IL CARD. BIFFI, LA COSCIENZA E LA VERITA'
A tre anni dalla sua morte, ricordiamo il cardinale Giacomo Biffi con un brano del suo piccolo grande capolavoro quanto mai attuale oggi: ''Il quinto evangelo''
Autore: Giorgio Carbone
Tre anni fa il cardinale Giacomo Biffi concludeva il suo pellegrinaggio terrestre. Ed esattamente cinquanta anni fa «mentre don Giussani e don Lattanzio nuotavano nel mare di Senigallia, io sotto l'ombrellone scrivevo. Mentre loro due guardavano alla televisione l'allunaggio, io continuavo a scrivere. Ero alle prese con Il quinto evangelo» così amava ricordare il card. Biffi con un po' di compiaciuta ironia. E così ci piace ricordarlo, arguto e pungente, dissacrante e con una fede semplice e granitica. Il quinto evangelo è un piccolo testo, non arriva a 100 pagine, che gioca tutto sull'artificio letterario dell'ironia «che si affida - forse un po' troppo - all'intelligenza del lettore». L'antefatto è costituito da una scoperta: il commendator Migliavacca - personaggio di fantasia nel quale possiamo riconoscere molti "cattolici adulti" - nel corso di un pellegrinaggio in Terra Santa, scopre alcuni frammenti di un vangelo che avrebbe sempre voluto ascoltare. Al di là della finzione letteraria questi 30 frammenti "scoperti" sono slogan che nel '68 iniziavano a diffondersi e che oggi sono acriticamente accolti da molti. Biffi li mette in parallelo con i versetti dei Vangeli canonici e li commenta. Ne diamo un piccolo esempio. Il tema è quello attualissimo della coscienza morale.
Il Vangelo secondo Matteo recita: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» (Matteo 19,17). Il quinto vangelo dice: «Se vuoi entrare nella vita eterna, osserva i dettami della tua coscienza».
GIACOMO BIFFI COSÌ COMMENTA «Questo frammento formerà senza dubbio la gioia dei moralisti contemporanei, i quali tendono ogni giorno di più a semplificare il loro compito con l'appello alla coscienza del singolo. Soprattutto darà una chiara giustificazione biblica all'idea, sempre più diffusa tra i cristiani, che non va ricercata nessun'altra regola di moralità al di fuori del sentimento interiore del bene e del male. Per la verità non si tratta di una nuova dottrina: da sempre la morale cristiana ha insegnato che la norma prossima dell'agire per l'uomo concreto è la sua coscienza personale, che egli deve sempre seguire, qualunque cosa comandi o proibisca. La novità consiste piuttosto in una rinnovata concezione della coscienza e delle sue funzioni. La mentalità antica riteneva che la coscienza fosse soltanto l'altoparlante interiore in grado di trasmettere la legge di Dio: era perciò essenziale ad essa la capacità di restare in sintonia con la voce divina; senza di che, diventava inservibile come una radio ricevente che non riuscisse più a mantenere il collegamento con l'emittente voluta. In questa visione, il primo compito imposto dalla coscienza non era di rinvenire dentro di sé i suoi contenuti, ma di ricercarli nei comandi del Signore. Il primo imperativo della coscienza era di scrutare la legge. Secondo l'opinione che oggi si generalizza invece, la coscienza non pare debba uscire da se stessa: stia attenta ai propri desideri, alle proprie ritrosie, ai propri entusiasmi, ai propri languori, e non avrà bisogno d'altro. La conoscenza delle norme oggettive le è estranea e quindi indifferente. E così si è finalmente venuti a capo di un equivoco: si era fino a questo momento pensato che la coscienza fosse un mezzo dato da Dio per far conoscere la sua volontà; si è adesso capito che essa è in realtà un regalo molto più prezioso: è un mezzo per dispensare l'uomo dall'incomodo di conoscere la volontà di Dio. Tutto è così reso più facile: la coscienza è l'abolizione della legge. È la liberazione dalla schiavitù dei precetti e della casistica. L'imperativo morale è perfettamente semplificato: - sono leciti i rapporti prematrimoniali? segui la tua coscienza; - come devo compilare la denuncia dei redditi? segui la tua coscienza; - mi è lecito compiere un aborto, se ho già tre figli da mantenere? segui la tua coscienza. La quale non va affatto informata, ma solo seguita. E non è appena il mestiere di moralista a venire in tal modo agevolato, è anche quello più impegnativo di uomo. Tanto più che, nonostante le apparenze, non c'è nulla di più arrendevole della coscienza che non si raffronti continuamente con la legge divina. All'uomo che obbedisce alla coscienza senza preoccuparsi affatto di conoscere il parere di Dio, la ricompensa è immanente: la coscienza finisce sempre per obbedire all'uomo senza recargli più nessun disturbo. Anche colui che ha preso l'abitudine di avvelenare di tanto in tanto le proprie zie per ottenerne in anticipo l'eredità, al funerale della quarta troverà che la sua coscienza, come la zia, non ha nessuna protesta da fare».
Nota di BastaBugie: il precedente brano è tratto da Giacomo Biffi, Il quinto evangelo, undicesima edizione, Edizioni Studio Domenicano, Bologna. Per leggere l'introduzione de Il quinto evangelo, clicca nel seguente link: https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=1316
Titolo originale: Tre anni senza Biffi, rileggiamo gli scritti sulla coscienza Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 11-07-2018
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