BastaBugie n�71 del 20 febbraio 2009
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ORRORE IN SCOZIA
Bimbi sottratti ai nonni cinquantenni per darli ad una coppia gay
Autore: Erica Orsini - Fonte: 29 gennaio 2009
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L’ASSURDITÀ DEL DARWINISMO SOCIALE
Quando Darwin chiedeva di evitare il matrimonio per poveri e malati
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: 11 febbraio 2009
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CONTINUA LA POLEMICA SCATENATA DALLA REVOCA DELLA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI
Autore: Cristiana Vivenzio - Fonte: 28 Gennaio 2009
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CINA: AZIENDE CHIUSE E DISOCCUPAZIONE, CRESCE LA PROTESTA
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: 15 gennaio 2009
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CINA: LICENZIATI DOPO 10 ANNI, ORA COLTIVANO
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: 15 gennaio 2009
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CINA: CITTADINI PER LA DEMOCRAZIA, MA IL REGIME FERMA I PROMOTORI
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: 15 gennaio 2009
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CINA: LA CHIESA ASSISTE I POVERI, LE AUTORITA' FINGONO DI NON VEDERE
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: 15 gennaio 2009
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SONO IN MALA FEDE COLORO CHE EQUIPARANO LA MORTE DI ELUANA A QUELLA DI GIOVANNI PAOLO II
Fonte: 06 febbraio 2009
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LA CHIESA TANTO VILIPESA E' LA STESSA CHE HA ABBRACCIATO ELUANA IN QUESTI 17 ANNI CON L'AMORE MATERNO DELLE SUORE
Autore: Antonio Socci - Fonte: 10 febbraio 2009
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ORRORE IN SCOZIA
Bimbi sottratti ai nonni cinquantenni per darli ad una coppia gay
Autore: Erica Orsini - Fonte: 29 gennaio 2009
Meglio adottati da una coppia gay che dai loro nonni. Due bimbi scozzesi, fratello e sorella di cinque e quattro anni, sono stati tolti dai servizi sociali di Edimburgo ai loro nonni naturali e stanno per venir adottati definitivamente da una coppia omosessuale ritenuta più adatta agli interessi dei bimbi. Per la legge infatti i genitori della madre dei piccoli, che da tempo non è in grado di occuparsene perché eroinomane, sono troppo vecchi per crescere i nipoti. Cinquantanove anni lui, quarantasei lei, i signori, la cui identità non è stata rivelata ai giornali, hanno lottato per due anni per riottenere la custodia dei bimbi fino all’esaurimento di tutte le loro risorse finanziarie. Quando non sono più stati in grado di pagare le spese legali hanno dovuto desistere rassegnandosi all’ipotesi di un’adozione. Di certo però, non si aspettavano che ad adottare i nipoti sarebbero stati due uomini. Come hanno raccontato ieri al tabloid inglese Daily Mail, sapevano che in lista d’attesa per l’adozione c’erano anche molte coppie eterosessuali e la decisione di dare la priorità ad una coppia gay è parsa loro profondamente squilibrata. Eppure, quando il nonno ha osato protestare, sembra gli sia stato detto che nel caso si fossero rivelati ostili a questa decisione non avrebbero più rivisto i bambini. «Mi si spezza il cuore a pensare che i nostri nipoti siano costretti a crescere in un ambiente familiare privo di una figura materna - ha spiegato il nonno affranto - noi non abbiamo pregiudizi nei confronti dei gay, ma sfido chiunque a spiegarmi come una simile scelta possa rivelarsi la migliore nei confronti dei piccoli». Gli stessi operatori dei servizi sociali hanno dovuto ammettere che, soprattutto la bambina, non si trova particolarmente a proprio agio con gli uomini e quindi l’inserimento in una famiglia tutta maschile potrebbe essere più problematica per lei. Il caso ha già sollevato feroci polemiche in Scozia, un Paese dove alle coppie omosessuali è stato consentito di adottare nel 2006, nonostante una consultazione pubblica avesse chiaramente rivelato che il 90 per cento della popolazione era contro un simile provvedimento. Ora, l’opinione pubblica inizia ad interrogarsi su quale livello di interferenza nella vita privata e familiare sia accettabile da parte delle autorità locali. Soprattutto quando i protagonisti sono dei minori. I più critici hanno sottolineato che di questi tempi, alcune autorità locali hanno negato il diritto all’adozione a coppie di fumatori o di obesi, ma hanno sostenuto fortemente l’affido e l’adozione per le coppie gay sebbene gli studi scientifici abbiano dimostrato che un bambino cresce meglio in una famiglia tradizionale composta da un padre e da una madre. Ieri anche un portavoce della chiesa cattolica ha condannato la decisione delle autorità di Edimburgo. «Si tratta di una scelta devastante - ha dichiarato - che avrà un grave impatto sul benessere dei bambini coinvolti».
