SCANDALO NELLO SCANDALO: ASSOLTO IL RESPONSABILE DI BIBBIANO
Annullata in appello la condanna a 4 anni di reclusione per lo psicoterapeuta Claudio Foti (nonostante le inquietanti rivelazioni emerse durante il processo, ad es. la bambina affidata alla coppia lesbica veniva usata per la causa LGBT)
Autore: Manuela Antonacci
Chiuso il processo d'appello nei confronti dello psicoterapeuta Claudio Foti, titolare del centro studi torinese "Hansel&Gretel" di Moncalieri (Torino) a cui il comune di Bibbiano (Reggio Emilia) aveva affidato lo svolgimento di sedute di psicoterapia, convegni e corsi di formazione. Foti era stato coinvolto nell'inchiesta "Angeli e demoni" sullo scandalo degli affidi illeciti dei bambini di Bibbiano. Nel novembre 2021 lo psicoterapeuta era stato condannato a 4 anni di reclusione per abuso d'ufficio, lesioni dolose gravi e frode processuale. Per "lesioni gravi" si intendono quelle ingenerate nei confronti di una sua paziente minorenne (ansia e depressione) di cui Foti era stato accusato all'epoca dei fatti. Secondo l'accusa, lo psicoterapeuta piemontese avrebbe indotto la bambina a credere di aver subito abusi sessuali da parte del padre, dopo averla sottoposta alla tecnica della Emdr, la discussa 'macchina dei ricordi', «in totale violazione dei protocolli di riferimento». Per quanto riguarda, invece, l'accusa di abuso di ufficio, in concorso con il sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, il riferimento è all'affidamento senza gara, alla sua associazione, del servizio di psicoterapia nell'Unione Val d'Enza. Tutte accuse da cui, lunedì scorso, i giudici della quarta sezione penale della Corte d'appello di Bologna lo hanno assolto, ribaltando la sentenza, perché le prove risulterebbero insufficienti. Quindi non con formula piena. Mentre è ancora in corso il processo per gli altri 17 imputati che a differenza di Foti, avrebbero scelto il rito ordinario, piuttosto che quello abbreviato. Tra questi la moglie dello psicoterapeuta, Nadia Bolognini e alcuni assistenti sociali, tra cui l'ex responsabile dei servizi sociali della Val d'Enza Federica Anghinolfi, il suo "braccio armato" Francesco Monopoli e il sindaco di Bibbiano Andrea Carletti. Le accuse sono tante e in parte simili a quelle rivolte contro Toti: maltrattamenti dei minori, lesioni gravi, falsa testimonianza, peculato, frode processuale, depistaggio, frode aggravata, abuso d'ufficio e falso in atto pubblico. Inoltre primo cittadino, sotto processo, era stato condannato, nell'estate 2019, agli arresti domiciliari, ma poi è stato scarcerato dalla Cassazione. In seguito è persino potuto tornare ad amministrare il comune di Bibbiano dove hanno sede i servizi sociali a cui la Procura di Reggio aveva contestato la falsificazione delle relazioni scritte sui bambini, denunciando finti abusi o maltrattamenti familiari, per poter sottrarre i minori alle loro famiglie d'origine e trasferirli, a scopo di lucro, a coppie affidatarie. Significativo il commento di Claudio Foti dopo la lettura della sentenza di assoluzione: «Rifarei tutto!»
Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano, nell'articolo seguente dal titolo "Bibbiano, bimba strappata al papà usata per la causa Lgbt" parla di un dettaglio inquietante emerso al processo per i fatti di Bibbiano. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 24 maggio 2023: Al processo per i fatti di Bibbiano emerge un dettaglio inquietante: la bambina affidata alla coppia lesbica partecipò all'unione civile delle due donne e le venne fatta indossare una maglietta con su scritto: "Sono la figlia delle due spose". Un episodio di violenza che mostra come il sistema affidi in Val d'Enza fosse orientato a promuovere l'omogenitorialità senza curarsi dei traumi a cui andavano incontro i minori strappati ai genitori solo sulla base di sospetti. Bambini usati come bandiera per le battaglie Lgbt. Se le prove si costruiscono a processo, questo può essere un caso di scuola. È il drammatico particolare emerso nei giorni scorsi al processo Angeli & Demoni che si sta svolgendo in Tribunale a Reggio Emilia. Il 30 giugno 2018 ci fu la cerimonia di unione civile nella quale si "sposarono" Fadia Bassmaji e Daniela Bedogni. Le due donne erano destinatarie di un affidamento deciso dalla responsabile dei servizi sociali di Bibbiano, Federica Anghinolfi, oggi sotto processo assieme anche alle due lesbiche e altri imputati per svariati reati. A loro venne affidata una bambina strappata ai genitori per presunti abusi che si stanno rivelando, anche a processo, inesistenti. Ebbene. Durante l'udienza si è scoperto che quando le due donne convolarono in unione civile, alla piccola che in quel periodo viveva con loro, venne fatta indossare una maglietta con su scritto: "Sono la figlia delle due spose". Un'aberrazione vera e propria, anzi una doppia aberrazione: anzitutto perché le donne non erano sposate, ma solo unite civilmente e in secondo luogo perché la bambina non era loro figlia, ma solo data in affido, seppur discutibile, a loro. In una