BastaBugie n�617 del 19 giugno 2019

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LA UMMA NON PREVEDE NESSUNA FRATERNITA' SE NON TRA MUSULMANI
Intanto in Germania la Merkel ammette che la società multiculturale è completamente fallita e per questo il parlamento tedesco ha approvato leggi che prevedono espulsioni e un giro di vite sugli ingressi
Autore: Marie-Thèrese Urvoy

«Nel Corano ritroviamo questo primo uso del verbo âmana nel senso di "fidarsi gli uni degli altri". Vi si dice infatti che il profeta «si fida dei muʼminûn», mentre non «si fiderà per niente» di quanti si tirano indietro e trovano delle scuse per non impegnare i loro beni e le loro persone nella lotta sulla strada di Allah (IX, 41, 44, 73 et 81).
Gli affidati «sono una umma unica, ad esclusione degli altri uomini», dice l'incipit della Carta. Nel grande dizionario classico Lisân al-ʽarab, umma questa parola significa prima di tutto gruppo, o raggruppamento umano in senso neutro. Qui, essa non designa un raggruppamento etnico o tribale, ma nel contesto dell'Arabia di allora indica la federazione dei Qurayshiti della Mecca, giunti a Medina con il profeta, e i vari clan e tribù della zona di Medina.
Questa confederazione è di natura politica, unita dall'adesione al profeta di Allah. Essa si caratterizza per il fatto di essere esclusiva. La finalità di questa organizzazione è di garantire l'efficacia del comune sforzo guerriero. Ciò è espresso fin dall'inizio della Carta con la parola jihâd, che verrà più tardi precisata con l'espressione "il combattimento sulla strada di Allah".

NESSUNA FRATERNITÀ SE NON TRA MUSULMANI
Una stretta regolamentazione e una casistica minuziosa stabiliscono che un affidato possa evitare una sanzione, anche se è colpevole, se la vittima è estranea al gruppo. Questa solidarietà nasce prima di tutto dallo spirito di sopravvivenza del gruppo - dirà lo storico Muhammad Talbi, per giustificare le violenze degli inizi della storia dell'Islam, - «perché si trattava della difesa e della sopravvivenza della umma primitiva».
Non per caso quando il Corano dice: «i credenti sono dei fratelli» (XLIX, 10) utilizza la particella grammaticale innamâ che contiene un significato esclusivo, ma anche un effetto amplificante che dinamizza la frase nominale. Essa è da mettere in relazione con la particella illâ, propria del credo monoteista «nessuna divinità eccetto Allah», che carica la frase nominale, qui negativa, di un esclusivismo ferreo. In questi due esempi abbiamo ben più che delle questioni tecniche, abbiamo delle vere e proprie strategie stilistiche che mirano ad un solo effetto: la valorizzazione dell'aspetto assoluto con la relativa ricaduta nella mente dei credenti.
Del resto, il commentatore al-Râzî afferma che la particella innamâ comporta restrizione: «nessuna fraternità se non tra Musulmani». Egli spiega la sua interpretazione basandosi sulle prescrizioni legali che negano una qualunque fraternità tra un Musulmano e un infedele, il quale non può in nessun caso ereditare da un Musulmano. Allah ricorda a più riprese ai Musulmani che essi sono i soli credenti nel Corano: «voi siete la comunità migliore che sia mai stata creata per gli uomini; voi ordinate di fare il bene e vietate di fare il male, voi credete in Allah» (III, 110).
A partire da qui, l'islam ha considerato la superiorità della comunità dei credenti come il primo legame tra di loro: essi hanno come segno distintivo la capacità di distinguere tra fede e infedeltà, bene e male. Dall'invincibile affermazione dell'unicità di Allah discende il senso vivo del Musulmano per l'unità con i suoi fratelli nella medesima fede.
Essi sono inviati da Allah per difendere i suoi diritti sulla terra. Sono dei servitori eletti e incaricati dell'esecuzione di un piano divino che coincide con le prescrizioni sociopolitiche scese sul suo profeta a beneficio dell'umanità e per il trionfo dell'islam su tutte le religioni (IX, 33).

LA TERRA DELL'ISLAM
Questi brevi richiami alle fonti dell'Islam a Medina permettono di comprendere la nozione di "terra dell'islam" (dâr al-islâm) nei suoi rapporti con gli infedeli. L'espressione designa l'insieme delle terre dove viene osservata la legge islamica ed è la rappresentazione concreta dell'organizzazione politica dell'Islam. Accanto alla terra dell'islam c'è "la terra della guerra" (dâr al-harb), chiamata anche "terra dell'infedeltà » (dâr al-kufr).
Conquistarla è un «dovere collettivo» per installarvi la umma che difende i diritti di Allah. Una simile divisione del mondo fa sì che un aggiornamento sia tecnicamente difficile perché il Diritto islamico classico è strutturato secondo uno schema preciso proprio di tutte le società islamiche:
1. uomini e donne;
2. liberi e schiavi;
3. Musulmani e non musulmani.
Non hanno tutti gli stessi diritti e gli stessi doveri.
La comunità dei credenti è privilegiata a motivo della sua origine sacralizzata nel Corano. Uno Stato islamico va inteso di trascendenza divina, coranica e chariatica. Le sue terre sono le terre di Allah, del Corano e della legge di Allah. Questa sottomissione ad una trascendenza si trova nella disposizione, per costituzione, che l'islam "è la religione dello Stato", e non solamente "religione di Stato".
Lo Stato fa professione di islam. In uno Stato islamico l'adesione alla comunità non pone direttamente la questione di una vita nuova, nel senso del rinnovamento individuale tramite la grazia (quella dell'uomo nuovo di San Paolo), perché l'islam è la religione di una collettività.
Essa è essenzialmente uno stato, uno statuto giuridico (hukm), direttamente voluto e decretato da Allah. Gli individui che vi si sottraggono sono braccati, perseguitati, e perfino messi a morte dall'islam ufficiale tradizionale».

