BastaBugie n�147 del 02 luglio 2010
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IL CARTELLONE PUBBLICITARIO CON TRE UOMINI E TRE DONNE NUDI CON LA TESTA DI ANIMALI
Si vuole parificare la dignità degli esseri umani con quella degli animali
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: Ilsussidiario.net
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IL GIOCO E' UNA COSA SERIA E SCHIUDE IL PARADISO
Commento alle riflessioni del Cardinal Ratzinger sui mondiali di calcio
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire
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IL LEGAME TRA DISCIPLINA E LIBERTA' NEL GIOCO DEL CALCIO
Riflessioni del Cardinal Ratzinger sui mondiali di calcio
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Avvenire
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IN BELGIO PERQUISITO L'ARCIVESCOVADO E I VESCOVI PRESENTI TRATTATI COME DELINQUENTI, PROFANATE LE TOMBE PER ORDINE DEI GIUDICI
La vergognosa arroganza del potere chiamata laicità, che mira non alla verità, ma all'umiliazione della Chiesa
Autore: Giorgio Salina - Fonte: Cultura Cattolica
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UN VERSETTO DEL CORANO NELL'IMMAGINE DEL PALIO DI SIENA DEDICATO ALLA MADONNA DI PROVENZANO
Affidata a un artista musulmano la rappresentazione della Madre di Dio venerata dai senesi
Autore: Alessandra Pepi e Giampaolo Bianchi - Fonte: La Nazione
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MALATO DI SLA AVEVA CHIESTO IL SUICIDIO ASSISTITO
A distanza di sette anni è più che mai felice di essere al mondo
Autore: Antonio Padovano - Fonte: L'Ottimista
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IL PAPA VIENE ATTACCATO PERCHE' SEGUE GESU'
Ecco quello che Ferrara (e chi non ha la fede) non può capire su come si guida la Chiesa fondata da Gesù
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
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LA TESTIMONIANZA DI UN MASSONE CONVERTITO
C'è incompatibilità assoluta tra qualunque massoneria e la Chiesa cattolica
Fonte: Corrispondenza Romana
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OMELIA PER LA XIV DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 2,1-14)
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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IL CARTELLONE PUBBLICITARIO CON TRE UOMINI E TRE DONNE NUDI CON LA TESTA DI ANIMALI
Si vuole parificare la dignità degli esseri umani con quella degli animali
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: Ilsussidiario.net , 21 giugno 2010
Tre uomini e tre donne completamente nudi e con la testa di animali. È questa l’ultima provocazione firmata Oliviero Toscani per pubblicizzare una nota marca di cibi per cani e gatti. La cosa non poteva passare inosservata. E lo sanno bene i promotori che proprio sull’effetto shock hanno imbastito lo scandaloso battage. Un’indignata cittadina milanese protesta contro il cartellone pubblicitario, che definisce «da guardoni», scrivendo al direttore di Avvenire, il quale risponde precisando di sentirsi «offeso e preso in giro non solo da chi premedita campagne pubblicitarie come quella, ma anche e soprattutto da chi ha potere di governo amministrativo e consente che una tale “violenza” si consumi sui muri di Milano e di tante altre nostre città». Conclude: «Gridi pure chi vuole alla “censura”, l’unico scandalo - qui - è la sconcia pretesa di gabellare la pornografia per espressione di libertà». Sacrosante parole. Quello che però ha urtato maggiormente la mia personale sensibilità non è stato soltanto l’utilizzo gratuito e voyeuristico della nudità. Tra l’altro, l’immagine non riesce a trasmettere nulla di particolarmente sensuale o provocante. Si tratta di semplici corpi denudati. Carne esposta in macelleria. Il messaggio più trasgressivo è, invece, quello di voler parificare la dignità degli esseri umani con quella degli animali. Operazione culturale in atto da tempo. Non è una coincidenza, peraltro, il fatto che solo qualche giorno fa la Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE) abbia diramato una nota, alquanto critica, in merito ad un progetto di direttiva dell’Unione europea sulla protezione degli animali utilizzati nelle sperimentazioni di carattere scientifico. Pur condividendo, in linea di principio, lo spirito dell’iniziativa, i presuli europei denunciano il fatto che in quella bozza di direttiva si insinui surrettiziamente il rischio di «cancellare la differenza tra l’animale e l’uomo». Preoccupa, in particolare, l’art. 4, paragrafo 1, del testo, il quale prevede che, al fine di proteggere gli animali, «si adottino, ove possibile, metodi scientifici o sistemi di sperimentazione, che non implichino l’utilizzo di animali vivi». Dove stia il pericolo, lo precisa la nota della COMECE, spiegando che una formulazione così generica del testo potrebbe consentire, per esempio, sperimentazioni che utilizzino cellule staminali embrionali umane. La conseguenza è che «alcuni Stati membri, che non hanno una legislazione specifica in ordine alle cellule staminali embrionali umane, potrebbero vedersi costretti, in base alla direttiva, ad applicare metodi di sperimentazione che implichino l’utilizzo di tali cellule, nonostante sussistano al riguardo non poche perplessità di carattere etico». Da qui la denuncia della COMECE, secondo cui la politica europea sulla protezione degli animali rischia di cancellare la differenza fondamentale tra gli stessi animali e la dignità dell’uomo. Affinché tale rischio venga scongiurato, la COMECE chiede, sempre nella predetta nota, che il Consiglio voglia «escludere esplicitamente dai metodi alternativi di sperimentazione tutti quelli che implichino l’uso di cellule embrionali e fetali umane, nel rispetto delle competenze degli Stati membri in ordine alle proprie decisioni etiche». La stessa COMECE arriva, inoltre, a chiedere «al corpo legislativo dell’Unione europea e alla Commissione di avviare un dibattito onesto e aperto sia sulle alternative scientifiche (come ad esempio l’utilizzo di altre cellule staminali umane, non embrionali), sia su una questione etica fondamentale, qual è quella di sapere se la nostra società intende distruggere e strumentalizzare embrioni umani per ridurre il numero di esperimenti scientifici sugli animali». Come si vede, quindi, il manifesto pubblicitario di Toscani racchiude in sé qualcosa di assai più scandaloso della semplice indecenza. Questo subdolo tentativo di parificazione tra uomo ed animale mi ha fatto venire in mente un ottimo articolo di Francesco Agnoli, apparso il 26 aprile 2007 sul Foglio, in cui il giornalista raccontava di una mostra allestita al Museo di Scienze Naturali di Trento, dal titolo “La scimmia è nuda”, e dall’intento dichiaratamente evoluzionista. In quel contesto, infatti, veniva propinata l’idea che le scimmie avessero una vita sociale ed affettiva simile alla nostra, che possedessero una forma di cultura e di espressione artistica molto meno primitiva di quanto si possa immaginare, e che arrivassero anche ad intendersi di medicina. L’etologo Frans de Waal spiegava di aver persino rinvenuto i fondamenti della morale in varie specie di scimmie. Non ha fornito al riguardo la benché minima prova scientifica, ma l’eccezionale scoperta è stata sufficiente per dimostrare che la religione, in realtà, non è