PAPA, AIDS E PRESERVATIVO
La polemica serve a coprire il vero problema
Autore: Bruno Mastroianni - Fonte: 20 marzo 2009
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LUSSEMBURGO, ATTO FINALE
L’eutanasia e' legalizzata
Autore: Luca Geronico - Fonte: 18 marzo 2009
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SANREMO 2009: BENIGNI TRAVISA OSCAR WILDE
Del celebre scrittore inglese il comico toscano ha omesso la sua conversione al cattolicesimo
Fonte: Avvenire
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NEW YORK: LEGGE CONTRO GLI ABUSI SESSUALI
Ma in realta' e' il solito attacco alla Chiesa
Autore: 13 marzo 2009 - Fonte:
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PAPA SOTTO ATTACCO 1
Il Vicario di Cristo non e' solo
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: 2 Marzo 2009
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PAPA SOTTO ATTACCO 2
I grandi difensori del Concilio e la Chiesa allo sbando
Autore: Gianteo Bordero - Fonte: 11 marzo 2009
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PAPA SOTTO ATTACCO 3
Poesia dedicata a Benedetto XVI
Autore: Padre Livio - Fonte:
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LEGGE SUL FINE VITA
Ecco la vera posta dietro le proposte di emendamenti
Autore: Gian Luigi Gigli - Fonte: 13 marzo 2009
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IL MISSIONARIO PIU' FAMOSO D’ITALIA COMPIE 80 ANNI
La vera missione e' portare Gesu' Cristo
Autore: Roberto Beretta - Fonte: 10 marzo 2009
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PAPA, AIDS E PRESERVATIVO
La polemica serve a coprire il vero problema
Autore: Bruno Mastroianni - Fonte: 20 marzo 2009
Ci stavamo quasi cascando. Per un attimo abbiamo veramente pensato che al centro della polemica ci fossero l’Aids e il preservativo. Ma poi, mettendo insieme un paio di dati, ci siamo ricreduti. Non c’entrano i profilattici, non c’entrano l’Aids e il Papa. Il problema è che l’attenzione che il pontefice sta attirando sull’Africa potrebbe svelare alcune magagne dell’Occidente, se solo la gente se ne accorgesse. A parlare sono i dati dell’Ocse nel Development Cooperation Report reso pubblico nei giorni scorsi. Uno tra tutti: quegli stessi Paesi che oggi gridano contro il Papa per le sue parole sul condom, hanno tra il 2006 e il 2007 diminuito i loro aiuti verso il continente africano dell’8,5%. Con picchi piuttosto alti: la Francia – che ha iniziato la polemica – ha diminuito gli aiuti del 16,4%. D’altronde tanta violenza polemica sul preservativo faceva sorgere un po’ il sospetto: ormai di studi che ne rilevano l’insufficienza come unico mezzo della lotta all’Aids ce ne sono fin troppi. Uno dei più recenti è dell’Università di Harvard (pubblicato su Science nel 2008) che mostra come la strategia “solo preservativo” in 25 anni in Africa ha dato pochi risultati. Lo sa bene l’OMS visto che ogni anno, nonostante la diffusione dei condom, registra un aumento dell’epidemia. E poi la Chiesa conosce perfettamente la situazione: da sola copre circa il 30% dei servizi sanitari del continente, ricevendo degli aiuti internazionali solo il 5%. Ci si sarebbe aspettato un costruttivo scambio di opinioni tra esperti. Invece hanno prevalso accuse e stracciamenti di vesti. Da qui il sospetto: non è che tutta questa polemica è un bel preservativo mediatico per evitare che la gente si infetti, scoprendo che l’Occidente fa poco per l’Africa?
Fonte: 20 marzo 2009
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LUSSEMBURGO, ATTO FINALE
L’eutanasia e' legalizzata
Autore: Luca Geronico - Fonte: 18 marzo 2009
L’eutanasia è legale anche in Lussemburgo. È stata promulgata ieri mattina – a conclusione di un sofferto iter legislativo – la legge che ha fatto della piccola monarchia centroeuropea il terzo Stato nell’Ue, dopo Olanda e Belgio che la introdussero entrambi nel 2002, a consentire la morte assistita per i malati terminali. Il medico che risponda attivamente a una richiesta di eutanasia o di suicidio assistito «non può essere sanzionato penalmente» né l’intervento del sanitario «può dar luogo a una azione civile per risarcimento di danni», si legge nell’articolo 2 della norma pubblicata sulla Gazzetta ufficiale. Un testo approvato in seconda lettura lo scorso 18 dicembre con una esigua maggioranza: 31 voti a favore, 26 contrari e tre astensioni. Un sofferto dibattito per un progetto di legge introdotto nel lontano 2001 che, in uno Stato dalle forti tradizioni cattoliche, ha fortemente lacerato l’opinione pubblica. Lo scorso anno, quando sia pure di misura il disegno di legge è stato approvato, il Granducato ha vissuto un clamoroso scontro istituzionale. Infatti, per aggirare le resistenze del Granduca Henri, contrario a firmare la legge, il Parlamento ha infatti approvato una riforma costituzionale che di fatto ha ridotto i poteri del sovrano: le leggi non devono più, come in passato, essere ratificate, ma semplicemente promulgate dal sovrano. La monarchia è così stata ridotta a un ruolo puramente protocollare. Ripetutamente, nei mesi scorsi, il Papa ed altri alti esponenti del Vaticano, avevano chiesto al Granducato di non approvare una legge «malvagia dal punto di vista morale». Lo scorso 18 dicembre, in occasione del voto conclusivo in Parlamento, i vescovi nel condannare la decisione avevano sottolineato in un documento come «il compito fondamentale dello Stato e di ogni cittadino sia di impegnarsi per la vita e la sua tutela». Ancora, si sottolineava che «non tutto ciò che è ammesso per legge è consentito anche moralmente. Forza morale e chiarezza sono più che mai necessarie». Per questo l’episcopato, nell’attuazione della legge sul fine vita, chiedeva un’ «alta responsabilità morale» di pazienti, medici e infermieri, nonché i congiunti. «Ogni segno a favore della vita è un segno di speranza». Nell’Unione europea solo i Paesi Bassi e il Belgio, nel 2002, avevano legalizzato in determinate circostanze, l’eutanasia. In Svizzera un medico può fornire a un malato terminale che desidera porre fine alla sua vita un farmaco letale che dovrà essere assunto dal malato stesso. Qualsiasi forma di eutanasia e morte assistita è invece del tutto proibita in Paesi come la Grecia, la Romania o la Polonia.