Nota di BastaBugie: l'articolo della professoressa Urvoy, islamologa francese di fama, è stato pubblicato nell'ultimo "Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa" a cura dell'Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa. Per acquistare il singolo fascicolo o per abbonarsi alla rivista scrivere a ordini@edizionicantagalli.it

LA GERMANIA SVOLTA SULL'IMMIGRAZIONE
Gianandrea Gaiani nell'articolo seguente dal titolo "Migration Paket, la Germania svolta sull'immigrazione" ricorda che Angela Merkel già nove anni fa aveva dovuto ammettere il fallimento dell'approccio multiculturale. Ora il Bundestag ha approvato il cosiddetto Migration Paket, un nuovo pacchetto normativo che prevede espulsioni e un giro di vite sugli ingressi. Il cambio di strategia non è solo politico, ma soprattutto culturale.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 giugno 2019:
Il tentativo della Germania di creare una società multiculturale è "completamente fallito", aveva detto nell'ottobre 2010 il cancelliere Angela Merkel a un incontro con i giovani membri della CDU a Potsdam. Già allora, ben prima delle ondate migratorie degli ultimi anni lungo la rotta libica e quella balcanica, la Merkel aveva ammesso che permettere alle persone con differenti background culturali di vivere fianco a fianco senza integrarsi non aveva funzionato in un Paese che ospita circa quattro milioni di musulmani. "Questo approccio multiculturale è fallito, completamente fallito", aveva detto cedendo alle richieste interne al suo partito e alla CSU bavarese, per assumere una linea più severa sugli immigrati che non mostrano la volontà di adattarsi alla società tedesca.
La Merkel aveva affermato che l'educazione dei disoccupati tedeschi dovrebbe avere la priorità sul reclutamento di lavoratori dall'estero pur sottolineando che la Germania non potrebbe cavarsela senza lavoratori stranieri qualificati e aggiungendo che i tedeschi devono accettare che le moschee sono diventate parte del loro paesaggio.
Rileggere oggi quell'intervento è utile a comprendere l'iniziativa assunta da Horst Seehofer, ex presidente della Christian Social Union (CSU), il partito gemello della CDU, e ministro dell'Interno che ha appena varato il cosiddetto "Migration Paket" che prevede l'espulsione immediata dei migranti illegali, l'ampliamento della detenzione preventiva per chi entra illegalmente in Germania e il taglio del Welfare agli stranieri che potranno essere sottoposti a perquisizioni senza bisogno di mandato giudiziario.
Misure approvate dal Bundestag con il voto della SPD che ben fotografano il crescente malcontento dei tedeschi nei confronti delle continue violenze compiute da immigrati illegali per lo più di religione islamica.
Per comprendere come sia cambiata la Germania appena quattro anni dopo la "politica del benvenuto" rivolta dalla Merkel ai migranti illegali arrivati perlopiù dalla "rotta balcanica", basti pensare che ora chi è privo del permesso verrà espulso fisicamente dal Paese. Berlino si impegna quindi ad accogliere solo 260.000 migranti regolari all'anno, necessari all'economia nazionale; e benché le associazioni industriali sostengano che nella Repubblica Federale manchino lavoratori specializzati, in molti ormai ritengono più utile motivare a venire a lavorare in Germania cittadini europei piuttosto che accogliere persone di culture diverse.
Alle dure critiche dell'opposizione di Sinistra (e a quelle di AfD, che chiede misure ancora più rigide contro l'immigrazione) Seehofer ha replicato affermando che "non si tratta di calpestare i diritti umani ma piuttosto di eseguire le procedure previste. Ci sarà, in futuro, un modo legale di immigrare nel nostro Paese anche perché abbiamo bisogno di uomini e donne qualificati per il nostro mercato del lavoro".
Non è forse un caso, sottolinea il quotidiano comunista Il Manifesto, che "il pacchetto-Seehofer supera il vaglio istituzionale esattamente il giorno dopo la pubblicazione dell'ultimo sondaggio Infratest che conferma come i Verdi sarebbero oggi il primo partito tedesco col 26% dei voti seguito dal CDU/CSU col 25%, AfD con il 13% mentre la SPD non supererebbe il 12%, i liberali l'8% e la Sinistra (Linke) il 7%".
Sarebbe però riduttivo interpretare il cambiamento di approccio politico della Germania rispetto all'immigrazione extra europea come un mutamento determinato solo dai problemi sociali e di sicurezza senza tenere conto dell'aspetto culturale.
Già nove anni or sono aveva suscitato scalpore il libro Deutschland schafft sich ab (traducibile in "La Germania abolisce sé stessa") scritto dall'economista ed ex membro del consiglio di amministrazione della Deutsche Bundesbank Thilo Sarrazin, che attribuiva agli immigrati musulmani l'abbassamento dell'intelligenza media nella società tedesca. Sarrazin venne censurato per le sue opinioni e licenziato dalla Bundesbank, ma il suo libro si è rivelato molto popolare e i sondaggi mostrarono che la maggioranza dei tedeschi era d'accordo con i suoi argomenti, come sottolineò un report dell'agenzia Reuters.

Titolo originale: Islam: un problema politico
Fonte: Osservatorio Van Thuan, 12 Giugno 2019

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