altro che una graziosa historiette inventata dagli uomini. È seguito il consueto refrain della scimmia che condivide con l’uomo il 98 per cento del patrimonio genetico, senza che però venisse data alcuna giustificazione plausibile di come possano stare in quella piccola differenza del due per cento di Dna, e solo in essa, tutte le caratteristiche tipicamente umane, quali linguaggio, pensiero, autocoscienza, libertà, conoscenza, creatività. Sempre Agnoli ricorda, in quel suo articolo, anche le grandi intuizioni metafisiche di Desmond Morris, il nume tutelare della mostra, uno capace di sostenere quanto segue: «la questione della sede dell’anima è stata a lungo dibattuta. Sarà nel cuore o nella testa, o magari diffusa in tutto il corpo, come una qualità spirituale omnipervasiva, propria dell’essere umano? A me, come zoologo, sembra che la risposta sia ovvia: l’anima dell’uomo si trova nei suoi testicoli, quella delle donne nelle ovaie». Con tutto il rispetto per le profonde riflessioni del prof. Morris, il sottoscritto ritiene - a costo apparire un retrogrado parruccone cattolico - che nell’uomo ci sia, invece, qualcosa di misterioso, un imperscrutabile quid, quello che il grande Romano Guardini definiva «un’aura di eternità». Io mi ostino a ritenere, nel mio retrivo oscurantismo, che la conoscenza umana sia diversa dalla mera percezione animale, poiché si esprime attraverso una compiuta elaborazione intellettuale capace di individuare e comprendere il senso ultimo della realtà. Mi ostino a ritenere che la libertà umana sia diversa dalla cieca obbedienza all’istinto animale, perché la libertà è per l’uomo la possibilità, la capacità, la responsabilità di compiersi, ovvero di raggiungere il proprio destino, attraverso una cosciente autonomia decisionale. Mi ostino a ritenere che la creatività umana si distingua nettamente dalla semplice “produzione” del mondo animale, in quanto è espressione di un’intelligente energia interiore, di una tensione spirituale e non della reduplicazione d’uno schema insito nell’istinto vitale, come è, ad esempio, l’alveare per l’ape. Ma io mi ostino innanzitutto a ritenere che non esista un uomo che non sia contemporaneamente un “io”. Quando chiediamo: «Chi è là?», o domandiamo: «Chi ha fatto questo? », la risposta che otteniamo è: «io», o se si intende essere più precisi: «io, nome e cognome». L’uomo, a differenza dell’animale, è un “io” autocosciente, capace di entrare in relazione con un Tu assoluto ed infinito. Ogni uomo, sostiene Guardini, è posto da Dio quale suo “Tu”, anzi «Dio è quell’Essere che è capace di fare di ogni uomo il “Tu”». Si può ancora davvero pensare che l’uomo sia solo il mero risultato di una catena evolutiva, un animale un po’ più intelligente di altri animali? A questa domanda risponde, con la sua consueta sagacia, l’ironico Chesterton: «Se l’uomo fosse un prodotto ordinario dell’evoluzione biologica, come tutti gli altri animali, sarebbe ancora più straordinario il fatto di non essere uguale agli altri animali. Così com’è, semplice creatura naturale, l’uomo appare quasi più soprannaturale di quanto sarebbe se fosse davvero una creatura soprannaturale». Con buona pace degli ultradarwinisti.
Fonte: Ilsussidiario.net , 21 giugno 2010
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IL GIOCO E' UNA COSA SERIA E SCHIUDE IL PARADISO
Commento alle riflessioni del Cardinal Ratzinger sui mondiali di calcio
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire, 25 giugno 2010
Il testo che qui pubblichiamo, scritto nel 1985 dall’allora cardinal Ratzinger, può risultare sorprendente per chi non ne conosca l’autore e ancor più per i suoi detrattori. Infatti, oltre ad essere un testo antropologicamente profondo, pur nella sua brevità, contribuisce a far luce sulla sua personalità, perché mostra che Benedetto XVI non è un arcigno moralista, o un intellettuale snob che disprezza le manifestazioni sportive, trattandole in modo esclusivamente critico, soprattutto se interessano le masse. L’attuale Papa è tutt’altro che un uomo duro ed inflessibile, piuttosto è una persona mite e affettuosa, come palesò la sua commozione quando celebrò il funerale del suo predecessore, o come è risultato evidente in vari momenti del pontificato, per esempio in occasione dell’incontro con alcuni senza tetto o con alcune vittime degli abusi di alcuni preti. Nel contempo egli è saldo nel difendere strenuamente la dignità umana e la fede dei semplici. Questo testo sui mondiali di calcio spiega le ragioni del fascino che essi esercitano. Lungi da moralismi (spiegare l'interesse per questa manifestazione riducendolo alla logica del panem et circenses o solo con l'efficacia del marketing commerciale), Ratzinger svolge un'analisi della natura del gioco, e del gioco del calcio in particolare, il quale – spiega – tocca qualcosa di radicalmente umano. Infatti, nel gioco del calcio avviene una felice sintesi tra la libertà (che trascende le necessità della vita quotidiana ed asseconda una nostalgia per un Paradiso perduto, anticipando nello stesso tempo la dimensione di quello futuro) e le regole dell’interazione, una sintesi dove la libertà è possibile grazie alle regole (e perciò esso educa alla vita). Il tema del gioco è molto affascinante ed ha suscitato l’attenzione di molti autori. Esso è un’attività libera (un gioco svolto per costrizione diventa altro, per esempio diventa un lavoro), esercitata in vista dell’interruzione della fatica del corpo, del riposo dello spirito, della sua distrazione e del suo divertimento, che inoltre esprime la creatività della persona, nonché la sua capacità di distaccarsi dalle attività pragmatiche per compiere un agire “autotelico”, cioè fine a se stesso, dato che non rinvia ad uno scopo esterno di utilità, di interesse o di bisogno materiale. Risponde semmai a bisogni estetici – in quanto il gioco crea qualcosa di nuovo e di personale, di ben costruito, è una modalità dell’attività artistica – ed al desiderio dello spirito. Quest’ultimo, infatti, anela sia all’autorealizzazione del sé, e nel gioco si cerca di dare appunto il meglio di se stessi in quella sfera, sia ad una dimensione dell’esistenza, di cui il gioco è anticipazione, in cui la regola non è più minimamente in antitesi con la spontaneità: perciò il bambino – nella cui vita la dimensione del gioco è costitutiva – è insieme origine dell’esistenza umana e figura di Tempi Nuovi, ultraterreni. In effetti, se si trasgrediscono le regole, il mondo del gioco crolla, perciò «il giocatore che si sottrae alle regole è un guastafeste» (come ha sottolineato Johan Huizinga, uno storico autore che lo ha investigato acutamente nel suo Homo ludens), guasta la malìa di un modo d’essere che è festa, pur essendovi delle regole, e che è prefigurazione della Festa. Ma è un guastafeste anche chi non prende sul serio il gioco, e questo ci dice che nel gioco c’è non soltanto la gioiosità, il piacere e la leggerezza, ma anche la serietà (che è diversa dalla seriosità austera), così palese nell’impegno che in esso riversano i bambini, ed allude alla serietà-gioiosa della beatitudine eterna. Quest’ultima è superamento di tutto ciò che è pesante, doloroso e oppressivo nella vita quotidiana, è il raggiungimento del proprio compimento, della libertà e della spontaneità bella e felice, ed è insieme la questione più importante che l’uomo possa porsi.
