L'INIZIO DELLA FINE DI BIDEN
Il Partito democratico vuole sbarazzarsi di un presidente che ormai non solo non serve più alla causa, ma che minaccia di volersi nuovamente candidare alle presidenziali del 2024
Autore: Valerio Pece
Se i motivi per i quali il presidente Biden dovrà rispondere alla legge americana sono ormai noti (al termine della sua vicepresidenza non ha consegnato alcuni documenti riservati, che da allora, in uno stillicidio senza fine, continuano ad essere ritrovati nei posti più impensati), diventa ora interessante sapere se ci sia qualcuno che ha cospirato affinché tutto ciò avvenisse. Tucker Carlson, giornalista di punta dell'emittente Fox News, è convinto che ad architettare tutto sia stato proprio il Partito democratico, desideroso di sbarazzarsi di un presidente che ormai non solo non serve più alla causa ma che minaccia di volersi nuovamente candidare alle presidenziali del 2024. Giovedì sera, rivolgendosi a milioni di americani dal suo seguitissimo Tucker Carlson Tonight, in dodici corrosivi minuti l'anchorman ha snocciolato una tesi che sta facendo discutere molti. Ricordando in premessa l'improvviso siluramento del potente Andrew Cuomo, ex governatore di New York, altro uomo che «al partito democratico non serviva più», il primo elemento analizzato dal giornalista riguarda l'entourage del presidente Usa, che evidentemente non ha pensato nemmeno un attimo a disfarsi di documenti così ingombranti, tali da mettere il presidente Usa nelle condizioni di doversi difendere da reati penali. Così Carlson: «Gli stessi aiutanti di Joe Biden continuano a trovare pile di crimini che ha lasciato nel suo ufficio, nella sua macchina, e invece di gettare queste prove nel caminetto, come farebbero in circostanze normali, stanno inviando questi documenti al Dipartimento di Giustizia. Non è un buon segno». Per il giornalista tutto si sarebbe però dovuto svolgere in modo da salvaguardare le elezioni di medio termine di novembre («anche se Biden non è più gradito, è pur sempre un democratico»).
GLI SCANDALI? RIGOROSAMENTE A ELEZIONI CONCLUSE Ecco allora spiegato il perché, se già il giorno 4 novembre 2022 (quattro giorni prima delle elezioni) il Dipartimento di Giustizia sapeva che Joe Biden aveva commesso quelli che per il codice penale non sono nulla di meno che crimini, nessuno ha informato i cittadini americani, molti dei quali avrebbero probabilmente votato diversamente. Nelle recenti elezioni di medio termine i democratici hanno infatti ottenuto risultati migliori del previsto, perdendo appena nove seggi alla Camera dei rappresentanti e guadagnando un seggio al Senato. Tucker Carlson, guardando dritto nella telecamera, lo ha ricordato agli americani nel suo stile icastico e tagliente: «Il 4 novembre mancavano quattro giorni alle cruciali elezioni di medio termine, quindi, naturalmente, il DOJ [Dipartimento di Giustizia, ndr] non ha rilasciato un comunicato stampa al riguardo. Non hanno inviato l'FBI a fare irruzione nella casa di Biden [...] e a rovistare nel cassetto della biancheria intima della dottoressa Jill. Ci mancherebbe. Biden può essere un pessimo presidente, ma è pur sempre un democratico. Non è arancione». L'anchorman ha poi aggiunto: «Quindi Merrick Garland, che [...] farà tutto ciò che il Partito Democratico gli richiede, ha tenuto segrete le notizie abbastanza a lungo da tenere gli altri Democratici fuori dalla zona dell'esplosione. Perché ferire tutti gli altri? Stanno solo cercando di ferire un ragazzo, è Joe Biden».