Fonte: 29 gennaio 2009
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L’ASSURDITÀ DEL DARWINISMO SOCIALE
Quando Darwin chiedeva di evitare il matrimonio per poveri e malati
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: 11 febbraio 2009
Martedì 10 febbraio, nel corso della presentazione in Sala Stampa vaticana della Conferenza internazionale su “Evoluzione biologica: fatti e teorie”, monsignor Gianfranco Ravasi ha sollevato il problema dell’assurdità delle teorie che si rifanno al “darwinismo sociale”. Il Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura ha voluto ricordare “il trapasso che l’evoluzione ha subito diventando evoluzionismo”. “La teoria scientifica da discutere secondo lo statuto scientifico – ha spiegato – si è trasformata progressivamente in un sistema ideologico interpretativo dell’intera realtà umana, passando oltre – perciò – il suo ambito specifico. Ed ecco, per esempio, il sorgere di quella assurdità, a mio avviso, che è il darwinismo sociale”. Il darwinismo sociale è quella teoria che trasferisce e giustifica la lotta per la sopravvivenza e la selezione del più forte in ambito umano e comunitario. Questa teoria ha favorito la diffusione di teorie eugenetiche e razziste. Nel suo volume “L’Origine dell’uomo” (1871), Charles Darwin scriveva: “L’uomo ricerca con cura il carattere, la genealogia dei suoi cavalli, del suo bestiame e dei suoi cani, prima di accoppiarli; ma quando si tratta del suo proprio matrimonio, di rado o meglio mai, si prende tutta questa briga”. “Eppure l’uomo potrebbe mediante la selezione fare qualcosa non solo per la costituzione somatica dei suoi figli, ma anche per le loro qualità intellettuali e morali. I due sessi dovrebbero star lontani dal matrimonio, quando sono deboli di mente e di corpo; ma queste speranze sono utopie, e non si realizzeranno mai, neppure in parte finché le leggi dell’ereditarietà non saranno completamente conosciute”. “Chiunque coopererà in questo intento – sottolineava – renderà un buon servigio all’umanità”. “Il progresso del benessere del genere umano – spiegava Darwin - è un problema difficile da risolvere; quelli che possono evitare una grande povertà per i loro figli dovrebbero astenersi dal matrimonio, perché la povertà non è soltanto un gran male, ma tende ad aumentare poiché provoca l’avventatezza del matrimonio”. “D’altra parte – concludeva l’autore inglese – come ha notato Galton, se i prudenti si astengono dal matrimonio, mentre gli avventati si sposano, i membri inferiori della società tenderanno a soppiantare i migliori”. Francis Galton (1822-1911), scienziato britannico e cugino di Charles Darwin, noto soprattutto per le sue ricerche in antropologia e i suoi studi sull'ereditarietà, sviluppò la teoria della selezione della razza attraverso l’eugenetica.
Fonte: 11 febbraio 2009
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CONTINUA LA POLEMICA SCATENATA DALLA REVOCA DELLA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI
Autore: Cristiana Vivenzio - Fonte: 28 Gennaio 2009
Intervista a don Salvatore Vitiello: "Unire il mondo cattolico non significa non essere dalla parte degli ebrei".
Non accenna a chiudersi la polemica scatenata dalla revoca della scomunica a quattro vescovi lefebvriani annunciata da Benedetto XVI. Nonostante ieri il superiore dei lefebvriani, Bernard Fellay, abbia invocato il "perdono" al Papa e "a tutti gli uomini di buona volontà", imponendo allo stesso tempo al contestato vescovo negazionista, Richard Wiliamson, un rigoroso silenzio su "questioni politiche e storiche". E' notizia delle ultime ore, infatti, che il rabbinato d'Israele abbia rotto indefinitamente i rapporti ufficiali con il Vaticano, Vaticano cui chiedeva un gesto di netta presa di distanza dalle dichiarazioni del "vescovo negazionista". Il Papa ha risposto, dichiarando la sua "incondizionata solidarietà ai fratelli ebrei". La situazione è politicamente scottante, ma dal punto di vista della teologia perfettamente lineare. Così almeno la giudica don Salvatore Vitiello, docente di Teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, al quale abbiamo chiesto di lasciar da parte le polemiche politiche, per addentrarci di più sulle questioni dottrinali. Cominciamo da lontano. Cosa è e cosa implica la revoca della scomunica? La scomunica è la più grave pena che possa essere comminata dalla disciplina ecclesiastica e consiste nella dichiarazione che un determinato fedele, per gli atti compiuti o per la dottrina a cui esplicitamente aderisce, non è più “in piena comunione” con la Chiesa cattolica. In base al Canone n. 1382 del Codice di Diritto Canonico, incorre in tale sanzione il Vescovo che consacra altri Vescovi senza il mandato pontificio, e la pena riguarda sia il Vescovo consacrante, sia coloro i quali si sono lasciati consacrare in tale situazione. Questo