NON PAGARE LE TASSE E' PECCATO? DIPENDE...
Per essere giuste le imposte devono rispettare ben 5 condizioni, altrimenti diventa lecito o addirittura doveroso non pagarle
Autore: Pierfrancesco Nardini
Questo del limite del dovere fiscale è un argomento da sviluppare al meglio per far tornare nei cattolici e nei cittadini onesti in genere la conoscenza e la consapevolezza di aspetti non più presenti nei discorsi, purtroppo quotidiani, circa l'incredibile pressione fiscale che caratterizza i nostri giorni. Prof. Franchi, al giorno d'oggi il problema fiscale è molto pressante sui cittadini avendo raggiunto livelli molto alti. È un argomento molto sentito, ma si ha la sensazione che le persone non conoscano a fondo il problema dei limiti morali al dovere fiscale. Ci può fare una breve panoramica sullo stato attuale di reale conoscenza di questo limite e sulle motivazioni di questa mancanza di conoscenza? Quello dei limiti del dovere fiscale è sempre stato un tema controverso nella vita degli ordinamenti pubblici e degli stati. Anche oggi che viviamo in un sistema politico rappresentativo i problemi legati alla determinazione di questi limiti non sono stati affatto risolti; azzardo anzi nell'affermare che il tema dei limiti del dovere fiscale è uno dei veri "punti oscuri" delle moderne democrazie. Per l'Italia, fa fede l'articolo 53 della Costituzione (dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva e principio di progressività delle imposte) che si fonda sugli art. 2 (doveri di solidarietà) e 3 (rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana). In effetti, però, nulla si dice su quanto effettivamente i cittadini debbano dare allo Stato dei propri beni, sul limite del dovere fiscale. Mentre negli antichi ordinamenti feudali e poi assolutistici i sudditi e i possidenti danno vita a forme di contrattazione col potere centrale in merito all'entità dei tributi da versare - va ricordato che l'embrione di un sistema rappresentativo, con la Magna Charta Libertatum (1215), nasce in Inghilterra proprio perché i baroni del Regno vogliono avere voce in capitolo sull'imposizione di nuove tasse da parte del sovrano -, un sistema democratico rappresentativo, come il nostro, può dare l'idea che ogni nuova imposta sia, in fondo, una forma di auto-imposizione! Ma se questa ignoranza in merito ai limiti del dovere fiscale nel mondo della cultura laica è in qualche modo comprensibile in un'ottica in cui il diritto è ridotto a mera legge positiva dello Stato - sia questa la stessa Costituzione -, così non è, invece, in ambito cattolico: qui noi troviamo fin da subito una dottrina teologico-filosofica assai articolata, che risale alla predicazione di Nostro Signore e a s. Paolo. Ma oggi le gerarchie, i teologi e gran parte degli esponenti della cultura cattolica si limitano ad affermare che non pagare i tributi è un furto, secondo un'interpretazione che colloca il dovere fiscale nell'ambito del rispetto del settimo comandamento - una dottrina minoritaria nella tradizione -. I vescovi e le associazioni di cattolici vogliono educare i fedeli alla "legalità", ad una legge che però non è né lex naturalis, né lex rivelata, ma mera legge dello Stato, il cui contenuto non è evidentemente più considerato un problema. In pratica, la Chiesa si fa paladina della religione civile della modernità, e sembra essere diventata la 'quinta colonna' delle istituzioni pubbliche, simile ad una chiesa di Stato protestante o a quella che prestò giuramento alla Repubblica francese e a Napoleone. E così addio alla libertas ecclesiae, per la quale si erano battuti i grandi papi e i santi del medioevo! Nella storia si è sempre sentito parlare della decima che spettava alla Chiesa, ma pochi conoscono realmente come nella civiltà cristiana era impostata la politica fiscale. Può spiegare ai nostri lettori quali fossero le posizioni rispetto alla pressione fiscale nella teologia morale ed i suoi presupposti teologici e filosofico-sociali? Il dovere della decima alla Chiesa ha un'origine addirittura vetero-testamentaria: Abramo versa la decima a Melchisedek, sacerdote dell'Altissimo e re di Salem, prefigurazione di Cristo. Oggi noi diamo allo Stato più del 50 % dei nostri introiti: a Dio dunque si dava 1/5 di ciò che oggi si dà allo Stato! Non è forse una violazione del primo comandamento? E