chat dei servizi sociali, di cui non faceva parte la Anghinolfi, qualcuno criticò la sua decisione di pubblicare il video del "matrimonio omo" nel quale compariva anche la bambina: «I confini di Federica, questi sconosciuti», disse una delle assistenti sociali con evidente intento di stigmatizzare l'esposizione di una minore in uno stato protetto ai social e per un evento dall'alto valore ideologico come quello. L'episodio mostra come l'affidamento della piccola alle due lesbiche da parte della Anghinolfi, che con una di loro era stata anche intima, fosse una sorta di manifesto ideologico per la causa Lgbt in un'ottica di affermazione dell'omogenitorialità, concetto condiviso dalle tre donne, evidentemente, ma foriero di molteplici problematiche psicologiche. Una sorta di manifesto omogenitoriale, che alla prova dei fatti ha mostrato tutte le sue carenze educative e psicologiche. Prova ne è che le stesse donne affidatarie fossero consapevoli della loro incapacità genitoriale tanto da chiedere aiuto: «La coppia di donne - riporta Alessandra Codeluppi sul Resto del Carlino - lamentò difficoltà e chiese supporto: "Noi ci amiamo molto, ma non basta... vogliamo una famiglia con cui condividere la bambina"». Dunque, le donne sapevano di non essere in grado di fare i genitori. Ciononostante, i servizi sociali di Bibbiano continuarono ad affidare proprio a loro la bambina, strappandola dall'affetto dei genitori, completamente nascosti a lei negli anni di permanenza presso la coppia, ben tre, nonostante il termine massimo di 24 mesi per un affido ordinario fosse stato ampiamente superato. Ma c'è di più: un disegno della bambina venne utilizzato per un convegno sul modello Bibbiano al quale parteciparono diversi amministratori locali e con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna che del sistema affidi della Val d'Enza è stata un'attiva sostenitrice, almeno fino a quando l'inchiesta della Procura di Reggio non ha svelato il perverso mondo di falsi abusi costruiti per giustificare gli allontanamenti dei bambini dai loro genitori. Infatti, durante le udienze stanno emergendo i tanti messaggi raccolti dagli inquirenti e portati agli atti nei quali si percepisce che la bambina avesse molta voglia di vedere il papà, il quale non era affatto un abusatore, ma si interessava a lei con messaggi, attenzioni e regali. Un affetto ricambiato dalla figlia. La stessa bimba confidava, fino a scriverlo su una lavagna di casa: "Mi manca mio padre, voglio tornare a casa". Ma per tutta risposta, le due donne e gli assistenti sociali impedirono a lei di sapere che il padre aveva delle attenzioni affettuose per lei. È una tecnica, quella dell'obnubilazione di una delle figure genitoriali, specie quella paterna, che abbiamo visto all'opera più volte nei casi del Sistema Bibbiano che la Procura di Reggio ha portato ora in giudizio. Una tecnica che ha fatto soffrire anche questa piccola, creandole dei traumi. Sarà il consulente del tribunale ad attestare che ci siano stati dei danni. Al di là dell'episodio della maglietta per la "causa gay", venne provocato un estraniamento totale della figura dei genitori e identitario: le due donne pretendevano che la bambina non si vestisse da femminuccia o dovesse legarsi i capelli per non apparire troppo "donna". Le donne manifestavano evidentemente un eccesso di protezione della minore dai maschi - probabilmente ossessivo - ma questi elementi hanno creato in lei notevoli traumi - stando alla parte civile - anche perché vanno a intaccare la percezione dell'identità. Insomma, anche dalle prove che stanno emergendo a processo, l'affidamento alla coppia Lgbt ha tutta l'aria di essere quello che è sembrato fin da subito: un gigantesco tentativo di rivendicare una funzione genitoriale da parte degli omosessuali, i quali, anche alla prova dei fatti, hanno dimostrato di non essere in grado di svolgere funzioni genitoriali adeguate al bene della bambina, ma solo rivendicazioni ideologiche per la loro causa omosessualista. «Figure che - complice anche l'attività della psicoterapeuta - avrebbero spinto a farle sorgere in testa delle rappresentazioni simboliche di eventuali abusi, inducendola a creare gli scatolini del "sesso" e del "papà" e che avrebbero dovuto essere la proiezione degli abusi subiti. Dei quali, però, non c'è alcuna traccia dalle risultanze investigative e che dunque si sono rivelati falsi», come spiega alla Bussola uno dei legali della giovane, l'avvocato Nicola Tria. Un vero e proprio choc, provato dal fatto che la bambina oggi adolescente non prova alcuna nostalgia verso le due donne né, ricordando la permanenza in casa loro, provi un moto di affetto verso di loro. Un comportamento che la dice lunga su che cosa sia stato l'unico affidamento di una minore a due lesbiche nel perverso Sistema Bibbiano.
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Titolo originale: Bibbiano, insufficienza di prove per Foti. Ma il processo continua Fonte: Sito del Timone, 8 giugno 2023
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