è esattamente il caso delle consacrazioni episcopali avvenute il 30 giugno 1988 ad opera di S.E. Mons. Marcel Lefebvre. E perché ha riguardato solo i vescovi e non i sacerdoti e i fedeli che seguono la Fraternità Pio X? La scomunica è sempre personale, non si comminano “scomuniche di massa”, pertanto riguarda solo i menzionati presuli, e non il resto dei sacerdoti e fedeli laici della fraternità. È necessario ricordare ancora che i quattro vescovi, che non sono più scomunicati, rimangono tuttavia “sospesi a Divinis”, cioè i loro atti sacramentali, pur validi, rimangono illeciti finché non ci sarà la piena riconciliazione con la Chiesa Cattolica. Ora, allora, iniziamo a entrare nello specifico della revoca. L’atto di revoca della scomunica è un passo importante nel cammino verso la piena comunione, non solo di fede, che sostanzialmente non è mai venuta meno, ma soprattutto giuridica. Basti pensare che, ormai oltre quaranta anni fa, furono revocate le scomuniche nei confronti dei fratelli ortodossi, ma la comunione, a tutt’oggi, non è ancora piena. Con la revoca si è parlato di una mano tesa del Papa, ma da parte dei tradizionalisti ci devono essere ulteriori passi, quali? Certamente la piena sottomissione al Sommo Pontefice, come del resto hanno già espresso, che include anche gli aspetti giurisdizionali: il Papa gode, infatti, di una potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente (cf. Can. 331 C.I.C.), e quindi dovrà esercitarla anche sulla Fraternità san Pio X. Inoltre, ed è forse l’aspetto più sensibile a livello mediatico, la Fraternità dovrà accogliere i Testi ufficiali (che sono quelli in lingua latina) del Concilio ecumenico Vaticano II, interpretati alla luce di tutta la Tradizione bimillenaria della Chiesa cattolica, e non certamente secondo lo “spirito” di qualche teologo e, meno ancora, della cultura dominante. Le polemiche - dure - da parte del mondo ebraico in particolare per le inaccettabili tesi negazioniste di uno dei vescovi "riabilitati" erano in qualche modo prevedibili. Perché Benedetto XVI ha corso un rischio così alto, soprattutto se si pensa che, in fondo, il numero degli scismatici lefebvriani è molto ridotto, in rapporto al popolo cristiano? Le scelte ecclesiali di un Pontefice non possono obbedire a criteri di carattere numerico o politico, questi sono criteri mondani dai quali è necessario, con radicalità ed urgenza, liberarsi nel guardare al Corpo di Cristo che è la Chiesa. Togliere la scomunica, inoltre, non significa affatto “canonizzare” una persona o il suo pensiero. Le tesi negazioniste sono e rimangono assolutamente incondivisibili, ma si tratta di mere opinioni personali, suscettibili, è da sperare, di profonda revisione, che non possono essere valutate come determinanti la concessione o meno della remissione della scomunica. Ma allora perché Papa Benedetto ha voluto compiere un gesto così politicamente spinoso proprio in un momento tanto delicato dei rapporti tra il Vaticano e il mondo ebraico? In verità, la scelta di Sua Santità Benedetto XVI è in piena continuità con i passi esplicitamente voluti ed attuati dal Servo di Dio Giovanni Paolo II, di felice memoria, il quale volle l’istituzione della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ad hoc per i fedeli della Fraternità san Pio X e per tutti coloro che si riconoscevano nella celebrazione del rito cosiddetto di San Pio V. E’ quindi una scelta in piena continuità effettiva ed affettiva, con il precedente pontificato. "Un frutto del Concilio Vaticano II": così sull'Osservatore Romano è stato definita la revoca della scomunica, mentre la parte "progressista" della Chiesa dice il contrario, parlando di un tradimento del Concilio. Dove sta la verità? Ci può spiegare bene cosa c'è in gioco in questa mano tesa ai tradizionalisti proprio rispetto alla visione di Benedetto XVI del Concilio Vaticano II? Innanzitutto le categorie di “progressisti” e “tradizionalisti” sono ancora categorie politiche e storiche che mal si adattano alla Chiesa cattolica. Nella Chiesa siamo tutti tradizionalisti, nel senso che amiamo e viviamo nell’ininterrotta tradizione ecclesiale che ci fa essere Corpo unico da duemila anni e, nel contempo, siamo tutti “progressisti”, perché protesi verso il futuro, che è Cristo, e verso l’avvento definitivo del Suo Regno, già presente nel mondo attraverso la Chiesa cattolica. Non di meno stupisce che proprio da coloro che, appellandosi al Concilio Vaticano II, desiderano l’eliminazione di ogni condanna e di ogni scomunica nella Chiesa, in nome di un certo irenismo, si abbia un atteggiamento tanto ostile nei confronti della Fraternità San Pio X. Un vero cattolico, qualunque sia la sua sensibilità teologica e liturgica, non può che gioire del fatto che tanti fratelli, soprattutto se vescovi o sacerdoti, desiderino ritornare nel