c'è da dire che la Chiesa, se in passato pretendeva un vero e proprio tributo, è anche perché nei secoli ha sempre svolto compiti che oggi chiameremmo 'sociali' (si pensi all'attività ospedaliera, alle scuole, all'assistenza degli anziani, dei minori abbandonati ecc.), che poi, con l'età moderna, lo Stato - anche con la forza - ha fatto suoi. Certamente la Chiesa cattolica, intesa come corpo mistico di Cristo - con il privilegio ad esempio dell'imprescrivibilità dei debiti fiscali nei suoi confronti -, è stata un modello per il nascente fisco delle monarchie nazionali, precedentemente invece legato alla singola persona del principe. [...] La dottrina cattolica riguardante il dovere fiscale e i suoi limiti, nei secoli ha fatto riferimento principalmente a due fonti: Matteo, 22, 15-22, e Romani, 13, 1-7, che - più in generale - sono centrali in tutta la storia del cristianesimo per spiegare i rapporti tra religione e politica. Con l'affermazione "réddite quae sunt Caesaris Caesari et quae sunt Dei Deo" il Divino Maestro ha posto una distinzione tra il piano della realizzazione dell'uomo in Dio e quello nella sfera civile, in questo mondo. Una tale distinzione non va però interpretata alla maniera liberale - come se i due ambiti fossero tra loro del tutto separati -. Ciò che si deve allo Stato, ad esempio, non può andare contro ciò che si deve a Dio, anzi, dovrebbe avere un ruolo servente rispetto a Dio: questo sarà, vedremo, molto importante, proprio per stabilire i limiti non solo quantitativi dell'imposizione dei tributi. Inoltre, s. Paolo afferma non solo che "ogni potestà viene da Dio", ma anche che l'autorità è sempre "ministra di Dio a scopo del bene". L'Apostolo pone dunque le basi per una legittimazione divina delle istituzioni; allo stesso tempo però fonda il potere terreno sul diritto di natura che l'uomo può conoscere attraverso la sua coscienza. Tre sono quindi i presupposti teologici e filosofici del dovere fiscale in ambito cattolico: la distinzione tra i doveri verso l'imperium e quelli verso Dio e la sua ecclesia: il presupposto della libertà di coscienza e il fine del bene comune, ossia dello sviluppo dei mezzi comuni in vista del bene compiuto della persona, fino alla sua salvezza eterna. Si sente spesso la lamentela che si pagano troppi tributi e, soprattutto, alcuni non giusti. Si ha però la sensazione che il cittadino che si lamenta dell'ingiustizia di una tassa attribuisca questa caratteristica (l'ingiustizia) solo al lato meramente economico, alla gravosità economica del tributo. Ci fa un panorama delle condizioni per cui possiamo ritenere giusto o meno un tributo? [...] Con la riscoperta di s. Tommaso è chiaro che il dovere fiscale deriva da un obbligo di coscienza, perché si radica nel diritto di natura, ossia nell'idea che debba essere finalizzato al bene comune. Ciò significa, però, che ogni suddito o cittadino - almeno in linea di principio - è in grado di comprendere se un tributo sia 'giusto' o meno (c. d. giustizia legale). In questo senso, un tributo è giusto o ingiusto non solamente in base alla sua entità, al 'peso' che grava sul cittadino o se è equamente distribuito, ma anche in base a chi lo istituisce e soprattutto, alle finalità per cui è stato istituito. I teologi morali elencano alcune condizioni generali affinché un tributo sia giusto. La dottrina cattolica è molto esigente in proposito. Basta che una di queste condizioni manchi, o ci sia anche solo il fondato sospetto che manchi, che il tributo è da considerare ingiusto e non deve essere pagato. Addirittura si commette peccato se lo si paga! 1) AUTORITÀ LEGITTIMA La prima condizione è la legitima auctoritas: un tributo dev'essere pagato solo ad un'autorità legittima. Ma cosa rende legittima un'autorità secondo il pensiero cattolico? Non basta il fatto di essere rappresentativa in termini liberal-democratici: ciò che è decisivo non è la forma di Stato, ma le finalità che l'autorità persegue, se queste sono indirizzate al bene umano e divino o meno. 2) TRIBUTO PROPORZIONATO La seconda è la proportio tributi: il tributo, cioè, non deve chiedere ai cittadini più di quanto è necessario alla realizzazione del loro bene. Questa condizione si è enormemente sviluppata e - direi - complicata nello Stato sociale novecentesco (welfare state), che ha ampliato enormemente il suo campo d'azione, fino a trasformarsi talvolta in un sistema gravosissimo per la cittadinanza, senza essere più in grado di assolvere in modo efficiente ai compiti che si era posto. Qui vale il limite di un principio di sussidiarietà rettamente inteso. 