BastaBugie n�454 del 18 maggio 2016

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IL RUOLO DELLE DIACONESSE NELLA CHIESA PRIMITIVA
Mai le donne hanno ricevuto il sacramento dell'ordine e San Giovanni Paolo II nel 1994 chiuse definitivamente la questione
Autore: Matteo Carletti

A leggere i principali quotidiani di oggi sembra proprio che il Papa abbia aperto alla possibilità delle donne-preti. In realtà, Papa Bergoglio, nell'udienza tenuta ieri in Vaticano con le superiore religiose ha semplicemente posto la possibilità di riaprire lo studio sul diaconato femminile.
Non può certamente sfuggire che il diaconato sia, per gli uomini, il passo immediatamente precedente il sacerdozio e che esso rappresenti il primo grado dell'Ordine Sacro.

LA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE (2003)
La proposta del Santo Padre si basa sulla fondata conoscenza della presenza di diaconesse nella Chiesa primitiva. Nel 2003 la Commissione Teologica Internazionale, dopo anni di studi sul caso, emanò un documento in cui si lasciavano aperte alcune esegesi circa il diaconato delle donne, ma si affermava anche molto chiaramente che tale ruolo era differente sia dall'attuale che da quello propriamente maschile. Nel documento si ricorda che le diaconesse erano delle laiche incaricate in modo permanente all'istruzione delle catecumene, alle opere di carità, e a aiutare le donne adulte a svestirsi e rivestirsi in occasione del loro battesimo.
Nelle Costituzioni Apostoliche, apparse intorno il 380 in Siria, le loro funzioni erano così riassunte: «La diaconessa non benedice e non compie nulla di ciò che fanno i presbiteri e i diaconi, ma vigila le porte e assiste i presbiteri in occasione del battesimo delle donne, per ragioni di decenza». Tra le altre fonti antiche troviamo quella Epifanio di Salamina che nel Panarion (verso il 375) così si esprime: «Esiste nella Chiesa l'ordine delle diaconesse, ma non serve per esercitare le funzioni sacerdotali, né per affidargli qualche compito, ma per la decenza del sesso femminile, al momento del battesimo».
Il documento della Commissione Teologica ricorda che lo stile di vita delle diaconesse si avvicinerà a quello delle claustrali già alla fine del IV secolo. È detta allora diaconessa la responsabile di una comunità monastica di donne, come attesta, tra gli altri, Gregorio di Nissa. "Ordinate badesse dei monasteri femminili, le diaconesse portano il maforion, o velo di perfezione. Sino al VI secolo, assistono ancora le donne nella piscina battesimale e per l'unzione. Benché non servano all'altare, possono distribuire la comunione alle ammalate. […] Le diaconesse sono semplicemente vergini consacrate che hanno emesso il voto di castità. Risiedono sia nei monasteri, sia in casa propria. La condizione di ammissione è la verginità o la vedovanza, e la loro attività consiste nell' assistenza caritativa e sanitaria alle donne".

GIOVANNI PAOLO II: QUESTIONE CHIUSA
Anche l'imposizione delle mani da parte dei vescovi aveva per esse la funzione di benedizione, ma non di ordinazione, vietandole qualsiasi accesso all'altare e al ministero liturgico. in Occidente non si trovano tracce di diaconesse nei primi cinque secoli, mentre alcuni Concili del IV e V secolo respingono ogni ministerium feminae e vietano ogni ordinazione di diaconesse. Il documento ci informa, in sintesi, che un ministero delle diaconesse è realmente esistito anche se in modo diseguale nelle diverse parti della Chiesa. Ciò che invece è comune è «che tale ministero non era inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile». Sulla questione dell'eventuale ordinazione femminile si era espresso recentemente in modo contrario Paolo VI e la questione è stata chiusa definitivamente da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis (1994). Quindi uno studio sul ruolo della donna nella Chiesa primitiva potrà certamente mettere in luce alcuni aspetti rimasti a tutt'oggi in ombra, ma non aprirà in alcun modo la strada al sacerdozio femminile. E questo Papa Francesco lo sa bene, a differenza della maggior parte dei giornalisti che insistono nello scrivere su questioni di cui hanno poca (o per nulla) conoscenza.

