BastaBugie n�43 del 15 agosto 2008

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1 IN POLONIA ABORTO FA RIMA CON NAZISMO E COMUNISMO

Autore: Rino Cammilleri - Fonte: fonte non disponibile
2 ALTRO CHE OLIMPIADI! LA CINA È UN ORRORE
CINA la denuncia dei crimini comunisti da parte di Harry Wu
Autore: Gian Micalessin - Fonte: fonte non disponibile
3 INTERVISTA AL SEGRETARIO DELLA CONGREGAZIONE DEL CULTO DIVINO: PERCHÉ BENDEDETTO XVI RECUPERA IL SACRO

Autore: Marco Politi - Fonte: fonte non disponibile
4 SOCCI: IL SESSANTOTTO CHE NESSUNO RACCONTA
Il '68 e l’eterna giovinezza
Autore: Antonio Socci - Fonte: fonte non disponibile
5 SOCCI: UNA STORIA DA FILM SU CUI NESSUNO FARÀ UN FILM
Il Re dei Cieli e’ fra noi… e i mass media parlano d’altro (perlopiu’ di sciocchezze).
Autore: Antonio Socci - Fonte: fonte non disponibile
6 SOCCI: CASO ELUANA, QUELLI CHE ACCUSANO LE SUORE DI CRUDELTA’ PERCHE’ LA AMANO

Autore: Antonio Socci - Fonte: fonte non disponibile
7 LA VERA ELUANA NELLE LETTERE PRIMA DELL'INCIDENTE
Suor Rina ricorda: Ecco Eluana nelle sue lettere.
Autore: Paolo Ferrario - Fonte: fonte non disponibile
8 SIENA: FESTA DELL’UNITÀ ARCHIVIATA DAL PARTITO DEMOCRATICO? MACCHÉ, È LA STESSA IN MANO AGLI EX DS
La Festa dell’Unità, implacabile, troneggia in Fortezza.
Autore: Marco Falorni - Fonte: fonte non disponibile
9 OMELIA SOLENNITA' ASSUNZIONE - ANNO B (Lc 1,39-56)
Benedetta sei tu fra tutte le donne
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Sito del Vaticano

1 - IN POLONIA ABORTO FA RIMA CON NAZISMO E COMUNISMO

Autore: Rino Cammilleri - Fonte: fonte non disponibile, 02-08-2008

Antonio Gaspari ha intervistato l’8 luglio 2008 l’ingegnere Antoni Zieba, Segretario del World Prayer for Life e Vicepresidente della Polish Federation of Pro Life Movements.
Zieba, tra le altre cose, ha spiegato perché in Polonia nessuno considera l’aborto una «conquista civile» né un passo avanti sulla via del progresso e dell’emancipazione della donna, tanto che «varie organizzazioni come le Nazioni Unite o l’Unione Europea stanno facendo pressioni sulla Polonia perchè cambi la propria legge sull’aborto.
Queste pressioni stanno suscitando obiezioni e disappunto da parte della popolazione, che nelle classi più anziane, ricorda come la prima legge a favore dell’aborto fu imposta dai nazisti nel 1943, e la seconda legge sull’aborto fu promulgata dalla dittatura comunista il 27 aprile 1956».
Insomma, quel che per le élites mondialiste è progresso, libertà ed emancipazione, per i polacchi è solo un brutto ricordo totalitario e razzista.

Fonte: fonte non disponibile, 02-08-2008

2 - ALTRO CHE OLIMPIADI! LA CINA È UN ORRORE
CINA la denuncia dei crimini comunisti da parte di Harry Wu
Autore: Gian Micalessin - Fonte: fonte non disponibile, 2008-07-20

Un orrore lungo 19 anni. Gli cadde addosso nel 1961 quando era uno studente universitario ventitreenne e non lo abbandonò fino al 1979. Diciannove anni nei campi di lavoro della Cina comunista senza una vera colpa, senza un processo, senza un’autentica condanna. La vita di Harry Wu è ancora oggi, a 71 anni suonati, una vita segnata da quell’orrore, dal ricordo dei compagni di prigionia piegati dalla fame e dagli stenti, dalla fatica e dalla determinazione che lo aiutò a uscire dai campi di lavoro dove la Cina di Mao seppellì decine di milioni di cosiddetti «controrivoluzionari». La maggior parte dei suoi compagni di sventura non sopravvisse. Chi ci riuscì spesso non vuole ricordare.
Harry Wu ha fatto di quel ricordo la missione della sua vita. Anche dopo la libertà, dopo la «riabilitazione», dopo la fuga negli Stati Uniti, non ha mai smesso di raccontare quei 19 anni, non ha mai smesso di pronunciare la parola «laogai». Grazie a lui la «rieducazione attraverso il lavoro», introdotta dal maoismo cinese per spegnere qualsiasi opposizione e qualsiasi resistenza, è diventata sinonimo di lager e gulag. Ma il cammino è ancora lungo e Harry Wu lo sa.
Nonostante sia tornato in Cina, nonostante la recensione in un dettagliato elenco degli oltre mille campi di lavoro dove ancora oggi la Cina rieduca i suoi dissidenti, nonostante sia stato nuovamente arrestato, nuovamente condannato e definitivamente espulso dalla Cina, la battaglia di Harry Wu non si è mai fermata. Dopo il laogai e i lavori forzati ha denunciato le esecuzioni e i prelievi d’organi dai condannati a morte. Solo grazie a lui molte delle nefandezze del comunismo cinese sono venute alla luce, ma la strada è ancora lunga. Soprattutto in Europa, soprattutto in un continente che in nome degli affari ha spesso dimenticato le battaglie per i diritti umani.
Ed ecco allora Laogai. L’orrore cinese, il nuovo libro intervista pubblicato da Spirali in cui il professor Wu ci accompagna nella raccapricciante galleria di sofferenze su cui è cresciuta e si sviluppa la potenza economica cinese. Ma questa potenza, a sentire quanto racconta Harry Wu al Giornale, potrebbe avere un orizzonte limitato perché, come ci ripete il più famoso dissidente cinese, «se a Pechino arriverà una nuova rivoluzione sarà la rivoluzione contro il comunismo».
Pechino può contare su un’economia florida, su un consenso abbastanza generalizzato, su un ferreo apparato di sicurezza e su rapporti internazionali abbastanza solidi: perché mai non dovrebbe sopravvivere?
«Perché chi comanda, il Partito, continua a professare il credo comunista e questo lo porterà a fare i conti con le proprie contraddizioni interne. Il comunismo puntava ad abolire la proprietà privata, la libertà di pensiero, di parola e di religione. Ma oggi la libertà economica diffonde anche un desiderio di libertà autentica. La gente apprezza il benessere, ma desidera la proprietà privata, vuole possedere la terra su cui vive. Ma in Cina nessuno può possedere la terra. Quel diritto spetta solo allo Stato e al Partito. La stessa cosa vale per la religione. Chi è veramente cattolico non sa più cosa farsene dei vescovi nominati da Pechino, pretende di poter ascoltare la parola dei veri vescovi ordinati dal Papa. Lentamente questo processo travolgerà anche l’economia e chi investe i propri soldi pretenderà di sottrarla al controllo dei burocrati venuti dalle fila del Partito. Il Partito diventerà l’espressione di tutto quello che i cinesi non vogliono e sarà spazzato via».
Le Olimpiadi accelereranno questo processo?
«Le Olimpiadi non contano nulla, sono transitorie, passeggere. Quando si spegneranno i riflettori si spegnerà anche l’attenzione per i diritti umani. C’è una grande questione che tutti tendete a dimenticare. I Giochi sono affascinanti, ma passeggeri ed effimeri. La negazione dei diritti umani è invece continua perché connaturata al sistema. Non basta parlarne tre mesi per eliminarla. Conoscete qualcuno veramente disposto a boicottare i Giochi in nome dei diritti umani? Io non ne ho incontrato neppure uno».