DOSSIER "GIOCO DEL CALCIO" I preziosi insegnamenti dello sport Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: Avvenire, 25 giugno 2010
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IL LEGAME TRA DISCIPLINA E LIBERTA' NEL GIOCO DEL CALCIO
Riflessioni del Cardinal Ratzinger sui mondiali di calcio
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Avvenire, 25 giugno 2010
Regolarmente ogni quattro anni il campionato mondiale di calcio si dimostra un evento che affascina centinaia di milioni di persone. Nessun altro avvenimento sulla terra può avere un effetto altrettanto vasto, il che dimostra che questa manifestazione sportiva tocca un qualche elemento primordiale dell'umanità e viene da chiedersi su cosa si fondi tutto questo potere di un gioco. Il pessimista dirà che è come nell'antica Roma. La parola d'ordine della massa era: panem et circenses, pane e circo. Il pane e il gioco sarebbero dunque i contenuti vitali di una società decadente che non ha altri obiettivi più elevati. Ma se anche si accettasse questa spiegazione, essa non sarebbe assolutamente sufficiente. Ci si dovrebbe chiedere ancora: in cosa risiede il fascino di un gioco che assume la stessa importanza del pane? Si potrebbe rispondere, facendo ancora riferimento alla Roma antica, che la richiesta di pane e gioco era in realtà l'espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata. Perché è questo che s'intende in ultima analisi con il gioco: un'azione completamente libera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso impegna e occupa tutte le forze dell'uomo. In questo senso il gioco sarebbe una sorta di tentato ritorno al paradiso: l'evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di guadagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bello. Così il gioco va oltre la vita quotidiana. Ma, soprattutto nel bambino, ha anche il carattere di esercitazione alla vita. Simboleggia la vita stessa e la anticipa, per così dire, in una maniera liberamente strutturata. A me sembra che il fascino del calcio stia essenzialmente nel fatto che esso collega questi due aspetti in una forma molto convincente. Costringe l'uomo a imporsi una disciplina in modo da ottenere con l'allenamento, la padronanza di sé; con la padronanza, la superiorità e con la superiorità, la libertà. Inoltre gli insegna soprattutto un disciplinato affiatamento: in quanto gioco di squadra costringe all'inserimento del singolo nella squadra. Unisce i giocatori con un obiettivo comune; il successo e l'insuccesso di ogni singolo stanno nel successo e nell'insuccesso del tutto. Inoltre, insegna una leale rivalità, dove la regola comune, cui ci si assoggetta, rimane l'elemento che lega e unisce nell'opposizione. Infine, la libertà del gioco, se questo si svolge correttamente, annulla la serietà della rivalità. Assistendovi, gli uomini si identificano con il gioco e con i giocatori, e partecipano quindi personalmente all'affiatamento e alla rivalità, alla serietà e alla libertà: i giocatori diventano un simbolo della propria vita; il che si ripercuote a sua volta su di loro: essi sanno che gli uomini rappresentano in loro se stessi e si sentono confermati. Naturalmente tutto ciò può essere inquinato da uno spirito affaristico che assoggetta tutto alla cupa serietà del denaro, trasforma il gioco da gioco a industria, e crea un mondo fittizio di dimensioni spaventose. Ma neppure questo mondo fittizio potrebbe esistere senza l'aspetto positivo che è alla base del gioco: l'esercitazione alla vita e il superamento della vita in direzione del paradiso perduto. In entrambi i casi si tratta però di cercare una disciplina della libertà; di esercitare con se stessi l'affiatamento, la rivalità e l'intesa nell'obbedienza alla regola. Forse, riflettendo su queste cose, potremmo nuovamente imparare dal gioco a vivere, perché in esso è evidente qualcosa di fondamentale: l'uomo non vive di solo pane, il mondo del pane è solo il preludio della vera umanità, del mondo della libertà. La libertà si nutre però della regola, della disciplina, che insegna l'affiatamento e la rivalità leale, l'indipendenza del successo esteriore e dell'arbitrio, e diviene appunto, così, veramente libera. Il gioco, una vita. Se andiamo in profondità, il fenomeno di un mondo appassionato di calcio può darci di più che un po' di divertimento.
