BastaBugie n�31 del 23 maggio 2008 | |
I DISASTRI DEL FEMMINISMO Dopo trent’anni di “uome”, qualcuno finalmente comincia a restituire alle donne un po’ di femminilità. Autore: Claudio Risè Ormai i dati sono fin troppi. Il modello della donna cattiva e vincente, della “Uoma”, come la chiamava un settimanale femminile italiano nei propri manifesti pubblicitari alla ricerca di uno sperato (ma mancato) rilancio, della donna-Ego, che calpesta il mondo pur di affermare se stessa, si è rivelato per le donne una straordinaria fregatura. Molte hanno ormai fatto tutto quello che il sistema culturale ha loro proposto: messo se stesse al primo posto rispetto a tutti gli altri, limitato le proprie disponibilità sentimentali, rimandato nell’avere bambini, abortito quando sembrava opportuno. Ora si ritrovano, in tutto l’Occidente, spesso sole e infelici, a volte i bambini non arrivano più, o loro non ce la fanno più ad averli, gli uomini sono stati allontanati, ma non ne vengono altri, la solitudine morde, cattiva, e buona parte della vita è passata. La carriera a volte è arrivata, ma nel suo tipico modo: viene e poi se ne va, ti lascia ancora prima che tu possa farne veramente qualcosa, come del resto capita, da sempre, alla gran parte degli uomini. Non è un caso che per la prima volta il ritmo di aumento nel consumo di alcool e droghe è più alto tra le ragazze che tra i maschi: una prospettiva di vita così non è per niente allettante. Trent’anni dopo il femminismo, la femminilità viene negata con una sistematicità deprimente: dalla scuola, dal mercato, dal modello culturale, dalle politiche legislative. E mentre alcune frange diventano ancora più cattive e violente, e sono quelle/i da cui partono insulti e pomodori a Giuliano Ferrara, o il sasso che mette nei guai le costole delle sue candidate, molte altre, le più numerose, capiscono. Anche gli Stati, gli studiosi, i think tank dei grandi paesi d’Occidente cominciano a pensare come cambiare strada. Stanno per riscoprire, sembra, il valore essenziale della donna per la società: quello di essere non già la copia più “glamour” dell’uomo (ottima da usare nei manifesti o nelle pierre), bensì un centro di equilibrio affettivo e relazionale indispensabile perché la comunità non impazzisca. E non perda il gusto della vita, e il sapere/potere della riproduzione, che è molto meno tecnoscientifico di quanto gli ultimi trent’anni abbiano voluto credere, e molto più affettivo, relazionale, istintuale. |
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