Ma le Olimpiadi aiutano a far parlare della Cina...
«Qualsiasi cosa possiate dire, qualsiasi cosa succeda da qui alla fine dei Giochi non rappresenta un grosso problema per Pechino. Guardate il Tibet. A marzo hanno ucciso centinaia di persone e ne hanno imprigionate migliaia. Chi parla più di loro? Chi lotta per loro? Lo stesso Dalai Lama, se continueranno i colloqui con Pechino, sarà forse costretto a presenziare alle Olimpiadi».
Quali sono le violazioni dei diritti umani più plateali?
«In Cina, ci sono le esecuzioni. In Cina, le donne non sono libere di partorire. I Cina non esiste libertà di religione e di organizzazione. In Cina i mezzi di comunicazione sono interamente controllati dai comunisti e sostenuti dalle società come Yahoo, Cisco, Microsoft e Google. In Cina, se ti colleghi a Internet, devi inserire la tua carta magnetica, così la polizia scopre immediatamente che sei su Internet. La sicurezza cinese si fa dare da Yahoo o da qualsiasi altro provider le informazioni sull’indirizzo e-mail, le trasferisce ai tribunali che emettono atti d’accusa e ordini d’arresto. Ma la cosa più aberrante è forse la legge sul controllo delle nascite che toglie a donne e famiglie il diritto naturale alla procreazione. Per mettere al mondo un figlio le famiglie cinesi devono ottenere il permesso dello Stato. Per imporre questo sistema aberrante lo Stato spinge all’aborto milioni di donne e ne condanna altrettante alla sterilizzazione. Non c’è nulla di simile sulla faccia della terra».
Lei è stato il primo a denunciare i trapianti degli organi prelevati ai condannati a morte.
«La Cina, oggi, è l’unico paese al mondo che usa gli organi espiantati ai condannati a morte per i trapianti. Grazie a questa pratica la Cina è oggi il secondo paese al mondo per trapianti d’organo. Il 95 per cento degli organi proviene da prigionieri giustiziati. Di conseguenza la Cina è l’unico paese al mondo in cui il numero dei prigionieri giustiziati cresce ogni anno. E il numero delle esecuzioni resta uno dei meglio custoditi segreti di Stato».
Cosa potrà metter fine a questi orrori?
«Solo la fine del comunismo».

Fonte: fonte non disponibile, 2008-07-20

3 - INTERVISTA AL SEGRETARIO DELLA CONGREGAZIONE DEL CULTO DIVINO: PERCHÉ BENDEDETTO XVI RECUPERA IL SACRO

Autore: Marco Politi - Fonte: fonte non disponibile, 31 luglio 2008

Il segnale è stato inequivocabile. Prima il Corpus Domini a Roma, poi lo si è visto in mondovisione a Sidney. Benedetto XVI esige che davanti a lui la comunione venga ricevuta in ginocchio. È uno dei tanti recuperi di questo pontificato: il latino, la messa tridentina, la celebrazione con le spalle rivolte ai fedeli.
Papa Ratzinger ha un disegno e lo srilankese monsignor Malcolm Ranjith, che il pontefice ha voluto con sé in Vaticano come segretario della Congregazione per il Culto, lo delinea con efficacia.
L'attenzione alla liturgia, spiega, ha l'obiettivo di un'«apertura al trascendente». Su richiesta del pontefice, preannuncia Ranjith, la Congregazione per il Culto sta preparando un Compendio Eucaristico per aiutare i sacerdoti a «disporsi bene per la celebrazione e l'adorazione eucaristica».
La comunione in ginocchio va in questa direzione?
«Nella liturgia si sente la necessità di ritrovare il senso del sacro, soprattutto nella celebrazione eucaristica. Perché noi crediamo che quanto succede sull'altare vada molto oltre quanto noi possiamo umanamente immaginare. E quindi la fede della Chiesa nella presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche va espressa attraverso gesti adeguati e comportamenti diversi da quelli della quotidianità».
Marcando una discontinuità?
«Non siamo dinanzi ad un capo politico o un personaggio della società moderna, ma davanti a Dio.
Quando sull'altare scende la presenza di Dio eterno, dobbiamo metterci nella posizione più adatta per adorarlo. Nella mia cultura, nello Sri Lanka, dovremmo prostrarci con la testa sul pavimento come fanno i buddisti e i musulmani in preghiera».
L'ostia nella mano sminuisce il senso di trascendenza dell'eucaristia?
«In un certo senso sì. Espone il comunicante a sentirla quasi come un pane normale. Il Santo Padre parla spesso della necessità di salvaguardare il senso dell'al-di-là nella liturgia in ogni sua espressione. Il gesto di prendere l'ostia sacra e metterla noi stessi in bocca e non riceverla, riduce il profondo significato della comunione».
Si vuole contrastare una banalizzazione della messa?
«In alcuni luoghi si è perso quel senso di eterno, sacro o di celeste. C'è stata la tendenza a mettere l'uomo al centro della celebrazione e non il Signore. Ma il Concilio Vaticano II parla chiaramente della liturgia come actio Dei, actio Christi. Invece in certi circoli liturgici, vuoi per ideologia vuoi per un certo intellettualismo, si è diffusa l'idea di una liturgia adattabile a varie situazioni, in cui si debba far spazio alla creatività perché sia accessibile e accettabile a tutti. Poi magari c'è chi ha introdotto innovazioni senza nemmeno rispettare il sensus fidei e i sentimenti spirituali dei fedeli».
A volte anche vescovi impugnano il microfono e vanno verso l'uditorio con domande e risposte.