seno fecondo della Santa Madre Chiesa. Il resto è vana polemica e, mi si permetta, ideologia che mostra il proprio volto intollerante. Riguardo al Concilio Vaticano II, il Santo Padre ha espresso la propria valutazione nello storico discorso (che tutti dovremmo studiare bene) del 22 dicembre 2005, rivolto alla Curia Romana. La questione non è, ovviamente, sui Testi del Concilio, in se stessi, ma sull’ermeneutica, cioè sulla loro corretta interpretazione. Il Papa ha individuato due ermeneutiche: quella della discontinuità e della rottura e quella della continuità e della riforma. Per intenderci la prima afferma che il Vaticano II sarebbe stato “un nuovo inizio della Chiesa”, mentre la seconda attesta la riforma della Chiesa in continuità con la Tradizione precedente. Il Santo Padre ha affermato esplicitamente che la prima interpretazione, talvolta apparentemente maggioritaria, soprattutto ad opera dei media, è errata ed ha portato confusione nella Chiesa e nei fedeli, mentre la seconda è quella corretta e, lentamente, sta portando frutti. E in questo senso, si può dire che già col Motu proprio che ha liberalizzato il rito tridentino il Papa ha voluto salvaguardare la Tradizione, la liturgia e la libertà nella Chiesa? Certamente, e forse di più. Il Motu Proprio ci dice che non esistono due riti differenti, ma un unico rito latino, in due forme, una ordinaria e l’altra straordinaria, le quali, nel tempo, dovranno fecondarsi reciprocamente. Ogni autentico liberale, non può che gioire del fatto che ci sia una “possibilità in più” nella liturgia della Chiesa. Del resto, i cari fratelli orientali, con cui spesso il dialogo è tanto intenso e fecondo, hanno almeno tre differenti forme di celebrare, per esempio, l’unico rito bizantino. La Chiesa non deve mai dividersi, per mere questioni rituali, a meno che esse non implichino una differente soggiacente concezione teologica sostanziale. Cosa che assolutamente non accade, né potrebbe accadere, per l’utilizzo di un Rito, detto di san Pio V, ma in realtà di Gregorio Magno, che ha prodotto enormi frutti nella vita e nella santità della Chiesa.
Fonte: 28 Gennaio 2009
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CINA: AZIENDE CHIUSE E DISOCCUPAZIONE, CRESCE LA PROTESTA
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: 15 gennaio 2009
Quest’anno le vacanze per il Capodanno cinese sono cominciate molto prima del consueto. A pochi mesi dalle Olimpiadi, pensate come celebrazione della superba grandezza della nazione, le stazioni ferroviarie e i terminal degli autobus si sono riempiti di contadini che a milioni lasciano le città, dove erano giunti anni fa in cerca di lavoro, per passare le feste con i familiari. Ma questa volta non torneranno indietro, perché sono stati licenziati e addirittura lasciati per mesi senza salario. Il miracolo economico che ha impressionato il mondo intero almeno per loro si è trasformato in un grande fallimento. Per la prima volta dagli anni ’90, la locomotiva cinese perde colpi. Dopo decenni di crescita economica al 10% (il 2007 ha fatto segnare un +13% da record, che portato al sorpasso della Germania come terza potenza mondiale), il 2008 si è chiuso al 9% e le previsioni per il 2009 sono al 7 o perfino al 6,5%, le cifre più basse dal 1990. I tanti 'adoratori' del gigante asiatico avevano predetto un’ascesa continua fino al 2020; e ritenevano che Pechino non avrebbe risentito della crisi mondiale. Invece, il Paese che ha costruito la sua ricchezza sulle esportazioni e sul suo status di 'fabbrica del mondo' si trova oggi di fronte a un calo degli ordini e degli investimenti. Nell’ultima rilevazione mensile, la produzione industriale è aumentata solo del 5,4% e gli investimenti dall’estero sono scesi del 36,5%. La borsa cinese è crollata del 70% in un anno e il mercato edilizio, una volta ruggente, oggi risente pesantemente della congiuntura. Studenti, pensionati e impiegati, che nel mercato finanziario avevano investito i loro pochi soldi (perfino le borse di studio), si trovano ora in gravi difficoltà. Il segnale più preoccupante è dato dalla chiusura delle fabbriche nelle regioni che hanno creato la ricchezza del Paese. Nel Guangdong, spina dorsale della produzione, in un anno hanno cessato l’attività quasi 100mila stabilimenti. Alcune società si sono trasferite nelle zone più interne, ma la maggioranza ha spento i macchinari dall’oggi al domani, e i loro manager sono fuggiti senza pagare le ultime mensilità agli operai. Lo stesso avviene nel delta del fiume Yangtze. Le aziende più colpite sono quelle tessili, di giocattoli e automobilistiche, che risentono della riduzione della domanda mondiale. Secondo cifre diffuse dal Consiglio di Stato, nel 2008 sono state chiuse complessivamente 670mila stabilimenti. Il buio scenario che si prepara è una valanga di disoccupati e di rivolte