Fonte: 18 marzo 2009
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SANREMO 2009: BENIGNI TRAVISA OSCAR WILDE
Del celebre scrittore inglese il comico toscano ha omesso la sua conversione al cattolicesimo
Fonte Avvenire, 2 marzo 2009
Roberto Benigni, con la lettura di una lettera di Oscar Wilde scritta dal carcere all'amante Bosie (Alfred Douglas), ha ottenuto l'ovazione del pubblico e la standing ovation di Grillini & boy. Mi chiedo tuttavia se lorsignori abbiano mai letto la lunghissima lettera De Profundis destinata ad Alfred Douglas, che Wilde scrisse sempre in carcere in cui definisce quello con Bosie un rapporto consumato nel fango, e descrivendo il suo comportamento come insensato, sensuale e perverso, in altre parole sbagliato. Una lettera in cui si nominano Dante, Dio, Cristo, il dolore, la sofferenza e in cui il poeta parla teneramente della moglie e dei figli che definisce "l'unico mezzo che potrebbe guarirci e farci rinascere, l'unica dolcezza che sarebbe in grado di spandere un balsamo sul cuore angosciato e di mettere un po' di pace nell'anima in pena". Alcuni estratti: "...era soltanto nel fango che ci incontravamo...È necessario che io dica che vidi chiaramente che sarebbe stato un disonore per me il portare avanti anche solo un rapporto di conoscenza con una persona come quella che tu avevi dimostrato di essere? Attraverso tuo padre tu vieni da una razza con la quale unirsi in matrimonio è orribile; l'amicizia è funesta, e che mette le sue mani violente sia sulla propria che sulle vite degli altri... E se vuoi sapere quello che una donna prova veramente quando suo marito, il padre dei suoi figli, porta la divisa da carcerato, scrivi a mia moglie e chiediglielo. Te lo dirá." "Per noi, la prigione trasforma un uomo in un paria. Io, e alcuni altri nel mio stesso caso, non abbiamo diritto nè all'aria, nè al sole. La nostra presenza turba la gioia degli altri. Siamo ricevuti come degli intrusi, quando ritorniamo nel mondo. Non ci si vorrebbe lasciar godere nemmeno il chiaro di luna. E i nostri figlioli non ce li portano via? Così ci si spezzano questi dolcissimi vincoli che ci ricollegano all'umanità. Siamo dannati alla solitudine, mentre i nostri figli sono pur vivi. Ci rifiutano l'unico mezzo che potrebbe guarirci e farci rinascere, l'unica dolcezza che sarebbe in grado di spandere un balsamo sul cuore angosciato e di mettere un po' di pace nell'anima in pena.." "Gli dei m'avevano quasi tutto donato. Ma io mi lasciai poltrire e mi concessi dei lunghi periodi di tregua insensata e sensuale. Mi divertii a fare l'ozioso, il dandy, l'uomo alla moda. Mi circondai di poveri caratteri e di spiriti miserevoli. Divenni prodigo del mio proprio genio e provai una gioia bizzarra nello sperperare una giovinezza eterna. Stanco di vivere sulle cime, discesi volontariamente in fondo agli abissi per cercarvi delle sensazioni nuove. La perversità fu nell'orbita della passione quel che il paradosso era stato per me nella sfera del pensiero". Oscar Wilde merita che gli si scrollino di dosso numerosi luoghi comuni e letture superficiali che l'hanno a poco a poco trasformato in una vera e propria icona della cosiddetta gay culture. Certo, che la vita e l'opera di Wilde siano state costellate di provocazioni ed improntate ad una condotta molto lasciva, è innegabile, ed è noto che fu costretto a due anni di lavori forzati in carcere per gross indecency (cioè per sodomia). Delle sue opere in genere si ricordano soprattutto il provocatorio Ritratto di Dorian Gray, le sue sferzanti commedie e perfino una poesia, in realtà non sua, ma del suo amante Alfred Douglas (usata contro Wilde nel processo in tribunale), intitolata Two loves, che contiene una frase apologetica che descrive l'amore omosessuale come quello che dares not speak its name, «non osa dire il suo nome», definizione strumentalmente assurta, oggi, quasi a status symbol degli amori lascivi e ineffabili. Tutto questo è realtà storica che nessuno vuole negare e che chiaramente non consente di formulare, sul piano morale, un giudizio positivo su Wilde. Ma c'è un'altra verità storica che quasi tutti, in buona o in cattiva fede, sembrano trascurare: il suo pentimento e la sua conversione al cattolicesimo, avvenuta formalmente in punto di morte, ma meditata a piú riprese da Wilde (che del resto morí, nel 1900, a soli 46 anni) e frutto comunque di un travagliato percorso morale e spirituale. Dopo la sua detenzione in carcere (1895-1897), Wilde trascorse gli ultimi anni tra l'Italia e la Francia; in carcere, scrisse una lunga lettera all'amante Alfred Douglas, il celebre De profundis, in cui gli diceva che aveva intenzione di lasciarlo per sempre per tornare con la moglie e i figli, proposito poi disatteso perché dalla morte della moglie, avvenuta nel 1898, gli fu sempre impedito dalle autorità di vedere i figli. Le sue condizioni di salute peggioravano progressivamente, anche a causa dell'abuso di alcool. Al suo capezzale (in un albergo di Parigi) fu assistito principalmente