I MIRACOLI SERVONO A RICONOSCERE LA PRESENZA DI DIO
Sono proprio i miracoli ad attestare la divinità di Gesù, del resto la Scrittura ne è piena... eppure c'è chi pensa che per risultare credibili i cristiani dovrebbero metterli da parte
Autore: Luisella Scrosati
Ogni tanto bisogna tornarci sopra. Parliamo dei miracoli, della loro presenza ostinata e ingombrante nelle Sacre Scritture: ostinata perché li ritroviamo quasi ad ogni pagina della Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, senza eccezioni e pure con la pretesa che si tratti di fatti veri e propri, ben distinti dal racconto edificante e parabolico. Ingombrante, perché nell'epoca dell'incenso immolato cotidie alla Scienza, provoca sempre un certo imbarazzo leggere nei testi fondativi e sacri della fede cristiana di guarigioni, esorcismi, tempeste sedate e persino risurrezioni di morti. Come facciamo a mostrarci credibili e ragionevoli di fronte ai nostri contemporanei, sedotti e convinti solo da grafici, statistiche e formule chimiche? La domanda è senz'altro curiosa, perché inverte di 180 gradi il senso della presenza dei miracoli nelle Scritture: quello di mostrare proprio la credibilità della fede nel Dio d'Israele e in Gesù Cristo. Ciò che a noi suscita un certo disagio è presente nei testi sacri precisamente per mostrare con forza l'azione di Dio in mezzo al suo popolo, per togliere ogni dubbio sulla verità della sua presenza, per rafforzare la fede in un'opera e un messaggio che la sola ragione umana, lasciata a se stessa, non riuscirebbe a credere. Si presta molta attenzione ad affermare - e giustamente - che i miracoli sono segni che vogliono esprimere una profonda realtà da credere, un tratto della divinità a cui aderire; ma non di rado questa enfasi ha finito per mettere in ombra il senso più generale e fondamentale del miracolo: achtung! Dio è all'opera! Per non parlare di quelle interpretazioni che, così attente al carattere di segno, ritengono persino superfluo indugiare sulla veridicità del fatto narrato: l'importante è il significato. «Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,30-31). Così il primo epilogo del quarto Vangelo (il secondo è 21,24-25) esprime in modo piano il senso per cui il Signore Gesù ha compiuto miracoli e per cui essi sono stati narrati a quanti non hanno potuto vederli di persona: «perché crediate... e perché, credendo, abbiate la vita». L'evangelista Giovanni lega il miracolo nientemeno che alla salvezza eterna, in quanto supporto di quella fede necessaria per la salvezza. Non è cosa di poco conto, che spiega come mai, tra l'altro, il Signore non abbia perso il vizio di disseminare i suoi prodigi nella storia.
OBIEZIONI AI MIRACOLI L'obiezione che normalmente si solleva è che la fede, se autentica, non ha bisogno dei miracoli, i quali ne costituirebbero addirittura una sorta di "contaminazione". Gesù stesso sembra confermare questa posizione, allorché rimproverò il funzionario del re, venuto a Cana di Galilea per implorare la guarigione del Figlio: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete» (Gv 4,48). Un'altra obiezione, certamente sensata, è che gli uomini facilmente ricercano il miracolo come soluzione ai loro problemi di quaggiù: malattia, miseria, pericoli sono tutte situazioni nelle quali domandiamo a Dio di intervenire non per rafforzare la nostra fede, ma per liberarci dai mali materiali che incombono su di noi. E dunque, paradossalmente, l'aspettativa del miracolo o persino un miracolo effettivamente compiuto, rischierebbero pure di favorire in noi questo attaccamento alle cose che passano. È la situazione descritta nel racconto della moltiplicazione dei pani, narrata nel Vangelo di Giovanni, che ha provocato il rimprovero del Signore: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (Gv 6,26). Ancora, si osserva che il miracolo può addirittura aggravare la condizione spirituale di una persona: di fronte ad un prodigio, il rifiuto di credere e l'indurimento del cuore peggiorano la situazione, aggravando la colpa di fronte a Dio. Anche questo dramma è attestato nel Vangelo e raggiunge il suo apice in occasione della risurrezione di Lazzaro. Di fronte alla straordinaria risurrezione di un cadavere quadriduano per mezzo della sola parola, la reazione del Sinedrio è stata così riassunta laconicamente da Giovanni: «Da quel giorno, dunque, decisero di ucciderlo» (Gv 11,53). Dalla bocca stessa di Gesù proviene la dura parola verso coloro che recalcitrano di fronte a chiari prodigi: «Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida! Perché se in Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli compiuti tra voi, già da tempo si sarebbero convertiti vestendo il sacco e coprendosi di cenere. Perciò nel giudizio Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi» (Lc 10,13-14).