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Fonte: Avvenire, 25 giugno 2010
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IN BELGIO PERQUISITO L'ARCIVESCOVADO E I VESCOVI PRESENTI TRATTATI COME DELINQUENTI, PROFANATE LE TOMBE PER ORDINE DEI GIUDICI
La vergognosa arroganza del potere chiamata laicità, che mira non alla verità, ma all'umiliazione della Chiesa
Autore: Giorgio Salina - Fonte: Cultura Cattolica, 26 giugno 2010
Come noto in Belgio, nella diocesi Malines-Bruxelles, mentre la Conferenza Episcopale era riunita, trenta poliziotti hanno occupato l’Arcivescovado, tenendo i Vescovi in stato di fermo per sei ore, requisendo tutti cellulari, per effettuare una perquisizione alla ricerca di riscontri di una Commissione indipendente, voluta dalla Chiesa e in essere da 10 anni, ed ora incaricata dal Primate Monsignor Leonard per indagare su casi di pedofilia. I poliziotti hanno requisito tutti i 475 dossier, in corso di istruttoria, che, sia chiaro, nessuno, neppure la Magistratura può impedire alla Chiesa di svolgere. Trattandosi di una commissione indipendente, ripetiamo voluta dalla Chiesa, sarebbe stato sufficiente chiedere gli atti. La polizia ha agito su mandato dei Magistrati inquirenti che hanno inteso negare alla Commissione il diritto di decidere sulla rilevanza penale delle denunce, e si sono riappropriati di una competenza che lo Stato non poteva delegare a un gruppo nominato dalla Chiesa. Il cristiano democratico fiammingo Stefaan De Clerck, Ministro della Giustizia, aveva emesso una circolare in cui si cercava di organizzare una sorta di collaborazione fra le Procure e la Commissione. Per ricercare documenti, sempre su mandato della Magistratura, la Polizia, durante il blitz di ieri, oltre a perquisire l'Arcivescovado, ha violato la cripta della cattedrale Saint Rombout a Mechelen, alla ricerca di presunti dossier. Secondo quanto riferiscono i giornali belgi, i poliziotti, dopo aver interrogato alti prelati, sono scesi nella cripta alla ricerca di documenti. Gli agenti avrebbero utilizzato anche martelli pneumatici senza però trovare alcun dossier, ma profanando le tombe. Oltre ai riscontri dei lavori della Commissione, sembra cercassero le prove del coinvolgimento di Sua Eminenza il Cardinal Godfried Danneels. Dopo l'Arcivescovado, è stata perquisita anche l’abitazione del Cardinale, che non è stato interrogato ma, secondo quanto confermato dal suo portavoce, gli inquirenti hanno sequestrato il suo computer. Immediata e durissima la reazione della Santa Sede; Sua Eccellenza Monsignor Dominique Mamberti, Segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato vaticana ha convocato Charles Ghislain, Ambasciatore del Belgio per esprimergli «il proprio sdegno per le modalità con le quali sono state effettuate le perquisizioni in particolare per la violazione delle tombe dei Cardinali Jozef-Ernest Van Roey e Leon-Joseph Suenens, defunti Arcivescovi di Malines-Bruxelles.» Il primo Ministro belga Yves Le terme, Membro dei Cristiani Democratici e Fiamminghi, ha respinto al mittente le dichiarazioni della Santa Sede, affermando che si tratta di ambiti diversi, la Chiesa e la Magistratura, e questa ha tutto il diritto di indagare. Monsignor Leonard ha parlato del diritto della Magistratura di indagare, ma di eccesso di zelo. Più che di eccesso di zelo credo sia corretto parlare di vergognosa arroganza del potere della Magistratura e del Primo Ministro belga, succubi di un laicismo ottuso e vendicativo. Non è un caso che a Bruxelles, una delle Capitali dell’Unione Europea, sia particolarmente attiva e forte una Massoneria agguerrita contro la Chiesa, che contrabbanda il proprio astio come laicità. Tutto ciò è esacerbato dalla consapevolezza della fondatezza di alcune accuse, e della necessità di fare chiarezza per scongiurarne il ripetersi. «Vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia...» Il dramma sta nel fatto che riferendosi ad alcuni fatti non mentono; mentono però volendo suggerire che tutta la Chiesa sia come la descrivono loro! Loro che non intendono ricercare la verità in nome della giustizia, ma umiliare con l’arroganza del potere.
Fonte: Cultura Cattolica, 26 giugno 2010
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UN VERSETTO DEL CORANO NELL'IMMAGINE DEL PALIO DI SIENA DEDICATO ALLA MADONNA DI PROVENZANO
Affidata a un artista musulmano la rappresentazione della Madre di Dio venerata dai senesi
Autore: Alessandra Pepi e Giampaolo Bianchi - Fonte: La Nazione, 30 giugno 2010
Lettera aperta a S.E. Mons. Antonio Buoncristiani (Arcivescovo di Siena) Eccellenza, che strane coincidenze ci vengono incontro alcune volte. 750 anni fa, alla vigilia della battaglia di Montaperti, le autorità civili di Siena, cioè i rappresentanti politici dell’epoca, decidevano di mettere ufficialmente la città e i suoi abitanti sotto il manto protettivo di Maria, la Madre di Cristo. Per la prima volta nella nostra storia cittadina le autorità civili riconoscevano ufficialmente la sovranità della Madonna e a Lei affidavano le sorti e il futuro di ciascuno di loro. Certo nel Medioevo era talmente radicato nell’uomo il senso del divino, la trascendenza, la consapevolezza della propria finitezza e piccolezza, che era normale per ogni uomo occidentale affidarsi a Dio o chiedere la protezione di Maria; ma la straordinarietà fu proprio nel fatto che a “piegarsi” alla Donna più umile della Terra fossero le autorità civili, i governanti di Siena. Anche il palio di Luglio, dedicato alla Madonna di Provenzano, ricorda un altro momento di forte presenza e protezione di Maria nei confronti dei senesi, che a Lei, la Madre di Cristo, avevano scelto di affidare le sorti proprie e della loro città. Unione fra uomo e Dio che si è ripercossa sul Palio, tanto che molti aspetti della Festa ancora oggi si svolgono secondo un rituale il cui senso rimanda ad un profondo legame con Dio e con il cattolicesimo. Sono moltissimi i momenti fortemente “liturgici” in cui si legge chiaramente questo legame indissolubile fra il Palio e la fede cattolica (la processione dei Ceri e dei Censi, la festa dei tabernacoli, la benedizione del cavallo, le feste patronali delle contrade...). Chiunque legga con occhio sereno la storia di Siena e con essa la storia d’Europa non può prescindere da questo elemento fondante che caratterizzava l’uomo: la fede e la trascendenza. Strane coincidenze dicevamo. Sì perché dopo 750 anni, il simbolo popolare per eccellenza del Palio, nella ricorrenza di quel gesto di sottomissione, di fede, di speranza cristiana, è affidato ad un musulmano che ha raffigurato nel drappellone Maria (venerata anche dai musulmani) insieme a un guerriero saraceno con tanto di turbante / kefiha che ha appena ucciso Satana o un suo seguace: l’infedele, direbbe un musulmano credente e praticante (che ne avrebbero pensato, a Lepanto? E a proposito, dove sono finite le insegne, e le armi, conquistate ai Turchi in quella occasione, che si trovavano come “ex voto” alla Madonna, proprio in