BastaBugie n�392 del 11 marzo 2015

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L'ISIS DISTRUGGE ANTICHISSIMI REPERTI ASSIRI A MOSUL
L'islam, come ogni cultura totalitaria, ha bisogno di fare tabula rasa di tutte le civiltà anteriori o fuori di se stesso
Autore: Antonio Socci

Le distruzioni di antichi reperti assiri da parte dell'Isis al museo di Mosul vengono dopo la distruzione da parte dei talebani dei grandi Buddha di Bamiyan e dopo analoghe devastazioni ai danni delle civiltà egizia, induista, ebraica e cristiana-bizantina.
Come si vede l'odio alla civiltà occidentale va di pari passo con l'odio per tutte le civiltà anteriori all'Islam o fuori dall'Islam (perfino per culture musulmane non ritenute ortodosse).
E' questo – come ha constatato il leader egiziano al-Sisi nel suo storico discorso – che ha portato la comunità islamica "a inimicarsi il mondo intero".
Si è chiesto: "È mai possibile che un miliardo e 600 milioni di persone possano mai pensare di riuscire a vivere solo se eliminano il resto dei 7 miliardi di abitanti del mondo? No, è impossibile!".
La critica di al-Sisi mostra che è un vicolo cieco quello a cui conduce l'ideologia islamista secondo la quale prima, dopo o fuori dal Corano non deve esistere nulla.

L'ISLAM HA DISTRUTTO OGNI CULTURA
Non tutto l'Islam e non sempre ha pensato così totalitariamente. Ma (a parte alcune eccezioni medievali, sconfitte e rimosse) l'Islam in genere ha rifiutato ogni dialogo e confronto culturale e ha fatto il deserto.
Come dice il premio Nobel per la letteratura Naipaul la conversione all'Islam significa l'arabizzazione, implica che il convertito abbandoni totalmente il proprio passato e la propria cultura.
All'opposto c'è il cristianesimo, che – per definizione – è "cattolico" cioè universale, ed è stato capace di abbracciare e integrare ogni civiltà.
Come ha scritto Remi Brague il cristianesimo è nato fin dall'inizio in dialogo con l'ebraismo (sul cui tronco è germinato), con la cultura greca e con quella romana che ha letteralmente traghettato oltre la fine dell'impero romano.
La civiltà europea, forgiata dal cristianesimo, è così diventata capace di incontrare e abbracciare tutte le nuove civiltà che ha scoperto dopo. Infatti il cristianesimo si è inculturato dovunque e ha letteralmente spazzato via il principio razziale o nazionalistico.
Lo ha dimostrato un autore non cattolico come Léon Poliakov, storico ebreo dell'antisemitismo e della shoah.
Nel suo volume "Il mito ariano" scrive: "La tradizione giudaico-cristiana era 'antirazzista' e antinazionalista e senza dubbio le stratificazioni, le barriere sociali del Medio Evo […] favorivano l'azione esercitata dalla Chiesa nel senso del suo ideale: tutti gli uomini erano uguali davanti a Dio".
Tuttavia la stessa Europa da tre secoli a questa parte ha rifiutato questa sua identità cattolica (cioè universale) e, dichiarando guerra alla Chiesa, ha partorito il razzismo (sedicente) scientifico, l'antisemitismo e lo schiavismo. Con i mostri totalitari che hanno preteso di azzerare la storia.
Ieri sulla "Repubblica", parlando delle distruzioni di Mosul, Michele Serra giustamente osservava: "è la storia umana tutta intera che questi bruti obbrobriosi vorrebbero uccidere riducendo in cocci, in pochi minuti, ciò che i millenni ci hanno consegnato intatto".

LE CULTURE TOTALITARIE HANNO BISOGNO DI FARE TABULA RASA
Verissimo. Ma Serra ricorderà che proprio la nostra generazione ha già visto orrori del genere dove non ci si contentò di distruggere le antiche vestigia delle civiltà precedenti, ma si pensò di sterminare perfino coloro che sapevano leggere e scrivere.
Mi riferisco alla Cambogia dei Khmer rossi e alla Rivoluzione culturale cinese, eventi che fecero ciascuno due milioni di morti e che vennero osannati in Occidente dai rivoluzionari e "pensatori" nostrani.
In Cina ci si scatenò perfino contro i pianoforti e i violini (Beethoven e Mozart furono giudicati nemici del popolo).
Fu dispotismo asiatico? No. Quello che tentavano di costruire era l'utopia comunista. Anche in Cambogia.
Non a caso Saloth Sar, ovvero Pol Pot, si era formato alla Sorbona. E anche gli altri leader dei Khmer rossi erano un frutto della cultura marxista europea: Khieu Samphan e Hou Youn conseguirono perfino il dottorato di ricerca in economia a Parigi. Avevano studiato a Parigi pure Ieng Sary, Ieng Thirith, Khieu Ponnary, Ok Sakun, Son Sen e Suong Sikoeun.
Studiavano Rousseau, Robespierre e soprattutto Marx, ascoltarono e assorbirono le pagine e i discorsi della sinistra intellettuale e politica francese, ammaliata dall'Urss di Stalin. Poi tornarono in Cambogia e fecero come Mao con la rivoluzione culturale: tabula rasa. Considerarono i loro popoli dei fogli bianchi su cui scrivere la loro nuova storia.
Ma, ripeto, Mao e Pol Pot non inventarono nulla di nuovo, né in materia di massacri, né riguardo la distruzione, per motivi ideologici, dei monumenti antichi e delle opere d'arte.