3) GIUSTIZIA DISTRIBUTIVA C'è poi la condizione della aequalitas in personis. Questo è il campo della cosiddetta 'giustizia distributiva': quando un tributo è distribuito in modo 'eguale' tra cittadini? Si devono tenere presenti le differenti ricchezze dei cittadini per adeguare ad esse l'entità del tributo, tenendo però anche conto di quanto il tributo incide sull'insieme dei beni del cittadino; per questo la dottrina cattolica - p. Luigi Taparelli ne è un esempio - ha fatto suo il principio della progressività delle imposte, un principio che è stato recepito anche dalla nostra Costituzione. 4) IL TRIBUTO NON DEVE ESSERE ECCESSIVAMENTE GRAVOSO Il gesuita Noldin aggiunge un'ulteriore condizione, lo iustus modus: il tributo non deve essere percepito dai sudditi come eccessivamente gravoso. 5) LA GIUSTA CAUSA Infine, la iustitia causae: questo è un tema veramente scottante e oggi praticamente rimosso tra i cattolici: come si è detto, il tributo deve avere come fine il bene comune, che ha alla sua radice il bene umano cattolicamente inteso. Solo una concezione liberale e laicista - che rende incomunicabili vita religiosa e vita civile - può pensare che un cattolico sia tenuto a pagare delle imposte ad uno Stato che finanzia una sanità che pratica aborti o eutanasia, una scuola pubblica che insegna dottrine anticristiane o uno Stato sociale che riconosce e assiste coppie omosessuali. Nel leggere queste sue risposte e nel comprendere meglio alcuni aspetti della questione, viene però spontaneo chiedersi quali siano i margini di miglioramento che porterebbe l'applicazione nell'attuale società dei criteri di politica fiscale indicati nella teologia morale. La dottrina sociale e la filosofia politica della Chiesa cattolica non propongono un particolare modello istituzionale, valido in ogni tempo e luogo. Nei secoli e nei millenni la Chiesa ha avuto a che fare con imperi burocratizzati, dotati di sistemi giuridici altamente sviluppati, regni barbarici semitribali e sistemi feudali, realtà comunali di democrazia diretta, signorie, repubbliche aristocratiche, monarchie assolutistiche, regimi parlamentari, dittature ecc. [...] La dottrina cattolica del 'dovere fiscale' e dei suoi limiti si è sviluppata nei secoli perché la Chiesa si è sempre dovuta rapportare a ordinamenti pubblici storicamente condizionati, cioè imperfetti, che spesso tendono a ledere quelli che sono stati definiti i "diritti divini nell'ordine sociale"; anzi, addirittura, in casi estremi, gli ordinamenti politici tendono a sostituirsi ai doveri nei confronti del Creatore, e si autointerpretano come autorità ultime, come "chiese secolari", come è successo con i sistemi totalitari statalisti del novecento e come continua a succedere con quelli umanitaristi ed ecumenisti dei nostri giorni. Non ci sono però soluzioni definitive, solo possibili miglioramenti. Punto di partenza per un miglioramento del sistema fiscale - per l'alleggerimento di una pressione fiscale avvertita, almeno in Italia, in modo diffuso oramai come insostenibile -, sarebbe l'introduzione nel nostro ordinamento pubblico di un autentico principio di sussidiarietà - non quello falso, assistenzialistico, introdotto sul finire degli anni '90 del secolo scorso con la riforma del Titolo V della Costituzione che ha contribuito ad aumentare enormemente la spesa pubblica -, che deve essere centrato sulla famiglie, sul rispetto della proprietà privata e sull'autosufficienza economica degli enti locali e autonomi che dovrebbero finanziare con beni propri non dico i servizi e le politiche economiche, ma almeno il loro funzionamento interno. E' chiaro che questo non è più il campo di studio di una dottrina etico-sociale del dovere fiscale, ma riguarda una scienza dell'amministrazione, delle politiche economiche e dei servizi pubblici, ripensata interamente in chiave sussidiaria. In che modo si potrebbe riversare questa dottrina sull'attuale sistema fiscale italiano? Una lettura dell'attuale sistema fiscale italiano alla luce della tradizionale dottrina cattolica ci porterebbe in molti casi a delle gravi conclusioni: in effetti, su molti punti le leggi che impongono dei tributi si presentano come ingiuste. 