sociali. Si calcola che nel 2009 vi saranno almeno 33 milioni di persone senza lavoro. Fra essi, anche 6 milioni di laureati. Perfino l’agenzia Xinhua, che di solito minimizza questo tipo di problemi, la scorsa settimana ha scritto che «nel 2009 la società cinese dovrà fare fronte a conflitti e scontri che metteranno a dura prova le capacità di gestione del Partito e del governo a tutti i livelli». Dopo anni di sviluppo selvaggio e di vero schiavismo ai danni di lavoratori migranti – reclutati senza contratto, senza assistenza sanitaria, senza pensione e con paghe misere – lo scorso anno il governo ha introdotto alcune regole sindacali per tutte le fabbriche statali e straniere. Il risultato sono stati scioperi, occupazioni, citazioni in giudizio e tafferugli con la polizia, perché i manager erano riluttanti ad adattarsi alle nuove norme, per loro svantaggiose. Secondo il ministero della Pubblica sicurezza, gli 'incidenti' legati al lavoro (scioperi, manifestazioni, pestaggi) nel 2008 «sono aumentati del 90%», arrivando a circa 85mila episodi. Si sono registrati scontri nel Guangdong, nell’Henan e nel Jiangsu, tutti motivati dal fatto che gli imprenditori volevano chiudere gli stabilimenti senza pagare i dipendenti. A Zhangmutou (Guangdong), il governo locale ha perfino accettato di versare la liquidazione agli operai per fare terminare le violente proteste, sborsando 24 milioni di yuan (circa 2,4 milioni di euro). In altre zone si sono avuti pestaggi e arresti. Il ritorno dei lavoratori nei propri villaggi significa più povertà per le campagne, già provate da uno sviluppo squilibrato a favore delle città: mancano l’acqua potabile, le scuole, le strutture sanitarie. Il governo teme che decine di milioni di migranti portino nelle aree rurali gli stessi conflitti vissuti in contesto urbano, accresciuti da una maggiore frustrazione per l’inquinamento e i sequestri delle terre, nonché dal risentimento per aver visto la ricchezza concentrata nelle mani di pochi, mentre loro saranno costretti a vivere con un reddito medio di 100 euro l’anno. L’allarme è ormai lanciato e il Partito ha dato direttive a tutte le autorità locali affinché «strappino i germogli [della rivolta] sul nascere», senza farli propagare altrove, e «mantengano la stabilità». Per rabbonire la massa inquieta di 120 milioni di persone che rischiano di dovere tornare nelle zone di origine, il premier Wen Jiabao ha promesso ospedali, nuove scuole nelle campagne e alfabetizzazione per tutti. Ma questi annunci vengono ripetuti da almeno 6 anni e la situazione nelle regioni rurali continua a peggiorare. La differenza di reddito si fanno insopportabili: quello delle città è fino a 17 volte quello delle campagne. Il presidente Hu Jintao, che finora ha osannato «la società armoniosa» – ovvero, l’auspicata distribuzione equa del benessere e della ricchezza – ormai parla solo di «stabilità» e di salvaguardia della leadership del Partito. Ai tribunali si danno direttive ferree: devono sostenere a priori il Partito e la «stabilità», evitando di prendere in considerazione le denunce della popolazione. Nelle campagne, perfino gli esperimenti di democrazia 'guidata' (elezione dei capi-villaggio) sono stati fermati. I poveri migranti che con il loro sudore (e il loro sangue) hanno creato la ricchezza della Cina contemporanea non devono nemmeno fiatare.
Fonte: 15 gennaio 2009
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CINA: LICENZIATI DOPO 10 ANNI, ORA COLTIVANO
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: 15 gennaio 2009
Nong Xiumei, 36 anni, e suo marito Zhao Zhengrong, 39, hanno lavorato per oltre 10 anni nel delta del Fiume delle Perle, presso Shenzhen. Fino a pochi mesi fa i ritmi erano pesanti: 12 ore di lavoro, pochissime vacanze. Ma l’azienda di scarpe in cui erano occupati ha chiuso perché mancavano ordini dall’estero. Dapprima sembrava che, oltre al lavoro, avrebbero perso anche il salario arretrato. Poi il governo locale è intervenuto e sono riusciti a portare un po’ di denaro a casa. Ora dovranno vivere con 200 yuan (20 euro) al mese lavorando la terra. Non hanno pensione o assegno di disoccupazione. In altre province i governi locali hanno venduto i terreni del villaggio per far costruire nuovi impianti industriali (e intascare il denaro). Ora le industrie stentano e non vi è terra coltivabile. Nel Guangdong almeno altri 8 milioni di migranti sono stati licenziati. Ma alcuni hanno provato a lottare. A Dongguan, lo scorso novembre, duemila operai hanno occupato la fabbrica di giocattoli Kaida, distruggendo gli uffici e attaccando la polizia. L’azienda, senza commesse, ha deciso di ridurre del 25% le paghe e si appresta a licenziare. A Dongguan, fino all’anno scorso, si assumeva con stipendi fino a 1000 yuan al mese. Oggi vi sono cartelli con scritto: «Fabbrica in vendita».
