OMICIDIO STRADALE, UNA LEGGE CHE FA SOLO AVANZARE L'IMBARBARIMENTO DEL DIRITTO PENALE
Continua la proliferazione di nuovi reati sull'onda dell'emotività: femminicidio, omicidio stradale e omofobia fanno sì che certe categorie di vittime diventano diverse rispetto alle altre, in barba al principio secondo cui la legge è uguale per tutti
Autore: Stefano Magni
Viene firmata oggi dal premier Matteo Renzi la nuova legge che introduce il "reato di omicidio stradale". E' stata approvata dal Senato in via definitiva il 2 marzo scorso, votata da un'ampia maggioranza bipartisan con 149 senatori a favore, solo 3 contrari e 15 astenuti. Prevede un inasprimento delle pene per tutti coloro che, trasgredendo il codice della strada, causano morti e feriti con la loro auto. A prima vista è una norma dettata dal buon senso ed è salutata come un successo dalle associazioni dei parenti delle vittime che l'hanno promossa sin dal 2011. Ma nasconde dei risvolti molto pericolosi, un vero "arretramento verso forme di imbarbarimento del diritto penale" come denunciano prontamente le Camere Penali. Perché d'ora in avanti, indipendentemente dalla volontà di uccidere, basterà una semplice distrazione per scontare anni di carcere.
NESSUNA EMERGENZA ATTUALE Questa legge, è bene ricordarlo, non risponde ad alcuna emergenza attuale. Infatti il numero di vittime di incidenti stradali è costantemente in calo nell'ultimo ventennio. I morti della strada sono passati dai 6.621 del 1990 ai 3.385 del 2013. Nel corso degli ultimi 15 anni, il numero delle vittime è calato costantemente del 3-4% annuo. La legge, dunque, risponde più ad un'esigenza emotiva, che non ad un problema urgente. In particolar modo ha trovato nuova linfa nell'emozione provocata da alcuni casi di cronaca nera a cui è stata data particolare importanza dai media. Da ultimo: una donna filippina di Roma, Corazon Abordo Perez, travolta assieme ad altre otto persone da un'auto con a bordo tre nomadi, lo scorso maggio. La donna è morta. La partecipazione al suo funerale era stata molto grande, alla presenza dell'allora sindaco Ignazio Marino. Ma le pene per i colpevoli sono state giudicate lievi (6 anni al minorenne alla guida) dalla maggioranza dell'opinione pubblica. L'episodio ha creato comprensibilmente grande scalpore, in tutto il paese. E la normativa ne ha tratto nuovo impulso, fino alla sua approvazione definitiva. Il testo (articolo 589 bis del Codice Penale) prevede che una persona sobria o con un tasso alcolemico lieve (da 0,8 a 1,5 grammi per litro), possa essere incarcerato per un periodo di tempo che va dai 5 ai 10 anni, se uccide una persona con la propria auto, se: viaggia al doppio della velocità consentita, passa un semaforo rosso, procede contromano, fa inversione in corrispondenza di incroci, dossi e passaggi pedonali, oppure sorpassa un altro mezzo in corrispondenza della linea continua o in corrispondenza di un attraversamento pedonale. Se viaggiare al doppio della velocità consentita, andando a 100 all'ora in città o a 180 all'ora fuori città in una strada statale, vuol dire effettivamente trasformare la propria auto in un'arma, in tutti gli altri casi basta una semplice distrazione, un colpo di sonno o un errore, per trasformare un normale autista in un assassino.