da Robert Ross, grande amico di vecchia data che piú di tutti gli era rimasto sempre fedele. Fu proprio Ross, nella convinzione di fare il bene e il volere di Wilde, a condurre un sacerdote passionista dall'amico ormai morente. Sembra che Wilde non fosse in grado di parlare, perciò Ross gli chiese se voleva vedere il sacerdote dicendogli di sollevare la mano per rispondere affermativamente. Wilde la sollevò. Il sacerdote passionista (padre Cuthbert Dunne) gli domandò, con la stessa modalità, se voleva convertirsi, e Wilde sollevò nuovamente la mano. Quindi padre Dunne gli somministrò il battesimo condizionale, lo assolse e lo unse. Composto nella bara tra il crocifisso, l'acqua santa, i ceri, lo scapolare già appeso al suo collo durante la vita, il 3 di dicembre fu accompagnato al camposanto di Bagneux. Il Padre Passionista Cuthbert Dunne "affermò di essere pienamente certo che Wilde lo avesse compreso quando gli disse che era lì per riceverlo nella Chiesa Cattolica e dargli gli ultimi sacramenti" (cf. Antonio Spadaro S,J., Sempre la mezzanotte nel cuore. A cento anni dalla morte di Oscar Wilde, in: La Civiltà Cattolica, t ottobre 2000, anno 151, n. 3607, pp. 17-30, cit. a p. 22, nota 18). Ross ebbe in séguito a dichiarare: «Non riuscí mai a parlare e non sappiamo se fosse in qualche modo cosciente. Lo feci per la mia coscienza e la promessa che gli avevo fatto». È facile supporre che una persona in grado di sollevare la mano dietro precisa esortazione sia, benché morente, lucida. Ma, a parte questo, Ross sapeva, al di là della domanda formulatagli in quel momento, che Wilde aveva piú volte espresso la volontà di convertirsi al cattolicesimo, tanto che la definí, appunto, «la promessa che gli avevo fatto». L'interesse di Wilde per il cattolicesimo era in realtà di vecchissima data. Fin da giovane si mostrò molto interessato (ma, per certi versi, piú per ragioni «artistiche» che religiose) alla Chiesa, sulla scorta degl'insegnamenti e dei canoni che il suo maestro oxoniense, John Ruskin, andava via via delineando. «Il cattolicesimo», soleva ripetere Wilde nel suo stile sornione, «è la sola religione in cui valga la pena di morire». Tre settimane prima di morire dichiarò ad un corrispondente del «Daily Chronicle»: «Buona parte della mia perversione morale è dovuta al fatto che mio padre non mi permise di diventare cattolico. L'aspetto artistico della Chiesa e la fragranza dei suoi insegnamenti mi avrebbero guarito dalle mie degenerazioni. Ho intenzione di esservi accolto al piú presto». Non si direbbero proprio le parole di un anticlericale precursore della cultura gay come oggi, spesso, lo si vuol far passare. Ancora Ross testimonia che Wilde si era «inginocchiato come un vero cattolico» davanti ad un prete di Notre-Dame a Parigi, ad un altro prete a Napoli e al Papa a Roma. Anzi, merita menzione il grande interesse di Wilde per papa Leone XIII, alle cui udienze andò molto spesso. La prima volta poté andarci in maniera del tutto casuale o, se vogliamo, provvidenziale. Il Sabato Santo del 1900 uno sconosciuto avvicinò Wilde e gli chiese se avesse avuto piacere di vedere il Papa il giorno dopo; Wilde rispose «Non sum dignus» e l'uomo gli consegnò il biglietto necessario per essere ammesso alla cerimonia pontificia. Dunque il giorno successivo Wilde fu tra le prime file a ricevere, nel giorno di Pasqua, la benedizione Urbi et Orbi. Cosí il giorno dopo descrisse l'evento: «Ieri ero in prima fila con i pellegrini in Vaticano ed ho ricevuto la benedizione del Santo Padre (.). Era meraviglioso mentre sfilava di fronte a me portato sulla sua sedia gestatoria, non era né carne né sangue, ma un'anima candida vestita di bianco, un artista ed un santo (.). Non ho mai visto nulla di simile alla straordinaria grazia dei suoi modi; di tanto in tanto si sollevava probabilmente per benedire i pellegrini, ma certamente le sue benedizioni erano rivolte a me». In séguito cosí ricordò la figura di Leone XIII: «Quando vidi il vecchio bianco Pontefice, successore degli Apostoli e padre della Cristianità, portato in alto sopra la folla, passarmi vicino e benedirmi dove ero inginocchiato, io sentii la mia fragilità di corpo e di anima scivolare via da me come un abito consunto, e ne provai piena consapevolezza». A papa Pecci Wilde attribuí addirittura di averlo miracolato, facendolo guarire, dopo la benedizione pasquale, da una grave forma di dermatite: «Il Vicario di Cristo ha fatto tutto», dichiarò. Da quel momento iniziò ad andare molto spesso, durante il suo soggiorno romano, alle udienze pontificie. Alla luce di quanto affermato sebbene non si possa negare la condotta immorale che il poeta ebbe per gran parte della sua vita, bisogna ragionevolmente credere alla sincerità e alla legittimità della conversione di Wilde al cattolicesimo.
Nota di BastaBugie: per vedere il video di Luca di Tolve che racconta la sua esperienza a cui si è ispirato Povia, per informazioni sulla teoria riparativa (per uscire dall'omosessualità) e molto altro, clicca qui!