Fonte: 15 gennaio 2009
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CINA: CITTADINI PER LA DEMOCRAZIA, MA IL REGIME FERMA I PROMOTORI
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: 15 gennaio 2009
Il 2008 doveva essere l’anno fortunato della Cina, segnato dalle Olimpiadi di Pechino. Invece, il massacro dei tibetani, il terremoto del Sichuan e l’inizio della crisi hanno trasformato, per alcuni aspetti, il 2008 in un anno orribile. Il 2009 non sarà da meno: le tensioni che si preannunciano a causa delle difficoltà economiche saranno rinfocolate da altri anniversari: il 4 giugno saranno infatti 20 anni dal massacro di Tiananmen e dall’eliminazione del movimento prodemocratico, con l’uccisione di centinaia e forse migliaia di studenti e operai. Saranno anche i 60 anni dalla fondazione della Repubblica popolare cinese che, da governo «dal popolo e per il popolo», si è trasformata in una dittatura che soffoca ogni sussulto a favore dei diritti umani. Ma la società civile è sempre più in fermento. Proprio per celebrare tutti questi anniversari e per rendere 'il popolo' davvero protagonista dello sviluppo del Paese, l’8 dicembre scorso 303 cittadini cinesi hanno lanciato un documento chiamato 'Carta 08', in cui chiedono alle autorità di trasformare il sistema autoritario e corrotto in un modello democratico e rispettoso di tutti i diritti umani, compresi i diritti del lavoro e la libertà religiosa. Fra i firmatari di 'Carta 08' vi sono intellettuali di molte università, ma anche imprenditori e semplici cittadini. Non pretendono di costituire un partito, vogliono che si inneschi un movimento di trasformazione culturale che porti la Cina a un cambiamento radicale, nel rispetto della democrazia, della proprietà privata, delle minoranze (compresi Tibet e Taiwan). Solo in questo modo il Paese, invece di essere un pericolo per il mondo, contribuirà a un nuovo capitolo della civilizzazione mondiale. La risposta del potere non si è fatta attendere: almeno 100 dei firmatari sono stati fermati, interrogati e minacciati a Pechino, Shanghai, Liaoning e in numerose altre città. Uno di loro, l’intellettuale Liu Xiaobo, è detenuto in un luogo sconosciuto; il documento è stato oscurato dai siti Internet e i media hanno la proibizione di parlarne. Intanto, però, le adesioni al documento sono salite a 7mila.
Fonte: 15 gennaio 2009
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CINA: LA CHIESA ASSISTE I POVERI, LE AUTORITA' FINGONO DI NON VEDERE
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: 15 gennaio 2009
La Chiesa cattolica cinese è da tempo impegnata a favore dei poveri del Paese. Ben prima che la crisi economica si manifestasse, i cristiani delle città hanno aperto le loro sedi ai migranti bisognosi di tutto: cibo, medicine, assistenza e scuole. Diverse diocesi del Guangdong offrono ospitalità e alfabetizzazione ai migranti venuti a lavorare nelle metropoli del sud; altre hanno piccoli dispensari dove suore e dottori si offrono per visite mediche gratuite o a costi ridotti. Alcune diocesi lavorano a progetti di sviluppo nelle campagne, aiutando i contadini a migliorare la produzione agricola, a scavare pozzi per l’acqua potabile o l’irrigazione, mentre permettono ai bambini di frequentare le scuole senza oneri. Di norma queste attività non sarebbero permesse alle Chiese e ai gruppi religiosi, ma lo sviluppo economico selvaggio cui è stata sottoposta la Cina lascia esclusi troppi poveri e infligge troppe ferite di cui i governi non hanno tempo e forze per occuparsi. Allora chiudono volentieri un occhio perché altri risolvano problemi che altrimenti potrebbero degenerare. Un esempio ancora più vivo è quello del terremoto del Sichuan, il 12 maggio scorso, che ha fatto oltre 80mila morti e ha privato di un tetto milioni di persone. Pur con il controllo dell’esercito e della polizia, molti cristiani da Shanghai, Shaanxi, Pechino e Hebei si sono mossi per andare a portare cibo, medicine, conforto psicologico e spirituale alle vittime, vivendo fianco a fianco per settimane e organizzando turni che sono proseguiti per mesi.