LE NUOVE PENE Non fosse passato un emendamento il 21 gennaio scorso, la legge avrebbe previsto anche l'arresto in flagranza di reato per chi si ferma a soccorrere la vittima. Per i pirati veri, cioè per chi fugge, la legge prevede un aumento della pena da un terzo ai due terzi. Per chi guida in grave stato di ebbrezza o sotto effetto di stupefacenti, le pene detentive sono un minimo di 8 e a un massimo di 12 anni. Se la vittima non muore, si passa all'articolo 590 bis del Codice Penale, che prevede pene che vanno da un minimo di 3 mesi a un massimo di 1 anno per le lesioni gravi e di un minimo di 1 anno a un massimo di 3 per quelle gravissime. Aggravanti sono previste anche per chi è sprovvisto di patente e anche per chi non ha la Rc auto. Nel caso si commetta un omicidio stradale, i termini di prescrizione sono raddoppiati: si può essere condannati fino a 24 anni dopo l'incidente. In caso di morte di più persone la pena viene triplicata, ma non può superare comunque i 18 anni di carcere. Per riavere indietro la patente, che viene revocata, occorrono 5 anni in caso di lesioni e 15 in caso di omicidio. 30 anni se l'omicida stradale fugge. Secondo le Camere Penali, come si diceva, questa legge non è affatto un passo avanti nel diritto italiano, ma un grande passo indietro. Se l'organo che rappresenta gli avvocati penalisti parla di "imbarbarimento" è perché la nuova norma non tiene conto del criterio di proporzionalità della pena rispetto alla colpa. Commina pene severe e prevede tempi di prescrizione esagerati per un omicidio colposo, dunque commesso da una persona che non ha intenzione di uccidere. Prima di tutto le Camere Penali giudicano la nuova norma ridondante, perché già il vecchio testo dell'articolo 589 del Codice Penale forniva strumenti per punire adeguatamente l'omicidio stradale. "Innanzitutto, non è affatto vero che i 'pirati della strada' rimanessero 'impuniti' prima della emanazione di questa legge ed è falso il messaggio mediatico secondo il quale 'l'omicidio stradale ora è reato' - scrivono gli avvocati penalisti - il fatto era già previsto come reato (art. 589, 3° comma c.p.) ed era già severamente punito (da tre a dieci anni) cui ben poteva aggiungersi l'aggravante della previsione dell'evento (art. 61, n. 3) con pena finale che in casi particolarmente gravi poteva raggiungere gli anni quindici. Senza contare che spesso la giurisprudenza (certo con eccessi assolutamente non condivisibili) aveva ricondotto il fatto alla previsione dell'omicidio doloso, con dolo cosiddetto 'eventuale' (pena da ventuno a ventiquattro anni)". Ora, per voler vedere puniti in modo esemplare i pirati della strada, si sono inasprite le pene anche per chi pirata non è, per chi ha commesso un errore e non un delitto.
PERICOLOSO INCENTIVO ALLA FUGA La nuova norma rischia di introdurre un pericoloso effetto di deterrenza alla rovescia. "... non avere previsto come adeguata attenuante ad effetto speciale (suggerita dalla UCPI) per chi presta soccorso, è un vero e proprio incentivo alla fuga. Chi provoca un incidente, se ha il minimo dubbio che il mezzo bicchiere bevuto possa avergli alterato il tasso alcolemico (e certo non può sapere di quanto!) nella maggioranza dei casi fuggirà. Con quali possibili conseguenze per le vittime è facile immaginare". Infine, ma non da ultimo, gli avvocati constatano come vi sia, nel testo, una vera "presunzione di colpevolezza", che rischia di sovvertire i principi cardine del diritto penale. E non ci resta che constatare, poi, la proliferazione di nuovi reati sull'onda dell'emotività. Provocano scandalo le uccisioni di donne? Ecco il "femminicidio". Provocano scandalo gli incidenti mortali? Ecco l'"omicidio stradale". Certe categorie di vittime diventano diverse rispetto alle altre, in base a criteri tutt'altro che oggettivi. Con buona pace del principio secondo cui la legge è uguale per tutti.
Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell'articolo sottostante dal titolo "Femminicidio? I dati sulle violenze dicono il contrario" sottolinea che il femminicidio è in calo, anzi è sempre stato minore dell'uccisione di uomini da parte di donne... ma a nessuno interessa sapere i dati veri, quelli dell'Istat. Ecco l'articolo completo pubblicato su La nuova Bussola Quotidiana il 11-03-2016: Mimose sporche di sangue. Questa potrebbe essere l'immagine dipinta da molti media che, commentando la festa della donna appena conclusa, hanno messo l'accento ancora una volta sul cosiddetto fenomeno del femminicidio. Parimenti hanno fatto i rappresentanti delle istituzioni, in testa la presidente della Camera Laura Boldrini la quale ha deciso di abbassare a mezz'asta le bandiere che sventolano a Montecitorio in segno di lutto per tutte le vittime del femminicidio. La strage delle donne, a dar retta ai giornali, pare che aumenti di anno in anno e il maschio - marito, fidanzato, convivente o amante che sia – è diventato il nemico pubblico numero uno. Ma se