Provenzano?). Ed ecco che oggi il popolo di Siena, tramite i suoi attuali rappresentanti politici, presenta alla Vergine un “cencio” dove, a corona di Maria, le scritte arabe (a volte ci si infastidisce per un po’ di latino!) della “sura” coranica che la riguardano, la celebrano come madre di un profeta, non certo come Theotòkos, Madre di Cristo, vero Dio e vero Uomo! Ma noi ci crediamo o no, che Maria sia la Madre di Dio? O è diventato un modo di dire, del quale non siamo più molto convinti, e che infatti non difendiamo più? Come cristiani, molto prima ancora che come senesi e contradaioli, questo palio ci offende e ci pare una vera bestemmia. Non dal punto di vista artistico (non entriamo nel merito), né storico (anche se troviamo pretestuosa e forzata la vicenda degli arcieri musulmani a Montaperti: a qui tempi i mercenari erano di tutte le razze, si poteva celebrare ben altro, in Montaperti, che un elemento tanto marginale), ma dal punto di vista teologico, quello si. Eccellenza, Lei ha il compito di guidare questo popolo che il Signore le ha affidato. Un compito difficile come difficile è il compito di ogni cristiano di stare nel mondo senza compiacerlo, perché sappiamo bene chi ne detiene il potere, chi ne è il Principe. Se lei fosse Clemente V e noi Santa Caterina le scriveremmo: "sia uomo virile e non timoroso", ma con parole molto più semplici la supplichiamo di non permettere che questo dipinto entri nella Casa del Signore. Lei solo ha l’autorità e la responsabilità della Chiesa di Santa Maria in Provenzano. Lei solo ha la responsabilità dei gesti liturgici che compie a nome di tutti i Suoi fedeli. Guarda e Lei, al suo esempio, la comunità cristiana di Siena. La preghiamo: non benedica un'immagine che non è cristiana, una Madonna solo madre di un profeta! Con rispetto ed ossequio.
DOSSIER "IL PALIO DI SIENA" Le polemiche per il drappellone Per vedere articoli e video, clicca qui!
Fonte: La Nazione, 30 giugno 2010
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MALATO DI SLA AVEVA CHIESTO IL SUICIDIO ASSISTITO
A distanza di sette anni è più che mai felice di essere al mondo
Autore: Antonio Padovano - Fonte: L'Ottimista, 23 giugno 2010
Immaginate di essere un uomo di successo. Un medico con una bella famiglia, moglie e tre figli ed una forma fisica invidiabile. Poi un giorno, a quaranta anni, scopri che qualcosa non va, vai dagli specialisti e ti dicono che hai contratto una malattia incurabile, la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), una sentenza di morte a tempo, con perdita progressiva delle funzioni vitali. Così, l'uomo che scalava le montagne, che sembrava non aveva timore di nulla, il medico che curava i malati si scopre egli stesso gravemente malato. È spaventato, triste, fragile, con la prospettiva di un immediato futuro fatto di sofferenza, dolore, disperazione. Ciò è quanto è successo al dottor Mario Melazzini, direttore dell'Unità operativa di Day Hospital Oncologico della Fondazione Maugeri IRCCS di Pavia, affetto da SLA dal 2002. Per Melazzini era già insostenibile sopportare l’idea di essere malato. La SLA gli cadde addosso come un macigno. Divenne irascibile, si isolò, si infuriò contro l’avverso destino. Pensò al suicidio e all’eutanasia. Fissò la data per farla finita, finché di fronte all’orrore ed alla crudeltà di una morte inutile, decise di vivere e combattere. Da quel giorno ha dedicato la sua vita a curare se stesso e gli altri malati di SLA, scoprendo il senso profondo dell'umano, cogliendo il senso della vita e riconoscendo la grandezza della propria anima. La vicenda di Melazzini, che per il coraggio delle sue posizioni a favore della vita è stato indicato come il testimone più efficace contro i sostenitori dell'eutanasia e del suicidio assistito, è ora raccontata nel libro "Un medico, un malato, un uomo". Come la malattia che mi uccide mi ha insegnato a vivere, scritto insieme al giornalista Marco Piazza e pubblicato da Lindau (www.lindau.it). Nel libro Melazzini racconta le tante difficoltà per accettare una malattia che, giorno dopo giorno, lo disabilita, la resistenza a portare il bastone, e poi ad andare in carrozzella. Descrive la rabbia che gli impedisce di accettare la sua condizione di malato e il desiderio di rimanere solo e morire lontano da tutto e da tutti. Nel punto più basso della sua disperazione, Melazzini racconta di aver pensato seriamente al suicidio assistito. Nel maggio del 2003 scrive alla clinica svizzera Dignitas e risponde a tutti requisiti richiesti per iniziare le pratiche che dovrebbero portarlo alla morte. Telefona alla clinica perché gli sembra assurdo che per suicidarsi basti un'e-mail. La telefonata è surreale. “Mi sembrava di parlare con un impiegato del ministero - racconta Melazzini -. Ho sentito un gelo incredibile”. I funzionari della clinica gli fissano un appuntamento per un incontro preparatorio. Nel libro il giornalista Piazza ha raccontato che Melazzini “prova ad immaginare la scena. Un luogo asettico, una stanza bianca con un medico biondo che lo informa del modo in cui lo ucciderà”. Ma Melazzini a quell'appuntamento con la morte non ci andrà: da quel momento, anzi, ha iniziato a combattere per la vita. “Credo che in quel momento, sia pure a livello inconscio, sia venuta fuori la mia fede”, spiega. Come in una conversione, inizia un'altra storia, quella del medico che, proprio perché malato, capisce e aiuta di più i pazienti, quella dell'uomo che sa cos'è la sofferenza e per questo conosce a fondo l'umano e scopre la bellezza dell'anima. “La malattia - ha scritto Melazzini - non porta via le emozioni, i sentimenti, e fa anzi capire che l'essere conta più del fare. Può sembrare paradossale, ma un corpo nudo, spogliato della sua esuberanza, mortificato nella sua esteriorità, fa brillare maggiormente l'anima”. Da quel momento l'oncologo malato di SLA comincia a combattere per cercare una cura contro la malattia. Conosce altre persone colpite dallo stesso male, riunite nell'AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) e insieme a loro sta conducendo una battaglia di dignità e diritto all'assistenza. Oggi Melazzini è presidente dell'AISLA e, nella riflessione in appendice al libro, ha scritto: “Ciò che manca è una reale presa in carico del malato, una corretta informazione sulla malattia e sulle sue problematiche, una comunicazione personalizzata con la famiglia. (...) Bisogna occuparsi del malato e impegnarsi affinché la malattia e la disabilità non siano criteri di discriminazione sociale e di emarginazione”. In merito al suicidio assistito, l'oncologo ha sottolineato che “non si può chiedere a nessuno di uccidere. Una civiltà non si può costruire su un simile falso presupposto. Perché l'amore vero non uccide e non chiede di morire”. “Mi batterò perché la dignità delle persone fragili sia riconosciuta e favorita con i fatti”, scrive Melazzini in conclusione. “Perché, sono convinto che un corpo malato può portare salute all'anima, rendendola più forte, più tenace, più determinata”. (...)