LA RIVOLUZIONE FRANCESE
Già la rivoluzione francese, accanto alle sue stragi sanguinarie, aveva perpetrato quella che forse è la più colossale distruzione di opere d'arte della storia. In nome del "progresso" e dei Lumi, che volevano azzerare il passato.
Basti citare le abbazie di Cluny e Citeaux – il grembo della civiltà europea – letteralmente rase al suolo come pure altre chiese millenarie: quella di Saint-Denis (con la tomba del santo), la certosa di Champmol, la cappella sepolcrale dei duchi di Borgogna (per citare solo gli esempi maggiori).
Dal novembre 1793 si attua un piano sistematico di distruzione delle statue delle cattedrali francesi con le devastazioni, a Parigi, di Notre Dame e Sain-Germain-des-Près (poi trasformata in arsenale e semidistrutta), fino a Sémur-en-Auxerrois, Sens e Vézelay e le più importanti chiese romaniche e gotiche.
Nel novembre 1793 vengono distrutti 434 dipinti nel deposito del Museo Centrale e nell'aprile '94 il Comitato di Salute Pubblica ne fa bruciare molti altri (ovviamente candelabri, ostensori e reliquiari furono portati alla Zecca per essere fusi).
A loro volta le armate napoleoniche – come ha documentato Paul Wescher in "I furti d'arte. Napoleone e la nascita del Louvre" (Einaudi) – non solo perpetrarono un ladrocinio che produsse "il più grande spostamento di opere d'arte della storia", ma molto altro devastarono: "è difficile stabilire con esattezza quante opere d'arte di valore unico andarono distrutte o disperse in quei giorni", scrive Wescher, descrivendo nei particolari "il sistematico saccheggio di Roma", oltre a quello di Torino, Napoli e Firenze (grandi chiese italiane furono trasformate in stalle o caserme dalle truppe napoleoniche che danneggiarono capolavori come gli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo).
Nel Novecento il colpo di grazia a quel cristianesimo che aveva riempito di bellezza l'Europa, lo dette l'avvento del comunismo.
A Mosca fu demolita la Cattedrale del Redentore e centinaia di altre chiese furono saccheggiate e poi trasformate in stalle o musei dell'ateismo (dopo aver bruciato o rubato antiche icone e arredi sacri).
Anche negli altri paesi dell'Est si fece lo stesso. Per esempio fu fatto saltare in aria lo Schloss di Berlino, il castello reale che era "il più insigne monumento del Barocco nell'Europa Centrale" e addirittura negli anni Settanta, a Lipsia, nella Ddr, fu distrutta la Chiesa dei Paolini.
Federico Zeri denunciò questo "accanirsi per ragioni rozzamente ideologiche" e il nostro Occidente che mantenne sempre un "rigoroso silenzio, grazie al conformismo di sinistra".
Zeri puntò il dito sull'Armata Rossa anche per il rogo che divampò nei musei di Berlino e che distrusse 417 opere, fra cui 158 capolavori italiani (compresi tre Caravaggio e cinque Paolo Veronese).
Anche durante la guerra civile spagnola i rivoluzionari si produssero in analoghe devastazioni. Basti per tutti l'incendio della cattedrale romanica di Lerida distrutta con tutti i suoi immensi tesori d'arte (ovviamente non fu da meno il nazismo con i suoi orrendi roghi di libri e di sinagoghe).
Tutte le culture totalitarie sono segnate dalla gnosi e hanno bisogno di fare tabula rasa delle altre civiltà pretendendo di azzerare la storia. Incapaci di abbracciare cattolicamente tutto l'umano, la sua espressività e le sue civiltà.

Nota di BastaBugie: consigliamo la lettura del libro di Antonio Socci "I nuovi perseguitati" da cui in questo articolo sono citati alcuni brani. Per leggere l'intervista ad Antonio Socci sui motivi che l'hanno spinto a scrivere questo libro vai al seguente link
http://www.amicideltimone-staggia.it/it/articoli.php?id=26

Titolo originale: Le ideologie del deserto
Fonte: Libero, 01/03/2015

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