Fonte: 15 gennaio 2009
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SONO IN MALA FEDE COLORO CHE EQUIPARANO LA MORTE DI ELUANA A QUELLA DI GIOVANNI PAOLO II
Fonte 06 febbraio 2009
''Uccidere una persona innocente e' andare contro il quinto comandamento, che dice non ucciderai. E chi va contro il quinto comandamento e uccide commette un assassinio'': lo ha affermato in una intervista al quotidiano spagnolo El Mundo, interrogato sul caso Eluana, il cardinale messicano Javier Lozano Barragan, presidente del consiglio pontificio per la pastorale della salute. Secondo il 'ministro della sanita'' del Vaticano, nel caso di Eluana non si tratta di ''accanimento terapeutico'': ''acqua e cibo non sono medicine, non fanno parte dell'accanimento terapeutico''. Barragan ha escluso un qualsiasi parallelo con la morte di Giovanni Paolo II, che ''lasciarono morire in pace'', secondo l'intervistatore. ''Ero accanto a Giovanni Paolo II e so bene che cosa e' successo'' ha risposto il cardinale. ''Lui rinuncio' non all'idratazione e all'alimentazione, ma all'accanimento terapeutico. Quando gli venne detto che l'avremmo trasferito all'ospedale Gemelli, le sue parole testuali furono: 'Perche'? Mi guariranno li? Faranno qualcosa che attenui il dolore? No, non e' vero? Quindi resto a casa'''. ''E' molto diverso - ha sottolineato - dal rinunciare al cibo e all'acqua''.
Fonte: 06 febbraio 2009
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LA CHIESA TANTO VILIPESA E' LA STESSA CHE HA ABBRACCIATO ELUANA IN QUESTI 17 ANNI CON L'AMORE MATERNO DELLE SUORE
Autore: Antonio Socci - Fonte: 10 febbraio 2009
Il signor Beppino Englaro a “El Pais” aveva dichiarato: “la Chiesa non mi può imporre i suoi valori”. Ma la Chiesa non imponeva niente, esortava semmai a non imporre la morte a Eluana. Nessuno fino a ieri sera ha potuto affermare che l’ordinamento italiano, a partire dalla Costituzione, permetteva – come dice brutalmente Giuliano Ferrara – “l’eliminazione fisica di una disabile”. Nessuno. E’ noto infatti che la legge punisce addirittura chi fa morire di fame e di sete un gatto o un cane (lo si è visto proprio in un caso dell’estate scorsa). Ora però, a un essere umano, questa morte orribile è stata inflitta. Per legge? No. Non c’è nessuna legge che lo consenta. Meno che mai la Costituzione. E nessuno – dicasi nessuno – dei progetti di legge in discussione finora (neppure i più estremisti) prevede che un caso come Eluana possa finire con la morte per fame e per sete. Non solo, ma il disegno di legge del governo che salvava espressamente Eluana in Parlamento aveva una enorme maggioranza, più grande dello schieramento di centrodestra. E allora come è potuto accadere? Per un pronunciamento della magistratura? Tutto sembra surreale. Ognuno ha le sue responsabilità (compreso il Parlamento che ha aspettato fino all’ultimo). Ma che spettacolo tragicomico quello di intellettuali che, mentre una giovane donna stava morendo, si sono messi a strillare contro il presunto attentato alla Costituzione da parte di Berlusconi. Qua si rovescia la frittata in modo plateale. A noi sembra che Berlusconi, coraggiosamente e generosamente, abbia cercato di rimettere le cose al loro posto, restituendo all’esecutivo le sue prerogative, derivanti dal mandato popolare e a Eluana i suoi diritti. Ci sembra che l’anomalia sia il ruolo assunto in questo caso dalla sentenza magistratura, diventata, per il veto pronunciato contro il governo dal presidente Napolitano, intangibile più del Corano. Il quale Napolitano – detto per inciso – ha manifestato la sensibilità alla vita che può avere chi come lui viene dalla storia comunista, di dirigente del comunismo internazionale del Novecento. Questa tragedia però impone adesso una svolta alla politica italiana. E speriamo che Berlusconi non si fermi. Bisogna restituire la sovranità al popolo italiano e al governo eletto dagli italiani, per restituire a tutti i propri diritti: è questione vitale per questo Paese. Ma, tornando alla tragica storia di Eluana, in quell’intervista il signor Englaro ha aggiunto, sempre in riferimento alla Chiesa: “non mi sono rivolto alla Chiesa, ma ai tribunali di giustizia. A loro non ho chiesto niente, né glielo chiederò”. Qui sorge una domanda: è proprio sicuro il signor Englaro di non aver chiesto niente alla Chiesa? Vorremmo capire meglio. La figlia Eluana non è stata forse accudita per circa 17 anni dalle affettuose e delicate suore misericordie di Lecco? Non so se il signor Englaro le abbia mai ringraziate pubblicamente. Le suore che hanno amato Eluana come una sorella e una figlia sono state sempre silenziose, ma - sommessamente