Fonte: L'Ottimista, 23 giugno 2010
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IL PAPA VIENE ATTACCATO PERCHE' SEGUE GESU'
Ecco quello che Ferrara (e chi non ha la fede) non può capire su come si guida la Chiesa fondata da Gesù
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 27 giugno 2010
Uno dei più acuti osservatori, leader intellettuale dei cosiddetti ratzingeriani, Giuliano Ferrara, con doverosa autoironia, giorni fa, ha amabilmente rimproverato il pontefice di essere “fuori linea”, sulla storia dei preti pedofili, per (a suo avviso) eccessiva arrendevolezza. Poi il direttore del Foglio è tornato a lanciare l’allarme. Ha scritto infatti che “le autorità ecclesiastiche responsabili e i laici liberali, che dovrebbero avere a cuore la libertà della Chiesa (come pegno generale delle autonomie civili), non vogliono capire che la ‘trasparenza’, cioè la resa senza condizioni alla ossessiva campagna secolarista sulla pedofilia del clero, genera le condizioni per un vulnus simbolico drammatico nel corpo dell’istituzione”. Ferrara ritiene che dal Belgio sia arrivata la conferma di questa sua tesi. Là infatti sono giunti fino a perquisire la casa del cardinale Daneels, primate emerito accusato “di non aver denunciato per tempo il vescovo di Bruges dimissionario a gennaio con l’accusa di abusi su minori”. Nelle stesse ore addirittura “le tombe di uno dei padri teologici del Concilio Vaticano II, Léon-Joseph Suenens, e dell’arcivescovo Joseph- Ernest Van Roey, sono state sventrate con il martello pneumatico alla ricerca di chissà quali documenti inquisitori”. Ferrara ha ragione quando denuncia questi eccessi inauditi, ma non sono d’accordo che essi trovino cittadinanza per l’atteggiamento (a suo avviso) rinunciatario del Pontefice. Al contrario, è proprio la limpidissima scelta del papa per la trasparenza e per la pulizia nella Chiesa che fa apparire gli atti dell’inquisizione belga in tutta la loro ingiustificata assurdità. Peraltro proprio l’accorato schierarsi di Pietro dalla parte delle vittime ha fatto ammutolire le campagne più anticlericali, inducendo anche giornali estremamente polemici come il New York Times a “togliersi il cappello” di fronte al coraggio del Santo Padre. Il Papa è l’unico che non abbia parlato di complotti, ma anzi che abbia definito una “grazia” questa provvidenziale tempesta mediatica la quale impone una purificazione alla Chiesa. Bisogna riconoscere che quello che sta dicendo e facendo è così alto e profetico che lo stesso mondo clericale non capisce e fa resistenza. Ratzinger ha spiazzato sia i ratzingeriani che gli avversari. Ha capovolto il vecchio e sciocco stereotipo del “panzerkardinal”. E ha mostrato a tutti la grandezza e la forza dell’umiltà. Ha fatto vedere cos’è un padre che sa piangere con i suoi figli violati e sofferenti, abbracciandoli a nome del Nazareno. Ha spiazzato anche l’idea che del suo pontificato si erano fatti Ferrara e tanti altri, secondo cui egli sarebbe il Nemico del relativismo che corrode e dissolve l’Occidente e capeggerebbe una Chiesa virilmente identitaria capace di far ritrovare all’Occidente solide radici ideologiche. A mio avviso basta aver letto i libri del cardinal Ratzinger e tanto più i testi di papa Ratzinger per capire che era un’idea infondata. Ma il problema non è anzitutto culturale. Il “fattore” che Ferrara elude (ovviamente ne ha tutto il diritto) e che per Benedetto XVI invece è determinante, totalmente decisivo, non è culturale: si chiama Gesù Cristo. La sua presenza viva. E’ Lui che spiega tutto, che fa comprendere tutte le scelte di papa Ratzinger, tutto quello che dice e che fa. Senza considerare Lui si rischia di fraintendere completamente questo pontificato. Perché, infatti, un simpatizzante come Ferrara può arrivare a vedere nella posizione del Papa addirittura una “resa senza condizioni alla ossessiva campagna secolarista sulla pedofilia del clero” ? Esattamente per questo. Perché per Ferrara la battaglia si combatte al cospetto dell’opinione pubblica ed ha come oggetto la reputazione della Chiesa, mentre per papa Ratzinger si è al cospetto di Gesù Cristo, unico giudice, e il contenuto della discussione è la verità. Se si toglie di mezzo Gesù Cristo – e mi pare l’idea di Ferrara – la Chiesa diventa una realtà umana antica e nobilissima, da millenni civilizzatrice, depositaria di valori e identità, e non può farsi processare – per un numero limitatissimo di colpe di suoi esponenti – da un mondo moderno che sprofonda nella depravazione e nell’amoralità. Ma Benedetto XVI rifiuta radicalmente una simile riduzione. La Chiesa non è la somma dei suoi membri, né dei suoi meriti storici, non è un insieme di antichi e nobili valori umani, né è al mondo per rivendicare la sua reputazione. La Chiesa è definita soltanto dalla misteriosa presenza di Gesù, presenza vera e operante, fra i suoi. Davanti a Lui, il santo, tutti noi cristiani siamo come panni luridi. E’ Lui e solo Lui che la Chiesa indica, Lui è la salvezza degli uomini, Lui la pace e la felicità. La Chiesa esiste solo per indicare al mondo il suo volto. Cosicché la Chiesa è l’unica realtà che – diversamente da partiti, da stati, da qualunque altra associazione umana – non ha bisogno di esaltare la propria reputazione, perché, pur avendo al suo interno tanta santità, non predica se stessa, non vuol convincere di aver ragione. E’ l’innamorata di Lui ed esalta solo Lui. Infatti la Chiesa è entrata nel mondo con quattro Evangeli nei quali i pilastri della Chiesa stessa, gli apostoli, venivano rappresentati in tutta la loro miseria umana, meschinità e perfino nei loro peccati e crimini. Com’è stato osservato pure da nemici della Chiesa, nessuno che abbia voluto fondare una religione o un