DOCUMENTI SEGRETI ANCHE NEL CASSETTO DELLE MUTANDE? Si tratterebbe quindi di un'"esplosione" guidata, o, se si vuole, di una demolizione controllata, partita in sordina con i ritrovamenti di carte top secret in un ufficio privato del Presidente (il Penn Biden Center di Washington DC), e arrivata fino ai fatti di questi giorni, riguardanti nuovi documenti segreti ritrovati nel garage di casa Biden, a Wilmington, nel Delaware. Carte classificate come "riservate", accatastate dietro la sua Corvette verde scura, oggetto ormai di decine di meme satiriche. Tutto ciò senza contare che per un osservatore appena attento è difficile non notare il doppio standard che ha visto l'Fbi fare irruzione, in pieno agosto, nella residenza dell'ex presidente Donald Trump a Mar-a-Lago, in Florida, allo scopo di sequestrare documenti riservati (la notizia aveva portato Biden a definire Trump un «assoluto irresponsabile»). La differenza di trattamento, di fronte a un caso pressoché identico, ha fatto sobbalzare molti, repubblicani in primis («Mentre Biden mandava i suoi scagnozzi del Dipartimento di Giustizia a fare irruzione nella casa del presidente Trump, aveva documenti altamente riservati nel suo garage. In scatoloni accanto alla sua Corvette!! Oltraggioso!», queste le parole del repubblicano Ronny Jackson, membro della Camera dei Rappresentanti). C'è poi il tema delle parole in libertà e delle vere e proprie gaffe che il Presidente USA continua a inanellare da mesi. Dopo aver visto Biden dare la mano a persone inesistenti; balbettare paurosamente; sbagliare a leggere "il gobbo"; insultare i giornalisti pensando di avere il microfono spento; cadere dalla bici o dalle scalette dell'Air Force One; non riuscire a infilarsi una giacca, giovedì sera gli americani hanno assistito ad un ennesimo dialogo surreale del loro presidente. «Materiali riservati accanto alla sua Corvette? A cosa stava pensando?», ha chiesto Peter Doocy (altro giornalista di Fox News). «La mia Corvette è in un garage chiuso a chiave, ok? Quindi non è come se fossero stati lasciati per strada». Inutile dire che la risposta di Joe Biden, oltre a gettare nell'imbarazzo e nella preoccupazione gran parte dei cittadini americani, sta facendo il giro del mondo (l'ex sottosegretario al Tesoro Monica Crowley si è chiesta se il prossimo passo sarà sapere che Biden conserva «materiale riservato nel cassetto delle sue mutande»).
I DEMOCRATICI VOGLIO SBARAZZARSI DI BIDEN Tucker Carlson afferma che se prima delle presidenziali Biden veniva spesso "protetto", tenendolo il più possibile lontano dai discorsi pubblici, oggi sarebbe invece evidente una sua maggior presenza sulle tv. Così il giornalista: «Il suo staff continua a metterlo in pubblico per parlare, cosa che, ovviamente, non può fare. Riesce a malapena a leggere una dichiarazione preparata. Si noti che non l'hanno fatto durante l'ultima campagna presidenziale nel 2020 perché sapevano che non sarebbe stato d'aiuto per prendere la Casa Bianca». Perché il suo entourage oggi lo farebbe esporre di più? L'anchorman ipotizza che i democratici vogliano farlo fuori politicamente per paura di una ricandidatura: «Subito dopo le elezioni di metà mandato di novembre, Joe Biden ha chiarito che non aveva intenzione di farsi da parte e far posto a Kamala Harris o Gavin Newsom o Michelle Obama». La nomina, da parte del procuratore generale Merrick Garland, di un nuovo Consigliere speciale che guiderà l'inchiesta (si tratta di Robert Hur, un «repubblicano dell'establishment») si prospetta come particolarmente pericolosa per il presidente Biden, non foss'altro perché - come va ripetendo all'unisono la stampa americana - ogni volta che nella recente storia americana questa figura è stata incaricata, le indagini si sono immediatamente allargate ad altre e inaspettate piste. Fu proprio con la nomina di un Consigliere speciale che su Bill Clinton, all'epoca indagato per altro, vennero a galla gli scandali sessuali con la stagista della Casa Bianca Monica Lewinsky. Per Joe Biden, a causa del suo presunto legame con gli ambigui traffici in terra ucraina del figlio Hunter (a sua volta al centro di un'altra indagine penale), c'è il rischio che accada la stessa cosa. Ad auspicare quella che Tucker Carlson è convinto sia «l'inizio della fine di Biden» non sarebbero dunque solo i conservatori.
Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Valerio Pece, nell'articolo seguente pubblicato qualche mese fa dal titolo "Gli scheletri della famiglia Biden" parla dello scandalo che ha coinvolto il figlio di Biden e che è stato oscurato dai grandi media per evitare la sconfitta di Biden alle elezioni 2020 contro Donald Trump. Adesso la verità emerge chiara e forte, ma solo perché non può più determinare il vincitore delle elezioni. Ecco l'articolo completo pubblicato sul Sito del Timone il 2 aprile 2022: «Il complottismo è diventato il modo più logico per spiegare come va il mondo». È questa la cantilena su cui si appoggia un certo mainstream, ma è anche lo strumento ideologico con cui lo stesso mainstream si occupa (e si preoccupa) di dosare la qualità di informazione da lasciar arrivare all'opinione pubblica. I guai (e gli imbarazzi) nascono quando si scopre che certe notizie bollate come fake news, semplicemente non lo sono. Il caso delle scottanti e-mail trovate nel laptop di Hunter Biden (abbandonato in un'officina di riparazione nel Delaware nell'aprile 2019) è lì a dimostrarlo. Un pc che può diventare un vaso di Pandora: una tesi complottista, irrisa dai più, che si è rivelata vera, e che oggi tiene sotto scacco il rapporto USA-Russia. Con l'Europa che goffamente rimane a guardare. Bene, con un fatale ritardo di un anno e mezzo, prima il New York Times e poi il Washington Post (i due più importanti giornali americani di area liberal), hanno ammesso che sì, lo scoop del New York Post dell'ottobre 2020, quotidiano che per primo ha raccontato i traffici opachi del figlio di Biden, è da considerarsi autentico. Bontà loro. Non solo per tutto questo tempo i "giornaloni" (americani ed europei) hanno eliminato la notizia, ma anche i giganti Facebook e Twitter hanno fatto la stessa cosa. Ad andare a fondo e a prendere sul serio le gravissime e circostanziate ricostruzioni del New York Post sono stati perlopiù giornali e siti di ispirazione cristiana, liberi per natura. Per il sito tradizionalista The Remnant, «Facebook, seppellendo i fatti, ha fatto algoritmicamente il proprio dovere di sinistra, mentre il laptop di Hunter ha opportunamente incontrato l'abisso giornalistico proprio a partire dalle elezioni presidenziali». Il fatto che Twitter, poi, fosse addirittura arrivato a censurare l'account ufficiale del New York Post, colpevole di aver raccontato delle mail di Biden jr., Il Timone lo aveva denunciato già lo scorso settembre. Che pochi abbiano il coraggio di scrivere nero su bianco chi abbia guadagnato da questi 17 mesi di censura, è cosa che non stupisce. Rimane il fatto che l'opinione pubblica - malgrado tutti i filtri del mondo - sappia ancora fare uno più uno. Chi può davvero pensare che le foto di Hunter Biden, nudo mentre fuma crack con una prostituta, non avrebbero cambiato le sorti delle elezioni americane se, invece di essere nascoste, fossero state mostrate agli elettori? Chi può davvero pensare che gli americani chiamati al voto sarebbero rimasti indifferenti alla notizia che l'allora candidato alla Casa Bianca avesse sfruttato il suo ruolo per favorire affari di famiglia milionari con i dirigenti cinesi della Cefc (una delle 10 più grandi compagnie private della Cina), e che questi avessero pagato la bellezza di 4,8 milioni di dollari a società controllate da Hunter Biden e da suo zio Jim, fratello del Presidente Usa? E che successivamente lo stesso Biden Jr avesse ricevuto un ulteriore milione di dollari per rappresentare e sponsorizzare negli USA Patrick Ho, manager cinese indagato per un caso di corruzione legato a Ciad e Uganda? Oltre al buon senso, lo hanno mostrato diversi sondaggi demoscopici, ripresi in questi giorni proprio dal New York Times (ormai, evidentemente, è tardi e si può): per