e umilmente – quando la situazione si è fatta pesante hanno chiesto che Eluana fosse lasciata a loro, che avrebbero continuato ad accudirla con tenerezza come hanno fatto per anni. Non so se siano state ritenute meritevoli di una risposta pubblica (io non ne ho viste). Queste suore sono testimoni importantissimi fra l’altro della situazione di Eluana, il cui stato era un mistero per la medicina. Infatti nessuno può dire fino a che punto veramente la giovane donna fosse assente, fino a che punto non abbia capito tutto. Una di queste suore ha rivelato che la ragazza sembrava avere un respiro più affannoso e un battito più veloce quando nella sua stanza si parlava della controversia relativa a lei. Ci sono poi dei fatti strani accaduti in concomitanza con quel suo trasferimento che da Lecco, dove aveva vissuto per anni con le suore, l’ha portata alla casa di cura di Udine dove dovrebbe morire. Pare che chi ha viaggiato con lei sia rimasto molto impressionato dalla sua improvvisa e persistente tosse. La domanda che sorge spontanea è la seguente: Eluana ha cercato di comunicarci qualcosa? Il sospetto non è affatto campato per aria. Ormai la medicina si interroga seriamente sulla condizione di queste persone. Tempo fa il “Sunday Times” riferiva di un nuovo studio medico secondo cui “il 40 per cento dei pazienti in coma in ‘stato vegetativo’ possono essere mal diagnosticati”. Cioè possono avere una certa coscienza di sé. In realtà alcuni esperimenti lo hanno già dimostrato. La “Risonanza magnetica funzionale” del neurologo Adrian Owen dell’università di Cambridge, con Steven Laureys, del’università di Liegi, ha spalancato alla medicina nuovi orizzonti (vedi “Science”, settembre 2006) facendo clamore in tutto il mondo. Il professor Owen ha monitorato le parti del cervello che si attivano quando si rievocano certi ricordi o si chiedono certe azioni. Lo ha fatto in una ragazza di 23 anni in stato vegetativo a seguito di un incidente stradale in cui aveva riportato un grave trauma cranico. Con uno scanner per la risonanza ha scoperto che in lei vi era un’attivazione delle aree cerebrali identica a quella che accade in una donna in perfetta salute. Ha dimostrato così che il cervello del paziente in “stato vegetativo”, finora ritenuto completamente disattivato, in realtà funziona. L’eccezionale scoperta di Owen prospetta addirittura la possibilità di mettersi in contatto con queste persone che continuano a mantenere un certo livello di coscienza, ma non riescono a dare ordini al corpo. Finora la medicina aveva brancolato nel buio, perché resta misterioso il luogo in cui veramente risieda la coscienza. Adesso scopriamo che in realtà la coscienza può permanere (e la cosa è dimostrabile con l’attivazione del cervello), ma non riesce a comunicare. E’ la Chiesa che – contrariamente ai luoghi comuni – esorta la scienza ad andare avanti in queste ricerche. Un primo passo è stato fatto quando, è cosa recente, la medicina ha deciso di non definire più “irreversibile” lo stato vegetativo. E in effetti sono tanti coloro che si sono risvegliati sconvolgendo le previsioni infauste. Che finora la medicina abbia sottovalutato quella condizione è provato anche da diverse testimonianze di persone che – pure in ospedali italiani (parlo per conoscenza diretta) - trovatesi in coma, in una condizione nella quale secondo i medici non potevano assolutamente sentire cosa veniva detto, hanno ascoltato precisamente i discorsi che intercorrevano fra i diversi dottori durante quelle ore e li hanno poi riferiti (al loro risveglio) per filo e per segno lasciando sconvolti quegli stessi medici. Giuseppe Sartori, ordinario di Neuroscienze cognitive all’Università di Padova, tempo fa ha dichiarato: “Da quando è stato dimostrato che i pazienti in stato vegetativo possono mantenere qualche forma nascosta di consapevolezza dovrebbe valere il principio di precauzione: non possiamo far morire una persona che forse ci sta sentendo e capisce che cosa accade a lei e intorno a lei”. Probabilmente Eluana in queste ore ha sopportato una sofferenza fisica enorme (tanto che si è dovuto sedarla), ma – se aveva un certo grado di coscienza (come i nuovi studi dicono) – chi può dire la sofferenza morale che ha vissuto? Ora la tragedia si è consumata. La Chiesa tanto vilipesa, la Chiesa che ha abbracciato Eluana in questi 17 anni con l’amore materno delle suore, ora invoca per lei “la carezza del Nazareno”, come diceva poeticamente Enzo Jannacci. Una ricompensa eterna alle sue sofferenze. Ma il nostro Paese? Un brivido ci corre nella schiena.
Fonte: 10 febbraio 2009
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