi. La morte degli embrioni dopo i concepimenti naturali è provocata dalla natura, non da una tecnica dell’uomo, come avviene con la fivet. Inoltre, con la fivet la procreazione non è più incastonata in un atto di donazione reciproca come dovrebbe essere l’atto sessuale, bensì viene trasformata in una fabbricazione dell’uomo, diviene un’attività di tipo produttivo e l’essere umano è ridotto al rango di cosa, trattato come una cosa da produrre, da fabbricare. L’embrione diventa un oggetto e viene privato della sua dignità e del suo valore di essere umano. Lo si vede già se, in tutto il processo di fabbricazione di un bambino, si esamina anche solo il concepimento (tralasciando l’eventuale affitto dell’utero da parte delle “madri surrogate”, lo scarto ed uccisione degli embrioni che non sono “di buona qualità”, il loro congelamento, ecc.): qual è la dimora adeguata per un essere umano? Gli animali hanno le tane, ma l’uomo può dignitosamente dimorare solo in una casa. Similmente: qual è il luogo di concepimento confacente alla dignità di un essere umano? Solo una persona può essere il luogo adeguato per il concepimento di una persona, non certo una gelida provetta. Solo un caldo abbraccio, una comunione che raggiunge l’apice in quella espressione sublime dell’amore che è l’atto sessuale può essere adeguata per avere come frutto la generazione di un essere umano; non una tecnica in cui la persona è l’esito di una iperstimolazione ovarica realizzata sul corpo della donna, del suo inserimento in una specie di montaggio, della masturbazione (tranne rari casi) dell’uomo che produce lo spermatozoo, ecc. Oggi facciamo fatica a capirlo sia perché la logica consumistica ci fa considerare l’atto sessuale in modo riduzionista, sia perché la logica cosificatrice ha già colonizzato le nostre menti e le nostre espressioni: basta pensare alla pessima ma diffusissima espressione (usata innocentemente) «abbiamo fatto un figlio», invece che «abbiamo generato, abbiamo concepito un figlio». Il diritto al figlio non esiste, perché non esiste un diritto di un uomo su un altro uomo dato che nessuno va trattato come mezzo per soddisfare gli scopi di un altro: nessun uomo può essere utilizzato come strumento (Kant). Un'altra argomentazione vale per coloro che ritengono che Dio esista (cosa, del resto, dimostrabile con la filosofia, nonostante le obiezioni in contrario). Nell’atto sessuale l’uomo e la donna sono aperti alla vita, ma l’incontro dei gameti e la generazione dipendono da Dio, che è creatore e signore della vita: l’uomo coopera col Creatore prestandosi ad essere suo collaboratore, così è pro-creatore. In tal modo, il figlio è un dono; anzi, è il dono di un dono, perché scaturisce come dono divino nel contesto di quel dono che è l’atto sessuale (il quale dovrebbe essere donazione reciproca). Con la fivet, invece, l’uomo, inconsapevolmente o consapevolmente (come dichiarano alcuni tecnici che la realizzano), si erge a creatore e padrone della vita; invece di collaborare con Dio, si sostituisce a Lui. Insomma, alla luce di quanto abbiamo detto, si può comprendere che l’espressione «procreazione medicalmente assistita» è già una manipolazione linguistica: la fivet non è un semplice aiuto alla procreazione, non è una cooperazione alla creazione (dunque non è procreazione), bensì è un procedimento ben diverso, è una fabbricazione di uomini, in cui il tecnico diventa il principale protagonista.
Fonte: Avvenire, 7.10.2010
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