IL CRISTIANESIMO HA UMANIZZATO IL RAPPORTO PADRI-FIGLI
La moglie e i figli hanno bisogno di un uomo che sia maschio, marito e padre... come san Giuseppe
Autore: Francesco Agnoli
Il 19 marzo di festeggia la festa del papà. La data coincide con la festa di san Giuseppe, padre adottivo di Gesù. E' interessante forse chiedersi la relazione tra le due cose. Per farlo occorre andare un po' indietro nei secoli, al pater familias romano. Chi era costui? Oggi noi lo definiremmo più "padrone", che "padre", per via dei diritti pressoché assoluti che aveva sulla moglie e sui figli. La legge romana antica contemplava il diritto del padre di abbandonare il figlio, di venderlo, di farlo imprigionare al posto suo in caso di insolvenza di un debito (ius exponendi, ius vendendi, ius noxae dandi).
LA MITOLOGIA GRECO-ROMANA Nella mitologia greco-romana, il primo padre della storia, il dio Urano, uccide i figli natigli dall'unione con Gaia. A seguire una sfilza di figlicidi cui seguono altrettanti parricidi: Crono-Saturno, figlio di Urano, evira il proprio padre, prima di divorare, diventato padre lui stesso, i propri figli... Sappiamo che il problema del rapporto padri-figli nella Roma pagana era così grave, che i parricidi erano all'ordine del giorno, come ribellione violenta allo strapotere paterno. La pena prevista per loro era di una crudeltà inaudita. Come i padroni uccidevano nei tormenti, con la crocifissione, gli schiavi ribelli, mandando nel contempo a morte innumerevoli schiavi innocenti, per scongiurare, invano, altre rivolte, così una società fondata su una paternità padronale, puniva in modo esemplare i parricidi, senza molti risultati. Dalla mitologia alla leggenda: Roma stessa, non nasce da un tentato infanticidio, quello di Romolo e Remo? E non sono forse attestati, per secoli, in tutto l'impero romano, dove più e dove meno, i sacrifici rituali e propiziatori di bambini a Saturno, dio dell'agricoltura, dell'abbondanza e della ciclicità della natura? Questa visione del rapporto padre-figlio, che troviamo più o meno simile in tutto il mondo antico (si pensi al re Agamennone che uccide sua figlia Ifigenia per propiziare i venti), è ribaltata nella rivelazione biblica.
IL CRISTIANESIMO UMANIZZA IL RAPPORTO PADRI-FIGLI Nell'Antico Testamento Dio chiede ad Abramo di sacrificare il figlio Isacco, ed Abramo non esita: non lo ritiene strano, essendo una consuetudine dei popoli vicini. Ma Dio ferma la sua mano, e gli ebrei non praticheranno più il sacrificio di bambini, a differenza dei Fenici e di altri popoli vicini. La paternità di Dio comincia a rivelarsi come paternità buona. E' però soprattutto nel Nuovo Testamento che Dio Padre ama a tal punto gli uomini da dar loro il suo unico Figlio. Dio diviene dunque Padre e Figlio nello stesso tempo; potenza del Padre e umanità del Figlio. Tutto il modo di pensare dell'antichità viene ribaltato attraverso una nuova idea di paternità e di figliolanza. Tutti gli uomini diventano con Cristo, figli di Dio Padre; figli redenti da un loro "fratello". Così al pater familias, in ogni epoca e luogo antico quasi "onnipotente", si affianca una paternità superiore, quella di Dio Creatore, che giustifica l'autorità paterna (come derivata e vicaria di quella divina), ma nello stesso tempo la limita e la definisce. Ogni figlio, infatti, smette di essere proprietà del padre, per essere anzitutto "figlio di Dio-Padre". Gli effetti sociali di questo cambiamento di prospettiva sono tantissimi: non solo scompare l'idea che il padre possa abbandonare, uccidere, o vendere i propri figli, ma addirittura già nei primi secoli i Padri della Chiesa contestano la possibilità del padre di combinare il matrimonio dei figli. Vari concili, uno dietro l'altro, invitano i padri a rispettare la decisione libera dei figli riguardo alle nozze. Insieme con la visione del padre, muta anche quella del padrone: la schiavitù viene prima trasformata, limitando via via i poteri del padrone sugli schiavi, poi abolita. In questo contesto "padre" diventa colui che, senza rinunciare al suo ruolo di guida, ama i suoi figli servendoli. San Giuseppe è colui che accompagna sempre, silenziosamente, Maria e Gesù. Egli "scompare" perché gli altri crescano. La sua umiltà, la sua disponibilità, la sua autorevolezza mite, il suo senso di responsabilità sono il segno di una paternità nuova. In cui la forza, fisica e morale, è al servizio della famiglia, la tiene unita e la protegge. Oggi assistiamo ad una crisi del maschio, del marito e del padre. Eppure la donna e i figli hanno bisogno, per essere anche loro ciò che sono, di un uomo che sia maschio, marito e padre. Come san Giuseppe.
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Titolo originale: Quando la paternità diventò buona Fonte: Libero, 18/03/2016
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