«Il pericolo moderno è che il sacerdote pensi di essere lui al centro dell'azione. Così il rito può assumere l'aspetto di un teatro o della performance di un presentatore televisivo. Il celebrante vede la gente che guarda a lui come punto di riferimento e c'è il rischio che, per avere più successo possibile con il pubblico, inventi gesti ed espressioni facendo da protagonista».
Quale sarebbe l'atteggiamento giusto?
«Quando il sacerdote sa di non essere lui al centro, ma Cristo. Rispettare in umile servizio al Signore e alla Chiesa la liturgia e le sue regole, come qualcosa di ricevuto e non di inventato, significa lasciare più spazio al Signore perché attraverso lo strumento del sacerdote possa stimolare la coscienza dei fedeli».
Sono deviazione anche le omelie pronunciate dai laici?
«Sì. Perché l'omelia, come dice il Santo Padre, è il modo con cui la Rivelazione e la grande tradizione della Chiesa viene spiegata affinché la Parola di Dio ispiri la vita dei fedeli nelle loro scelte quotidiane e renda la celebrazione liturgica ricca di frutti spirituali. E la tradizione liturgica della Chiesa riserva l'omelia al celebrante. Ai Vescovi, ai sacerdoti e ai diaconi. Ma non ai laici».
Assolutamente no?
«Non perché loro non siano capaci di fare una riflessione, ma perché nella liturgia i ruoli vanno rispettati. Esiste, come diceva il Concilio, una differenza "in essenza e non solo in grado" tra il sacerdozio comune di tutti i battezzati e quello dei sacerdoti».
Già il cardinale Ratzinger lamentava nei riti la perdita del senso del mistero.
«Spesso la riforma conciliare è stata interpretata o considerata in modo non del tutto conforme alla mente del Vaticano II. Il Santo Padre definisce questa tendenza l'antispirito del Concilio».
A un anno dalla piena reintroduzione della messa tridentina qual è il bilancio?
«La messa tridentina ha al suo interno valori molto profondi che rispecchiano tutta la tradizione della Chiesa. C'è più rispetto verso il sacro attraverso i gesti, le genuflessioni, i silenzi. C'è più spazio riservato alla riflessione sull'azione del Signore e anche alla personale devozionalità del celebrante, che offre il sacrificio non solo per i fedeli ma per i propri peccati e la propria salvezza. Alcuni elementi importanti del vecchio rito potranno aiutare anche la riflessione sul modo di celebrare il Novus Ordo. Siamo all'interno di un cammino».
Un domani vede un rito che prenda il meglio del vecchio e del nuovo?
«Può darsi… io forse non lo vedrò. Penso che nei prossimi decenni si andrà verso una valutazione complessiva sia del rito antico che del nuovo, salvaguardando quanto di eterno e soprannaturale avviene sull'altare e riducendo ogni protagonismo per lasciare spazio al contatto effettivo tra il fedele e il Signore attraverso la figura non predominante del sacerdote».
Con posizioni alternate del celebrante? Quando il sacerdote sarebbe rivolto verso l'abside?
«Si potrebbe pensare all'offertorio, quando le offerte vengono portate al Signore, e di là sino alla fine della preghiera eucaristica, che rappresenta il momento culminante della "trans-substantiatio" e la "communio"».
Disorienta i fedeli il prete che volge le spalle.
«È sbagliato dire così. Al contrario, insieme al popolo si rivolge al Signore. Il Santo Padre nel suo libro Lo spirito del Concilio ha spiegato che quando ci si siede attorno, guardando ognuno la faccia dell'altro, si forma un circolo chiuso. Ma quando il sacerdote e i fedeli insieme guardano l'Oriente, verso il Signore che viene, è un modo di aprirsi all'eterno».
In questa visione si inserisce anche il recupero del latino?
«Non mi piace la parola recuperare. Realizziamo il Concilio Vaticano II, che afferma esplicitamente che l'uso della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia conservato nei riti latini. Dunque, anche se è stato dato spazio all'introduzione delle lingue vernacolari, il latino non va abbandonato completamente. L'uso di una lingua sacra è tradizione in tutto il mondo. Nell'Induismo la lingua di preghiera è il sanscrito, che non è più in uso. Nel Buddismo si usa il Pali, lingua che oggi solo i monaci buddisti studiano. Nell'Islam si impiega l'arabo del Corano. L'uso di una lingua sacra ci aiuta a vivere la sensazione dell'al-di-là».
Il latino come lingua sacra nella Chiesa?
«Certo. Il Santo Padre stesso ne parla nell'esortazione apostolica Sacramentum Caritatis al paragrafo 62: "Per meglio esprimere l'unità e l'universalità della Chiesa vorrei raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei vescovi in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II. Eccettuate le letture, l'omelia e la preghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina". Beninteso, durante incontri internazionali».
Ridando forza alla liturgia, dove vuole arrivare Benedetto XVI?
«Il Papa vuole offrire la possibilità d'accesso alla meraviglia della vita in Cristo, una vita che pur vivendola qui sulla terra già ci fa sentire la libertà e l'eternità dei figli di Dio. E una tale esperienza si vive fortemente attraverso un autentico rinnovamento della fede quale presuppone il pregustare delle realtà celesti nella liturgia che si crede, si celebra e si vive. La Chiesa è, e deve diventare, lo strumento valido e la via per questa esperienza liberante. E la sua liturgia quella che la rende capace di stimolare tale esperienza nei suo i fedeli».

