LO SCAFANDRO E LA FARFALLA: IL FILM SUL DIRETTORE DI UNA RIVISTA FEMMINILE COMPLETAMENTE IMMOBILIZZATO CHE HA IMPARATO AD AMARE LA VITA
E riscopre la sua libertà, tra l'altro, scrivendo un libro dettandolo con 200.000 battiti di ciglio
Autore: Elisabetta Pittino
In un battito di ciglia. Buio, Charles Trenet canta «La mer qu'on voit danser le long des golfes clairs a des reflets d'argent», voci indistinte, uno sbattere di ciglia, suoni, la luce, una visione non nitida, una stanza d'ospedale, il viso di un'infermiera, di un medico... il risveglio. Già nella scena iniziale si mostra l'originalità del film Lo scafandro e la farfalla, girato in soggettiva, dagli occhi del protagonista, Jean-Dominique Bauby (Mathieu Amalric), che si risveglia da un coma profondo, provocato da un ictus, dopo 3 settimane. Il tocco del regista, Julian Schnabel, pittore neoimpressionista newyorchese degli anni '80, si vede in questo film, che si può definire sperimentale per la fotografia di Janusz Kaminsky. La macchina da presa vede con gli occhi di Jean-Do, quelli fisici, in soggettiva, e quelli della sua immaginazione, dei suoi ricordi, dei suoi sogni in oggettiva (il "terzo occhio"), steady-cam a go-go, attacchi frontali ai personaggi, primi piani intensi. Il battito delle palpebre sostituisce il montaggio, consente lo stacco da una inquadratura all'altra. Il film è stato girato in francese da attori francesi - l'infermiera e il fisioterapista sono quelli veri - proprio nell'ospedale di Berck Sur Mer. Jean-do vede, sente, pensa, parla: "Oh, mio Dio! Non posso parlare. Cosa succede?" Ma gli altri non lo sentono. È locked-in, chiuso dentro, interamente paralizzato, solo i suoi occhi e la sua mente non lo sono. A 42 anni, nel 1995, lui, caporedattore di Elle, con sindrome locked-in, "sindrome del chiavistello", si trova nell'Ospedale di Berck sur Mer, impossibilitato a comunicare. Schnabel (altri due suoi film biografici, Basquiat e Before Night Falls, esaminano la vita di persone reali dove il protagonista si dibatte in una condizione di imprigionamento letterale o metaforico: Basquiat è intrappolato dalla droga, Reinaldo Arenas è censurato, torturato, rinchiuso dalla dittatura cubana) è riuscito a trasformare la degenza di un uomo in ospedale, in un viaggio interiore verso la libertà. Quale libertà? Si chiede Jean-Do chiuso nel suo corpo, uno scafandro, ce lo chiediamo noi, entrando nella fatica dell'esistere e del comunicare. Quel che resta di Jean-Do è ancora umano? Il progresso delle tecniche di rianimazione che permette di vivere quando in passato si moriva è una speranza? "Questa è vita?", chiede Jean-Do al neurologo. Ma questo è un uomo? Pierre Russin, ostaggio per 4 anni a Beirut e sopravvissuto alla prigionia, va a trovarlo: "essere presi in ostaggio non è così differente da ciò che lei vive. Stavo in una buca molto piccola nell'oscurità la chiamavo la mia tomba. Sono sopravvissuto perché mi aggrappavo a ciò che faceva di me un uomo. Deve aggrapparsi all'uomo che è in lei e sopravviverà". «Je veux mourir», dice Jean-Do a Henriette, l'ortofonista. «Lei è vivo, quindi non mi dica che vuole morire. È una mancanza di rispetto, è osceno". Il mondo di Jean-Do crolla: "Oggi mi sembra che tutta la mia esistenza non sia stata che un susseguirsi di piccoli fallimenti. Ero cieco e sordo, mi serviva la luce di una malattia per conoscere la mia vera natura?". Crollano gli involucri dei falsi amici che lo ritengono un vegetale, dei falsi amori dell'amante atterrita che, per non vederlo così, non va a trovarlo. Rimane l'amore del padre, l'attore Max Von Sydow, dei figli, della madre dei suoi figli, dell'amico, di quelli che lo curano. La farfalla esce dall'involucro e Jean-Do si riconosce in questo uomo nuovo: "Questo sono io". Esce dalla disperazione grazie all'accoglienza degli altri, concreta, che gli impone un nuovo modo di vivere, di conoscersi, di comunicare, grazie al guardarsi nella verità. La malattia viene affrontata senza alcuna indulgenza sentimentale. L'illuminazione umana che ne deriva, lo mostra come un padre, un figlio, un amico, un uomo. Bauby non è credente, ma intorno a lui si forma una rete di fede e di preghiera: Céline, madre dei suoi tre figli, la loro figlia Célèste, Marie la fisioterapista, i monaci di Bordeaux. E il miracolo avviene: un uomo "ai confini della vita" ha uno spirito vivo e vive nel presente. Con il battito delle ciglia - un battito è "si", due battiti "no" - Jean-Do comunicherà con il mondo. Scriverà Le scaphandre et le papillon, libro da cui è tratto il film di Schnabel, con circa 200.000 battiti di ciglio e due minuti per ogni parola. "Il miracolo ha avuto luogo", ammette Jean-Do. Il libro viene pubblicato e 10 giorni dopo, il 9 marzo 1997, Jean-Dominique Bauby muore. "Ma il vostro parlare sia: Sì, sì; no, no"(Mt 5,37), così un uomo ha scritto un libro, così ha suscitato "una nuova speranza" e il gusto di vivere.
Nota di BastaBugie: Per un approfondimento sul film "Lo scafandro e la farfalla" e per vedere il trailer clicca qui http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=21
Fonte: L'Ottimista, 29 Dicembre 2010
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