BastaBugie n�67 del 30 gennaio 2009
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PAPA BENEDETTO XVI REVOCA LE SCOMUNICHE
Finalmente sanato lo scisma lefebvriano
Autore: Gianteo Bordero - Fonte: Ragionpolitica
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INTERVISTA A MONS. FELLAY, SUPERIORE GENERALE DELLA FRATERNITA' SAN PIO X
Grazie al Papa, mi ha tolto la scomunica: il suo gesto un dono gratuito, per troppo tempo siamo stati trattati peggio del diavolo
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Libero
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OBAMA PARTE ALLA GRANDE
Piu' aborto per tutti!
Autore: Alberto Simoni - Fonte: 24 gennaio 2009
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PERCHE' PER ORA NON HANNO UCCISO ELUANA?
Perche' rischiano 21 anni di carcere!
Autore: Mario Palmaro - Fonte: 26 gennaio 2009
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ERO MASSONE 1
Mi sono convertito a Cristo e alla Chiesa cattolica
Autore: Andrea Galli - Fonte: 16 Gennaio 2009
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ERO MASSONE 2
Intervista a Maurice Caillet
Autore: 10 novembre 2008 - Fonte:
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I PAESI POVERI FALSANO I DATI SULLE VACCINAZIONI
Autore: Anna Bono - Fonte: 12-1-2009
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LA CITTÀ DEL VATICANO COMPIE 80 ANNI
A Roma una mostra da visitare
Autore: Paolo Pittaluga - Fonte:
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ANCHE IN TEMA DI SCIENZA LA CHIESA E' MADRE E MAESTRA
Autore: Lucetta Scaraffia - Fonte:
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PAPA BENEDETTO XVI REVOCA LE SCOMUNICHE
Finalmente sanato lo scisma lefebvriano
Autore: Gianteo Bordero - Fonte: Ragionpolitica, 24 gennaio 2009
Benedetto XVI, con la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani, scrive un'altra pagina importante del suo pontificato. Una pagina destinata a rimanere e, probabilmente, a diventare la cifra del papato ratzingeriano. Sanare uno scisma, infatti, significa medicare la ferita più profonda che possa essere inferta all'unità del corpo mistico di Cristo, la Chiesa: la divisione tra le sue membra. Dividere è facile, unire è molto più difficile. Papa Benedetto, rispondendo all'esortazione di Gesù nel Vangelo di Giovanni («Che siano una sola cosa affinché il mondo creda»), si avvia a chiudere definitivamente una delle vicende più dolorose nella storia della Chiesa degli ultimi due secoli. «Uno scisma piccolo - afferma Gianni Baget Bozzo intervistato dal Foglio - ma che ha avuto un ruolo importante nel post-Concilio». I segnali di una pacificazione definitiva tra Roma ed Ecône (la cittadina svizzera nella quale monsignor Lefebvre aveva fondato il suo seminario alla fine degli anni Sessanta dopo la rottura definitiva con il Vaticano a causa delle riforme conciliari) si erano intensificati sin dai primi mesi del pontificato di Benedetto XVI: già sul finire dell'agosto 2005, infatti, Ratzinger aveva incontrato a Castel Gandolfo Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità San Pio X. I comunicati ufficiali scaturiti da quell'incontro - sia quello della Santa Sede che quello dei lefebvriani - sottolineavano il desiderio reciproco di procedere gradualmente ad un riavvicinamento nel nome del comune amore per la Chiesa. Ma l'evento decisivo è stato senz'altro la promulgazione del motu proprio «Summorum pontificum», del 7 luglio 2007, con il quale Benedetto XVI ha deciso di «liberalizzare» l'uso del messale romano di San Pio V (nella sua ultima versione risalente al 1962, Giovanni XXIII regnante) affermando che esso non è stato abrogato dalla riforma liturgica del 1970 e che il nuovo messale di Paolo VI rappresenta la forma ordinaria, ma non esclusiva, della liturgia cattolica. Un gesto, questo, che ha provocato numerose contestazioni all'interno della Chiesa, soprattutto da parte di coloro che - per usare un'espressione dello stesso Papa Ratzinger - considerano il Vaticano II come un momento di «rottura» rispetto al passato, una sorta di rifondazione della Chiesa scaturita dal compromesso con la modernità. Le contestazioni hanno assunto forme più o meno eclatanti, soprattutto in Francia (patria di Lefebvre), e lo stesso Benedetto XVI, durante il suo viaggio a Lourdes dello scorso anno, ha dovuto richiamare i vescovi transalpini al rispetto del motu proprio. Ma le diffuse proteste non hanno fermato Papa Ratzinger. Anzi. Dopo aver ricevuto lo scorso 15 dicembre fa una lettera di monsignor Fellay che chiedeva la revoca della scomunica promulgata da Giovanni Paolo II nel 1988 («Siamo sempre fermamente determinati nella volontà di rimanere cattolici e di mettere tutte le nostre forze al servizio della Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo, che è la Chiesa cattolica romana. Noi accettiamo i suoi insegnamenti con animo filiale. Noi crediamo fermamente al Primato di Pietro e alle sue prerogative, e per questo ci fa tanto soffrire l'attuale situazione» scriveva Fellay nella missiva) e dopo aver appreso che la Fraternità San Pio X ha organizzato per il Natale 2008 una preghiera del rosario volta a «ottenere dalla Madonna il ritiro del decreto», ha valutato che i tempi erano maturi per il passo decisivo. Il testo della revoca è stato diffuso questa mattina dalla sala stampa vaticana. In esso la Santa Sede afferma che «con questo atto si desidera consolidare le reciproche relazioni di fiducia e intensificare e dare stabilità ai rapporti della Fraternità San Pio X con questa Sede Apostolica. Questo dono di pace, al termine delle celebrazioni natalizie, vuol essere anche un segno per promuovere l'unità nella carità della Chiesa universale e arrivare a togliere lo scandalo della divisione. Si auspica che questo passo sia seguito dalla sollecita realizzazione della piena comunione con la Chiesa di tutta la Fraternità San Pio X, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del Magistero e dell'autorità del Papa con la prova dell'unità visibile». Vedremo ora, dunque, se gli auspici del Vaticano troveranno rapida realizzazione. Ma quello che sin d'ora si può dire è che Benedetto XVI, che già quand'era come cardinale alla guida dell'ex Sant'Uffizio aveva provato ripetutamente a raggiungere un accordo con i lefebvriani, ha compiuto un gesto di alto valore storico ed ecclesiologico. Riammettendo i vescovi ordinati da Lefebvre alla piena comunione con Roma, egli chiude definitivamente un'epoca, si lascia alle spalle la deleteria spaccatura post-conciliare tra tradizionalisti e progressisti, riconosce che anche i primi avevano delle ragioni che solo le mode teologiche del momento hanno impedito di valutare sino in fondo. Riprendendo un'immagine usata da Jean Guitton in un suo famoso saggio, potremmo dire che, con la sua decisione, Papa Ratzinger contribuisce a ricucire la veste di Cristo dilacerata nella storia dagli scismi e dalla divisione tra i cristiani. Guitton sostiene che gli strappi, sin dalla grande eresia ariana, hanno sempre fatto assumere alla Chiesa maggiore coscienza di sé e della sua missione. Ora che uno di questi strappi si appresta ad essere sanato, è augurabile che i motivi che l'hanno causato possano essere finalmente letti alla luce della ritrovata unità delle membra, e non con le lenti di un fanatismo ideologico e teologico che ha fatto solo tanto male alla Chiesa in questi ultimi decenni.
