IL MONOLOGO DI CHIARA FERRAGNI COMMENTATO DA UNA MAMMA
Il Festival di Sanremo predica amore fluido e tolleranza, ma produce violenza come quella di Blanco che devasta il palco (e Amadeus lo giustifica)
Autore: Federica Di Vito
Ciao Chiara, il fatto che tu abbia lo stesso nome di mia figlia mi spinge a utilizzare con te un linguaggio colloquiale, ecco perché vorrei scriverti una lettera. Da donna a donna, da mamma a mamma, da lavoratrice a lavoratrice. Ho ascoltato il tuo monologo della prima serata del Festival di Sanremo. Sai, non faccio parte delle milioni di persone che ti chiederebbero un selfie o che seguono ogni tua mossa con acclamazione o disprezzo. Per questo non rientro neanche tra le persone a cui non piaci. Semplicemente guardo, ascolto, osservo. E l'ho percepita l'insicurezza guardando nei tuoi occhi. Quella che ti ha fatto dire che avresti voluto con tutto il cuore qualcuno che ti dicesse «sei abbastanza», «vali». Concordo con te: «Siamo scatole che contengono meraviglia e vanno aperte con cura». Hai trovato qualcuno che ti abbia fatta sentire una meraviglia, davvero? Ti svelo anche io un segreto, scrivendoti un versetto della Bibbia che forse non conosci. «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi», non trovi anche te qualche assonanza? Quel vaso di creta è molto simile alla scatola con su scritto "fragile" di cui hai parlato ieri sera, all'Ariston. C'è però una grande differenza e vorrei parlartene. Se ieri avessi ricevuto insulti, anziché applausi, se oggi la stampa e i social ti riservassero solo critiche, se non fossi stata lì su quel grande palco, se non fossi conosciuta e riconosciuta in alcun modo, ti sentiresti lo stesso custode di una grande meraviglia? Il rischio è quello di diventare una scatola vuota sai? Fragile sì, ma vuota. Piena solo di noi stessi, del nostro ego. Ego che si nutre di like, applausi, selfie. E che pur di mettersi al primo posto, sacrifica la possibilità di sentirsi una meraviglia anche quando gli occhi della società che tu citavi ti guardano come una nullità. Ci hai mai pensato che potresti valere anche senza tutto questo?
LE SCHIAVE DELL'AUTODETERMINAZIONE Ti sei presentata con una scritta davvero eloquente - anche se poco inclusiva perché senza asterischi, direbbe qualcuno -, «Pensati libera». Ora, al di là delle considerazioni di stile, a chi ti stavi rivolgendo? Alle tue amiche? Quelle che hai incitato a «combattere sempre» per «cambiare le cose ogni giorno»? Forse hai tralasciato che in nome di questa lotta tante donne stanno barattando la loro essenza per una subdola schiavitù. Tante di queste donne neanche sanno più come definirsi e tante hanno paura anche solo a pensarla, l'innominabile "donna". Tante vengono viste come uteri da affittare, da quella parte di società che tu ritieni giusta ed equa. Quello slogan conferma l'ideologia che ci sta rendendo schiave, non più donne, non più forti, ma solo schiave dell'autodeterminazione. Di una società che mentre ci invita a essere libere ci appiccica addosso l'etichetta di oggetti, costringendoci a cercare nemici, non alleati. Allora che cosa significa «vivere liberamente il [proprio] corpo», farci definire "persona con la vagina" piuttosto che "donna"? Il corpo è quella scatola fragile che hai nominato. E mentre cerco di insegnare a mia figlia il rispetto del suo, devo vederti in televisione nuda - sì, sappiamo che hai chiarito che si è trattato di un vestito disegnato seguendo le tue forme, ma l'effetto è quello - parlare alla te bambina di quanto lei valga. Dimmi, qual è il messaggio che hai voluto mandare? «Essere una donna non è un limite», e allora in che modo osannare forzatamente un corpo nudo dovrebbe dimostrarcelo? Attenzione, così si rischia l'autocelebrazione. A meno che l'obiettivo non fosse proprio quello.