Fonte: fonte non disponibile, 31 luglio 2008

4 - SOCCI: IL SESSANTOTTO CHE NESSUNO RACCONTA
Il '68 e l’eterna giovinezza
Autore: Antonio Socci - Fonte: fonte non disponibile, 27 luglio 2008

A proposito di don Giussani, di un suo libro appena uscito e del prossimo Meeting…Qualcosa che ha a che fare col nostro desiderio inappagato di felicità prendendo spunto dai 40 anni del ’68.
 Il fatto è clamoroso, ma nessuno lo nota. Eppure non si fa che parlare del quarantennale del ‘68. C’è un solo movimento, nato nel ’68, che sia tuttora vivo (e tuttora un movimento di giovani). E’ Comunione e liberazione, cioè quello che era considerato “strano”: quello “disarmato”, odiato e aggredito (120 attentati nel volgere di alcuni mesi, pestaggi e fiumi di calunnie).
Nessuno degli altri movimenti giovanili che infiammarono una generazione e avevano dalla loro parte i media e il pensiero dominante è sopravvissuto. Estinti come i dinosauri, che sparirono perché erano troppo forti di potenza mondana, terrena.
Oggi che si rievoca quel sommovimento, con i miti e i riti di allora, bisogna interrogarsi sul “segreto” di don Giussani che attraversa i decenni, sulla sua vera forza, su quell’ “eterna giovinezza” che infiamma il cuore dei figli, nel 2008, come infiammò i cuori dei loro padri nei lontani anni Settanta. Ma giornali e cattedre sono perlopiù in mano a ex sessantottini che – pur brillanti e trasgressivi – hanno paura di spingere la riflessione su se stessi così a fondo. Anche perché riflettere (oltre le solite riduzioni alla politica e alle banalità dei giornali) su un fenomeno come quello nato da Giussani costringerebbe a mettersi in gioco, a dire “io”, a guardare dentro di sé, il proprio inappagato desiderio di felicità, la propria povertà individuale e generazionale. Perciò non si è mai capito dove stava davvero la forza e la “giovinezza” di Giussani e di quello che è nato da lui. Nessuno lo capì anche allora. I cronisti andavano nei porticati della “Cattolica” di Milano in quei concitati mesi del ’68 e raccontavano la “forza” del movimento studentesco. Quei capetti e le masse urlanti parevano destinati a cambiare il mondo.
Nessuno degnò di attenzione quella cosa diversa che stava nascendo, che era come un filo di stupore destato nel cuore di alcuni giovani da un prete brianzolo che parlava loro di Gesù e ne parlava in un modo così travolgente che quelli si sentivano trafiggere e sentivano un’eco profonda dentro e una specie di commozione per le proprie persone e il proprio destino e un desiderio di seguirlo e si sentivano più se stessi, più autentici, desiderosi di abbracciare il mondo.
Del resto anche gli storici dell’epoca di Augusto scrivevano dell’imperatore e pensavano che fosse lui il padrone del mondo. Non si interessavano certo di una giovane e “irrilevante” ragazzina, alla periferia dell’impero, nella sperduta Nazaret. Eppure sarebbe stata lei, col suo sì, a cambiare il mondo e a diventarne la regina per sempre. Spazzando via anche l’impero. E il cronista che fosse stato a Gerusalemme quel 7 aprile dell’anno 30, avrebbe parlato del potere di Pilato, emanazione di Roma, e della casta sadducea capeggiata da Caifa e di Erode: questi erano quelli che contavano, che facevano la storia, non certo quel Gesù di Nazaret, condannato a morte, che stava agonizzando su un patibolo. Eppure quei poteri mondani sono passati, spazzati via come i più potenti faraoni d’Egitto. E quell’uomo inchiodato a una croce ha travolto e capovolto la storia. E’ lui che ha vinto e continua a vincere fino alla fine dei tempi.
Anche oggi si fa lo stesso errore. Si ritiene che contino davvero, e facciano la storia, i politici o la grande finanza o gli americani o i cinesi. Invece sono i “mendicanti”. Disse precisamente così Giussani, in piazza San Pietro, il 30 maggio ’98, davanti a Giovanni Paolo II e a migliaia di giovani: “Il protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante il cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante Cristo”. Non era una provocazione. Citando san Paolo all’Areopago di Atene, spiegava: “Cristo è il motivo per cui tutti i popoli si muovono, per cui tutto il mondo si muove”. Senza saperlo.
Sui giornali si parlerà del prossimo Meeting per i politici che ci sono o che non ci sono. O per la forza organizzativa di CL. Come si parla della Chiesa per la forza della sua istituzione, per la sua diffusione planetaria, la sua imponente tradizione, la cultura e i valori che promuove. Anche un ammiratore laico come Giuliano Ferrara ne parla così. E nessuno capisce che la sua vera forza – per usare un’immagine di Péguy – non è l’imponenza del tronco della quercia millenaria, ma è la piccola gemma che sboccia ad aprile, apparentemente la cosa più fragile e trascurabile. Quando vedi la forza di quel tronco, spiegava Péguy, ti sembra che quella piccola gemma non sia nulla, “eppure è da lei che tutto viene/ ogni vita nasce dalla tenerezza”. E senza quella gemma, quel grande tronco non sarebbe che legna secca da ardere.
Quella gemma è lo stupore dell’incontro personale con Gesù che avviene oggi come 2000 anni fa. La sorpresa di accorgersi di quel volto presente, di lui che è il senso della vita e dell’universo, di sentirsi da lui chiamati per nome. Una volta, davanti ad alcune migliaia di studenti, don Giussani lesse la lettera di un giovane malato terminale di Aids. Dopo una vita distrutta aveva conosciuto un nuovo amico, un ragazzo che partecipava alla vita di CL e in lui aveva scoperto un mondo totalmente nuovo, soprattutto, per la prima volta, uno sguardo totalmente diverso su di sé. E quindi Gesù. Quel giovane, che sarebbe morto di lì a pochi giorni, scriveva a Giussani la gratitudine e la commozione di aver finalmente trovato la gioia, il senso della sua esistenza e si diceva pronto a quel “passaggio” che prima considerava la fine e che ora gli appariva come il grande incontro.
Migliaia di giovani lo ascoltavano col groppo in gola e Giussani – commosso – finì dicendo che era come se 2000 anni non esistessero, Gesù era lì, vivo e continuava a salvare e a vincere: “la lotta contro il nichilismo” concluse “è questa commozione vissuta”.
Avrei voluto che ci fosse stato il mio amico Ferrara, di cui ammiro le battaglie, ma che sembra pensare che la cultura nichilista si vinca con una cultura umanista o cattolica. Non è così. Non è un’opera umana, culturale, politica o organizzativa che salva davvero. E’ solo la gemma di quella commozione per Cristo (che col tempo germina una civiltà nuova, ma innanzitutto salva te). Giussani talora ha dovuto ripeterlo anche ai suoi. Lo testimonia il bel libro appena uscito, “Uomini senza patria”. Diceva nel 1982: “è come se CL dal ’70 in poi avesse lavorato, costruito e lottato sui valori che Cristo ha portato senza riconoscere veramente Cristo (…). Fino a quando il cristianesimo è sostenere valori cristiani, esso trova spazio e accoglienza dovunque”, invece “non ha patria da nessuna parte nella società, colui che riconosce la presenza di Cristo - una presenza diversa da tutte le altre – nella propria vita”.
Ma l’amicizia di Cristo: come posso parlarne? “Intender non la può chi non la prova”, perché è la felicità. S. Agostino la descriveva così: “occorre dire che si è attirati dal piacere. Ma che cosa significa essere attirati dal piacere? ‘Godi nel Signore, ed Egli soddisferà i desideri del tuo cuore’… Del resto se Virgilio ha potuto dire: ‘Ciascuno è attratto dal proprio piacere’ (…) quanto più noi dobbiamo dire che è attratto a Cristo l’uomo che gode della verità, gode della felicità, gode della giustizia, della vita eterna, dal momento che Cristo è proprio tutto questo…. Che senso hanno queste parole: ‘I figli degli uomini porranno la loro speranza all’ombra delle tue ali/ si inebrieranno dell’abbondanza della tua casa/ e tu li disseterai col torrente del tuo piacere;/ poiché è presso di te la fonte della vita, e alla tua luce vedremo la luce’ ? Un uomo innamorato comprende quello che dico. Un uomo che abbia desideri, che abbia fame, uno che cammini in questo deserto e sia assetato, che aneli alla sorgente della patria eterna, un uomo così sa di cosa sto parlando. Se mi rivolgo invece a un uomo freddo, costui non capisce neppure di che cosa parlo”.

Fonte: fonte non disponibile, 27 luglio 2008

5 - SOCCI: UNA STORIA DA FILM SU CUI NESSUNO FARÀ UN FILM
Il Re dei Cieli e’ fra noi… e i mass media parlano d’altro (perlopiu’ di sciocchezze).
Autore: Antonio Socci - Fonte: fonte non disponibile, 7 agosto 2008