Fonte: Ragionpolitica, 24 gennaio 2009
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INTERVISTA A MONS. FELLAY, SUPERIORE GENERALE DELLA FRATERNITA' SAN PIO X
Grazie al Papa, mi ha tolto la scomunica: il suo gesto un dono gratuito, per troppo tempo siamo stati trattati peggio del diavolo
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Libero, 25 gennaio 2009
D – Monsignor Fellay, il 30 giugno 1988, lei, con altri tre sacerdoti della Fraternità San Pio X, veniva consacrato vescovo da monsignor Marcel Lefebvre. Questo atto fece di voi e del vescovo brasiliano Antonio De Castro Mayer, che vi aveva partecipato, fra i primi scomunicati dopo il Concilio Vaticano II. Oggi, a distanza di più di vent’anni, lei è il Superiore generale della Fraternità, quello che nello sbrigativo linguaggio giornalistico viene definito “il capo dei lefebvriani”. Siamo a Menzingen, Svizzera profonda, nella Casa generalizia, fuori c’è la neve, pare di essere in un presepe e qui sul tavolo c’è il decreto della Santa Sede che revoca quella scomunica. Che cosa prova? R – Gioia, soddisfazione. Che non sono sentimenti di una persona che pensa di essere un vincitore. Quello che la Fraternità San Pio X ha fatto dalla sua fondazione a oggi, e che continuerà sempre a fare, lo ha fatto e lo farà solo per il bene della Chiesa. Anche le consacrazioni episcopali del 1988 furono fatte a quello scopo. Per il bene della Chiesa e per la nostra sopravvivenza. Monsignor Lefebvre doveva, ripeto doveva, assicurare una continuità. Noi non siamo altro che una piccola scialuppa di salvataggio in un mare in tempesta. Noi siamo sempre stati al servizio della Chiesa e sempre lo saremo. La revoca della scomunica, insieme con il Motu proprio di Papa Benedetto XVI sulla Messa antica, è un segnale importante, davvero importante, per la nostra piccola scialuppa. Per questo parlo di gioia e di soddisfazione. D – Dove e quando ha saputo del decreto? R – L’ho saputo pochi giorni fa a Roma, nell’ufficio di un cardinale, il cardinale Castrillon Hoyos, il presidente della Commissione Ecclesia Dei. Ci siamo abbracciati. Poi, per prima cosa ho ringraziato la Madonna, questo è un suo regalo. E’ per ottenere la sua intercessione che sono stati messi insieme più di un milione e settecentomila rosari, recitati da fedeli che auspicavano la revoca della scomunica. D – Chi, in Vaticano, ha lavorato di più per giungere a questa soluzione? R – Sicuramente il cardinale Hoyos, che è a capo della Commissione preposta ai rapporti tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X. Ma, soprattutto, Papa Benedetto XVI. L’ho capito dalla prima udienza in cui lo incontrai poco dopo la sua elezione. Pur muovendoci dei rimproveri, il Santo Padre aveva un tono dolce, veramente paterno. D – Nel decreto si dice che il Santo Padre confida nel vostro impegno a “non risparmiare alcuno sforzo per approfondire nei necessari colloqui con le Autorità della Santa Sede le questioni ancora aperte”. Che cosa vuol dire questo? R – Vuol dire che, come tutti i figli della Chiesa, siamo titolati a discutere delle questioni che riteniamo fondamentali per la fede e per la vita della Chiesa stessa. Credo che questo riconosca quanto meno la serietà della nostra posizione critica su questi ultimi quarant’anni. Noi non chiediamo altro che chiarirci. Il fatto che la volontà del Santo Padre vada in questa direzione è veramente di grande conforto. L’importante è che si capisca che, anche nei momenti in cui poniamo delle critiche severe, noi non siamo mai contro la Chiesa, noi non siamo mai contro il papato. E come potremmo farlo? Ci hanno spesso accusato di essere “Lefebvriani”, ma noi non siamo “lefebvriani”, benché rimane per noi un titolo di gloria: noi siamo cattolici. Il primo a non essere lefebvriano è stato il nostro fondatore, monsignor Lefebvre. Quando questo sarà chiaro, si comprenderanno meglio le nostre posizioni. Ci vorrà ancora del tempo, ma credo che poco alla volta sarà chiaro che tutto ciò che facciamo è opera di Chiesa. D – La revoca della scomunica è frutto di una trattativa e di un accordo, o è un atto unilaterale della Santa Sede? R – Noi abbiamo chiesto più volte la libertà nella celebrazione della Messa antica e la revoca della scomunica. Ma ciò che è avvenuto ora non è frutto di una trattativa o di un accordo. E’ un atto gratuito e unilaterale che mostra che Roma ci vuole realmente bene. Un bene vero. Per molto tempo abbiamo avuto l’impressione che Roma non volesse entrare in argomento. Poi, tutto è cambiato e questo lo dobbiamo al Papa. D – Perché Papa Benedetto XVI ha voluto così fortemente questo atto? Si è reso conto del ginepraio in cui si è messo con la revoca della scomunica? R – Oh, sì, credo che sia ben consapevole delle reazioni più diverse e più scomposte. Del resto, a più riprese, prima e dopo la sue elezione pontificale, ha parlato della crisi della Chiesa in termini tutt’altro che ambigui. Quando dicevo della sua dolcezza paterna, intendevo parlare del fatto che in Lui traspaiono, insieme, la consapevolezza dei tempi in cui viviamo, la fermezza nel porvi rimedio e l’attenzione a tutti i suoi figli. Questo fa sì che reazioni più o meno scomposte ai suoi atti lo possono far soffrire, ma non certo lo costringono a mutare parere. E qui sta anche il motivo di questa decisione. D – In questo quadro, si potrebbe sintetizzare questa notizia dicendo che la Tradizione non è più scomunicata? R – Sì, anche se ci vorrà del tempo prima che questo concetto diventi moneta comune dentro il mondo cattolico. Fino a oggi, in molti ambienti siamo stati considerati e trattai peggio del diavolo. Tutto ciò che facevamo e che dicevamo doveva essere per forza qualcosa di male. Non credo la situazione possa cambiare improvvisamente. Ma oggi c’è un atto della Santa Sede che ci autorizza a dire che la Tradizione non è scomunicata. D – E che cosa si prova a vivere da scomunicati? R – Si prova dolore per l’utilizzo cattivo e strumentale di un marchio d’infamia. Per quanto riguarda la nostra situazione, invece, devo dire che non ci siamo mai sentiti scomunicati, non ci siamo mai sentiti scismatici. Noi ci siamo sempre sentiti parte della Chiesa e la notizia di cui stiamo parlando dimostra che avevamo ragione. D – A questo punto ci si chiede perché tale situazione si sia trascinata così tanto. E, soprattutto, di che natura sono le questioni che il documento della Santa Sede e voi stessi dite che devono essere ancora discusse? R – Lo riassumo in poco spazio. A un certo punto, dentro la Chiesa abbiamo visto che si prendeva una strada nuova, secondo noi una strada che avrebbe portato a grandi problemi. Noi non abbiamo fatto altro che pensare, insegnare e praticare ciò che la Chiesa aveva sempre fatto fino a quel momento: niente di più e niente di meno. Non abbiamo inventato nulla. Abbiamo seguito, per l’appunto, la Tradizione. E , oggi, la Tradizione non è più scomunicata.