il blasonato quotidiano almeno l'8% degli elettori democratici non avrebbe votato Biden se avesse avuto queste notizie per tempo. Gran parte degli analisti politici, poi - in una consequenzialità autoevidente che mostra i danni irreparabili di un'informazione totalmente schierata - si dice convinta che la pragmaticità propria dell'ex Presidente USA Donald Trump («l'unico Presidente a non fare guerre negli ultimi 30 anni», così l'eurodeputato estone Jaak Madison candidandolo al Nobel per la Pace) non avrebbe permesso che nascessero i presupposti per il conflitto in corso. La lezione, a volerla intendere, è semplice: la censura, alla lunga, può costare cara. A tutti. Proprio in queste ore, poi, assistiamo a una vera escalation sulla vicenda che per mesi è stata tacciata di cospirazionismo. È di giovedì la notizia che il Ministero della Difesa russo ha affermato di possedere una corrispondenza intercorsa tra Hunter Biden, i dipendenti della Defense Threat Reduction Agency americana (Agenzia per la riduzione delle minacce alla difesa) e alti dirigenti del Pentagono. La corrispondenza confermerebbe il ruolo cruciale del figlio del Presidente USA nel fornire finanziamenti per il trattamento degli agenti patogeni in Ucraina, cioè - udite udite - per la creazione di componenti di armi biologiche. Igor Kirillov, capo delle forze russe di protezione dalle radiazioni biologiche, ha affermato: «Il contenuto delle mail mostra che Hunter Biden è stato determinante nel fornire opportunità di finanziamento per il lavoro con i patogeni in Ucraina, assicurando finanziamenti per Black & Veach e Metabiota (società biotecnologica americana, ndr)». Già nella stessa giornata di giovedì alcuni membri repubblicani hanno inviato un'allarmata lettera alla Casa Bianca e al direttore degli Archivi Nazionali chiedendo «le registrazioni di qualsiasi comunicazione tra Hunter Biden e la Casa Bianca durante i due mandati dell'amministrazione Obama, quando suo padre era vicepresidente». Le richieste di chiarimento, molto chiare, visto lo scenario internazionale hanno il tono dell'improcastinabilità: «Le connessioni di Hunter Biden, in tutta la sfera di influenza russa, sono ora diventate particolarmente rilevanti nella guerra in rapido sviluppo in Ucraina». Nella lettera si legge ancora: «Se il governo russo sta tentando di influenzare la politica americana in Ucraina sfruttando il legame di Hunter Biden con suo padre, il presidente degli Stati Uniti, il popolo americano merita di saperlo». Se è vero che qualora la Casa Bianca e gli Archivi nazionali non consegnassero i documenti richiesti non è contemplata la possibilità di un ricorso da parte dei repubblicani, è altrettanto vero che se il GOP (come ampiamente ipotizzato) riprendesse il controllo di Camera e Senato nelle elezioni di metà mandato del 2022, questo intenderà trascinare Biden Jr in un'audizione pubblica. «Ci rivolgeremo a Hunter Biden», ha detto Elise Stefanik, terza carica repubblicana alla Camera, «perché dovrebbe preoccupare ogni americano il fatto che il guadagno finanziario della famiglia Biden sia avvenuto a scapito della nostra sicurezza nazionale». Gli scheletri della famiglia Biden - censurati per 17 lunghi mesi - arrivano dunque fino all'inaudita soglia della costruzione di armi batteriologiche. Proprio in Ucraina, epicentro della guerra. Tralasciando la montagna di interrogativi che la vicenda genera, rimane la netta (e amara) sensazione che non di rado i primi a mentire sono proprio i mezzi di comunicazione, e che il confine tra informazione e propaganda sembra farsi ogni giorno più sottile.
Titolo originale: Documenti top secret trovati nel garage di Biden. È l'inizio della fine Fonte: Sito del Timone, 14 gennaio 2023
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