LEGGI CONTRO L'OMOFOBIA
Ecco cosa accade in Inghilterra, perche' ce ne rendiamo conto prima che succeda anche in Italia!
Autore: Rodolfo Casadei
Dipendenti pubblici licenziati, benemerite organizzazioni cattoliche dedite agli affidamenti e alle adozioni costrette a chiudere i battenti, pastori protestanti arrestati, madri in lacrime per il figlio affidato a una coppia gay. E una scia di cause legali che crea non pochi imbarazzi al sistema giudiziario britannico. L’applicazione delle leggi contro l’omofobia nel Regno Unito si sta risolvendo in una riduzione delle libertà di cui i cittadini godevano e in una reintroduzione dei delitti d’opinione nel paese un tempo famoso per la libertà di parola. Gli esempi si accumulano sempre più frequenti. Denise Haye, 25 anni, era un’impiegata del distretto di Lewisham (Londra). Finito l’orario di lavoro surfando (autorizzata) su internet ha deciso di lasciare un commento in uno spazio apposito del sito del Movimento dei gay e delle lesbiche cristiani (Lgcm) nel quale ha citato i passi biblici che mettono in guardia dalle pratiche omosessuali. È stata denunciata ai suoi datori di lavoro dalla pastora lesbica Sharon Ferguson che si è sentita vittima di «un attacco personale senza provocazione». È stata prima sospesa e poi licenziata dall’ente pubblico per cui lavorava. Miguel Hayworth, 29 anni, è un pastore cristiano di strada. Lo scorso mese di agosto è stato minacciato di arresto dalla polizia di Manchester e poi arrestato e rilasciato su cauzione da quella di Maidstone (Kent) per aver citato nei suoi sermoni (autorizzati) sulla pubblica via brani della Lettera ai Romani e della prima Lettera ai Corinti critici nei confronti dei comportamenti omosessuali. Motivo: le sue parole avrebbero «incitato l’odio razziale e religioso». Non va meglio a chi manifesta lealmente i propri scrupoli. Gary McFarlane, cristiano pentecostale, avvocato e tutor al Trinity Theological College di Bristol, era un counsellor di Relate, la più grande onlus britannica specializzata in problemi di relazioni familiari e di coppia. Dopo un corso di specializzazione in terapia psico-sessuale, ha fatto presente al proprio superiore che, pur avendo per anni fatto counselling anche a coppie omosessuali, avrebbe avuto problemi di coscienza ad occuparsi pure della loro terapia psico-sessuale. Il superiore ha fatto filtrare il colloquio ad altri elementi del personale, che hanno raccolto firme contro di lui in una lettera aperta in cui lo etichettavano come “omofobo” e lo invitavano ad andarsene. L’organizzazione lo ha poco dopo licenziato per «grave cattiva condotta» (motivazione poi bocciata dal tribunale, che però non ha ordinato la sua riassunzione). Sheila Matthews, pediatra cristiana e consulente medico della commissione della contea di Northamptonshire che decide sulle adozioni, aveva chiesto di potersi astenere dal voto nei casi in cui si doveva decidere l’assegnazione di bambini a coppie omosessuali. Il dirigente responsabile dei servizi per le famiglie e l’infanzia l’ha immediatamente rimossa dalla commissione. In seguito a una campagna di stampa la pediatra, che da cinque anni forniva i suoi servizi alla contea, è stata rimessa al suo posto ma senza più facoltà di voto su tutte le decisioni di adozione (non solo quelle relative a coppie omosessuali). La vicenda più nota resta certamente quella delle undici agenzie cattoliche per l’assistenza alle adozioni: in base alle Sexual Orientations Regulations del 2007 devono prestare i loro servizi anche alle coppie omosessuali desiderose di adottare bambini oppure chiudere i battenti. Cosa che ha già fatto una di esse, la Catholic Children’s Society di Westminster. Catholic Care di Leeds e Father Hudson’s Society, invece, hanno tentato la via dei tribunali appellandosi all’articolo 18 della legge, che stabilisce che «una onlus può legittimamente riservare i suoi servizi solo a persone di un determinato orientamento sessuale se è stata istituita per fornire benefici a quel determinato gruppo». Una disposizione evidentemente pensata per permettere alle organizzazioni gay di non essere a loro volta accusate di discriminazione nei riguardi dei non omosessuali. Le agenzie cattoliche hanno cercato di usarla a loro vantaggio, chiedendo di poter modificare gli statuti per poter dichiarare che i loro servizi erano riservati alle coppie eterosessuali. Il Charity Tribunal ha respinto la loro richiesta: gay e lesbiche continueranno a essere i soli, nel Regno Unito, a poter legalmente praticare la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale. Il tribunale ha inoltre stabilito che le due agenzie dovranno pagare 120 mila sterline (128 mila euro) di spese processuali: qualche mese prima il presidente della corte Alison McKenna aveva dichiarato che il Charity Tribunal avrebbe garantito «un accesso a basso costo alla giustizia». Nonostante la batosta finanziaria Catholic Care ha deciso di inoltrare ricorso alla Corte suprema, che si esprimerà nel marzo prossimo. «RITARDATO» CHI NON SI ALLINEA Un altro tribunale dovrà decidere il destino della battaglia legale di un signora cattolica di Brighton contro l’assegnazione di un suo figlio di 10 anni in affidamento permanente a una coppia di omosessuali maschi che gestiscono un hotel in cui vivono. Vittima di un esaurimento nervoso da cui non si è più ripresa dopo la fine del suo matrimonio con un uomo violento, la donna ha accettato che il suo ragazzo andasse in affidamento temporaneo, ma quando questo si è trasformato in permanente ha manifestato la sua preferenza per coppie che fossero cattoliche o almeno eterosessuali. I servizi sociali hanno deciso diversamente. La Baaf, Associazione britannica per l’adozione e l’affidamento, ha rifiutato di commentare la vicenda. Sul suo sito internet, nel maggio scorso, i critici delle adozioni a coppie omosessuali sono stati definiti «omofobi ritardati». Dopo la protesta di associazioni di portatori di handicap la parola “ritardati” è stata rimossa dal sito. Sta di fatto che anche l’“omofilia” e la paura di essere etichettati “omofobi” possono giocare brutti scherzi: due anni fa un rapporto della onlus Kidscape ha affermato che abusi sessuali su 5 dei 18 bambini affidati nel giro di 15 mesi a una coppia gay di Wakefield, nello Yorkshire, sono stati scoperti tardivamente per motivi legati alla correttezza politica. Alcuni assistenti sociali erano convinti che una coppia di omosessuali maschi non presentasse rischi di pedofilia. Altri, secondo il rapporto, «avevano chiaramente paura di essere giudicati omofobi. Il timore di apparire discriminatori li ha indotti a non agire». La commissione per gli affidamenti di Wakefield aveva a suo tempo approvato senza esitazioni la richiesta dei due uomini (poi condannati a sei e cinque anni di prigione) di accogliere solo bambini maschi, perché i due non si sentivano in grado di accogliere bambine.
Fonte: Tempi, 28 ottobre 2009
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