Fonte: Libero, 25 gennaio 2009
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OBAMA PARTE ALLA GRANDE
Piu' aborto per tutti!
Autore: Alberto Simoni - Fonte: 24 gennaio 2009
Eliminato il divieto del predecessore di finanziare associazioni e Ong internazionali che praticano le interruzioni di gravidanza.
Lo aveva promesso in campagna elettorale. E puntuale è arrivato il provvedimento. Ieri il presidente Usa Barack Obama ha firmato un “executive order” che cancella il divieto, confermato invece da Bush nel 2001, di finanziare con fondi federali le associazioni e i gruppi internazionali che praticano o promuovono l’aborto all’estero. Una decisione tanto attesa quanto scontata. La regola, nota come “global gag rule” (legge bavaglio globale), esclude dal finanziamento anche quelle associazioni che fanno pressioni a favore dell’allentamento delle restrizioni per l’aborto. Secondo i critici questo inficia la libertà di parola, da cui il soprannome «legge bavaglio globale». Fu Reagan durante il Summit dell’Onu a Città del Messico nel 1984 a imporre la regola nota poi come «Politica di Città del Messico». Bush senior nel 1988 confermò il divieto che venne invece tolto da Clinton nel 1993. Il resto è storia recente. Di fatto i presidenti repubblicani hanno mantenuto il no al finanziamento di Ong e agenzie Onu (come l’Unfpa) che nella pianificazione familiare includono l’aborto. I democratici hanno invece sempre smontato la «global gag rule». La decisione di Obama è giunta all’indomani della Marcia per la vita che ha visto sfilare oltre 200mila persone per le strade di Washington. Un tentativo quello di non far coincidere l’“executive order” con la Marcia, interpretato come un segno di volontà di non andare allo scontro con gli antiabortisti. L’altra sera, nel 36esimo anniversario della sentenza Roev Wade che ha legalizzato l’interruzione di gravidanza nel Paese, Obama è intervenuto con un comunicato sull’aborto. Nel messaggio il leader statunitense ha invitato a «trovare un punto di incontro» fra coloro che sostengono che l’aborto sia un diritto e coloro che lo negano. Tuttavia Obama ha ribadito con forza il suo pensiero: «Resto determinato a proteggere la libertà delle donne di scegliere». «Questo anniversario – ha aggiunto il presidente – ci ricorda che questa decisione non solamente protegge la salute delle donne e la libertà di riproduzione, ma simboleggia un principio più ampio: che il governo non si deve intromettere nelle questioni di famiglia più intime». Le posizioni del nuovo inquilino della Casa Bianca fanno preoccupare i vescovi statunitensi. In un’intervista alla Radio Vaticana il vescovo di Orlando, monsignor Thomas Gerard Wenski ha detto che la Chiesa Usa «è preoccupata per il fatto che gli ideologi pro-aborto possano prevalere in Congresso e presentare a Obama una proposta di legge abortista più radicale». Ha quindi invitato i fedeli a mobilitarsi e a contattare i loro rappresentanti al Congresso per opporsi «a qualsiasi legge tesa a ampliare il diritto all’aborto». Le preoccupazioni riguardano il Foca (Freedom of Choice Act), che se approvato negherebbe ai singoli Stati il diritto di promulgare leggi che limitino la possibilità di abortire. Obama ha più volte detto che se la legge arrivasse sul suo tavolo vi apporrebbe la firma per la ratifica. Il Foca, ha spiegato il direttore del servizio informazione del Segretariato pro vita della Conferenza episcopale Usa, Emer McCarthy, «elimina quelle norme che tutelano la donna da un aborto; chiede a tutti gli Stati di consentire la nascita parziale ed ogni altro tipo di aborto a gravidanza avanzata». Inoltre violerebbe – per McCarthy – il diritto all’obiezione di coscienza di infermieri e medici.
Fonte: 24 gennaio 2009
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PERCHE' PER ORA NON HANNO UCCISO ELUANA?
Perche' rischiano 21 anni di carcere!
Autore: Mario Palmaro - Fonte: 26 gennaio 2009
Denunceremo per omicidio chiunque si prestera' a far morire Eluana.