I mass media parlano solo di politica, pettegolezzi, porcate, idiozie. Come la gente di duemila anni fa. E noi non ci accorgiamo che intanto nel mondo c’è Lui, con i suoi amici…
 E’ un milanese l’uomo che ha affascinato il cuore di uno dei paesi più poveri del Sud America, il Perù. Soprattutto nelle baraccopoli più misere di Lima, “Andrés” era considerato un angelo. Mercoledì scorso il suo cuore ancora giovane (55 anni) - che ardeva per questa gente – si è spezzato. E sabato, in una grande basilica di Lima affacciata sull’Oceano Pacifico, davanti a migliaia di persone in lacrime, si è celebrata la sua “nascita al cielo”. Nella stessa mattina di sabato, commosso, il cardinal Cipriani, arcivescovo di Lima, ha parlato di lui alla radio nazionale.
Ma in Italia uomini come Andrea Aziani restano sconosciuti. Instancabile e radioso, Andrés, in quella megalopoli sull’oceano che è la capitale peruviana, viveva da 20 anni, mandato da don Giussani. Lo conoscevano tutti: dal presidente della Repubblica fino al venditore ambulante di “emolliente” che è venuto a dargli l’ultimo saluto in chiesa e fra la folla ripeteva piangendo: “gli volevo tanto bene”.
Poteva discutere nella sua università con i ministri o con i maggiori intellettuali del Paese e subito dopo trascorrere ore nei pueblos più malfamati ad aiutare la povera gente delle baracche, a giocare con i bambini nella polvere delle strade, insegnando loro dei canti o delle preghiere. O portando loro di che vivere. Ce n’era una folla sabato in chiesa di questi suoi “figli”, di cui spesso era “padrino” di battesimo o della comunione o della cresima. Sebastiana é una di queste bambine. Giovedì sera, dopo la veglia, alcuni amici di Andrés, di Comunione e liberazione, sono andati ad accommpagnarla a “casa”. Hanno scoperto che vive in una poverissima capanna in cima a una collina di casupole. La fanciulla ha mostrato loro una cappellina mezza costruita fra le baracche: “il mio padrino ha aiutato tanto a farla...”. Ed è facile immaginare – per chi conosceva Andrés – che il suo è stato anche un aiuto materiale, da muratore improvvisato o manovale. Perché quella povera gente sentisse che Gesù è fra di loro.
Pochi, anche fra i suoi amici, sapevano della gran quantità di persone che aiutava. Il cardinal Cipriani, andando a benedire il corpo, giovedì, lo ha detto: “vi accorgerete con il tempo di tutto il bene che umilmente faceva quest’uomo. Lui mi cercava per ripetermi che lui e il movimento di CL volevano servire la Chiesa e mi chiedeva sempre di dargli una missione”.
Era uno dei figli di don Giussani. La sua è una storia da film: la storia di una compagnia di giovani che è la vera “meglio gioventù”, quella su cui nessuno farà un film. Andrea aveva partecipato alla nascita di Comunione e liberazione nelle università di Milano. Alla Statale, dove si iscrisse nel 1972 (facoltà di Filosofia), diventò presto il responsabile. Erano anni durissimi. Aggressioni, odio e calunnie dei giornali contro i ciellini che erano gli unici a esserci con una identità cristiana, come agnelli in mezzo ai lupi di ogni estremismo.
Anche Andrea si sentiva dare del “fascista” lui che era cresciuto con un nonno, Emanuele Samek Lodovici, che era stato discriminato dal fascismo perché militante del Partito popolare di Sturzo e poi perseguitato a causa delle leggi razziali perché ebreo. Lui era di quella tempra lì. Malmenati nelle università i ciellini erano cacciati anche dai seminari perché i vescovi progressisti del post concilio li ritenevano “integralisti”. Andrea entrò nei Memores Domini, il gruppo dei consacrati laici di CL. Nel 1976 fu mandato da Giussani a Siena. Lì con tre amici iniziò una presenza cattolica nell’ateneo di una delle città più rosse d’Italia. Fu un ciclone. Non si era visto niente di simile dai tempi di santa Caterina.
In Università quella ciellina diventò subito la presenza più forte (alle prime elezioni studentesche la lista cattolica prese più del 50 per cento mettendo in allarme tutto il locale apparato del Pci). Ma ad infiammare i cuori di tutti quei giovani non era la politica, era quell’amicizia con Gesù che Andrea proponeva con la sua stessa persona, così affascinante ed entusiasmante.
Andrea si faceva in quattro per tutti, senza mai riposare, spesso saltando i pasti. Quando si laureò gli amici della comunità gli regalarono un po’ di vestiti (ne aveva davvero bisogno) e il giorno dopo erano già finiti a dei profughi cambogiani che erano scappati dall’inferno dei Khmer rossi e che – attraverso la Caritas – lui era riuscito a ospitare a Siena.
Nel 1989, a 36 anni, ottenne finalmente – come desiderava da sempre - di essere mandato in una delle missioni di CL in Sud America, il Perù. Prima insegnò in alcuni atenei di Lima, poi, con alcuni amici e l’appoggio della Chiesa, fondò l’università “Sedes Sapientiae”. Una università che cerca di far accedere agli studi i più poveri e che è diventata già un modello contagioso per tutto il Sud America.
Che senso ha fondare una università in un paese del terzo mondo? Andrea rispondeva: “la peggiore povertà non è quella economica, ma quella umana. Da lì viene la miseria, il degrado e la fame. Educare uomini nuovi significa far crescere una generazione capace di costruire e quindi di dare un futuro a questo povero paese”. E’ esattamente quello che sostiene il decano dei missionari, padre Piero Gheddo. Ed è così che la Chiesa è diventata dovunque una straordinaria sorgente di sviluppo umano. A leggere su un blog le centinaia di messaggi di studenti di Lima, sconvolti dalla morte del professor Aziani, sembra davvero che questa grande avventura sia vincente. E’ impressionante il segno che ha lasciato quest’uomo. Cito qualche espressione dei ragazzi: “che persona straordinaria!”, “gran hombre sabio”, “la passione che irradiava in tutto non lasciava indifferente nessuno”, “donava se stesso attraverso ciò che insegnava”, “la sua sapienza ci affascinava, ma soprattutto la sua grande umanità e la sua purezza di cuore”, “il suo sorriso caldo e amabile”, “un uomo senza paragoni, differente da tutti quelli che incontriamo”, “un vero Maestro, un padre, un amico… que vive en todos nosotros”, “ci dava sempre speranza guardandoci come figli”, “ringrazio Dio: che fortuna averti conosciuto!”, “sei stato un Maestro eccezionale, grazie per l’esempio della tua vita!”, “era entusiasmante”, “trasmetteva una passione per la vita e per gli altri impressionante”, “amico fedele di Gesù, un cuore semplice e puro”, “ricorderò sempre la sua immensa bontà, il suo amore verso tutte le cose”, “che modo straordinario di amare la vita e tutti quelli che incrociavano la sua strada”, “era sempre disponibile, soprattutto per chi aveva bisogno”, “la sua felicità ci ha segnati per sempre: caro amico, grazie per aver avuto fiducia in me”, “un grande uomo che ci ha insegnato a essere uomini”.
Al funerale, sabato, il vescovo monsignor Panizza non é riuscito a terminare l’omelia per la commozione. C’erano 1500 persone in chiesa, altre mille all’universita dove gli studenti dalle finestre hanno lanciato una pioggia di petali di fiori. Avevano fatto cartelli con le sue frasi tipiche, come “Febbre di vita”. Il ragazzo che ha parlato ha riferito che Andrea ha terminato la sua ultima lezione dicendo: “ricordatevi sempre: l’amore é piú forte della morte”. Era sconvolgente vedere centinaia di giovani silenziosi in lacrime. Al cimitero altre mille persone. La sua tomba è già meta di pellegrinaggio. Ha un popolo che ora aiuta dal cielo.
In una lettera del 1993 a un amico, Andrea ricordava una frase di santa Caterina e scriveva: “Che qualcuno si innamori di ciò che ha innamorato noi. Ma perché sia così, noi dobbiamo bruciare, letteralmente, ardere di passione perché Cristo lo raggiunga. Perché attraverso questo bruciare sia Cristo a raggiungerlo”. Don Giussani un giorno lesse queste righe davanti a centinaia di persone e, commosso, commentò: “vi sfido a trovare una testimonianza simile. Dovunque!”.

Fonte: fonte non disponibile, 7 agosto 2008

6 - SOCCI: CASO ELUANA, QUELLI CHE ACCUSANO LE SUORE DI CRUDELTA’ PERCHE’ LA AMANO

Autore: Antonio Socci - Fonte: fonte non disponibile, 19.07.2008

Comunisti che danno lezioni di “pietas” ? Da che pulpito! Ormai siamo nel mondo alla rovescia: il mondo dell’ideologia dove il Bene è Male e il Male è Bene. E’ la prova che, come disse un giorno Adenauer, “anche in politica soltanto Cristo ci può salvare”.