VIDEO "LUCA ERA GAY"
http://www.youtube.com/watch?v=iRX32u3qANM
Fonte: Avvenire, 2 marzo 2009
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NEW YORK: LEGGE CONTRO GLI ABUSI SESSUALI
Ma in realta' e' il solito attacco alla Chiesa
Autore: 13 marzo 2009 - Fonte:
«Crediamo che questa legge sia pensata per mandare in bancarotta la Chiesa cattolica». Dennis Poust, portavoce della Conferenza episcopale dello Stato di New York, va dritto al bersaglio. Nel mirino c’è il “Child Victims Act”, una legge che mira ad abolire temporaneamente la prescrizione nei casi di abuso sessuale sui minori compiuti nelle scuole e associazioni private e religiose. La proposta, in discussione la settimana prossima al Parlamento di Albany (Stato di New York), è rimasta per anni congelata. Ma le elezioni di novembre hanno riconsegnato il controllo dell’Assemblea ai democratici che subito hanno messo in calendario il Child Victims Act. La legge ha buone chance di essere approvata. Se il governatore David Paterson ratificherà il voto del Parlamento, centinaia di ricorsi per casi di abusi sessuali sui minori potranno essere accolti. Finora le rivendicazioni erano state respinte poiché giunte fuori tempo massimo. L’attuale legge infatti impone che qualsiasi denuncia avvenga non oltre i 5 anni da quando la presunta vittima ha compiuto 18 anni. Il nuovo testo prevede la sospensione della prescrizione per un anno (nel quale chiunque potrà denunciare fatti avvenuti decenni fa) e l’estensione a 10 anni del tempo entro il quale un maggiorenne può chiedere risarcimenti per aver subito abusi sessuali da bambino. Legislazioni simili sono state passate in Delaware e in California dove nel 2003 decine e decine di ricorsi e denunce sono costate quasi 1 miliardo di dollari fra danni e risarcimenti alla Chiesa. La settimana scorsa il cardinale di New York Edward Egan e il vescovo di Brooklyn Nicholas Di Marzio, si sono recati ad Albany per spiegare la loro contrarietà al provvedimento. La Chiesa di New York ha trovato preziosi alleati nella sua battaglia. Su tutti gli ebrei ortodossi sefarditi di Brooklyn e la New York Civil Liberties Union, potente associazione dei diritti civili. Secondo i critici la legge è iniqua e crea disparità. Essa infatti prevede la sospensione della prescrizione per gli abusi commessi nelle scuole private e religiose, mentre mantiene in vigore tutte le “protezioni” esistenti nelle normative statali per i dipendenti pubblici. Ad oggi infatti la denuncia di un impiegato pubblico deve avvenire entro 90 giorni dal compimento della maggiore età, contro i 10 anni previsti dalla normativa.
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PAPA SOTTO ATTACCO 1
Il Vicario di Cristo non e' solo
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: 2 Marzo 2009
Le nubi che si sono addensate su Papa Benedetto XVI e sulla Santa Sede dopo la revoca della scomunica contro i quattro vescovi della Fraternità San Pio X sono l’inquietante preannuncio di più gravi tempeste pronte a scatenarsi sulla Barca di Pietro. Iniziamo dai fatti. Nella Chiesa Cattolica esiste un “caso Fraternità San Pio X”, esploso il 30 giugno 1988, dopo la consacrazione di quattro vescovi (Bernard Fellay, Alfonso de Galarreta, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson), da parte di mons. Marcel Lefebvre. La Santa Sede considera tali consacrazioni valide, ma illegittime, perché avvenute contro la volontà pontificia. Il Codice di Diritto Canonico prevede in questi casi la scomunica “latae sententiae”. Questo provvedimento, formalmente dichiarato il 1 luglio 1988, è stato revocato, il 21 gennaio 2009 da un Decreto della stessa Congregazione per i Vescovi che lo aveva emanato. La Chiesa ha una sua legge interna, il Diritto Canonico, che regola la vita di ogni battezzato e, a maggior ragione, di ogni religioso e sacerdote. Di fatto, dal 1988, il movimento che fa capo ai quattro vescovi consacrati da mons. Lefebvre ad Ecône si muove al di fuori delle strutture ecclesiastiche e della legge canonica della Chiesa, amministrando in piena autonomia sacramenti come il Matrimonio e la Penitenza, che esigono un preciso mandato giurisdizionale. Il Papa, rimuovendo la scomunica, non ha sanato la confusa situazione canonica in cui si trova la Fraternità San Pio X, ma ha voluto dare un chiaro segno della sua buona volontà di risolvere il problema, nell’interesse della Chiesa universale. Si tratta innanzitutto di un problema di riconoscimento della suprema autorità di governo della Chiesa di Roma. «Con questo atto – si legge nel decreto – si desidera consolidare le reciproche relazioni di fiducia e intensificare e dare stabilità ai rapporti della Fraternità San Pio X con questa Sede Apostolica». L’intenzione del gesto è dichiarata dallo stesso Pontefice: facilitare la ricomposizione di una dolorosa frattura all’interno della Chiesa, chiedendo altrettanta buona volontà all’altra parte. È chiaro che si è trattato di un gesto unilaterale, che non risolve il “caso” della Fraternità San Pio X, ma si propone di favorirne la soluzione. Nessuno può dubitare della retta intenzione del Papa, e tanto meno del suo diritto, come Sommo Pontefice, di esercitare il suo potere all’interno della Chiesa. Il problema naturalmente non è soltanto di ordine giuridico. La situazione di anarchia canonica in cui versa la Fraternità ha la sua origine in due questioni di fondo che per molti anni sono rimaste irrisolte sul tappeto. Il problema della valutazione del Concilio Vaticano II e quello della legittimità della Messa secondo il Rito Romano Antico. Ma proprio a questi due problemi si riferiscono due tra gli atti più