C'è da restare sgomenti di fronte alle reiterate offerte da parte di pubbliche autorità o strutture sanitarie ad "accogliere" Eluana Englaro. Una ospitalità "mortale", se è vero che tali autorità e strutture si offrono di sospendere la nutrizione ed idratazione, applicando il decreto della Corte d'Appello di Milano che ha autorizzato il padre Beppino in tal senso. Constatiamo però con soddisfazione che, almeno fino al momento in cui scriviamo, tutti i tentativi di segno eutanasico sono andati a vuoto. Per quale ragione fin'ora la "compagnia della buona morte” ha fallito? Certo, per il coraggio di alcuni uomini politici. Certo, per l'esplicito rifiuto di direttori sanitari e medici, che non hanno avuto il timore di affermare pubblicamente che compito della medicina non è uccidere, ma curare ed assistere e che nessun disabile può essere privato del suo diritto alla vita. Ma c'è un'altra ragione che va affermata con forza, una ragione di natura giuridica che tutti devono sapere: chi dovesse far morire di fame e di sete Eluana rischia una incriminazione per omicidio. Eluana Englaro è viva e non è una malata terminale: non sta, quindi, per morire in conseguenza di una malattia; semplicemente viene alimentata mediante un sondino nasogastrico e vi sono, fra l'altro, dei dubbi che ciò sia strettamente necessario. L'interruzione della nutrizione ed idratazione ne cagionerebbe, quindi, la morte: la condotta di chi la ponesse in essere integrerebbe, quindi, la fattispecie descritta dalla norma del Codice Penale vigente sull'omicidio volontario: "chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno". Come da più parti sottolineato, non è affatto scontato – e anzi, appare decisamente insostenibile – che il decreto della Corte d'Appello di Milano renda legittima sotto il profilo penale la condotta di uccisione di Eluana Englaro: si tratta, infatti, di un decreto reso da un Giudice civile in un procedimento che ha efficacia solo nei confronti delle parti (e quindi solo nei confronti di Beppino Englaro), provvedimento sempre revocabile e che mai passerà "in giudicato"; le novità sulla possibilità di nutrire in diverso modo la giovane donna già costituiscono un motivo di ripensamento al decreto emesso. Soprattutto i Giudici civili non hanno affatto il potere di autorizzare la disapplicazione delle norme penali: il decreto non integra nessuna delle cause di giustificazione previste dal codice penale e, comunque, l'autorizzazione data a Beppino Englaro non si estende ad altre persone. Sempre sotto il profilo penalistico, la finzione adottata dalla Corte d'Appello di Milano – che cioè il tutore costituirebbe la voce dell'interdetta nel chiedere l'interruzione del sostegno vitale – non permette nemmeno di considerare l'uccisione di Eluana un "omicidio del consenziente", perché la norma in questione non si applica – per espressa previsione – alle persone inferme di mente. La responsabilità per omicidio volontario è, quindi, correttamente ipotizzabile nei confronti dello stesso Beppino Englaro e ancor più nei confronti di altri che lo aiutassero a cagionare la morte della disabile. La responsabilità, poi, non sarà soltanto di coloro che attivamente contribuiranno alla inedia di Eluana Englaro, ma anche di tutti coloro che, avendo l'obbligo di impedire la morte della disabile, non impediranno tale evento (art. 40 codice penale): e l'obbligo sussiste per tutti i medici e gli infermieri. Nessuna struttura sanitaria si renda, quindi, disponibile ad ospitare Eluana Englaro per farla morire: non ne deriverà soltanto una responsabilità di tipo amministrativo (ben compresa dai responsabili della struttura di Udine), ma anche il rischio di severissime pronunce penali a carico di tutti coloro che favorissero o non impedissero tale evento. Il Comitato Verità e Vita ha già presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Lecco, quando l'esecuzione del decreto pareva imminente. Ci impegniamo fin da ora, pubblicamente e senza esitazioni, a denunciare alle autorità competenti le condotte di coloro che si rendessero responsabili di un così grave crimine.
Fonte: 26 gennaio 2009
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ERO MASSONE 1
Mi sono convertito a Cristo e alla Chiesa cattolica
Autore: Andrea Galli - Fonte: 16 Gennaio 2009
«Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto». A sentire queste parole del Vangelo, durante una Messa nella cripta sopra la grotta di Lourdes, Maurice Caillet rimase attonito. Erano le stesse che aveva sentito quindici anni prima, nel 1970, il giorno della sua iniziazione come Apprendista nella Loggia "Perfetta Unione" di Rennes, Grande Oriente di Francia, una delle più antiche Logge transalpine. Nel silenzio successivo, sentì una voce che gli chiedeva di offrire qualcosa in cambio del beneficio che andava cercando in quel luogo sacro. Pensò di dover offrire se stesso. «Mi ripresi in qualche modo – racconta Caillet nelle sue memorie – quando il sacerdote alzava l'Ostia, nella quale per la prima volta in vita mia riconobbi Gesù sotto le sembianze di un umile pezzo di pane. Era la Luce che avevo cercato invano nel corso di molteplici iniziazioni». Una specie di folgorazione. «Alla fine della Messa, seguii il sacerdote in sacrestia e, senza molti preamboli, gli chiesi il battesimo». Caillet non era arrivato lì come pellegrino. Nato nel 1933 in una famiglia bretone anticlericale, era cresciuto nell'ostilità verso ogni cosa che sapesse anche vagamente di 'cattolico'. Laureatosi in medicina, specializzatosi in urologia e ginecologia, si era associato a Planned Parenthood, la lobby multinazionale abortista, impegnandosi nella promozione della contraccezione e – benché non fosse ancora legalizzata – nella pratica della sterilizzazione sia maschile che femminile. Divorziato dalla prima moglie, nel fatidico maggio 1968 aveva bussato a Rue Cadet 16 a Parigi, sede del Grande Oriente di Francia, chiedendo l'ammissione alla Libera Muratoria. Richiesta, accettata, che lo avrebbe portato nel giro di non molti anni a salire la scala iniziatica: Apprendista, Compagno, Maestro, nel 1973 Vigilante di una nuova Loggia fondata a Rennes, un anno dopo Venerabile Maestro, quindi deputato al 'convento', l'assemblea nazionale del Grande Oriente. Infine l'iniziazione agli alti gradi del Rito Scozzese Antico e Accettato, sino al diciottesimo, quello di Cavaliere Rosa-Croce. Parallelamente, l'ascesa era stata anche professionale, grazie all'aiuto di innumerevoli "fratelli" sparsi nelle strutture sanitarie e amministrative locali: da specialista rinomato a direttore di un'altrettanto rinomata clinica privata, poi l'iscrizione al Partito Socialista e, con l'arrivo all'Eliseo di François Mitterrand nel 1981, la nomina in una commissione del ministero della Salute. Nel mentre, Caillet si era anche distinto come primo medico a praticare aborti in Bretagna, dopo la depenalizzazione della cosiddetta 'interruzione di gravidanza' nel 1975, arrivando a polemizzare sulle pagine di Le Monde direttamente con l'illustre genetista Jerôme Lejeune. Un curriculum impeccabile, insomma. Fino a quella visita fatta a Lourdes, dove Caillet si era deciso a portare la compagna Claude, da mesi a letto per una malattia misteriosa, alla ricerca non di una "grazia", ma di un contatto con quelle forze telluriche che anche l'Iniziazione – René Guénon docet – riconosce attive in molti santuari e luoghi sacri. Forze banalmente interpretate dalla bêtise cattolica come influssi mariani. Se non che, mentre il Cavaliere Rosa-Croce sperava in un influsso benefico per Claude, cattolica non praticante ma con una fede mai del tutto sopita, lei dal freddo delle piscine in cui era immersa pregava per la conversione di Maurice. Ottenendo, alla fine, il vero miracolo. Di questa vicenda e di come abbia sconvolto la sua vita, con l'abbandono traumatico della Massoneria, Caillet ha voluto parlare per esteso in un libro da poco uscito in Spagna, Yo fui masón (LibrosLibres, pagine 188, euro 18), Sono stato massone. Trattasi di un racconto dall'interno – e per questo piuttosto raro – del mondo delle Logge e della vita nel Grande Oriente di Francia. Una descrizione dei riti iniziatici, una testimonianza oculare dell'odio anticattolico coltivato nel GOF e, non ultimo, dell'efficacia della Massoneria nel dettare la propria agenda politica. Racconta Caillet, fra i tanti episodi: «Dopo la sua elezione nel mese di maggio [1974] Valery Giscard d'Estaing, oltre alla nomina di Jacques Chirac come primo ministro, prese come consigliere personale Jean- Pierre Prouteau, Gran Maestro del Grande Oriente di Francia… al ministero della Salute collocò Simone Veil, giurista, già deportata ad Auschwitz, che aveva come consigliere il già citato [e massone] Pierre Simon, con cui tenevo una corrispondenza. I politici erano già rodati… e il progetto di legge sull'aborto venne elaborato rapidamente». Infine il ricordo, drammatico, di come la solidarietà massonica possa tramutarsi in un'implacabile tagliola per gli apostati: dal mobbing che costrinse sia Caillet che la compagna (poi, dopo lunghe traversie, sposata in Chiesa) alle dimissioni dal proprio posto di lavoro, con l'impossibilità di reinserirsi nella sanità pubblica, alle minacce di morte fatte pervenire da ex-"fratelli". Un quadro che, come spiega l'autore in un'intervista concessa a una radio cattolica, porta inevitabilmente a chiedersi: «Dopo la legge del 1905 sulla separazione della Chiesa dallo Stato, a quando una legge per la separazione dello Stato dalla Massoneria?». Bella domanda.