1) Anche a voler tralasciare il tema della legitima auctoritas - ci si potrebbe chiedere legittimamente se governi non direttamente voluti dal popolo italiano, come i governi Monti, Letta o Renzi, abbiano il diritto di incidere in modo così vistoso sui risparmi dei cittadini - non è possibile non soffermarci sul problema della proprtio tributi... 2) Per mantenere in piedi un sistema welfarstico spesso inefficiente e farraginoso - si pensi al nostro sistema pensionistico -, e pagare gli interessi sui debiti accumulati negli anni a seguito di una spesa pubblica irresponsabile, oggi lo Stato - direttamente o attraverso l'ampia sfilza di enti locali - si rifà sul cittadino e lede chiaramente quel diritto di proprietà che Leone XIII riconosceva come un diritto naturale da tutelare, garanzia di autentica libertà; ma anche le imposte sulle attività imprenditoriali e commerciali sono diventate insostenibili, con la conseguenza che spesso l'imprenditore deve scegliere se evadere in parte il fisco o chiudere e licenziare così i suoi dipendenti. 3) C'è poi la condizione della aequalitas in personis: dov'è la giustizia nel tassare gli immobili delle scuole cattoliche paritarie che svolgono un importante ruolo sussidiario - come di recente ha ricordato bene Giuseppe Rusconi nel suo saggio L'impegno (Rubbettino, 2013) - e non quelli di proprietà delle fondazioni bancarie? [Per le forti pressioni mediatiche il governo Monti ha poi cambiato idea e ha incluso i beni delle fondazioni bancarie tra quelli da tassare, N.d.R.] 4) Per quanto riguarda poi lo iustus modus, è sano un sistema fiscale che a causa dell'aumento delle imposte sulla casa costringe molti anziani a dover vendere l'immobile di proprietà nel quale vivono? 5) Tutto ciò, però, ha un riflesso sulla iusta causa che ha a che fare con il bene comune di una società nei suoi molteplici aspetti: l'eccesso di imposte sulle attività imprenditoriali, industriali e agricole – di recente è stata introdotta l'IMU anche sui terreni agricoli –, lede chiaramente il bene economico-sociale di una nazione; anche l'aumento vertiginoso delle imposte sugli immobili rappresenta un danno per il mercato degli immobili e per l'imprenditoria edile. Le imposte sugli immobili delle scuole cattoliche portano all'aumento delle rette che fanno perdere studenti o chiudere l'istituto, con un danno in generale per il bene della formazione. C'è poi un danno nei confronti del bene storico-culturale, derivante dall'attuale sistema tributario, di cui si sa poco: l'IMU ha in buona parte rivisto il regime di favore che la vecchia ICI stabiliva per i beni immobili vincolati. Un proprietario che conserva a sue spese un castello o un palazzo, se è costretto a vendere, oggi lo fa probabilmente frazionando l'immobile, con un danno per il patrimonio storico-artistico di una località, che è anche un danno per il mercato turistico! Da ultimo, dall'attuale sistema fiscale deriva un danno collettivo che non è solo economico, ma strettamente morale, perché legato a quello che il teologo Santiago Ramirez chiama il 'bene comune trascendente' (Dio): un cattolico deve chiedersi con lucidità e coraggio se non sia immorale - come già dicevo - finanziare un sistema sanitario pubblico che permette l'aborto - e oggi sta per negare anche la possibilità dell'obiezione di coscienza per i medici antiabortisti -, o un sistema scolastico che indottrina i bambini con l'ideologia gender o un ordinamento pubblico che è in procinto di riconoscere le c.d. 'unioni civili' tra omosessuali; bisogna chiedersi se di fronte a tutte queste leggi chiaramente anticristiane non ricorrano gli estremi per una forma di disobbedienza fiscale organizzata.
Nota di BastaBugie: per approfondire può essere interessante la lettura del seguente articolo di Antonio Socci I CATTOLICI E LE TASSE DI UNO STATO SANGUISUGA Lady Fisco sostiene che il cattolicesimo produce evasori... ma è piuttosto lo Stato il parassita che viola il patto sociale! https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3375
Titolo originale: I Cattolici e il dovere fiscale Fonte: Confederazione Civiltà Cristiana, 01/05/2015
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