SAN FRANCESCO DI SALES E IL TRIBUNALE DELLA PENITENZA
Consigli per i sacerdoti su come confessare i peccatori più ostinati e quelli che non riconoscono i propri peccati
Autore: Cristiana de Magistris
La quaresima è il tempo penitenziale per antonomasia, e la penitenza per antonomasia è la penitenza sacramentale, la quale soltanto - a differenza delle altre pratiche penitenziali, per quanto austere - ha il potere di ripristinare nell'anima di ogni battezzato la grazia santificante, cioè la vita di Dio, se avesse avuto la disgrazia di perderla col peccato mortale. L'abbé Barthe, in un recente articolo, dopo aver giustamente sottolineato la crisi che attraversa questo Sacramento a partire dal Vaticano II, auspica una "risalita", conseguente all'ecatombe degli ultimi cinquant'anni. A questa risalita potrà forse contribuire un opuscolo - non molto conosciuto - che san Francesco di Sales scrisse ai suoi sacerdoti per erudirli sull'amministrazione del Sacramento della penitenza. In tale scritto il Santo - come si legge nella sua Vita composta dal curato di san Sulpizio (Torino 1922, pp. 195-199) - incomincia con il raccomandare ai sacerdoti di andare sempre al sacro tribunale con una profonda purità di coscienza ed un'ardente desiderio di salvare le anime; poi aggiunge: «Ricordatevi che i poveri penitenti vi chiamano loro Padre, e che perciò dovete avere per essi un cuore tutto paterno, riceverli con dolcezza, sopportare con pazienza la loro rusticità, la loro ignoranza e tutti i loro difetti, ad imitazione del padre del figliuol prodigo, che non si lascia respingere dallo stato stomachevole di nudità e di sordidezza in cui vede ridotto il figlio, ma lo abbraccia, lo bacia con trasporto d'amore perché è padre, ed il cuor di padre è tenero verso i figli».
IL SACERDOTE CONOSCE L'UMANA DEBOLEZZA In base a questo principio, vuole che si incoraggino quelli i cui peccati rendono vergognosi e timidi, dicendo ad essi che il sacerdote conosce troppo bene l'umana debolezza, perché si meravigli che gli uomini pecchino; che l'uomo più si onora con il pentimento e con la confessione delle proprie colpe, di quello che si sia disonorato con gli stessi suoi falli, e che la penitenza è una seconda innocenza. Se, all'opposto, i penitenti sembrano senza timore, vuole che si rammenti loro che sono alla presenza di quel Dio che li giudicherà, e non già di un uomo; che per essi in quel momento si tratta di una eternità felice o infelice, e che con una confessione mal fatta si macchierebbero di un nuovo delitto. Quanto a coloro che mancano di confidenza, inculca di rappresentare loro la misericordia di Dio, che è più grande delle nostre miserie; la bontà di Gesù Cristo, il Quale pregando per i Suoi carnefici ci fa intendere che, se lo avessimo crocifisso anche con le nostre proprie mani, ci perdonerebbe ugualmente, se ci vedesse pentiti; che il minimo pentimento, purché sia sincero e accompagnato dal Sacramento, dinanzi a Dio ha la virtù di cancellare tutti i peccati; che i dannati e i demoni stessi sarebbero giustificati se potessero confessarsi con sentimento di contrizione; che i più grandi Santi spesso sono stati grandi peccatori, come Davide, san Pietro, san Matteo, santa Maria Maddalena, sant'Agostino; che la più grave ingiuria che si possa fare alla divina Bontà e alla Passione e Morte di Gesù Cristo è il non sperare di ottenere il perdono dei propri falli; e che, infine, la remissione dei peccati è un articolo di Fede.
I PECCATI VERGOGNOSI Il Santo suggerisce poi le sante industrie con le quali conviene strappare la tanto difficile accusa dei peccati vergognosi, e condurre, come egli dice, pian piano e destramente le belle anime dei penitenti a fare una buona confessione, aiutandoli, lasciandoli parlare senza trovar di che dire sul loro modo di esprimersi, animandoli con queste o altre simili parole: «Quale grande grazia vi fa Dio di ben confessarvi! Conosco che lo Spirito Santo vi muove per farvi fare una buona confessione. Abbiate coraggio: dite francamente... ben presto avrete un sommo contento di esservi ben confessato, e nessuna cosa di questo mondo vi sembrerà da paragonarsi con la felicità di avere interamente sgravata la vostra coscienza; quale consolazione per voi nell'ora della morte di aver fatta questa buona confessione!». Quindi il santo Vescovo passa alle interrogazioni da farsi ai penitenti, dopo che hanno finito l'accusa; per conoscere tanto il numero dei peccati, con le circostanze che ne mutano la specie, li aggravano o li diminuiscono, e spesso anche li moltiplicano in un solo atto, quanto i peccati di pensiero e di desiderio, che molte volte non si confessano, e anche quelli che si sono fatti commettere al prossimo. Tanta sapienza unita a tanta prudenza mostra con chiarezza che il Sacramento della penitenza richiede una specialissima diligenza nei confessori, i quali nell'atto di assolvere amministrano il Sangue di Cristo. Occorre dirlo con chiarezza: si tratta di un tribunale in cui si incontrano un reo confesso (il penitente) e un giudice (il confessore). Non si può ridurre la confessione ad uno sterile elenco di mancanze e neppure ad una conversazione, per quanto spirituale. Non è questa la natura del Sacramento. Il Confessore non è un accompagnatore, e tantomeno un amico spirituale: nell'atto in cui confessa egli siede come padre ma soprattutto come giudice, e perciò ha tutti i diritti, e talvolta il dovere, di fare domande prima di emettere la sentenza dell'assoluzione, che può anche negare, qualora lo giudichi necessario.