Fonte: 16 Gennaio 2009
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ERO MASSONE 2
Intervista a Maurice Caillet
Autore: 10 novembre 2008 - Fonte:
Maurice Caillet, Venerabile di una Loggia francese, ne svela i segreti.
Maurice Caillet, Venerabile di una Loggia francese per 15 anni, svela alcuni segreti della Massoneria in un libro di recente pubblicazione e dal titolo: “Sono stato massone” (LibrosLibres). Rituali, norme di funzionamento interno, giuramenti - in particolare le implicazioni del giuramento che obbliga a difendere gli altri “fratelli” massoni - oltre all'influenza sulla politica da parte di questa organizzazione segreta vengono ora alla luce. Il volume svela anche la decisiva influenza della Massoneria nell'elaborazione e approvazione di leggi come quella dell'aborto in Francia, a cui Maurice Caillet, in quanto medico, ha partecipato attivamente. Nato a Bordeaux nel 1933 e specializzato in Ginecologia e Urologia, Caillet ha effettuato aborti e sterilizzazioni prima e dopo la legalizzazione nel suo Paese delle interruzioni di gravidanza. Membro del Partito Socialista Francese, è arrivato a ricoprire incarichi di rilievo nell'amministrazione sanitaria. Quando è entrato ufficialmente nella Massoneria? Maurice Caillet: All'inizio del 1970 mi convocarono per una possibile iniziazione. Ignoravo praticamente tutto ciò che mi aspettava. Avevo 36 anni, ero un uomo libero e non mi ero mai affiliato a un sindacato o ad alcun partito politico. Un pomeriggio, in una via discreta della città di Rennes, bussai alla porta del tempio, il cui frontone era ornato da una sfinge alata e da un triangolo che circondava un occhio. Venni ricevuto da un uomo che mi disse: “Signore, ha fatto domanda per essere ammesso tra di noi. La sua decisione è definitiva? E' disposto a sottomettersi alle prove? Se la risposta è positiva, mi segua”. Feci un gesto di assenso e venni introdotto in una serie di corridoi. Iniziai a provare una certa inquietudine, ma prima di poterla formulare sentii che la porta si stava chiudendo dietro di noi... Nel suo libro “Sono stato massone” spiega che la Massoneria è stata determinante per l'introduzione dell'aborto libero in Francia nel 1974. Maurice Caillet: L'elezione di Valéry Giscard d'Estaing a Presidente della Repubblica Francese portò Jacques Chirac a diventare Primo Ministro, avendo questi come consigliere personale Jean-Pierre Prouteau, Gran Maestro del Grande Oriente di Francia, principale ramo massonico francese, di tendenza laicista. Al Ministero della Sanità fu collocata Simone Veil, giurista, ex deportata di Auschwitz, che aveva come consigliere il dottor Pierre Simon, Gran Maestro della Grande Loggia di Francia, con il quale io mantenevo una corrispondenza. I politici erano ben circondati da quelli che chiamavamo i nostri “Fratelli tre punti”, e il disegno di legge sull'aborto venne elaborato rapidamente. Adottata dal Consiglio dei Ministri nel mese di novembre, la legge Veil venne votata a dicembre. I deputati e i senatori massoni di destra e di sinistra votarono all'unanimità! Lei afferma che tra i massoni c'è il dovere di aiutarsi. Continua ad essere così? Maurice Caillet: I “favori” sono un'abitudine in Francia. Certe Logge cercano di essere virtuose, ma il segreto che regna in questi circoli favorisce la corruzione. Nella Fratellanza degli Alti Funzionari, ad esempio, si negoziano certe promozioni, e in quella per le Costruzioni e le Opere Pubbliche si distribuiscono i contratti, con notevoli conseguenze finanziarie. Lei ha beneficiato di questi favori? Maurice Caillet: Sì. La Corte d'Appello presieduta da un “fratello” si pronunciò sul mio divorzio ordinando spese condivise, anziché metterle tutte a mio carico, e ridusse l'entità del contributo che dovevo dare ai miei figli. Tempo dopo, in seguito a un conflitto con i miei tre soci della clinica, un altro “fratello massone”, Jean, direttore della Cassa di Sicurezza Sociale, saputa la questione mi propose di assumere la direzione del Centro per gli Esami Sanitari di Rennes. L'abbandono della Massoneria ha avuto conseguenze sulla sua carriera? Maurice Caillet: Da allora non ho trovato posto in nessuna amministrazione pubblica o semipubblica, nonostante il mio ricco curriculum. Ha mai ricevuto minacce di morte? Maurice Caillet: Dopo essere stato licenziato dal mio posto di lavoro nell'amministrazione e aver iniziato ad agire contro quella decisione arbitraria, ricevetti la visita di un “fratello” della Grande Loggia di Francia, cattedratico e segretario regionale di Forza Operaia, che mi disse con la massima freddezza che se fossi andato avanti presso il tribunale del lavoro “avrei messo in pericolo la mia vita” e lui non avrebbe potuto far niente per proteggermi. Non ho mai immaginato di poter essere minacciato di morte da noti e onorevoli massoni della nostra città. Lei era membro del Partito Socialista e conosceva molti dei suoi “fratelli” che si dedicavano alla politica. Potrebbe dirmi quanti massoni ci sono stati nel Governo di Mitterrand? Maurice Caillet: Dodici. E in quello attuale di Sarkozy? Maurice Caillet: Due. Potrebbe dire a un ignorante come me quali sono i principi della Massoneria? Maurice Caillet: La Massoneria, in tutte le sue obbedienze, propone una filosofia umanista, preoccupata in primo luogo per l'uomo e consacrata alla ricerca della verità, pur affermando che questa è inaccessibile. Rifiuta ogni dogma e sostiene il relativismo, che colloca tutte le religioni su uno stesso piano, mentre dal 1723, nelle Costituzioni di Anderson, pone se stessa su un piano superiore, come “centro d'unione”. Da ciò si deduce un relativismo morale: nessuna norma morale ha in sé un'origine divina e, quindi, definitiva, intangibile. La sua morale evolve in funzione del consenso delle società. Come si inserisce Dio nella Massoneria? Maurice Caillet: Per un massone, il