andiamo a leggere la "Relazione al Parlamento del Ministero dell'Interno sulle attività delle forze di Polizia, sullo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata" scopriamo che le cose non stanno esattamente così. Gli ultimi dati disponibili sono quelli che si riferiscono all'anno 2014. In questa relazione viene dedicato un intero capitolo alla questione del femminicidio, espressione che, tra l'altro, provoca non poco imbarazzo negli stessi estensori del documento perché giuridicamente inesistente. Passiamo ai dati. Questi innanzitutto ci dicono che la maggior parte delle vittime- per qualsiasi genere di reato - è di sesso maschile: 58,42% contro 41,58%. Ma la relazione poi indica anche la percentuale delle vittime per "reati di genere", reati che vanno dall'omicidio alle lesioni, passando per varie forme di vessazioni fisiche e psicologiche. Dato che l'espressione "reati di genere" come femmincidio è anch'essa un neologismo giuridico non positivizzato in norme, per comprendere il significato di questa espressione non possiamo che rifarci all'interpretazione che ne dà lo stesso ministero in questo documento. Tale interpretazione riguarda unicamente le donne e fa riferimento a quei reati commessi per motivazioni legate ad «una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte». I reati di genere quindi sono connotati, per usare parole della stessa relazione, da atteggiamenti discriminatori e di dominio basati su rapporti di ineguaglianza. Abbiamo voluto soffermarci sull'espressione "reati di genere" perché non solo le donne, ma anche gli uomini sono vittime dei reati di genere, cioè di crimini e delitti compiuti sostanzialmente per motivazioni legate al sesso di appartenenza. Mogli che uccidono i mariti, figlie che si scagliano contro i padri perché ad esempio non ne riconoscono il ruolo o l'autorità. E l'aspetto curioso e sorprendente sta nel fatto che anche nei reati di genere il numero di vittime maschili è maggiore del numero di vittime femminili: 51,11% contro 48,89%. Affermarlo sarà politicamente scorretto, ma la vera emergenza è il maschicidio e non il femminicidio. Altra menzogna. Le vittime di femminicidio sono sempre di più. Ma il trend, almeno nel periodo 2013-2014, è invece in decrescita: dal 49,33% al 48,89%. In particolare l'omicidio è sceso dal 36% al 31% e quello perpetrato in ambito familiare - tipico topos giornalistico - sebbene abbia il primato (d'altronde la violenza di genere avviene soprattutto tra congiunti: 69% dei casi, di cui nel 46% dei casi l'autore è il partner) è sceso dal 70% al 62%. Nella maggioranza dei casi (29%) l'omicidio nasce da una lite. I motivi della violenza sulle donne? Il report non li dice, ma i giornali sì. Nella maggior parte dei casi la violenza viene innescata dalla fine di un rapporto: divorzio, separazione, fine del fidanzamento o della convivenza. Nessuno però oserebbe dire che separazione e divorzio fomentano i femminicidi, invece si continua a ripetere che è la famiglia il luogo della violenza. Come a dire che se due amici litigano la colpa è dell'amicizia. Dunque abbiamo visto che la violenza sulle donne e i femminicidi sono in diminuzione. Per paradosso invece è in crescita la violenza di genere sugli uomini: dal 50,67% del 2013 al 51,11% del 2014. Altra riflessione. I dati del ministero fanno emerge che per i reati di genere nel 56,64% dei casi le vittime sono straniere e nel 64% dei casi circa l'autore del reato è anch'esso straniero. Quindi c'entra poco lo schemino di origine ottocentesca-occidentale che vede il maschio padre-padrone, figura archetipa che sopravvivrebbe ancor oggi, bensì la radice della violenza è insita in quelle culture non cristiane o scristianizzate che considerano la donna come persona di serie B e di proprietà del maschio. Di converso quando la vittima è italiana solo nel 12% dei casi l'autore è uno straniero. Il report però non distingue nel computo delle vittime di sesso femminile quali sono state uccise, aggredite, etc. da uomini e quali da altre donne. Sicuramente queste ultime sono una percentuale ridotta (però non si sa quanto ridotta), ma perché omettere questo dato? Non si può escludere che le donne autrici dei reati abbiano un peso percentuale rilevante. Infatti gli autori dei reati nel 46% dei casi sono: genitori, figli, altri parenti, soggetti legate alla vittima da altre relazioni non affettive (lavoro, sport, amicizia), o da nessuna relazione (incontro occasionale, casuale) e quindi non si può escludere a priori che in queste categorie di soggetti ci siano anche delle donne. Si badi bene: anche una sola donna uccisa all'anno grida vendetta al Cielo. Ma la verità non ha bisogno di aiutini dalla menzogna per brillare più intensamente, perché quest'ultima può solo offuscare la prima.
Titolo originale: Omicidio stradale, una legge controproducente Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 09/03/2016
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