LE REGOLE PER L'ASSOLUZIONE L'Autore tratta poi delle regole per l'assoluzione e dei casi riservati, quindi della penitenza da imporre, che vuole sia tale che il penitente la faccia volentieri e sia un preservativo contro le ricadute. Infine, esorta i Confessori a raccomandare ai loro penitenti di confessarsi e comunicarsi spesso, di assistere alle prediche e istruzioni, di leggere buoni e devoti libri, di fuggire le cattive compagnie e frequentare le buone, di pregare spesso, di fare ogni sera l'esame di coscienza, di pensare ai quattro Novissimi, e di avere un Crocifisso e delle sante immagini da baciare spesso. Tali sono le regole che prescriveva il santo Prelato al suo clero. Ed era il primo a metterle in pratica. Nel processo di canonizzazione del Santo, i sacerdoti e religiosi di Annecy deposero con giuramento che il pio Vescovo aveva ordinato a tutti loro di mandare al suo confessionale i più poveri e miserabili, come pure le persone affette da mali ripugnanti e nauseabondi perché, diceva, quantunque siano le più bisognose, sono in genere le più abbandonate. Alcuni anni prima, nel 1593, quando si trovava nello Chablais, il Santo - dopo averli istruiti - confessò alcuni soldati, uno dei quali cadde in profondo abbattimento dopo aver udito un sermone di Francesco sull'orrore del peccato. Il Santo ne prese una scura speciale, alloggiandolo nella propria abitazione, mangiando con lui e istruendolo sulla confessione, che il soldato fece a più riprese. Il Santo, commosso dalla sua contrizione, gli impose per penitenza solo un Pater e un'Ave. Il soldato protestò, sembrandogli quella penitenza sproporzionata all'enormità dei suoi delitti, ma il Santo rispose: «No, confidate nella divina misericordia, che è assai maggiore delle vostre iniquità, e in quanto alla penitenza farò io il resto». In quest'occasione il santo Vescovo non solo pregò per il suo penitente, ma spinse la sua sconfinata carità fino ad una sorta di "soddisfazione vicaria", come faceva, in tempi più recenti, padre Pio di Pietrelcina. Un eroismo non imposto né richiesto a tutti i confessori, ma certamente lodevole e raccomandabile.
IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI Ma l'opuscolo sulla confessione prosegue. Siccome non di rado accadono delle illusioni, ed i Confessori sono esposti a prendere nei loro penitenti per ispirazioni dello Spirito Santo i suggerimenti dell'amor proprio, i traviamenti di un'immaginazione esaltata o le suggestioni dello spirito delle tenebre, il santo Vescovo credette dover aggiungere nel suo scritto alcune regole per il discernimento degli spiriti. Secondo questo sperimentato maestro, i contrassegni dello Spirito di Dio sono: 1. l'umiltà, che insegna all'uomo a conoscere la propria debolezza, a tremare considerando sé stesso, ma a sperare mirando Dio; 2. la dolcezza e la carità nel tollerare i difetti del prossimo; 3. l'amore ai patimenti e alla pazienza; 4. l'obbedienza, che ama lasciarsi guidare. Al contrario, i contrassegni dello spirito di menzogna sono: 1. l'amor proprio che conta sopra la sua virtù, che stima il suo giudizio ed il suo modo di intendere, cerca di comparire e di farsi conoscere, è schizzinoso e facile ad offendersi; 2. lo zelo amaro e senza compassione per i difetti altrui; 3. l'impazienza, che si lagna nei patimenti e si disanima nelle difficoltà; 4. l'orgoglio e l'ostinazione, che mai non sanno sottomettersi. Tutti questi saggi consigli furono accompagnati da una lettera dedicatoria, ben degna di essere riportata. «Miei carissimi fratelli - così scrisse il Santo al suo clero - l'ufficio che esercitate è eccellente, giacché Dio vi ha scelti per giudicare le anime con tanta autorità che le giuste sentenze che pronunziate sulla terra vengono confermate in Cielo, e le vostre labbra sono i canali per i quali la pace scorre dal cielo in terra sopra gli uomini di buona volontà. Le vostre voci sono le trombe del gran Gesù, che fanno cadere le mura d'iniquità di questa mistica Gerico. È sommo onore per gli uomini l'essere innalzati ad una dignità alla quale gli Angeli stessi non sono chiamati, stanteché, a quali mai di essi ha detto Dio: i peccati saranno rimessi a chiunque voi li rimetterete? Essendo adunque impiegati in questo ammirabile ufficio, voi dovete giorno e notte applicarvi le vostre sollecitudini, ed io una grande parte del mio tempo». Questo opuscolo produsse molto frutto non solo in Savoia, ma anche in Francia e in Italia; fu tradotto in diverse lingue e letto ovunque, benché il Santo non abbia avuto la possibilità di porvi l'ultima mano. La sua lettura è utilissima ai Confessori non meno che ai penitenti, rimane di straordinaria attualità e potrebbe realmente favorire l'auspicata "risalita" del Sacramento della confessione, poiché chiarisce bene, con la dolcezza e la sapienza proprie del santo Vescovo di Ginevra, che il Confessionale è e rimane un tribunale, il supremo tribunale, in cui si incontrano la miseria umana e la misericordia divina.
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Titolo originale: Il tribunale della penitenza Fonte: Corrispondenza Romana, 22 Febbraio 2023
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