partito o uno stato, ha mai fatto una cosa simile. Sarebbe stata un’autodelegittimazione assai prossima al suicidio. Solo la Chiesa ha potuto farlo. Sebbene quegli apostoli, in realtà, siano diventati poi autentici eroi, morendo inermi come martiri. Solo la Chiesa, sul finire del XX secolo che aveva visto i cristiani vittime (a milioni) di tutti i diversi regimi, a tutte le latitudini, con Giovanni Paolo II ha varcato il millennio non con un atto d’accusa, ma al contrario con un “mea culpa”. Solo la Chiesa – che pure aveva tutti i diritti di puntare il dito su ideologie e partiti – ha saputo chiedere perdono. Mentre non lo hanno fatto i carnefici. E’ un segno di debolezza e cedevolezza o di (umanamente) inspiegabile forza? Solo la Chiesa può porre la verità al di sopra dell’interesse di fazione e quindi non averne paura neanche quando è dolorosa e umiliante. Come nel caso dei preti pedofili. Neanche quando fa scandalo: “oportet ut scandala eveniant”, disse Gesù, Signore della storia. La Chiesa non si difende con la menzogna. Così semmai la si distrugge. Immaginare che Dio abbia bisogno delle nostre menzogne per salvaguardare la sua opera è un sacrilegio. La Santa Chiesa, spiega il Papa, non è una cosca mafiosa che vive sull’omertà. Le menzogne servono solo ai colpevoli che non vogliono emendarsi o a coloro che vogliono salvaguardare un potere terreno. La Chiesa invece vive della verità. E la verità non fa calcoli di convenienza. La menzogna rende ricattabili. “La verità vi farà liberi”, ha detto Colui che è la verità fatta carne. Il mondo dice invece “la verità vi farà deboli”. Ma quello che il mondo non capisce, per il Papa, è che “la debolezza di Dio è più forte degli uomini”. Duemila anni fa aspettavano un giustiziere, un sovrano forte che avrebbe assoggettato il mondo. Ed è nato un bambino inerme. Poi, diventato grande, perfino gli apostoli pensavano che Gesù sarebbe diventato re. E lui ha scelto invece il trono della croce e la corona di spine. Perché – ha spiegato Benedetto XVI – ha voluto salvare il mondo non con la forza, ma con l’amore. L’amore è più forte di tutto. E’ per lui, vittima salvatrice, che il papa ha fatto capire a tutti, anzitutto agli ecclesiastici, che le vittime di preti pedofili non sono avversari, ma sono il volto di Cristo crocifisso. Sono la Chiesa perseguitata. Mentre i persecutori della Chiesa sono semmai i loro violentatori. Tutto questo è grandioso e commovente. E’ divino.
Fonte: Libero, 27 giugno 2010
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LA TESTIMONIANZA DI UN MASSONE CONVERTITO
C'è incompatibilità assoluta tra qualunque massoneria e la Chiesa cattolica
Fonte Corrispondenza Romana, 12/6/2010
Una testimonianza fuori dal comune è quella che ci offre un ex Venerabile del Grande Oriente di Francia, per grazia di Dio, giunto alla luce vera della fede e all’ammissione dell’incompatibilità assoluta tra Libera Muratoria, di qualunque orientamento, e Chiesa cattolica (cfr. M. Caillet, Ero massone. La mia conversione dalla massoneria alla fede, Piemme, 2010, € 15). L’agile libretto vuole essere una breve biografia di un massone come tanti, anzi di un europeo come tanti: nato nel 1933 da genitori miscredenti da cui non ricevette neppure il battesimo, frequentò le scuole laiche della Francia anticlericale della prima metà del ’900, fino a percorrere una veloce carriera di medico e di ginecologo apprezzato. Formatosi su letture tipo Il caso e la necessità (Monod) e aderendo «alle teorie evoluzionistiche di Darwin» (p. 8), fu naturalmente portato all’ateismo e all’adesione sia all’Organizzazione di Pianificazione Familiare, che al Partito Socialista. Da lì, il passo fu davvero breve verso la Massoneria a cui aderì nel 1968 sulla base dello slogan rivoluzionario e anticristiano di Liberté, Egalité, Fraternité. Molto interessante il racconto che il Caillet fa della sua iniziazione (pp. 14-35), avvenuta a Rennes nel 1970, desideroso di percorrere «la via iniziatica», per ottenere «la Luce e la conoscenza della Tradizione Primordiale» (p. 12). Contemporaneamente, andava avanti la sua attività di ginecologo volta soprattutto alla contraccezione e all’aborto, e questo già prima dell’approvazione della legge tutta massonica che poco dopo legalizzerà l’IVG in Francia. Già in quegli anni torbidi – in cui tra l’altro divorziò dalla moglie (sposata solo civilmente) e iniziò una convivenza con una sua infermiera – Dio gli parlava facendogli ammettere, che la «promiscuità sessuale» scatenatasi dopo il ’68 «comportava conseguenze per me imprevedibili: frigidità per le ragazze e impotenza presso i ragazzi che avevano avuto relazioni frettolose» (p. 31). L’ascesa al grado di Compagno si fece nel 1971 e in quello stesso anno iniziò la militanza politica e rimase sconcertato di trovare nel partito «un buon numero di cattolici dalle simpatie marxiste», «passati da un rigido cattolicesimo tradizionale al socialismo e persino al più dogmatico comunismo!» (p. 38). Enigmi insolubili post-conciliari… Nel 1973 commemorò assieme a Mitterand l’«assassinio del nostro fratello Salvador Allende, vero martire della democrazia e della massoneria» (p. 47). Poi festeggiò per la legge Veil, la quale «adottata nel Consiglio dei Ministri a novembre, fu approvata a dicembre [1974]. I deputati e senatori massoni, di destra e di sinistra, diedero il loro consenso unanime» (p. 49). Il bisogno di trascendenza lo portò verso autori spuri e massonici, come Oswald With, Papus, Guénon, Schuré e Castaneda (cfr. pp. 54-57) e così si legò al mondo dell’occultismo e dell’esoterismo. Sull’orlo del baratro spirituale e morale, l’esigenza di Dio si fece sentire attraverso la grave malattia che colpì la sua compagna Claude. Dopo vani tentativi di