OMELIA V DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 5,1-11)
Lasciarono tutto e lo seguirono
Autore: Giacomo Biffi
L'episodio celebre della pesca miracolosa ci rivela alcuni particolari interessanti sul modo che aveva Gesù di affrontare i piccoli problemi della sua attività missionaria e soprattutto si dimostra carico di insegnamenti preziosi circa la vita della Chiesa e la vita religiosa dell'uomo. Il fatto si colloca entro il quadro dell'attività apostolica che il Signore svolge in Galilea, nei paesi che fanno corona al grande lago di Genezaret (o mare di Tiberiade). Siamo presumibilmente a Cafarnao, il villaggio dove Pietro con suo fratello Andrea e Giacomo con suo fratello Giovanni e il padre Zebedeo avevano costituito una piccola azienda di pesca. I quattro futuri apostoli sono già stati affascinati dalla forte personalità del giovane Maestro e già gli sono assidua mente vicini come fedeli discepoli, ma ancora non hanno abbandonato l'esistenza consueta, ancora vivono in famiglia, ancora attendono al loro lavoro. È di mattina. È verosimile che Gesù a quell'ora abbia cercato sulla riva del mare un po' di quiete per la sua preghiera. Ma ecco che la folla lo raggiunge, è impaziente di nutrirsi della parola di Dio, gli fa ressa intorno, così che diventa per lui difficile sia sottrarsi sia farsi agevolmente ascoltare. Allora, dimostrando tutto il suo senso pratico, egli sale sulla barca di Simone e chiede al proprietario di scostarsi un poco da terra in modo che - difeso dai pochi metri d'acqua - egli possa comodamente rivolgersi alla gente, che di istinto si è distribuita e ordinata lungo tutta la spiaggia. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca, che così diventa come una cattedra da cui la divina verità si irradia sulla famiglia umana. A questo punto, non è difficile scorgere nella narrazione un significato simbolico e una riferibilità alla nostra problematica religiosa. Simone, come è chiamato all'inizio del racconto, diventa nel momento culminante dell'episodio Simon Pietro. D'ora in poi, il Vangelo di Luca lo chiamerà soltanto Pietro, il nome profetico che Gesù gli ha assegnato per indicare la sua preminente funzione ecclesiale. E la barca di Pietro, nella lettura concorde della tradizione, si fa la raffigurazione perspicua della Chiesa, guidata da lui e dai suoi successori nella tormentata navigazione della storia, sempre sbattuta dalle tempeste ma sempre a galla, sempre intenta a gettare le reti della salvezza. Mantenendoci alla luce di questa interpretazione, ci limiteremo a riflettere su tre frasi del dialogo che qui è intercorso tra il Redentore e il primo dei suoi apostoli, su cui, come su una roccia, è fondata la Chiesa.
LA CHIESA NON FALLISCE PERCHÉ NON ASCOLTA LE VOCI DEL MONDO Prendi il largo. L'invito di Gesù giunge inaspettato e stupisce quegli abili pescatori, che già avevano lavorato inutilmente tutta la notte e non avvertivano nessuna voglia di riprendere la fatica nell'ora più sfavorevole. Ma il Signore è perentorio, soprattutto perché, più che ai pesci, pensa alla missione della sua Chiesa nel mondo. Perciò la sua voce risuona ancora viva e attuale all'orecchio del primo responsabile della barca apostolica e dei suoi compagni di lavoro: Prendi il largo. Prendi il largo: non aver paura ad avventurarti lontano dalle opinioni della folla; dalle insipienze che dominano la scena del mondo, le quali, anche se sono collettive e di attualità, non cessano per questo di essere assolute insipienze; dalle diffuse regole di comportamento, ispirate dall'egoismo, dall'individualismo e dall'assenza di ogni superiore speranza; dalla cultura del vuoto, dell'insignificanza, dell'assurdo, che, pur ammantandosi di apparenze raffinate e scintillanti, abbaglia i sensi e inaridisce i cuori. Prendi il largo, Chiesa di Dio, se vuoi che il tuo impegno abbia un esito positivo e la tua pesca di uomini riesca fruttuosa: una Chiesa assimilata e mondanizzata non converte nessuno. Non aver paura di sentirti sola, se il tuo Signore è con te. Non dare ascolto a chi ti vuole a ogni costo insabbiata, col pretesto di farti avvicinare alle realtà della terra. Se ti insabbi, diventi inutile, perché sei fatta per navigare.
LA CHIESA È FORTE PERCHÉ HA TOTALE FIDUCIA IN DIO E ADERISCE FERMAMENTE ALLA SUA LEGGE Sulla tua parola getterò le reti. È la risposta di Pietro, che così supera di colpo tutto quanto gli sarebbe stato suggerito dalle sue cognizioni, dalle sue esperienze, dalle sue umane capacità. Non sono le nostre fatiche notturne o diurne; non è il nostro continuo discutere, il nostro progettare e il nostro affannarci a rendere davvero efficace e feconda la nostra presenza nel mondo e la nostra azione pastorale. È la forza della nostra fede: Sulla tua parola. È la convinzione che il Signore Gesù è con noi, sulla nostra stessa barca, e sa dare energia e valore alla nostra povera testimonianza, alla nostra debole e discorde operosità, alla nostra stessa esistenza di persone che vivono nel mondo senza accettarne la tirannica signorìa. Il segreto della vitalità della Chiesa non sta tanto nella sua ansia di rendersi più credibile e accettabile agli uomini, quanto nella sua umile e sincera volontà di essere più credente e più vicina a Dio e alla sua legge d'amore.
L'ESPERIENZA DEL TRASCENDENTE ESALTA E ATTERRISCE Allontanati da me, che sono un peccatore. Ci appaiono le parole di un animo sconvolto, tanto più se si pensa che sono state pronunciate nello spazio ristretto di una barca, dove nessuno può discostarsi troppo dagli altri. Pietro, come Paolo sulla via di Damasco, come Isaia nella visione del tempio, è squassato da questa repentina esperienza del trascendente, che al tempo stesso lo esalta e lo atterrisce. Come si vede da tutti e tre questi casi esemplari, il contatto con Dio provoca come contraccolpo il senso della propria indegnità. Quando il Signore si fa vicino, subito ci si vede non sufficientemente immuni dalla colpa e improvvisamente ci si sente contaminati. Ogni seria vita ecclesiale comincia così: chi, almeno per un istante, ha percepito la prossimità e quasi l'imminenza del divino mistero, non sente più nessuna voglia di pensare alle colpe degli altri e di indignarsi per le ingiustizie che scorge attorno a sé. Tornerà, caso mai, a occuparsene solo per esprimere l'amore per i fratelli e la volontà di salvarli, ma senza acredine e senza zelo amaro, con il cuore penitente e desideroso di arrendersi all'iniziativa della grazia. La sua prima attenzione diventa allora quella di riuscire lui più giusto e più innocente, la sua aspirazione più intensa è di venir mondato col fuoco, come le labbra dell'antico profeta, purificate dal carbone ardente dei serafini.
Fonte: Stilli come rugiada il mio dire
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