significativi del Pontificato di Benedetto XVI. Per circa quarant’anni, dopo la conclusione del Concilio Vaticano II, la teologia progressista ha affermato l’esistenza di una “discontinuità” tra la Chiesa “costantiniana” e l’era conciliare, inaugurata dal pontificato di Giovanni XXIII. Con l’epiteto spregiativo di “tradizionalisti”, ma anche di “lefebvriani”, venivano indicati tutti coloro che non rinunciavano alla Tradizione e volevano rimanere fedeli al Magistero perenne della Chiesa, ai suoi insegnamenti morali e ai suoi usi liturgici. Nel suo ormai storico discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, il Papa ha frantumato la mitologia progressista, affermando che il Concilio Vaticano II deve essere interpretato secondo l’ermeneutica della “continuità”, ovvero alla luce della Tradizione. Il Papa assicura dunque, e nessuno meglio di lui ha il diritto di farlo, che i documenti conciliari possono e debbono essere letti solo in coerenza con il Magistero immutabile della Chiesa. Ciò non toglie che il Concilio possa essere giudicato, sul piano storico, per le sue conseguenze all’interno della Chiesa. Il Motu Proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007 ha da parte sua ribadito che il Rito Romano non è mai stato abrogato e che ogni sacerdote ha il pieno diritto di celebrarlo, in qualsiasi parte del mondo. La Messa tradizionale è stata dunque pienamente riabilitata. Il decreto di revoca della scomunica è stato firmato il 21 gennaio, ma l’annuncio, anticipato da qualche indiscrezione, è stato reso ufficiale il 24 gennaio. Poche ore dopo la firma del documento, l’emittente pubblica svedese SVT mandava in onda un’intervista sul negazionismo dell’olocausto ebraico, registrata quasi tre mesi prima, a uno dei quattro vescovi mons. Richard Williamson. Si trattava di una bomba a orologeria innescata perché scoppiasse esattamente all’indomani del gesto di riconciliazione del Papa con la Fraternità San Pio X. A partire dal 25 gennaio, per circa due settimane, i giornali di tutto il mondo hanno sovrapposto il “caso Williamson” all’evento della revoca della scomunica. L’obiettivo non era mons. Williamson e neppure la Fraternità San Pio X, ma la persona stessa del Papa, colpevole di una ennesima “apertura” nei confronti del mondo tradizionale. La manovra mediatica montata a partire dall’intervista è analoga a quella messa in atto per squalificare Pio XII, accusato di collusione con il nazismo e i suoi crimini. Il sillogismo si presenta in questi termini: Papa Pacelli, ultimo esponente di una concezione arcaica e reazionaria della Chiesa fu complice del nazismo. Benedetto XVI, che vuole restaurare la Chiesa pacelliana, è complice di chi oggi, negando l’Olocausto, si fa erede dei crimini del nazismo. A nulla valgono le precisazioni della Santa Sede, che ricorda come la remissione della scomunica nulla ha che vedere con la legittimazione delle posizioni negazioniste, da Benedetto XVI chiaramente condannate. A nulla valgono le stesse dichiarazioni del superiore della Fraternità mons. Fellay, che ha imposto il silenzio a mons. Williamson ed espulso un sacerdote “negazionista” dalla Fraternità. Che cosa si esige da parte di coloro che affermano che, con il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha finalmente superato l’epoca dell’Inquisizione, dell’intolleranza e delle censura? Si pretende forse che la Chiesa aggiunga al Credo di Nicea, che ogni domenica viene recitato nelle chiese, l’articolo di fede nell’olocausto ebraico? Si chiede che nei confronti degli “eretici” che mettono in discussione il genocidio del popolo ebraico si applichino con severità quelle misure canoniche che sarebbe giudicate retrive e inammissibili se esercitate verso chi nega l’infallibilità o l’Immacolata Concezione della Madonna? Ciò che in realtà si esige dalla Chiesa non è la dissociazione dalle tesi “negazioniste”, che mai essa ha fatto proprie, ma la sua dissociazione dalla Tradizione e la rinuncia ad esercitare pubblicamente e con pienezza la sua missione di Governo e di Magistero. La missione della Chiesa non si esercita sui fatti storici e non si limita alla condanna dei crimini e dei genocidi. Custode della fede e della morale, la Chiesa risale agli errori ideologici che di quei crimini costituiscono le cause. Condannando, nel 1937, il comunismo con l’enciclica Divini Redemptoris e il nazionalsocialismo con la Mit Brennender Sorge, la Chiesa prevedeva le nefaste conseguenze che avrebbero avuto i sistemi totalitari, proprio mentre tanti altri Capi di Stato e di Governo democratici si illudevano di patteggiare con quei regimi. La Chiesa ebbe nei campi di concentramento nazisti i suoi martiri, come san Massimiliano Kolbe e santa Teresa Benedetta della Croce, e nella resistenza al nazismo i suoi eroi, come il beato cardinale Clemens August von Galen. Oggi un terribile olocausto è in atto, quello del popolo dei non nati, milioni di vittime sacrificate ogni anno, mediante aborto, agli altari dell’edonismo contemporaneo. La Chiesa denuncia le drammatiche conseguenze del relativismo contemporaneo, ma essa, invece di essere ascoltata, è posta sotto accusa e sottoposta a linciaggio mediatico. Eppure, in questo inizio di XXI secolo, la Chiesa Cattolica, rappresentata da Benedetto XVI, si erge come la sola autorità morale che possa parlare in termini di principi e di valori, di vita e di morte delle anime e dei corpi. È l’ora di un grande movimento di sostegno e di solidarietà verso il Capo della Chiesa, nella certezza che nuove e più drammatiche tempeste giungeranno, ma che niente e nessuno riuscirà a sopprimere questa voce che si leva verso l’eternità.