concetto stesso di Dio è speciale, come nelle obbedienze chiamate spiritualiste. Nel migliore dei casi è il Grande Architetto dell'Universo, un Dio astratto, ma solo una specie di “Creatore-maestro orologiaio”, come lo definisce il pastore Désaguliers, uno dei fondatori della Massoneria speculativa. Questo Grande Architetto viene pregato, se mi permette l'espressione, perché non intervenga nelle questioni degli uomini, e non viene neanche citato nelle Costituzioni di Anderson. E il concetto di salvezza? Maurice Caillet: Come tale non esiste nella Massoneria, salvo sul piano terreno: è l'elitarismo delle successive iniziazioni, anche se queste possono considerarsi appartenenti all'ambito dell'animismo, secondo René Guènon, grande iniziato, e Mircea Eliade, grande esperto di religioni. E' anche la ricerca di un bene che non si specifica in nessun posto... visto che la morale evolve nella sincerità, che, come tutti sappiamo, non è sinonimo di verità. Qual è il rapporto della Massoneria con le religioni? Maurice Caillet: E' molto ambiguo. In linea di principio i Massoni proclamano con fermezza una tolleranza speciale nei confronti di tutte le credenze e le ideologie, con un gusto molto marcato per il sincretismo, vale a dire un coordinamento poco coerente delle varie dottrine spirituali: è l'eterna gnosis, sovversione della vera fede. Dall'altro lato, la vita delle Logge, che è stata la mia per 15 anni, rivela un'animosità particolare nei confronti dell'autorità papale e dei dogmi della Chiesa cattolica. Com'è iniziata la sua scoperta di Cristo? Maurice Caillet: Ero razionalista, massone e ateo. Non ero neanche battezzato, ma mia moglie Claude era malata e decidemmo di andare a Lourdes. Mentre lei era nelle piscine, il freddo mi costrinse a rifugiarmi nella Cripta, dove assistetti con interesse alla prima Messa della mia vita. Quando il sacerdote, leggendo il Vangelo, disse: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto”, ebbi uno shock tremendo perché avevo sentito questa frase il giorno della mia iniziazione al grado di Apprendista ed ero solito ripeterla quando, già Venerabile, iniziavo i profani. Nel silenzio successivo – perché non c'era l'omelia – sentii chiaramente una voce che mi diceva: “Bene, chiedi la guarigione di Claude, ma cosa offri?”. Istantaneamente, e sicuro di essere stato interpellato da Dio stesso, pensai che avevo solo me stesso da offrire. Al termine della Messa, andai in sacrestia e chiesi immediatamente il Battesimo al sacerdote. Questi, stupefatto quando gli confessai la mia appartenenza massonica e le mie pratiche occultiste, mi disse di andare dall'Arcivescovo di Rennes. Quello fu l'inizio del mio itinerario spirituale.
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I PAESI POVERI FALSANO I DATI SULLE VACCINAZIONI
Autore: Anna Bono - Fonte: 12-1-2009
Una ricerca finanziata dalla Bill & Melinda Gates Foundation e pubblicata lo scorso dicembre dalla rivista britannica The Lancet rivela che tra il 1986 e il 2006 decine di paesi in via di sviluppo hanno falsato i dati relativi al numero di bambini vaccinati grazie alle campagne internazionali di prevenzione finanziate dalle Nazioni Unite e da altri organismi dichiarando cifre molto superiori a quelle reali allo scopo di ottenere più ingenti contributi. “L’entità dello scarto tra i dati forniti e la situazione reale è enorme” ha spiegato Christopher Murray, docente alla University of Washington e direttore della ricerca. I bambini effettivamente vaccinati contro malattie come tetano, difterite e pertosse complessivamente sono la metà di quelli dichiarati, vale a dire sette milioni invece di 14 milioni, ma in paesi come il Pakistan, la Liberia e lo Zambia il numero è addirittura quattro volte inferiore a quello riportato dalle Nazioni Unite in base ai dati forniti dai rispettivi governi. Benché alcuni studiosi sostengano che forse l’entità del problema è stata esagerata, i finanziatori delle campagne di vaccinazione stanno prendendo molto sul serio i risultati dell’indagine. La GAVI, Global Alliance for Vaccines and Immunization, un’organizzazione che consegna ai governi dei paesi poveri 20 dollari per bambino vaccinato, ha sborsato 290 milioni di dollari quando ne avrebbe dovuti pagare soltanto 150 milioni. Adesso ha deciso di sospendere tutti i finanziamenti fino a quando i governi chiamati in causa non avranno chiarito in maniera esauriente la loro posizione. È il minimo che possa fare dal momento che nell’illustrare la propria missione afferma: “La GAVI alliance è un’organizzazione che raccoglie risorse pubbliche e private in un globale intento di ampliare l’accesso ai benefici dell’immunizzazione. Lo fa con precisione e in modi creativi e innovativi per garantire che i contributi dei donors servano davvero a salvare vite umane nelle comunità e nelle regioni più povere del mondo e contribuiscano a renderle autosufficienti”. “E’ così che si fanno i soldi – ha commentato Ken Hill, docente di salute pubblica ad Harvard, dopo aver letto il rapporto – si esagera il numero dei morti oppure il numero di coloro che sono stati salvati”: in entrambi i casi – per la gravità del problema o per l’efficienza dimostrata nello spendere bene il denaro ricevuto – gli organismi internazionali stanziano altri e maggiori fondi. Sulla destinazione del denaro così incamerato, l’International Policy Network, un think tank londinese, non ha dubbi: come al solito, qualche conto privato in una banca svizzera. La ricerca solleva dei punti interrogativi sull’attendibilità di altri dati riguardanti la situazione sanitaria dei paesi poveri forniti dall’ONU. Già in passato il Palazzo di Vetro è stato criticato per l’imprecisione dei suoi rapporti. Come si ricorderà, nel 2007 ha dovuto drasticamente rivedere i dati relativi alla diffusione del virus HIV dopo aver adottato nuovi metodi di rilevazione.