curare le sue misteriose ulcere, ebbe «un’idea inaspettata per un massone ateo», cioè di recarsi a Lourdes, naturalmente solo per «provocare in lei uno choc psicologico salvifico» (pp. 86-87) e non per chiedere il miracolo della guarigione. Ma la guarigione fu più grande del previsto e durante la messa, «nell’istante in cui il prete innalzava l’ostia […] riconobbi Gesù in quell’umile frammento di pane» (p. 93). La grazia fulminante lo portò subito al desiderio «di conoscere meglio quel Gesù alla saggezza della cui Chiesa avevo continuato ad oppormi senza rendermene conto, partecipando, per quanto in buona fede, alla diffusione della cultura della morte, in nome di un falso concetto di libertà» (p. 94). Il seguito è tutto ad onor di Dio: dopo un passaggio nell’Ortodossia, dovuto a ragioni contingenti, approdò al cattolicesimo (grazie anche alla dignità del culto di abbazie come Sainte-Anne de Kergonan), poté regolarizzare la situazione matrimoniale e da allora la sua vita è spesa alla redazione di testi per mostrare «l’incompatibilità tra la religione cattolica e la filosofia massonica» (p. 164) come nel libro La massoneria: un peccato contro lo Spirito? o a criticare i falsi dogmi del mondo contemporaneo (coi testi Edonismo o cristianesimo e Occultismo o cristianesimo). Bella la preghiera conclusiva di un Venerabile arrivato infine alla vera luce: «Padre infinitamente buono, tu vedi nel segreto del cuore e delle logge. Tu sai che molti massoni, persi in una filosofia ingannevole, cercano vane Verità. Liberali, Signore, dagli spiriti che li traggono in inganno», etc. etc. (p. 181).
Fonte: Corrispondenza Romana, 12/6/2010
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OMELIA PER LA XIV DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 2,1-14)
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 4 luglio 2010)
Il Signore manda i suoi Discepoli a due a due davanti a sé per annunziare le Buona Novella, e li manda come agnelli in mezzo a lupi. Oggi più che mai è necessario questo annunzio evangelico e, oggi più che mai, il discepolo di Cristo è mandato come agnello in mezzo ai lupi. In questa opera evangelizzatrice, il discepolo di Cristo non deve contare sui sostegni umani, ma innanzitutto sulla grazia di Dio. Inevitabilmente ci sarà chi rifiuterà il Vangelo e, di conseguenza, rifiuterà o addirittura perseguiterà colui che gli reca questo annunzio. Infatti, nel corso dei secoli, sono stati numerosi gli evangelizzatori che hanno coronato con il martirio la loro opera missionaria. Soprattutto un tempo, dire missionario voleva dire martire. Gesù invita a pregare: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Lc 10,2). Oggi più che mai si sta realizzando questa situazione: vi sarebbe molto da lavorare nella vigna del Signore, ma pochi sono gli operai, ovvero le vocazioni. La situazione è preoccupante: vi sono paesi senza sacerdote, tanti conventi si svuotano e diventano magari alberghi o cose del genere. San Giovanni Maria Vianney diceva: «Lasciate un paese senza sacerdote per vent’anni e, alla fine, adoreranno le bestie!». Cosa fare per suscitare vocazioni? Nel Santo Vangelo Gesù ci indica un’unica soluzione: «Pregate»! Non parla di riunioni, conferenze o gite organizzate per ragazzi, ma di preghiera. Con questo non si vogliono escludere le altre iniziative che, comunque, sono sempre belle e valide. Si vuole unicamente insegnare che, senza la preghiera, tutte le iniziative umane rimarranno infruttuose. Cosa possiamo fare concretamente? Possiamo organizzare delle ore di Adorazione eucaristica per ottenere il dono delle vocazioni. Bisogna farsi avanti e manifestare ai propri sacerdoti la volontà e la disponibilità di assicurare la propria presenza durante queste ore di preghiera. Noi sacerdoti siamo contenti di vedere che c’è qualcuno che si vuole impegnare! Non bisogna aspettare di essere in tanti per iniziare: bastano poche anime generose. Sarà come un piccolo seme gettato nella terra. Se, nonostante tutti gli sforzi, non si riuscirà a organizzare niente, iniziamo da soli. In tal caso ci si metterà davanti al Tabernacolo e si chiederà a Gesù il dono di numerose e sante vocazioni. Nella vita di un missionario, di nome Carlo Goldmann, si racconta un episodio molto bello. Fin da bambino c’era chi pregava per lui. Una suora, ispirata da Dio, pregava per quel piccolo bambino che da poco era rimasto orfano di madre. La suora chiedeva per lui al Signore il dono della vocazione e sperava vivamente, entro vent’anni, di poterlo vedere sacerdote. Ella pregava ogni giorno secondo questa intenzione e il bambino non sapeva nulla. Egli lo venne a sapere solo alla fine, quando stava diventando sacerdote. Crescendo, Carlo divenne un giovane allegro e spensierato che non pensava minimamente alla vocazione. Ma, ad un certo punto della sua esistenza, avvenne qualcosa di unico e irripetibile: avvertì con chiarezza che il Signore lo chiamava alla vita religiosa e sacerdotale. Rimane sempre un mistero la percezione di questa chiamata. È come una luce che irrompe improvvisamente nell’anima e, a quella luce, si comprende quello che deve essere il nostro cammino. Chi aveva acceso quella luce? Le preghiere perseveranti dell’umile suora che non aveva mai perso di vista quel ragazzo. Fu così che allo scadere dei vent’anni, dopo varie peripezie, infuriava infatti la Seconda Guerra Mondiale, Carlo divenne sacerdote francescano e di lì a pochi anni partì missionario per il Giappone. Vogliamo accendere anche noi questa luce nei cuori di tanti giovani. Se pregheremo con umiltà e perseveranza otterremo il dono di tante vocazioni.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 4 luglio 2010)
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