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PAPA SOTTO ATTACCO 2
I grandi difensori del Concilio e la Chiesa allo sbando
Autore: Gianteo Bordero - Fonte: 11 marzo 2009
C'è un passaggio, nella lettera che Papa Ratzinger ha inviato ai vescovi di tutto il mondo riguardo al caso Williamson e alla remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, che lascia trasparire tutta la sofferenza interiore e l'amarezza che il pontefice deve aver provato in queste ultime settimane a causa delle critiche e degli attacchi subìti per le decisioni da lui assunte nei confronti degli scismatici di Ecône. Scrive a un certo punto Benedetto XVI: «Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un'ostilità pronta all'attacco». Il Papa non fa - com'è ovvio - nomi né cognomi, ma è facile pensare che egli si riferisca a quegli episcopati europei che non hanno mancato di esprimere in forma ufficiale e pubblica la loro presa di distanze dalla scelta pontificia. Ma non solo, visto che larga parte della stessa pubblicistica cattolica non si è mostrata di certo entusiasta nel vedere «condonata» la scomunica i seguaci di monsignor Lefebvre. In più, si tengano a mente le dichiarazioni, le interviste, le prese di posizione di numerosi teologi che si sono affrettati a spiegare urbi et orbi che l'atto papale ha rappresentato un netto passo indietro nella storia della Chiesa. Un quadro davvero desolante, che però non deve stupire più di tanto. Esiste infatti a tutt'oggi, nella Chiesa cattolica, una sorta di «pensiero dominante» che si nutre di luoghi comuni ormai in voga da decenni, che venera anch'esso i suoi totem ideologici, che considera alla stregua di un reato di lesa maestà la messa in discussione dei suoi slogan «ecclesialmente corretti». Quasi inutile ribadire che tra questi luoghi comuni, tra questi totem, tra questi slogan, c'è quello della mitizzazione del Vaticano II, pensato come rifondazione della Chiesa, come rottura con una storia ritenuta infame, come presa di distanze da una tradizione da ripudiare. E' questo «pensiero dominante» che, sin dai primi mesi di pontificato ratzingeriano, diciamo sin dal discorso di Benedetto XVI alla Curia romana del dicembre 2005, riguardante la corretta ermeneutica del Concilio, ha soffiato sul fuoco della polemica, ha diffuso nell'opinione pubblica e nel mondo cattolico l'immagine falsata e artefatta di un Papa con lo sguardo tutto rivolto al passato, intento a restaurare ciò che il Vaticano II aveva superato, mosso unicamente da una ferrea e ostinata volontà conservatrice. Una «leggenda nera» anti-ratzingeriana, questa, che ha conosciuto una seconda fase di sostanziosa crescita nel luglio del 2007, al momento dell'emanazione del motu proprio Summorum pontificum, con il quale Benedetto XVI ha «liberalizzato» la celebrazione della Messa secondo il rito di San Pio V, definito forma straordinaria dell'unica liturgia cattolica (la cui forma ordinaria è quella fissata dal Messale riformato da Paolo VI nel 1970). A quella decisione seguirono dapprima vibrate proteste, e poi un vero e proprio ammutinamento da parte di sacerdoti ma soprattutto vescovi, fermamente intenzionati a non concedere (contravvenendo così allo stesso dettato del motu proprio) la Messa col rito antico ai fedeli che legittimamente ne facevano richiesta. E così arriviamo allo tsunami di polemiche di questi ultimi 40 giorni e alla lettera papale resa nota quest'oggi dalla Santa Sede. Una missiva che, se da un lato contiene il riconoscimento, da parte del Papa, di alcuni errori che potremmo definire «di gestione» dell'intera vicenda legata alla revoca della scomunica, dall'altro lato non fa che confermare ed esplicitare le ragioni e le motivazioni che hanno spinto Benedetto XVI a compiere un passo così importante: in primis la ricerca della «piena unità tra i credenti», compito specifico assegnato al successore di Pietro, come Ratzinger sottolinea nella seconda parte della missiva. Ma il nocciolo della lettera è in fondo, ancora una volta, rappresentato dalla questione dell'interpretazione del Vaticano II: Ratzinger fa direttamente riferimento a coloro che a parole si dicono «grandi difensori del Concilio» senza però comprendere che esso è in continuità con «l'intera storia dottrinale della Chiesa»: «Chi vuole essere obbediente al Concilio - scrive il Papa - deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l'albero vive». E' chiaro che, seguendo una lettura distorta del Vaticano II, i lefebvriani divengono i supremi rappresentanti di tutti coloro che si sono opposti alla rottura col passato e alla discontinuità con la storia della Chiesa operate dal Concilio. Ed è per questo che essi non dovrebbero in alcun modo essere riaccolti, appunto perché emblema di una Chiesa che non esiste più, spazzata via dal vento della rivoluzione conciliare. Osservare come questa mentalità abbia messo radici profonde e quanto essa ancora incida all'interno della comunità cattolica ha evidentemente amareggiato il Papa, che si è visto contestato proprio da coloro che invece dovrebbero essere i suoi collaboratori fedeli e obbedienti. Perciò, dopo aver puntualizzato che la revoca della scomunica si applica ai singoli e non all'istituzione, e che quindi la remissione operata a favore dei quattro vescovi lefebvriani non significa per ciò stesso la riappacificazione definitiva con la comunità San Pio X; dopo aver sottolineato che «da rappresentanti di quella comunità abbiamo sentito molte cose stonate - superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi»; ebbene, dopo tutto ciò Benedetto scrive: «Non dobbiamo forse ammettere che anche nell'ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l'impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi - in questo caso il Papa - perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo». Più chiaro di così... Concludendo: non sappiamo ancora come evolverà e quale esito finale avrà la revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Quello che però già oggi si può sottolineare - e la missiva ne è indirettamente la conferma - è l'evidenza di un ampio dissenso nei confronti del pontefice all'interno della Chiesa stessa, l'emergere di un contrasto (tra Papa da un lato e parte di vescovi e teologi dall'altro) che tocca una ferita ancora aperta e sanguinante nel corpo ecclesiale (appunto l'ermeneutica del Concilio), di cui la questione lefebvriana è solo una manifestazione. Da questo punto di vista, Benedetto XVI ha davvero scelto, con coraggio, di dare un significato audace e profondo al suo pontificato, ben al di là di quella «continuità con Giovanni Paolo II» che a molti sembrava l'unica ragion d'essere dell'elezione di Ratzinger al soglio di Pietro.
Fonte: 11 marzo 2009
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PAPA SOTTO ATTACCO 3
Poesia dedicata a Benedetto XVI
Autore: Padre Livio - Fonte:
Papa Benedetto sei di Maria il figlio prediletto.
Nell'ora dell'apparizione sei stato annunciato dal regale balcone.
Era di Maria l'accento quando ti sei professato insufficiente strumento
di quella vigna del Signore dove da tutta la vita sei umile lavoratore.
Per venticinque anni hai servito a fianco del nocchiero che in cielo è partito.
Gesù ha dato a te la guida nella quale l'umile gregge fermamente confida.
Il tuo sorriso paterno riscalda i nostri cuori nel gelido inverno.