Nota di BastaBugie: Enrico Cattaneo nell'articolo sottostante dal titolo "Le donne? Troppo importanti per fare il sacerdote" parla del fatto che il dibattito sulle donne diacono o sacerdote e il divieto della Chiesa cattolica a tale ordinazione non è di oggi. Già nella Chiesa primitiva, alle donne erano preclusi la guida delle comunità locali e il sacerdozio e ciò non sotto la pressione della cultura del tempo: tale divieto era invece una scelta consapevole. Che va cercata nello stesso Vangelo e nella natura e nella tradizione delle comunità cristiane.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La nuova Bussola Quotidiana il 20-07-2014:
Non vi è dubbio che fin dalle origini le donne hanno avuto un ruolo importante nella diffusione del Vangelo. Alcuni esegeti, tuttavia, si spingono oltre, e sostengono che al tempo della prima evangelizzazione le donne hanno partecipato non solo alla missione, ma anche alla direzione delle Chiese domestiche. Questo primo periodo sarebbe stato per loro come una specie di "primavera", che però non sarebbe durato a lungo, perché prontamente riassorbita dal modello patriarcale di origine giudaica.
Indizio di tale regressione sarebbe il passo di 1 Cor 14, 33b-35, dove si ordina che le donne tacciano nelle assemblee. Alcuni studiosi lo ritengono un'interpolazione, la cui portata restrittiva sarebbe rafforzata da 1 Tm 2, 11-12, che vieta alle donne di insegnare. Saremmo qui lontani da Gal 3, 28, con la sua affermazione che in Cristo, con il Battesimo, «non c'è più né maschio né femmina». Sarebbe questo il manifesto della mentalità egualitaria delle origini cristiane. Tale tendenza a escludere le donne dai posti direttivi si sarebbe poi rafforzata dal II secolo, con quella che è stata chiamata «la durissima e insofferente reazione cattolica». Di conseguenza, alcuni studiosi guardano con sempre maggiore simpatia ai gruppi gnostici ed eterodossi, nei quali si sarebbe meglio conservata «la prassi libera e liberante di Gesù».
Certamente la Chiesa antica ha riconosciuto alle donne il dono dei carismi, in particolare quello profetico, e ha pure attribuito alle donne una qualche forma di ministero, come quello delle diaconesse, ma ha sempre escluso le donne dal ministero ordinato (episcopato, presbiterato, diaconato). Questo rifiuto appare motivato da un forte senso di fedeltà alla tradizione ricevuta da Cristo e dagli apostoli. Non fu però una presa di posizione irriflessa, sotto la pressione dalla cultura del tempo, ma una scelta consapevole. Infatti, il problema dell'accesso delle donne al ministero sacerdotale non è solo di oggi, ma era già presente nel loro tempo.
I Canoni Ecclesiastici degli Apostoli - opera fittizia del III secolo -, immaginano una discussione tra gli stessi apostoli proprio sul ministero delle donne: la risposta che danno è negativa per quanto riguarda il ministero liturgico (l'offerta eucaristica), mentre è positiva rispetto al servizio di assistenza. La Tradizione Apostolica - opera anch'essa del III secolo -, riconosce che c'è l'ordine delle vedove, ma nega che ci sia una "ordinazione" per le vedove, dato che esse non hanno un ufficio sacerdotale e liturgico direttamente correlato all'eucaristia, il che equivale a una esplicita esclusione delle donne dal ministero ordinato.
Spesso si invoca il fattore culturale: nel mondo antico, si dice, le donne erano relegate nella sfera privata, all'interno della famiglia, e la Chiesa non ha fatto altro che adeguarsi a tale mentalità. Sarebbe stato impensabile che ci fosse stata una donna a capo di una comunità a presiedere l'Eucaristia, perché ciò sarebbe stato in contrasto con la cultura del tempo, segnata dalla dominazione maschile e patriarcale. C'è qualcosa di vero in queste affermazioni: l'inferiorità della donna rispetto all'uomo nella sfera pubblica era così radicata da essere considerata un dato naturale e non culturale. Tuttavia, ci sono altri aspetti che vanno presi in considerazione e che mostrano la complessità della questione.
In primo luogo, quando si è in presenza di un divieto, come quello che impone alle donne di tacere nelle assemblee (1 Cor 14,33-35), o il divieto di insegnamento (1 Tm 2,11-12), va rilevato che tali divieti sono significativi solo se vanno contro una tendenza opposta. Il che significa che già al tempo di Paolo c'erano esponenti del sesso femminile che aspiravano ad avere libertà di parola nelle pubbliche assemblee. Tertulliano, più di un secolo dopo, dice che alcune donne rivendicavano il diritto di battezzare e insegnare adducendo l'esempio di Tecla, l'eroina del romanzo religioso che andava sotto il nome di Atti di Paolo.
Presumibilmente, anche allora, da alcune donne, le restrizioni imposte dalla Chiesa nei loro confronti erano percepite come un ostacolo o come una discriminazione da superare. La prova ne è che al di fuori della Chiesa cattolica, come ad esempio nelle sette montaniste, gnostiche e marcionite, le donne occupavano subito senza problemi lo spazio che questi gruppi, liberi dai vincoli della tradizione, offrivano loro. Così non è raro trovare in questi gruppi donne in posizioni di responsabilità e di leadership, compresa la presidenza nel culto liturgico.
Lo gnostico Marco, come riporta Ireneo di Lione alla fine del II secolo, incitava le donne a profetizzare e le chiamava accanto a sé perché consacrassero anch'esse il calice del vino, in una parvenza di Eucaristia. Ed erano in molte a seguirlo. Nelle comunità gnostiche, a dispetto del dogma paolino, le donne potevano non solo profetare, ma anche insegnare e celebrare riti sacramentali in qualità di sacerdotesse. In sostanza, il ministero femminile era una bandiera delle sette eterodosse. Ora questa "apertura" dei gruppi settari verso le donne corrispondeva alla cultura del tempo, che attestava la presenza delle donne anche ai livelli più alti delle gerarchie religiose.
La Chiesa cattolica era in sostanza l'unica associazione religiosa non esclusiva (cioè non riservata a sole donne) nella quale le donne erano escluse dall'ufficiare il culto liturgico-pastorale proprio dei ministri ordinati. Ora questa è una posizione chiaramente contro-culturale presa con consapevolezza. Nei primi secoli, quando la Chiesa non aveva ancora ottenuto un riconoscimento ufficiale, ma appariva come uno dei tanti movimenti religiosi del tempo, nessuno si sarebbe meravigliato se delle donne avessero tenuto un ruolo di leadership nella vita e nel culto delle comunità, tanto più che dovevano essere in maggioranza.
La resistenza della Chiesa ad ammettere le donne al sacerdozio non è dunque venuta dall'esterno, dalle pressioni culturali dell'ambiente, ma dall'interno, vale a dire l'attaccamento a una tradizione considerata vincolante per quanto riguarda la natura stessa delle comunità cristiane.

Titolo originale: Il vero ruolo delle diaconesse nella Chiesa primitiva
Fonte: Libertà e Persona, 14/05/2016

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