SANREMO 2009: BENIGNI TRAVISA OSCAR WILDE
Del celebre scrittore inglese il comico toscano ha omesso la sua conversione al cattolicesimo
Fonte: Avvenire, 2 marzo 2009
Roberto Benigni, con la lettura di una lettera di Oscar Wilde scritta dal carcere all'amante Bosie (Alfred Douglas), ha ottenuto l'ovazione del pubblico e la standing ovation di Grillini & boy. Mi chiedo tuttavia se lorsignori abbiano mai letto la lunghissima lettera De Profundis destinata ad Alfred Douglas, che Wilde scrisse sempre in carcere in cui definisce quello con Bosie un rapporto consumato nel fango, e descrivendo il suo comportamento come insensato, sensuale e perverso, in altre parole sbagliato. Una lettera in cui si nominano Dante, Dio, Cristo, il dolore, la sofferenza e in cui il poeta parla teneramente della moglie e dei figli che definisce "l'unico mezzo che potrebbe guarirci e farci rinascere, l'unica dolcezza che sarebbe in grado di spandere un balsamo sul cuore angosciato e di mettere un po' di pace nell'anima in pena". Alcuni estratti: "...era soltanto nel fango che ci incontravamo...È necessario che io dica che vidi chiaramente che sarebbe stato un disonore per me il portare avanti anche solo un rapporto di conoscenza con una persona come quella che tu avevi dimostrato di essere? Attraverso tuo padre tu vieni da una razza con la quale unirsi in matrimonio è orribile; l'amicizia è funesta, e che mette le sue mani violente sia sulla propria che sulle vite degli altri... E se vuoi sapere quello che una donna prova veramente quando suo marito, il padre dei suoi figli, porta la divisa da carcerato, scrivi a mia moglie e chiediglielo. Te lo dirá." "Per noi, la prigione trasforma un uomo in un paria. Io, e alcuni altri nel mio stesso caso, non abbiamo diritto nè all'aria, nè al sole. La nostra presenza turba la gioia degli altri. Siamo ricevuti come degli intrusi, quando ritorniamo nel mondo. Non ci si vorrebbe lasciar godere nemmeno il chiaro di luna. E i nostri figlioli non ce li portano via? Così ci si spezzano questi dolcissimi vincoli che ci ricollegano all'umanità. Siamo dannati alla solitudine, mentre i nostri figli sono pur vivi. Ci rifiutano l'unico mezzo che potrebbe guarirci e farci rinascere, l'unica dolcezza che sarebbe in grado di spandere un balsamo sul cuore angosciato e di mettere un po' di pace nell'anima in pena.." "Gli dei m'avevano quasi tutto donato. Ma io mi lasciai poltrire e mi concessi dei lunghi periodi di tregua insensata e sensuale. Mi divertii a fare l'ozioso, il dandy, l'uomo alla moda. Mi circondai di poveri caratteri e di spiriti miserevoli. Divenni prodigo del mio proprio genio e provai una gioia bizzarra nello sperperare una giovinezza eterna. Stanco di vivere sulle cime, discesi volontariamente in fondo agli abissi per cercarvi delle sensazioni nuove. La perversità fu nell'orbita della passione quel che il paradosso era stato per me nella sfera del pensiero". Oscar Wilde merita che gli si scrollino di dosso numerosi luoghi comuni e letture superficiali che l'hanno a poco a poco trasformato in una vera e propria icona della cosiddetta gay culture. Certo, che la vita e l'opera di Wilde siano state costellate di provocazioni ed improntate ad una condotta molto lasciva, è innegabile, ed è noto che fu costretto a due anni di lavori forzati in carcere per gross indecency (cioè per sodomia). Delle sue opere in genere si ricordano soprattutto il provocatorio Ritratto di Dorian Gray, le sue sferzanti commedie e perfino una poesia, in realtà non sua, ma del suo amante Alfred Douglas (usata contro Wilde nel processo in tribunale), intitolata Two loves, che contiene una frase apologetica che descrive l'amore omosessuale come quello che dares not speak its name, «non osa dire il suo nome», definizione strumentalmente assurta, oggi, quasi a status symbol degli amori lascivi e ineffabili. Tutto questo è realtà storica che nessuno vuole negare e che chiaramente non consente di formulare, sul piano morale, un giudizio positivo su Wilde. Ma c'è un'altra verità storica che quasi tutti, in buona o in cattiva fede, sembrano trascurare: il suo pentimento e la sua conversione al cattolicesimo, avvenuta formalmente in punto di morte, ma meditata a piú riprese da Wilde (che del resto morí, nel 1900, a soli 46 anni) e frutto comunque di un travagliato percorso morale e spirituale. Dopo la sua detenzione in carcere (1895-1897), Wilde trascorse gli ultimi anni tra l'Italia e la Francia; in carcere, scrisse una lunga lettera all'amante Alfred Douglas, il celebre De profundis, in cui gli diceva che aveva intenzione di lasciarlo per sempre per tornare con la moglie e i figli, proposito poi disatteso perché dalla morte della moglie, avvenuta nel 1898, gli fu sempre impedito dalle autorità di vedere i figli. Le sue condizioni di salute peggioravano progressivamente, anche a causa dell'abuso di alcool. Al suo capezzale (in un