A proposito di Eluana Englaro, ieri La Stampa, in prima pagina, pubblicava l’articolo di Marina Garaventa che vive “più o meno nella stessa situazione in cui era Piergiorgio Welby”. A un certo punto la signora Garaventa si rivolge polemicamente a chi difende il diritto alla vita di Eluana e scrive: “propongo a questi signori di prendersi un anno sabbatico e offrirlo a Eluana: passare con lei giorni e notti, lavarla, curarle le piaghe, nutrirla, farla evacuare, urinare, girarla nel letto, accarezzarla, parlarle nell’attesa di una risposta che non verrà mai”.
E’ una provocazione salutare (verrebbe da proporre però, analogamente, che quanti ritengono giusto lasciar morire Eluana secondo la sentenza che consente di fermare l’alimentazione e l’idratazione, le stessero accanto minuto dopo minuto per tutto il tempo in cui avrà fame e sete, fino alla morte). Ma forse la signora Garaventa non lo sa: ci sono suore, donne cristiane, che per Eluana stanno già facendo tutto questo da 14 anni, in silenzio e con gioia, e chiedono solo di poter continuare ad amarla. Suor Rosangela – leggo in una cronaca del Corriere - la conosce così bene da “intuire all’istante se ha mal di pancia o mal d’orecchio”. Eluana ogni mattina viene “alzata da letto, lavata, messa in poltrona. Quotidianamente la portiamo in palestra dove c’è un fisioterapista che le pratica la riabilitazione passiva”. Poi c’è la musica, le passeggiate in giardino e “qualche volta, soprattutto se le parla suor Rosangela, muove gli occhi”.
Proprio queste suore, queste fantastiche e umili donne del Cielo, senza fare alcuna polemica, senza lanciare “guerre ideologiche”, con dolcezza hanno detto: “vorremmo tanto dire al signor Englaro, se davvero la considera morta, di lasciarla qui da noi. Eluana è parte anche della nostra famiglia”. Le suore per tutti questi anni si sono prese cura di lei “come di una figlia”. Esprimono il “massimo rispetto” per “la sofferenza dei genitori di Eluana”, ma “con discrezione” chiedono loro di poter continuare ad accudirla e amarla. “Liberazione”, giornale di Rifondazione Comunista, parla di Eluana come di “un corpo”. Invece la suora dice: “Per noi è semplicemente una persona e viene trattata come tale… E’ una ragazza bellissima”. L’editoriale di “Liberazione”, firmato da Angela Azzaro, ha dell’incredibile. Esordisce accusando la Chiesa di essere venuta meno al sentimento della pietas, “quel sentimento che ci rende partecipi del dolore e delle sofferenze altrui, che non ci fa girare le spalle, ma ci aiuta a uscire dall’egoismo, dal nostro bieco interesse”.
Con questa surreale premessa la Azzaro sentenzia: “Il massimo gesto di crudeltà lo hanno compiuto le suore Misericordine presso cui Eluana si trova. Conoscono il padre. Dicono di rispettarlo. Ma gli hanno chiesto di lasciare lì il corpo della figlia. Come se niente fosse. Come se in tutti questi anni la sua vita non fosse stata appesa a un filo, il filo che tiene in vita un corpo non più senziente e che a lui ha impedito di pensare ad altro, di elaborare il lutto, di ripensare forse più serenamente agli occhi di Eluana quando capivano”.
Viene da chiedersi se il direttore di Liberazione, Piero Sansonetti, non pensa di dover chiedere scusa per questo editoriale intitolato “Il sadismo alla scuola di Benedetto” ? E cosa ne pensano i Bertinotti e i Vendola? Le povere suore bersagliate dall’articolista non hanno sequestrato Eluana: fu portata lì dal padre e dalla madre nel 1994 perché era nata lì. Le suore rimasero perplesse, non sapevano se erano in grado di assisterla. Poi si resero conto che aveva bisogno solo di essere alimentata e amata, accudita come una bimba, e la presero nella loro famiglia, con tenerezza e dedizione.
Queste donne umili, che per 14 anni, in silenzio, l’hanno amata, lavata, alimentata, aiutata, meritano di prendersi lo schiaffo di “Liberazione” che parla di “crudeltà”? Le suore non impongono nulla, non sono loro a disporre della sorte di Eluana, né possono o vogliono trattenerla: hanno semplicemente dichiarato che sarebbero liete di continuare a prendersi cura di lei. Con discrezione e semplicità, rispettando tutti. Queste povere donne non hanno potere di decisione, hanno solo il loro amore da offrire. Ebbene secondo il “giornale comunista” (così si definisce), questo è “il massimo gesto di crudeltà”.
Sarebbe questa la cultura laica? Sulla Stampa si sfidano i “pro life” a prendersi cura di Eluana. Appurato poi che le suore lo fanno, da “Liberazione” si bersagliano con l’accusa di crudeltà. Mi pare evidente che il pregiudizio e l’ideologia accecano, cambiano il Bene in Male e il Male in Bene.
Certo, per chi si dice comunista l’amore cristiano (che è “amore del prossimo” e perfino “amore dei nemici”) è roba pericolosa. Casomai la storia comunista ha trafficato con la categoria e la pratica dell’ “odio di classe”. Loro credevano di poter sistemare il mondo e eliminare l’ingiustizia così, con l’ “odio”, l’antagonismo, la lotta, la rivoluzione. Il marxismo pretendeva di essere una “scienza”, non aveva bisogno di amare nessuno, neanche il proletariato: le stesse leggi ferree dell’economia avrebbero necessariamente portato al comunismo, il “paradiso in terra”. Così hanno costruito i loro inferni (dove sono stati macellati milioni di cristiani).
Oggi i contenuti delle diverse ideologie sembrano accantonati, ma restano certi furori, certi metodi e pregiudizi. Certe astrazioni. Ieri per esempio a pagina 10 dell’Unità, dove si esponevano le discutibili dichiarazioni della “Consulta di bioetica”, si diceva che definire con espressioni come “omicidio di stato” il lasciar morire Eluana significa pronunciare “parole al di là della decenza o della semplice ‘educazione’ ”.
Voltando pagina sempre l’Unità definiva però “assassinio di Stato” l’eventuale condanna a morte ed esecuzione di Tareq Aziz per le imputazioni relative agli anni in cui era dirigente del regime di Saddam Hussein. L’Unità intervista Marco Pannella che si batte perché “nessuno tocchi Caino” e – denunciando lui stesso le responsabilità di Aziz – definisce appunto “assassinio di stato” e “delitto” la sua eventuale esecuzione.
Premesso che siamo tutti contro la pena di morte e che nessuno deve toccare Caino, chiediamo a Pannella e all’Unità: invece Abele sì? Pannella parla di questa sua “battaglia di civiltà”, definisce un “misfatto” l’eventuale esecuzione capitale di Aziz, seppure colpevole, perché la vita umana non è a disposizione degli stati, ma poi, leggo in una agenzia, definisce la sentenza che autorizza la sospensione dell’alimentazione per Eluana come “affermazione della civiltà giuridica, umana e civile”. Stiamo parlando della eventuale morte di una ragazza per fame e per sete. E’ pur vero che non è autosufficiente e non pare cosciente, ma è viva.
Io non posso credere che Pannella e l’Italia, i quali rivendicano la moratoria dell’Onu sulle esecuzioni capitali come una conquista di civiltà, possano poi accettare una simile morte per Eluana. E’ pur vero che in quest’epoca di sbandamento si definisce conquista di civiltà anche l’aborto, ovvero la soppressione – tramite legge di stato – di migliaia e migliaia di piccole vite innocenti. Ma perché la vita di Caino va sempre e comunque protetta, qualunque cosa abbia fatto, e quella di Abele no?
La presenza silenziosa di quelle suore ci fa sapere che da 2000 anni, da quando è venuto Gesù, qualunque essere umano è amato. Un giornalista disse una volta a Madre Teresa di Calcutta che lui non avrebbe fatto ciò che faceva lei per tutto l’oro del mondo e lei rispose: “neanche io”. Ma per Gesù sì. Al di là della sentenza su Eluana, com’è possibile non provare rispetto e ammirazione per queste suore? Non è stupendo che esistano persone così? Sono appassionate a ogni essere umano com’era Gesù che ascoltava tutti, accoglieva tutti e “guariva tutti”. Sono capaci di questo amore per la vita umana perché amano, testimoniano e donano ciò che vale più della vita: Gesù stesso, la Grazia. Cioè la vita eterna, l’unica vera speranza che rende vittoriosi sul dolore e su “sorella morte”.