Fonte: 12-1-2009
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LA CITTÀ DEL VATICANO COMPIE 80 ANNI
A Roma una mostra da visitare
Autore: Paolo Pittaluga - Fonte:
L’ anno appena iniziato ha un sapore tutto particolare per lo Stato della Città del Vaticano. Ricorre infatti l’ottantesimo della fondazione. Che risale all’11 febbraio 1929, giorno della stipula dei Patti Lateranensi. Per celebrare la ricorrenza il Governatorato dello Stato Pontificio ha organizzato una mostra, allestita nel Braccio di Carlo Magno, che ne racconta il cammino e descrive la struttura. L’esposizione è promossa dal presidente del Governatorato, il cardinale Giovanni Lajolo e dal segretario dello stesso organismo, il vescovo Renato Boccardo ed è realizzata col contributo dell’Azienda comunale elettricità e acqua di Roma, l’Acea. Il comitato scientifico che ne cura la realizzazione è presieduto da monsignor Boccardo e formato da rappresentanti delle diverse Amministrazioni vaticane ed è coordinato da Barbara Jatta della Biblioteca Apostolica Vaticana. Nell’occasione è stato realizzato un plastico in legno di betulla dell’intera Città del Vaticano. L’esposizione si articola in cinque sezioni: la prima, Il Vaticano prima del 1929, analizza l’immagine e la topografia del Vaticano nei secoli e illustra lo sviluppo e le modifiche urbanistiche e topografiche della città partendo da alcune immagini a stampa del XVI e XVII secolo. La seconda sezione, Papa Pio XI, è dedicata alla figura di Achille Ratti, Pio XI (1922-1939). In mostra un piviale della manifattura di Como, la mitria del Pontefice, un ritratto inedito e documenti e cimeli vari che lo riguardano. La terza sessione è dedicata ai Patti Lateranensi, al Trattato e al Concordato che furono sottoscritti dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Gasparri e da Benito Mussolini in qualità di capo del governo italiano. Sono esposti documenti inediti relativi alle lunghe trattative intercorse prima del 1929 e, per la prima volta, è visibile il documento originale del Trattato, che è conservato nell’Archivio segreto vaticano. Con la quarta sezione – La costruzione dello Stato – si entra nel nucleo centrale della mostra, quello dedicato alla nascita del nuovo Stato. Proprio all’indomani dell’11 febbraio iniziarono le opere strutturali e infrastrutturali dello Stato, dal Governatorato al tribunale, dalla stazione ferroviaria alla radio. E ancora le poste, i musei, l’accademia delle scienze, l’autoparco, le nuove porte, la Residenza estiva di Castel Gandolfo solo per citare gli edifici principali. La città venne costruita dalla volontà di Pio XI sui progetti dell’architetto piemontese Giuseppe Momo e dall’impresa dell’ingegnere Leone Castelli. È possibile vedere i disegni e i plastici degli edifici e molte fotografie dell’epoca: la documentazione proviene dalla direzione dei servizi tecnici del Governatorato ma anche dall’Archivio di Stato di Torino e dal Fondo Giuseppe Momo. La quinta e ultima sezione – Gli altri pontificati – descrive il periodo che intercorre tra la fine del pontificato di Pio XI (1939) e i nostri giorni e tratteggia i Papi che si sono succeduti – Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – esponendone un ritratto proveniente dai Musei vaticani. La mostra sarà aperta, con ingresso libero – dal 12 febbraio al 10 maggio prossimi – tutti i giorni dalle 10 alle 18, il mercoledì dalle 13 alle 18. È disponibile anche un catalogo, pubblicato dalla Biblioteca Apostolica Vaticana, stampato in due versioni, economica e di lusso che sarà in vendita al bookshop. Per informazioni 06.97619191.
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ANCHE IN TEMA DI SCIENZA LA CHIESA E' MADRE E MAESTRA
Autore: Lucetta Scaraffia - Fonte:
E venne il metodo dei coniugi Billings.
Paolo VI non riuscì a farsi capire, a farsi ascoltare, dagli "uomini del nostro tempo", perché le sue parole non riuscirono a superare il muro di delusione e di protesta che si era alzato contro la "Humanae Vitae" fin da subito anche fra i cattolici. Il dialogo fra gli innovatori delusi e la Chiesa, a rileggerlo oggi, sembra un dialogo fra sordi, tanto che questa rimane l’enciclica meno ricordata dalla Chiesa stessa fra quelle del Novecento, quasi un brutto incidente da dimenticare. Ciò non toglie che le tesi dell’enciclica sono state riprese dal magistero della Chiesa negli anni successivi. La condanna all’intervento umano nella procreazione, stabilito in essa con precisione – ma del resto già anticipato senza ambiguità da Giovanni XXIII nell’enciclica "Mater et magistra" del 1961 –, costituirà un precedente importante per la morale cattolica non solo nei confronti del controllo delle nascite, ma anche delle tecniche di fecondazione artificiale e di manipolazione degli embrioni che si affermeranno alla fine del Novecento. E la concezione lì espressa di legge naturale, una concezione di stampo personalista ma comunque legata ad una idea di natura umana da rispettarsi perché creata da Dio a sua immagine e somiglianza, sarà ripresa e sviluppata dal Papa Giovanni Paolo II. Uno dei più tempestivi e coraggiosi difensori dell’enciclica è stato infatti proprio il cardinale Karol Wojtyla, che già era stato uno dei consulenti di Paolo VI. Wojtyla, del resto, era uno dei pochi cardinali che si era occupato di morale sessuale in un libro intitolato "Amore e responsabilità", uscito in polacco nel 1960 e poi tradotto in altre lingue europee. Nel libro Wojtyla affronta temi come "analisi della parola godere", "la libido e il neomalthusianismo", "analisi della sensualità" e "la castità e il risentimento" con una chiarezza e spregiudicatezza di linguaggio a cui la tradizione cattolica non era certo abituata. La sua definizione della tendenza sessuale si contrappone a "uno spirito ipnotizzato dall’ordine biologico" e dà largo spazio alla interezza della persona: "La tendenza sessuale è la fonte di ciò che si verifica nell’uomo, dei diversi avvenimenti che hanno luogo nella sua vita sensoriale o affettiva senza la partecipazione della sua volontà. Ciò prova che essa fa parte dell’essere umano totale e non soltanto di una delle sue sfere o facoltà. Permeando tutto l’uomo, essa ha il carattere di una forza, che si manifesta non soltanto attraverso ciò che si verifica nel corpo dell’uomo, nei suoi sensi o sentimenti, senza la partecipazione della volontà, ma anche attraverso ciò che vi si forma con il suo concorso". Il futuro papa critica il concetto freudiano di libido per la sua stretta correlazione "all’atteggiamento utilitarista", che conferisce all’atto sessuale un significato prettamente egocentrico: "La sola sensualità non è dunque amore e può anche molto facilmente divenire il contrario dell’amore". Ma non per questo egli condanna la sessualità né il corpo: "Conviene