albergo di Parigi) fu assistito principalmente da Robert Ross, grande amico di vecchia data che piú di tutti gli era rimasto sempre fedele. Fu proprio Ross, nella convinzione di fare il bene e il volere di Wilde, a condurre un sacerdote passionista dall'amico ormai morente. Sembra che Wilde non fosse in grado di parlare, perciò Ross gli chiese se voleva vedere il sacerdote dicendogli di sollevare la mano per rispondere affermativamente. Wilde la sollevò. Il sacerdote passionista (padre Cuthbert Dunne) gli domandò, con la stessa modalità, se voleva convertirsi, e Wilde sollevò nuovamente la mano. Quindi padre Dunne gli somministrò il battesimo condizionale, lo assolse e lo unse. Composto nella bara tra il crocifisso, l'acqua santa, i ceri, lo scapolare già appeso al suo collo durante la vita, il 3 di dicembre fu accompagnato al camposanto di Bagneux. Il Padre Passionista Cuthbert Dunne "affermò di essere pienamente certo che Wilde lo avesse compreso quando gli disse che era lì per riceverlo nella Chiesa Cattolica e dargli gli ultimi sacramenti" (cf. Antonio Spadaro S,J., Sempre la mezzanotte nel cuore. A cento anni dalla morte di Oscar Wilde, in: La Civiltà Cattolica, t ottobre 2000, anno 151, n. 3607, pp. 17-30, cit. a p. 22, nota 18). Ross ebbe in séguito a dichiarare: «Non riuscí mai a parlare e non sappiamo se fosse in qualche modo cosciente. Lo feci per la mia coscienza e la promessa che gli avevo fatto». È facile supporre che una persona in grado di sollevare la mano dietro precisa esortazione sia, benché morente, lucida. Ma, a parte questo, Ross sapeva, al di là della domanda formulatagli in quel momento, che Wilde aveva piú volte espresso la volontà di convertirsi al cattolicesimo, tanto che la definí, appunto, «la promessa che gli avevo fatto». L'interesse di Wilde per il cattolicesimo era in realtà di vecchissima data. Fin da giovane si mostrò molto interessato (ma, per certi versi, piú per ragioni «artistiche» che religiose) alla Chiesa, sulla scorta degl'insegnamenti e dei canoni che il suo maestro oxoniense, John Ruskin, andava via via delineando. «Il cattolicesimo», soleva ripetere Wilde nel suo stile sornione, «è la sola religione in cui valga la pena di morire». Tre settimane prima di morire dichiarò ad un corrispondente del «Daily Chronicle»: «Buona parte della mia perversione morale è dovuta al fatto che mio padre non mi permise di diventare cattolico. L'aspetto artistico della Chiesa e la fragranza dei suoi insegnamenti mi avrebbero guarito dalle mie degenerazioni. Ho intenzione di esservi accolto al piú presto». Non si direbbero proprio le parole di un anticlericale precursore della cultura gay come oggi, spesso, lo si vuol far passare. Ancora Ross testimonia che Wilde si era «inginocchiato come un vero cattolico» davanti ad un prete di Notre-Dame a Parigi, ad un altro prete a Napoli e al Papa a Roma. Anzi, merita menzione il grande interesse di Wilde per papa Leone XIII, alle cui udienze andò molto spesso. La prima volta poté andarci in maniera del tutto casuale o, se vogliamo, provvidenziale. Il Sabato Santo del 1900 uno sconosciuto avvicinò Wilde e gli chiese se avesse avuto piacere di vedere il Papa il giorno dopo; Wilde rispose «Non sum dignus» e l'uomo gli consegnò il biglietto necessario per essere ammesso alla cerimonia pontificia. Dunque il giorno successivo Wilde fu tra le prime file a ricevere, nel giorno di Pasqua, la benedizione Urbi et Orbi. Cosí il giorno dopo descrisse l'evento: «Ieri ero in prima fila con i pellegrini in Vaticano ed ho ricevuto la benedizione del Santo Padre (.). Era meraviglioso mentre sfilava di fronte a me portato sulla sua sedia gestatoria, non era né carne né sangue, ma un'anima candida vestita di bianco, un artista ed un santo (.). Non ho mai visto nulla di simile alla straordinaria grazia dei suoi modi; di tanto in tanto si sollevava probabilmente per benedire i pellegrini, ma certamente le sue benedizioni erano rivolte a me». In séguito cosí ricordò la figura di Leone XIII: «Quando vidi il vecchio bianco Pontefice, successore degli Apostoli e padre della Cristianità, portato in alto sopra la folla, passarmi vicino e benedirmi dove ero inginocchiato, io sentii la mia fragilità di corpo e di anima scivolare via da me come un abito consunto, e ne provai piena consapevolezza». A papa Pecci Wilde attribuí addirittura di averlo miracolato, facendolo guarire, dopo la benedizione pasquale, da una grave forma di dermatite: «Il Vicario di Cristo ha fatto tutto», dichiarò. Da quel momento iniziò ad andare molto spesso, durante il suo soggiorno romano, alle udienze pontificie. Alla luce di quanto affermato sebbene non si possa negare la condotta immorale che il poeta ebbe per gran parte della sua vita, bisogna ragionevolmente credere alla sincerità e alla legittimità della conversione di Wilde al cattolicesimo.
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