Fonte: fonte non disponibile, 19.07.2008

7 - LA VERA ELUANA NELLE LETTERE PRIMA DELL'INCIDENTE
Suor Rina ricorda: Ecco Eluana nelle sue lettere.
Autore: Paolo Ferrario - Fonte: fonte non disponibile, 30/07/08

Emergono nuove testimonianze su Eluana Englaro e, ancora una volta, provengono da chi l’ha frequentata e conosciuta durante i cinque anni trascorsi al Liceo linguistico 'Maria Ausiliatrice' di Lecco. A parlare è suor Rina Gatti, antica insegnante di Lettere di Eluana, che in questi giorni ha ritrovato una lettera scritta dalla giovane poche settimane prima del grave incidente del 18 gennaio 1992. Nella lettera alla religiosa, oggi in servizio all’Istituto Don Bosco di Padova, la ragazza, infatti, porgeva a suor Rina gli auguri per le imminenti festività natalizie e di fine anno.
  «In queste due paginette – racconta suor Rina – Eluana parla della sua vecchia scuola facendo trasparire il profondo legame di amicizia che si era instaurato tra di noi». Una testimonianza che, secondo la religiosa, contrasta con quanto riportato nella sentenza della Corte d’Appello di Milano, dove si dice che la ragazza fu invece «costretta» a frequentare la scuola delle suore perchè a Lecco non c’era un Liceo linguistico pubblico. Suor Rina obietta qualcosa anche su un altro passaggio della sentenza, là dove si legge che dalle suore la giovane si dovette «adattare ad un contesto ambientale e ad un corpo docente che, nel giudizio di Eluana, sarebbero stati del tutto refrattari al confronto e al dialogo, mentre lei considerava questi ultimi di essenziale importanza». Infine, la religiosa apprende «con dolore » che, come si legge nella riga successiva della sentenza, frequentare il Liceo dalla suore di Maria Ausiliatrice, avrebbe provocato ad Eluana una «forte crisi di rigetto e di insofferenza». «Se così fosse – protesta suor Rina Gatti – non si capisce perchè, a distanza di oltre due anni dalla maturità, senta la necessità di inviarmi questa lettera dove tra l’altro, scrive: “Ho deciso di ricominciare con te” che sei, dice lei, “la mia educatrice”. E poi: “Volevo dirti sinceramente che mi manchi”. E ancora: “E adesso chi mi sgrida quando ne combino una delle mie?” Non mi sembra proprio che si rivolga ad una persona che le aveva provocato crisi di rigetto e insofferenza ». Poche righe più sotto, Eluana comunica a suor Rina “una supernotizia”. E, come riferisce la religiosa, scrive: “Ho cambiato facoltà e... per la tua gioia sono andata in Cattolica. Mi trovo molto bene! Ho professori eccezionali. Pensa te che da quando sono iniziate le lezioni, il 6 novembre, non ho perso neanche una lezione. Sono brava”.
  Effettivamente, dopo essersi iscritta a Giurisprudenza all’Università Statale di Milano nell’anno accademico ’89/’90 e aver sostenuto l’esame di Istituzioni di Diritto romano, conseguendo una votazione di 26/30, Eluana il 10 ottobre 1991 inoltrò domanda di trasferimento all’Università Cattolica, nella facoltà di Lingue e letteratura straniere. La domanda fu protocollata alla segreteria di Largo Gemelli il 25 novembre ’91 e l’ammissione fu deliberata, senza però la convalida dell’esame sostenuto in Statale, perchè non coerente con il nuovo piano di studi. A causa dell’incidente Eluana non potè più formalizzare l’iscrizione e così, nel giugno del ’93, la procedura fu sospesa e la documentazione restituita alla Statale. Anche nella sentenza della Corte d’Appello si fa riferimento a questo cambio di facoltà, senza però specificare che la giovane transitò dalla Statale alla Cattolica. Semplicemente, si scrive che “mutò successivamente indirizzo di studi passando a frequentare una facoltà linguistica di tipo turisticomanageriale”.
 «Perchè questa omissione? – si chiede suor Rina –. Eluana era molto contenta della scelta fatta, tanto che mi scrive: “Penso finalmente di aver trovato la mia strada!!! Non ho mai amato tanto studiare e soprattutto frequentare le lezioni”. Anche in questo caso, non mi pare che Eluana fosse scontenta di frequentare un’istituzione cattolica, tutt’altro. Da questa lettera traspare invece il ritratto di una ragazza determinata e felice, soddisfatta del cammino intrapreso e desiderosa di comunicarlo a chi, come me, la conosceva bene, la stimava e le era amica».
 A testimonianza di quanto fosse solido e radicato il legame tra insegnante ed allieva, suor Rina riferisce infine dei biglietti che, per Natale o per il compleanno, Eluana le recapitava. In uno degli ultimi si legge “Tanti auguroni alla mia Rina . Bacioni. Eluana e famiglia”. «Purtroppo non li ho conservati tutti perchè durante il trasloco da Lecco a Padova qualcuno è andato perso – conclude la religiosa –. Ma nel mio cuore ricordo ogni momento bello trascorso con lei. E sono stati davvero tanti».

Fonte: fonte non disponibile, 30/07/08

8 - SIENA: FESTA DELL’UNITÀ ARCHIVIATA DAL PARTITO DEMOCRATICO? MACCHÉ, È LA STESSA IN MANO AGLI EX DS
La Festa dell’Unità, implacabile, troneggia in Fortezza.
Autore: Marco Falorni - Fonte: fonte non disponibile, 8 Agosto 2008

Forse qualcuno pensava che, con l’avvento del Partito Democratico, la Festa dell’Unità fosse archiviata? Forse qualcuno pensava che la Fortezza, in estate, tornasse a disposizione dei senesi, magari con café chantant, cinema all’aperto per tutta la stagione, aiuole ben tenute, e chiusura del cancello rigorosamente a mezzanotte? Ma neanche per idea. La Festa dell’Unità si fa e basta, e con la solita ricetta. Prendiamo a prestito le parole usate dall’articolista de La Nazione: “…il resto è pressoché uguale a sempre. Dalla location (la Fortezza) alla formula (politica, ristoro e musica), per finire con l’organizzazione che sostanzialmente resta in mano agli ex DS”. Più chiaro di così…
Del programma, è semmai particolarmente interessante, andare a vedere cosa è previsto nelle serate dei quattro giorni di Palio. Ebbene per mercoledì 13 agosto, giorno della tratta, oltre alle salcicce abbrustolite si potrà gustare dibattito politico, spettacolo di illusionismo e balera. Per giovedì 14 agosto, giorno del solennissimo corteo dei ceri e dei censi, è in cartellone un ricco dibattito sull’alfabeto riformista, spettacolo teatrale e balera. Anche per venerdì 15 agosto, giorno dedicato a Maria Santissima Assunta in Cielo, Patrona e Regina di Siena e del suo Antico Stato, e festa nazionale della Repubblica Senese, non c’è requie: musica jazz e balera, ma in compenso, al posto della politica, una bella tombola gigante. Per sabato 16 agosto, giorno del Palio, l’organizzazione diessina ha previsto solo la balera, per gli irriducibili che se ne sbattono delle contrade e della senesità varia.
Niente da dire, dunque, la sensibilità è la stessa di sempre. Anche il nome resta: Festa dell’Unità, con l’aggiunta de “per il Partito Democratico”. Per la verità c’è anche un suggestivo sottotitolo: “In festa nella terra dove i sogni diventano realtà”. Beati loro. A diversi pareva che fossero gli incubi a diventare realtà.