RISPOSTA ALLE OBIEZIONI E tuttavia il Signore Gesù, che ben conosce in cosa consista la purezza della fede, come la nostra reticenza a volgerci alle realtà celesti, sia infine la durezza incredula del nostro cuore, non si è affatto rifiutato di compiere miracoli. Perché? Abbiamo una prima traccia interessante di risposta nel famoso brano dei discepoli del Battista che erano stati mandati da Gesù a domandargli se fosse lui colui che doveva venire. A costoro il Signore replicò di andare a riferire a Giovanni «ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me» (Mt 11,4-6). Il Signore articola la sua risposta attingendo ai testi messianici del profeta Isaia ben noti ai suoi uditori: la venuta del Messia sarebbe stata riconosciuta da alcuni segni: i ciechi vedono, i sordi odono, i muti parlano e gli zoppi camminano. Gesù invita i discepoli di Giovanni a constatare che tali segni sono lì presenti, davanti ai loro occhi. Il miracolo serve dunque a riconoscere la presenza divina. Ed è per questo che il Signore "corre" i tre rischi, assolutamente reali, sopra riportati: gli uomini devono poter riconoscere i segni chiari di Dio presente in mezzo a loro per credere e, credendo, ottenere la vita eterna. Certamente Dio non si limita a questa azione esterna: mentre compie il prodigio, egli muove anche i cuori dall'interno, suscitando e sostenendo la risposta dell'uomo, che resta sempre libera. E tuttavia la logica di Dio, che ritroviamo anche nell'Antico Testamento, è quella di dare agli uomini segni prodigiosi perché credano. Il grande evento fondatore del popolo d'Israele, l'Esodo, non è stato forse tutto all'insegna di segni miracolosi? Jahvé non ha forse mandato Mosè dal Faraone a compiere prodigi? Egli non è forse intervenuto a liberare il suo popolo compiendo il grande segno dell'attraversamento del Mar Rosso? L'ingresso nella Terra promessa, sotto la guida di Giosué, non è forse avvenuto con un altro prodigioso attraversamento, quello del fiume Giordano? Il libro del Deuteronomio non è altro che una continua esortazione a ricordare i prodigi che Dio ha compiuto sotto gli occhi di coloro che stavano ascoltando la parola di Mosè: «Ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un'altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore vostro Dio in Egitto, sotto i vostri occhi?» (Dt 4, 34). O ancora: «ricordati delle grandi prove che hai viste con gli occhi, dei segni, dei prodigi, della mano potente e del braccio teso, con cui il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire» (Dt 7,19).
IL DIO VERO E I FALSI DÈI Proprio l'onnipotenza rivelata dai prodigi compiuti distingue il Dio d'Israele dai falsi dèi delle nazioni. Non fu forse questa la discriminante tra il Dio di Elia e i Baal (cf. 1Re 18,1-40)? Gli idoli delle genti non sono forse caratterizzati dalla loro incapacità di compiere qualcosa degno di Dio? «Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano» (Sal 114, 5-7). Per questo il senso della presenza di Israele in mezzo alle nazioni era precisamente quello di ricordare «i prodigi che egli ha compiuti, i suoi miracoli e i giudizi della sua bocca» (1Cr 16,12), perché tutti potessero riconoscere il vero Dio. Gesù si mette esattamente nella stessa linea, mostrando a tutti che egli è quello stesso Jahvè che ha compiuto meraviglie per il popolo d'Israele e che ora è venuto nella carne per compiere una liberazione più radicale e definitiva: quella dalla tirannia del male. Tra i miracoli compiuti da Gesù ve n'è uno che rivela specificamente questa logica: la guarigione del paralitico calato dal tetto (cf. Lc 5,17-26). Il miracolo della guarigione avviene precisamente per mostrare che al Figlio dell'uomo è stato dato il potere di rimettere i peccati. Un grandioso segno visibile rivela qualcosa di ancora più grandioso che non può essere compreso dai nostri sensi. A ben vedere, è una dinamica analoga a quella della creazione: la creazione esprime sensibilmente le perfezioni divine e quel mondo spirituale non accessibile ai sensi; analogamente, segni che oltrepassano il corso naturale, manifestano ed esprimono la presenza del mondo soprannaturale. Dio si "tocca" solo tramite la fede, e non senza un senso di smarrimento e di vertigine, ma questa fede è richiesta all'uomo rispettando la sua natura ragionevole. Cristo è Dio stesso, può rimettere i peccati, redime l'uomo con la sua morte e risurrezione, ci spalanca le porte dell'eternità: realtà che fanno girare la testa. Ma Dio ci tende la mano: «Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse» (Gv 14,11).
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Titolo originale: Quei segni ingombranti della presenza di Dio Fonte: La Bussola Mensile, novembre 2024
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