LE DONNE TAGLIATE FUORI DAL MONOLOGO In ultimo, vorrei mostrarti qualche categoria di donne che hai tagliato fuori dal tuo monologo. Quelle che non possono scegliere di essere "solo madri" - e sai, non è un insulto - anche se lo vorrebbero, perché devono lavorare per forza. Quelle mogli che vedono poco i mariti, costretti a fare gli straordinari perché in accordo - e, udite udite, non per forza in lotta con i padri - scelgono di stare a casa. Quelle che vengono guardate male dalle altre donne quando scendono dall'auto con più di un figlio urlante al seguito - che se poi sono tutti piccoli, si salvi chi può dallo sguardo della femminista sul piede di guerra. Quelle a cui viene caldamente consigliato di aspettare i 35 anni prima di pensare a fare figli, che prima si deve pensare alla carriera. Quelle che scelgono di perdonare un tradimento. Quelle che utilizzano la carta di credito del marito senza sentirsi sminuite. Tutte quelle, insomma, che non hanno le carte in regole per stare sotto l'ala del femminismo imperante di oggi. E forse, quel senso di colpa a cui accennavi, è la profonda consapevolezza scritta nell'anima e nella biologia, che i bambini hanno bisogno della propria mamma. E non significa non lavorare, visto che la società spinge al rientro della mamma a tre mesi dal parto dimezzandole lo stipendio se rientra più tardi. Significa che la maternità dovrebbe diventare una risorsa per tutti e non un problema da risolvere o un "limite", parafrasando il tuo discorso. Allora, Chiara, racconta pure la tua storia, la tua scalata al successo, la tua lotta contro gli uomini o gli stereotipi, ma non farla diventare la nostra. Perché la libertà e il valore che tu osanni, non è ciò che vogliono tutte. E le ingiustizie che combatti non sono le stesse per tutte. Ah, non l'hai percepito anche tu il tono di adorazione paternalistica che ti ha riservato Amadeus mentre ci tranquillizzava del fatto che proprio tu, senza l'aiuto di nessuno, avessi scritto il monologo? Questo rientra negli standard accettabili di femminismo o nella lotta al patriarcato? Non credo avresti riservato lo stesso sorriso, se al posto di Amadeus ci fosse stato qualcun altro.
Nota di BastaBugie: Benedetta Frigerio nell'articolo seguente dal titolo "Il Festival parla di tolleranza, ma produce violenza" parla del cantante Blanco che devasta il palco dell'Ariston, ma Amadeus lo giustifica. È la cifra del Festival che, predicando tolleranza e "amore" fluido, genera aggressività e incapacità di amare. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 9 febbraio 2023: Hai voglia a gridare contro il maschio aggressivo che in preda all'istinto picchia la sua donna. Hai voglia a piangere sul latte versato di una generazione di numerosi suicidi dovuti alle difficoltà e che spesso vive di sballo oltre ogni limite con il supporto del mondo virtuale, come dimostra il caso dei cinque ragazzi morti schiantati con un'auto che sfrecciava a cento chilometri orari in paese. E hai voglia a lacrimare come un coccodrillo dopo aver permesso tutto ad un figlio che poi a scuola bullizza professori e alunni. Basti pensare all'episodio della professoressa di Rovigo, a cui gli alunni hanno sparato pallini ad aria compressa, con genitori che prendevano le parti dei loro figli, mentre Luciana Littizzetto si è permessa di dire che se la docente fosse stata empatica non sarebbe successo nulla. Hanno voglia le istituzioni a parlare di rispetto e senso civico per poi presenziare, come ha fatto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ad un Festival di Sanremo che prima mette la donna-Ferragni (praticamente nuda e quindi alla mercé di tutti) al centro e poi parla di rispetto. E, mentre permette al cantante Blanco di distruggere il palco dell'Ariston perché qualcosa (in questo caso l'audio) non ha funzionato come voleva lui, inneggia alla tolleranza. Non