Fonte: fonte non disponibile, 8 Agosto 2008

9 - OMELIA SOLENNITA' ASSUNZIONE - ANNO B (Lc 1,39-56)
Benedetta sei tu fra tutte le donne
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Sito del Vaticano, 15 agosto 2007

Nella sua grande opera "La Città di Dio", Sant'Agostino dice una volta che tutta la storia umana, la storia del mondo, è una lotta tra due amori: l'amore di Dio fino alla perdita di se stesso, fino al dono di se stesso, e l'amore di sé fino al disprezzo di Dio, fino all'odio degli altri. Questa stessa interpretazione della storia come lotta tra due amori, tra l'amore e l'egoismo, appare anche nella lettura tratta dall'Apocalisse, che abbiamo sentito ora. Qui, questi due amori appaiono in due grandi figure. Innanzitutto vi è il dragone rosso fortissimo, con una manifestazione impressionante ed inquietante del potere senza grazia, senza amore, dell'egoismo assoluto, del terrore, della violenza.
Nel momento in cui san Giovanni scrisse l'Apocalisse, per lui questo dragone era realizzato nel potere degli imperatori romani anticristiani, da Nerone fino a Domiziano. Questo potere appariva illimitato; il potere militare, politico, propagandistico dell'impero romano era tale che davanti ad esso la fede, la Chiesa appariva come una donna inerme, senza possibilità di sopravvivere, tanto meno di vincere. Chi poteva opporsi a questo potere onnipresente, che sembrava in grado di fare tutto? E tuttavia, sappiamo che alla fine ha vinto la donna inerme, ha vinto non l'egoismo, non l'odio; ha vinto l'amore di Dio e l'impero romano si è aperto alla fede cristiana.
Le parole della Sacra Scrittura trascendono sempre il momento storico. E così, questo dragone indica non soltanto il potere anticristiano dei persecutori della Chiesa di quel tempo, ma le dittature materialistiche anticristiane di tutti i periodi. Vediamo di nuovo realizzato questo potere, questa forza del dragone rosso nelle grandi dittature del secolo scorso: la dittatura del nazismo e la dittatura di Stalin avevano tutto il potere, penetravano ogni angolo, l'ultimo angolo. Appariva impossibile che, a lunga scadenza, la fede potesse sopravvivere davanti a questo dragone così forte, che voleva divorare il Dio fattosi bambino e la donna, la Chiesa. Ma in realtà, anche in questo caso alla fine, l'amore fu più forte dell'odio.
Anche oggi esiste il dragone in modi nuovi, diversi. Esiste nella forma delle ideologie materialiste che ci dicono: è assurdo pensare a Dio; è assurdo osservare i comandamenti di Dio; è cosa di un tempo passato. Vale soltanto vivere la vita per sé. Prendere in questo breve momento della vita tutto quanto ci è possibile prendere. Vale solo il consumo, l'egoismo, il divertimento. Questa è la vita. Così dobbiamo vivere. E di nuovo, sembra assurdo, impossibile opporsi a questa mentalità dominante, con tutta la sua forza mediatica, propagandistica. Sembra impossibile oggi ancora pensare a un Dio che ha creato l'uomo e che si è fatto bambino e che sarebbe il vero dominatore del mondo.
Anche adesso questo dragone appare invincibile, ma anche adesso resta vero che Dio è più forte del dragone, che l'amore vince e non l'egoismo. Avendo considerato così le diverse configurazioni storiche del dragone, vediamo ora l'altra immagine: la donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi, circondata da dodici stelle. Anche quest'immagine è multidimensionale. Un primo significato senza dubbio è che è la Madonna, Maria vestita di sole, cioè di Dio, totalmente; Maria che vive in Dio, totalmente, circondata e penetrata dalla luce di Dio. Circondata dalle dodici stelle, cioè dalle dodici tribù d'Israele, da tutto il Popolo di Dio, da tutta la comunione dei santi, e ai piedi la luna, immagine della morte e della mortalità. Maria ha lasciato dietro di sé la morte; è totalmente vestita di vita, è assunta con corpo e anima nella gloria di Dio e così, posta nella gloria, avendo superato la morte, ci dice: Coraggio, alla fine vince l'amore! La mia vita era dire: Sono la serva di Dio, la mia vita era dono di me, per Dio e per il prossimo. E questa vita di servizio arriva ora nella vera vita. Abbiate fiducia, abbiate il coraggio di vivere così anche voi, contro tutte le minacce del dragone.
Questo è il primo significato della donna che Maria è arrivata ad essere. La "donna vestita di sole" è il grande segno della vittoria dell'amore, della vittoria del bene, della vittoria di Dio. Grande segno di consolazione. Ma poi questa donna che soffre, che deve fuggire, che partorisce con un grido di dolore, è anche la Chiesa, la Chiesa pellegrina di tutti i tempi. In tutte le generazioni di nuovo essa deve partorire Cristo, portarlo al mondo con grande dolore in questo modo sofferto. In tutti i tempi perseguitata, vive quasi nel deserto perseguitata dal dragone. Ma in tutti i tempi la Chiesa, il Popolo di Dio vive anche della luce di Dio e viene nutrito - come dice il Vangelo - di Dio, nutrito in se stesso col pane della Santa Eucaristia. E così in tutta la tribolazione, in tutte le diverse situazioni della Chiesa nel corso dei tempi, nelle diverse parti del mondo, soffrendo vince. Ed è la presenza, la garanzia dell'amore di Dio contro tutte le ideologie dell'odio e dell'egoismo.
Vediamo certamente che anche oggi il dragone vuol divorare il Dio fattosi bambino. Non temete per questo Dio apparentemente debole. La lotta è già cosa superata. Anche oggi questo Dio debole è forte: è la vera forza. E così la festa dell'Assunta è l'invito ad avere fiducia in Dio ed è anche invito ad imitare Maria in ciò che Ella stessa ha detto: Sono la serva del Signore, mi metto a disposizione del Signore. Questa è la lezione: andare sulla sua strada; dare la nostra vita e non prendere la vita. E proprio così siamo sul cammino dell'amore che è un perdersi, ma un perdersi che in realtà è l'unico cammino per trovarsi veramente, per trovare la vera vita.
Guardiamo Maria, l'Assunta. Lasciamoci incoraggiare alla fede e alla festa della gioia: Dio vince. La fede apparentemente debole è la vera forza del mondo. L'amore è più forte dell'odio. E diciamo con Elisabetta: Benedetta sei tu fra tutte le donne. Ti preghiamo con tutta la Chiesa: Santa Maria prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Amen.

Fonte: Sito del Vaticano, 15 agosto 2007

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