La tua mano forte non ci fa temere le ombre delle morte.
La tua dottrina sicura è una grande luce in questa notte oscura.
Tu, buon Pastore, spiani la via alla venuta del Signore.
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LEGGE SUL FINE VITA
Ecco la vera posta dietro le proposte di emendamenti
Autore: Gian Luigi Gigli - Fonte: 13 marzo 2009
Destano perplessità i continui interventi con cui esponenti politici e lo stesso Beppino Englaro insistono per l’introduzione, nella legge sul testamento biologico, di emendamenti finalizzati a consentire la sospensione dell’idratazione e alimentazione. È lecito chiedersi se dietro tale insistenza non vi sia anche il tentativo di dare soluzione ai risvolti penali delle vicende udinesi. Non vi è dubbio che la morte per disidratazione di Eluana è avvenuta a seguito dell’esecuzione di un 'protocollo', in forza del quale si provvide non solo alla chiusura del sondino nasogastrico, ma anche alla deliberata esclusione di qualsiasi forma alternativa d’idratazione e alimentazione, senza nemmeno tentare una seria riabilitazione della deglutizione, indispensabile premessa per la ripresa dell’idratazione e alimentazione per bocca. Tuttavia, una condotta consistente nel privare una persona incapace d’idratazione e alimentazione sino a provocarne la morte non è consentita dall’attuale ordinamento e può configurare diverse ipotesi di reato (maltrattamenti in famiglia, omicidio ed omicidio del consenziente, istigazione o aiuto al suicidio), se pure con responsabilità diverse, a seconda dell’atteggiamento psicologico dell’agente e della sua eventuale convinzione di agire conformemente alla volontà dell’incapace (artt. 572, 575 e seguenti, e 580 del c.p.). Contro tali ipotesi, si sostiene la legalità delle condotte eseguite per lasciar morire Eluana, in quanto avvenute in applicazione del decreto della Corte di appello, al quale si è preteso di attribuire efficacia di sentenza passata in giudicato, esecutiva ed obbligatoria. Si tratta evidentemente di una tesi infondata. Il provvedimento, infatti, autorizzava solo l’interruzione dell’uso del sondino nasogastrico e non la morte per disidratazione di Eluana. Inoltre, è noto che i provvedimenti di volontaria giurisdizione sono meramente autorizzativi e che la loro emissione ed esecuzione può avvenire solo entro i limiti e nel rispetto delle leggi vigenti. Ne deriva che il soggetto che provveda all’esecuzione di quanto autorizzato risponde comunque della sua azione, ove contrasti con norme vigenti e inderogabili. Contrariamente alle tesi diffuse dal signor Englaro, dai suoi legali e pure, sorprendentemente, da alcuni alti magistrati, le condotte eseguite presso la 'Quiete' di Udine confliggono con norme penali inderogabili, e dovrebbero essere sufficienti a configurare l’elemento oggettivo di gravi reati. Ovviamente, la gravità della condotta illecita dovrebbe essere poi commisurata all’elemento soggettivo, anche in relazione allo specifico livello di preparazione giuridica e qualificazione professionale. Con le leggi penali vigenti, appare dunque da escludersi che si possa non procedere penalmente nei confronti di quanti hanno concorso, a vario titolo, al prodursi della morte di Eluana, al fine di accertarne le specifiche e personali responsabilità, pur tenendo conto dell’elemento psicologico e della condotta a ciascuno riferibile. Al contrario, ogni punibilità sarebbe esclusa dall’approvazione di una legge che consentisse di interrompere l’alimentazione e idratazione nei soggetti in stato vegetativo, mettendo una pesante pietra su un fatto che ha profondamente scosso, insieme alle coscienze, la certezza del diritto e la credibilità dell’Ordinamento giuridico italiano. Troverebbe, infatti, applicazione la norma secondo cui 'nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali' (art. 2, 2°, c.p.). Paradossalmente, l’illegalità delle condotte poste in atto presso la 'Quiete', è sottolineata proprio dal fatto che, se - per ipotesi - esse non fossero illecite, non vi sarebbe alcun bisogno di introdurre per legge la novità di una autorizzazione alla interruzione di idratazione e nutrizione, come gli emendamenti al ddl Calabrò si propongono di fare. Non è accettabile che siano equiparate a terapia, piuttosto che indispensabile soddisfacimento di bisogni fondamentali dell’essere umano, l’idratazione ed alimentazione di chi non possa provvedervi autonomamente e le cui condizioni siano tali che la morte consegua proprio dal mancato soddisfacimento di tali bisogni fondamentali. Quanti si affannano a mediare per 'migliorare' il testo in discussione al Senato dovrebbero valutare se, nella delicata materia, debba prevalere la non punibilità di chi ha compiuto un’azione estrema (non consentita dalle leggi vigenti, benché sbandierata come lecita), o non debbano piuttosto prevalere altri e più elevati valori.