ci sono limiti, grida il palco di Sanremo agli italiani, nessun argine (che per il pensiero del gender fluid è un nemico da cancellare), così siamo tutti più felici e accolti, tutti con un posto nella società (a meno che tu non dica il contrario, ovviamente). E infatti Amadeus che ha fatto? È salito sul palco a giustificare il bambino frustrato, Blanco, che, siccome le cose sono andate storte, può permettersi di rompere vasi e distruggere fiori da chissà quanti migliaia di euro. Che è come dire: poverino, bisogna comprenderlo il violento. Perciò, "torna ancora ad esibirti", lo ha invitato il presentatore mentre il cantante rideva sbeffeggiandolo. Esattamente come fanno bambini e ragazzini davanti ad adulti incapaci di mettere dei paletti e di redarguire quando si fa il male o si oltrepassa il limite. I bambini, infatti, soprattutto quando sono in preda alle emozioni che non sanno gestire, cercano chi li contenga. Bambini e giovani cercano chi sia certo del bene e del male e lo sappia indicare anche con la correzione. E rispettano più facilmente genitori che provino ad educare anche alla frustrazione dei "no" e quindi alla capacità di affrontare con forza le avversità. Genitori che invece quel palco di cantanti e uomini dello spettacolo considera retrogradi e violenti (bella ironia, i violenti diventano quelli che la violenza la condannano). Sono banalità che oggi occorre ripetere e dispensare come fossero medicine contro la malattia dell'incertezza incubata e diffusa più che mai dai mezzi di comunicazione. Perché se un cantante può permettersi di distruggere un palcoscenico senza conseguenze vuol dire che il virus ha penetrato i nostri corpi più di quanto si possa pensare. È proprio così. Oggi scuola, media e mondo educativo predicano l'assenza di una verità da insegnare e chiamano intolleranti quelli che pensano che esista un bene da perseguire e un male da evitare. Solo il relativismo, si proclama, sarebbe inclusivo, accogliente e gentile. Eppure il Festival della musica italiana (se così vogliamo ancora chiamarlo), proprio predicandolo, ha dimostrato il contrario: il buonismo, la fluidità, il fai-ciò-che-vuoi-e-ti-senti, il proviamo-a-capirlo-poverino (come ha chiesto Amadeus al pubblico che fischiava contro Blanco) generano mostri. Ragazzi incapaci di controllarsi perché mai contenuti (vedi l'iperattivismo dilagante), giovani fragili che alla prima avversità si demoralizzano quando non diventano distruttivi, bambini dittatori che in tutto vogliono essere soddisfatti ma che saranno adulti incapaci di vedere il bisogno altrui. Figurarsi quello delle donne che oggi è messo ipocritamente al centro della preoccupazione mediatica. A dirlo è lo stesso cantante che poi ha accettato di scusarsi con parole che scuse non sono: "Ti ho messo in lacrime come la mia mamma, Ariston. Mi hai visto fragile come un bimbo... e qui, proprio qui, dove mi hai insegnato a correre, sono caduto... Mi sono rotto la faccia e piango, Ariston. Ma poi... rido, rido, rido, rido, rido, rido e grido. Perché non sono perfetto come mi volevi ma finalmente me stesso". E così, con il dolce nome dell'"accoglienza", della "tolleranza" e dell'"amore", si genera un mondo di uomini-bambini, di aggressivi, di intolleranti e di persone capaci di amare nessuno. Solo la certezza di una Verità da cercare e stimare come risposta (e non come nemica) al bisogno umano e la consapevolezza della ferita del peccato originale, per cui occorre correggere e correggersi continuamente, sono in grado di educare persone forti, rispettose dei limiti che la realtà pone e in lotta contro ogni forma di violenza e di male.
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Titolo originale: Cara Ferragni, il tuo monologo è stato solo una celebrazione dell'ego Fonte: Sito del Timone, 8 febbraio 2023
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