precisare che esiste una differenza tra l’amore carnale e l’amore del corpo, perché il corpo, in quanto elemento della persona, può anche essere oggetto d’amore e non soltanto di concupiscenza". In conclusione, dopo avere denunciato l’errore di una cultura che "rifiuta di riconoscere il grande valore della castità per l’amore" egli si avvìa a confutare l’idea, sempre più diffusa, che "la mancanza di rapporti sessuali è nociva alla salute dell’essere umano in genere, e a quella dell’uomo in particolare. Non si conosce una sola malattia che possa confermare la veridicità di questa tesi", mentre "le nevrosi sessuali sono soprattutto conseguenza degli eccessi nella vita sessuale e si manifestano quando l’individuo non si conforma alla natura e ai suoi processi". Questo libro dimostra come Wojtyla, anche prima dell’enciclica, avesse visto il pericolo – da cui avrebbe messo in guardia la "Humanae Vitae" – di lasciare il problema dell’atto coniugale e della procreazione al di fuori della sfera etica e di togliere così all’uomo la responsabilità di azioni profondamente radicate nella sua struttura personale. Nell’articolo che scrisse in difesa dell’enciclica su "L’Osservatore Romano" del 5 gennaio 1969 egli riprende l’interpretazione personalista dell’atto coniugale e sostiene che non c’è identificazione fra l’amore coniugale e la sua espressione privilegiata, l’atto sessuale: "Questo amore si esprime anche nella continenza – anche periodica – perché l’amore è capace di rinunciare all’atto coniugale, ma non può rinunciare al dono autentico della persona". Dieci anni dopo, poco prima di diventare papa, Wojtyla scrive di nuovo sull’enciclica, cercando di spiegare "la visione integrale dell’uomo" di cui parla Paolo VI e di mostrare cosa fa la "dignità della persona": l’uomo non è un essere diviso perché "l’essere e il valore devono costituire insieme il principio ermeneutico dell’uomo". L’uomo e la donna, quindi, devono vivere l’atto coniugale nella verità: questa verità interiore dell’atto che è indicata dal testo dell’enciclica. Consapevole del malessere che ha accompagnato l’apparizione della "Humanae Vitae", malessere ancora vivo dieci anni dopo, appena divenuto papa Wojtyla realizza il progetto di Paolo VI di convocare un sinodo sulla famiglia, che si tiene nel settembre del 1980. Nel corso dell’assemblea sinodale ha l’occasione di riprendere le tesi dell’enciclica contestata, che definisce profetiche, e presentare quelle che diventeranno le proposizioni dell’esortazione apostolica "Familiaris consortio", da lui emanata nel 1982. Qui egli sviluppa in chiave personalista gli argomenti dell’enciclica: l’amore implica l’uomo tutto intero; la sessualità "non è qualcosa di puramente biologico, ma concerne la persona umana in quello che ha di più intimo"; il matrimonio ha carattere sacro perché tocca alla più profonda essenza dell’uomo, il punto in cui è legato a Dio. Il vocabolario dei fini del matrimonio viene messo da parte definitivamente, mentre la concezione di sessualità che emerge dal documento è pienamente umana, legata alla persona, che non può mai essere utilizzata come oggetto. In questo contesto, il corpo acquista una positività completa, legato allo spirito nell’unità: il principio personalista implica che tutte le dimensioni dell’essere umano partecipino della dignità personale, e siano quindi oggetto di rispetto, e mai considerate come puri strumenti. Per Giovanni Paolo II la sessualità, intimamente legata alla persona, è il segno corporale della donazione totale della persona nel suo porsi in relazione con un’altra persona. L’attenzione del papa a questo tema è testimoniata anche dalle catechesi che tiene a partire dal maggio 1984 sul tema "l’amore umano nel piano di Dio", in cui cerca di mettere in relazione la verità e l’etica ripercorrendo le radici della concezione del corpo nella tradizione scritturistica. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II è avvenuta anche quella svolta nella ricerca scientifica auspicata da Paolo VI nella "Humanae Vitae", cioè la scoperta di un metodo di regolazione delle nascite, basato sul periodo infecondo mensile, facile da applicare e sicuro. La notizia, però, nel mondo sviluppato non è uscita dall’ambiente cattolico, e anche lì non è stato sufficientemente diffuso in paesi occidentali come l’Italia, mentre ha avuto molto più successo nel Terzo Mondo. Nei paesi occidentali, infatti, i metodi naturali hanno continuato a essere considerati non solo totalmente inefficaci, ma anche scomodi e difficili da applicare. Del resto, essi hanno anche un’altra caratteristica, non detta, che ha contribuito alla loro denigrazione: il fatto di essere gratuiti. Nessuna casa farmaceutica aveva interesse a finanziare ricerche su questa forma di controllo delle nascite, che conveniva piuttosto coprire di ridicolo e di discredito. Ma una coppia di medici australiani di Melbourne – Evelyn e John Billings, lui di antica ascendenza cattolica irlandese, lei convertitasi al cattolicesimo con il matrimonio – ha dedicato la vita a questa ricerca, ottenendo, fin dal 1964, risultati importanti. Il nuovo metodo naturale che ha preso il loro nome non è complicato e scarsamente efficace come sono quelli della temperatura e dei ritmi ovulativi fino a quel momento sperimentati, ma al contrario è semplice e sicuro. Si tratta infatti di un metodo semplicissimo, senza costi, basato sulla conoscenza del proprio corpo che ogni donna deve essere preparata ad avere. Per chi ricorda le campagne delle femministe per la scoperta dell’apparato sessuale femminile – negli anni Settanta si consigliava alle donne di prendere uno specchio e di esplorare il proprio sesso – il metodo Billings sembra perfetto: la donna controlla la sua potenza procreatrice attraverso la conoscenza di sé, senza l’intermediazione di medici e medicine, in perfetta autonomia. In realtà le femministe lo hanno sempre trattato con disprezzo. Intanto, però, il metodo Billings si è diffuso nel mondo: la coppia australiana è arrivata a fondare centri anche in Cina, dove il governo ha subito capito l’utilità di un metodo gratuito e privo di effetti collaterali per la salute delle donne, e in India, dove il metodo è stato insegnato da madre Teresa di Calcutta e dalle sue suore. Lo scarso entusiasmo che il metodo sembra suscitare nei ricchi e moderni paesi occidentali si può forse spiegare anche osservando il modello di comportamento sessuale considerato auspicabile: il metodo Billings, infatti, presuppone una fedeltà di coppia, una sessualità vissuta insieme e con responsabilità di entrambi, molto lontana dal mito della completa libertà sessuale e della separazione fra sessualità e procreazione che si è radicato nelle società dell'Occidente.
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