Fonte: 13 marzo 2009
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IL MISSIONARIO PIU' FAMOSO D’ITALIA COMPIE 80 ANNI
La vera missione e' portare Gesu' Cristo
Autore: Roberto Beretta - Fonte: 10 marzo 2009
Qualcuno ha contestato che sia il «missionario più famoso d’Italia», come sta scritto sulla copertina del libro che ha regalato ai lettori per il suo anniversario: «Ho tanta fiducia» (San Paolo, pp. 228, euro 14; prefazione di Roberto Beretta). Ma di certo padre Piero Gheddo – che compie proprio oggi 80 anni – in oltre 50 anni di carriera, quasi 100 libri pubblicati, migliaia di articoli soprattutto per «Mondo e Missione» e per «Avvenire», trasmissioni in radio e alla Tv, è colui che dal Concilio in qui ha più di tutti dato voce nel nostro Paese all’esperienza dei missionari: quei 13.000 connazionali che testimoniano il Vangelo e promuovono una vita più umana in tutti i continenti. Missionario del Pime di Milano, protagonista di tante battaglie giornalistiche per il terzo mondo, padre Gheddo può contare tra i suoi maggiori vanti quello di non aver dimenticato la sua vocazione, anche se ufficialmente non è mai andato in missione (a parte ovviamente gli instancabili viaggi di documentazione compiuti in tutto il Sud del pianeta): si può dire infatti che nemmeno una riga della sua vastissima produzione non abbia tenuto presente la causa dell’annuncio del Vangelo. Egli stesso lo scrive oggi nel suo cliccatissimo blog, che appare sul sito www.missionline.org: «Compiendo gli 80 anni non cesso ancora di ringraziare Dio per questa vocazione. Aver detto di sì al Signore mi ha dato una vita serena, piena di entusiasmo e di gioia. Grazie a Dio, sono un uomo felice e realizzato, pur fra molte sofferenze e difficoltà. Il secondo motivo di questa gioia è che, visitando in 56 anni di sacerdozio tutti i continenti e un’infinità di popoli, di Paesi e di situazioni, mi sono reso conto della verità di quanto diceva la grande Madre Teresa: 'I popoli hanno fame di pane e di giustizia, ma soprattutto hanno fame e sete di Gesù Cristo'. Il più grande dono che possiamo fare ai popoli è l’annunzio della salvezza in Cristo e di testimoniarlo nella nostra vita». Ecco la nostra intervista. I miliardi di uomini che non conoscono Cristo non si salveranno? E perché mai? Il Vaticano II è molto chiaro. Dopo aver affermato «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità», il decreto Ad Gentes così continua ( n. 7): «Benché quindi Dio, attraverso vie che lui solo conosce, possa portare tutti gli uomini che, senza loro colpa, ignorano il Vangelo, a quella fede senza la quale è impossibile piacergli (Ebrei 11, 6), è compito imprescindibile della Chiesa, ed insieme suo sacrosanto diritto, diffondere il Vangelo». In altre parole, un conto è «chi senza sua colpa ignora il Vangelo» e può essere salvato «per vie che solo Dio conosce»; un conto è chi già è stato battezzato e rifiuta la Chiesa di Cristo per cercare altrove la salvezza. Ma solo Dio giudica (perché solo lui conosce il cuore dell’uomo) le vie percorse dai singoli uomini. Tutti i popoli hanno diritto di conoscere che anche per loro è nato il Messia, il Salvatore. Invece 4 o 5 miliardi di uomini e donne ancora non conoscono questa «buona notizia». Noi ci illudiamo dicendo che ovunque nel mondo la Chiesa locale è fondata, ma questo non significa che tutti gli uomini e tutti i popoli abbiano ricevuto il messaggio di salvezza. Però, sono anche convinto che un buon numero di uomini e donne, pur non conoscendo Cristo, vivono osservando i precetti della legge naturale che Dio ha messo nel cuore di ogni creatura e quindi Dio li salva «attraverso vie che lui solo conosce». Lo dico per concreta esperienza visitando molte giovani Chiese fra i popoli non cristiani, dove sento spesso dire che, in quel popolo, c’è molta «buona gente» che non è lontana da Cristo, pur essendo educata in altre religioni. E mi citano esempi di vite a servizio del prossimo anche fra i non cristiani. E allora, questo non basta per dire che, dunque, la missione alle genti diventa inutile, superflua? Assolutamente no, primo perché c’è il comando preciso dato da Gesù di andare in tutto il mondo e annunziare il Vangelo ad ogni creatura; secondo, perché tutti gli uomini e le donne hanno diritto di ricevere l’annunzio che è nato il Salvatore, il Messia. Se Gesù è nato per tutti vuol dire che tutti ne hanno bisogno non solo per la «salvezza eterna», ma anche per una vita più umana, personale, familiare, della società in cui vivono. La conversione a Cristo e al Vangelo migliora la vita dell’uomo perché comunque lo avvicina a quel modello di «uomo nuovo » divino- umano che è Cristo. Non è il momento di finirla con i missionari, che vogliono far cambiare religione a chi sta benissimo com’è? Credo che in Italia non si abbia un’idea precisa di cosa vuol dire «paganesimo». I popoli che vivono secondo lo stato di natura non vivono «benissimo», tutt’altro! E lo stesso si potrebbe dire dei popoli con alcune religioni organizzate: credono in Dio, ma pensano che sia lontanissimo nell’alto dei Cieli; che non si interessi dell’uomo, sia irraggiungibile, inconoscibile, imprevedibile. La vita degli uomini e il mondo sono governati dagli spiriti buoni e cattivi, ai quali bisogna fare sacrifici e non violare i loro tabù. Ovvio: si può pensare che, se questa è la loro religione, va rispettata punto e basta. D’accordo, ma io chiedo: perché privare alcuni popoli e culture della fortuna (per chi ci crede si tratta appunto di una grazia) di conoscere il Vangelo? Forse il concetto non è facile da capire, per noi che viviamo in Italia e giudichiamo gli altri popoli e continenti in base alla nostra esperienza. I missionari che vivono a lungo fra le popolazioni africane e nella Papua Nuova Guinea, come fra i tribali asiatici (penso a quelli della Birmania), toccano con mano che quelle religioni animiste non portano la pace e la serenità del cuore, ma spesso generano il terrore e uno stato di continua paura. L’annunzio di Cristo ha proprio questo significato: liberare gli uomini dalla paura del mistero, dando loro la certezza che Dio è Padre che ama e perdona, che si è fatto uomo per salvarci, è sempre in noi e vicino a noi. L’uomo per crescere ha bisogno di amore e solo il cristianesimo, dopo la rivelazione di Cristo, insegna e testimonia che Dio è amore. D’altra parte anche noi italiani, diventando meno cristiani, torniamo al paganesimo e finiamo per credere ai maghi, agli oroscopi, al malocchio, ai morti che parlano, agli indovini, ai negromanti. Ecco, la Chiesa e i missionari annunziano la salvezza e la liberazione in Cristo per dare a tutti gli uomini e a tutti i popoli la Buona Notizia, liberandoli dalla paura della morte, dal peccato e da ogni timore dei misteri che circondano il genere umano.
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