BastaBugie n�165 del 05 novembre 2010
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LA FESTA DI HALLOWEEN IN PARROCCHIA? NO DI CERTO, ECCO PERCHE'
Storia della festa pagana e satanica di Halloween, spacciata per innocua carnevalata ed innocente divertimento per piccini
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: Cultura Cattolica
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IL CORANO DA' AL MUSULMANO IL DIRITTO DI IMPORRE LA RELIGIONE CON LA FORZA
Il discorso censurato del vescovo libanese al Sinodo in Vaticano sul Medio Oriente
Autore: Don Gabriele Mangiarotti - Fonte: Cultura Cattolica
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OGNI FECONDAZIONE ARTIFICIALE DEVE ESSERE VIETATA DALLO STATO
Lo dicono i vescovi (polacchi)
Fonte: Comitato Verità e Vita
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INDAGINE SUL CRISTIANESIMO DI FRANCESCO AGNOLI
Oggi c'è il tentativo di marginalizzare la Chiesa, perseguitandone i membri
Fonte: Corrispondenza Romana
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IL FALLIMENTO DEL MULTICULTURALISMO
La storia decreta sempre la vittoria di una cultura sull'altra: il relativismo non può reggere nel lungo periodo
Autore: Davide Rondoni - Fonte: Avvenire
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IL SINODO DEI VALDESI HA VOTATO DEI PROVVEDIMENTI DEGNI DEL PIU' LAICISTA DEI PARLAMENTI
Ulteriore strappo tra la più numerosa comunità protestante italiana e la Chiesa Cattolica: rifiuto della legge naturale, sì al riconoscimento delle coppie gay, sì alla ricerca sulle staminali embrionali, sì alla rimozione del crocifisso
Fonte: Corrispondenza Romana
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IN SPAGNA LA NUOVA LEGGE SULL'ABORTO: BANALISSIMA PRATICA SCIOLTA DEL TUTTO DA OGNI RISPETTO PER LA PERSONA UMANA
Luis Zapatero ha inflitto al Paese un ulteriore durissimo colpo alla civiltà della vita
Fonte: Corrispondenza Romana
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COSA DIRE NEL 140° ANNIVERSARIO DELLA PRESA DI ROMA (20 SETTEMBRE 1870)?
Viva Pio IX, Papa-Re!
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana
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DUE CITTADINI DI FEDE ISLAMICA METTONO IN TASCA LE OSTIE CONSACRATE
La comunione sulla mano tende ad affievolire nei fedeli la consapevolezza della presenza reale di Gesù nell'Eucarestia
Fonte: Corrispondenza Romana
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NUOVO STUDIO: GLI OMOSESSUALI ATTIVI SONO LA MAGGIOR PARTE DEI MALATI DI AIDS
Gli omosessuali in realtà fanno un uso non sessuale delle loro parti sessuali: se la sessualità non è aperta alla fecondità, di cosa si sta parlando?
Fonte: Unione Cristiani Cattolici Razionali (anti-uaar)
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LA CHIESA NON PUÒ APPROVARE DELLE INIZIATIVE LEGISLATIVE CHE IMPLICHINO MODELLI ALTERNATIVI DELLA VITA DI COPPIA E DELLA FAMIGLIA
C'è un crescente tentativo di eliminare il concetto cristiano di matrimonio e famiglia dalla coscienza della società
Fonte: Corrispondenza Romana
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OMELIA PER LA XXXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 20,27-38)
Dio non è dei morti, ma dei viventi, perché tutti vivono per lui
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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LA FESTA DI HALLOWEEN IN PARROCCHIA? NO DI CERTO, ECCO PERCHE'
Storia della festa pagana e satanica di Halloween, spacciata per innocua carnevalata ed innocente divertimento per piccini
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: Cultura Cattolica, 28 ottobre 2010
Si avvicina la notte del 31 ottobre con il consueto armamentario di zucche, candele e macabre mascherate. Si tratta della festa pagana e satanica di Halloween, spacciata per innocua carnevalata ed innocente divertimento per piccini. La politically correctness britannica ha avuto modo di occuparsi anche di questa festa, accomunando guardie e ladri. Da tempo, infatti, ai detenuti pagani, satanisti e "Devil worshippers" (adoratori del diavolo), non solo è riconosciuto un giorno di riposo settimanale per motivi religiosi (il giovedì, poiché il venerdì, il sabato e la domenica, sono rispettivamente riservati a musulmani, ebrei e cristiani), ma è pure consentito di celebrare la festività di Halloween. Non si tratta di semplice riposo, o di una gaia arlecchinata, bensì di una celebrazione vera e propria con tanto di riti e oggetti sacri: pietre runiche, mantelli, e bastoni flessibili (per motivi di sicurezza). Le disposizioni in favore delle centinaia di detenuti pagani e satanisti rinchiusi nelle carceri britanniche sono state emanate da Gareth Hadley, Direttore del personale penitenziario nazionale, sul presupposto politicamente corretto dell'assoluta eguaglianza tra paganesimo, satanismo e qualunque altro credo religioso. Dall'altra parte della barricata, per quanto riguarda i poliziotti, lo scorso 10 maggio il Ministero britannico degli Interni ha ufficialmente riconosciuto la Pagan Police Association, un'organizzazione di poliziotti pagani (più di 500 tra agenti ed ufficiali di polizia, compresi druidi, streghe e sciamani), autorizzando i membri ad assentarsi dal servizio in occasione delle relative feste religiose, tra cui primeggia proprio Halloween. Andy Pardy, capo della polizia di Hemel Hempstead nell'Hertfordshire, che è cofondatore della Pagan Police Association e adoratore delle antiche divinità vichinghe, tra cui il dio Thor dal martello distruttore e Odino dall'occhio ciclopico, ha dato l'annuncio ufficiale del riconoscimento da parte del Ministero degli Interni, precisando che «gli agenti di polizia ora possono finalmente celebrare le proprie festività religiose e lavorare in altre giornate, come il Natale, che per essi appaiono assolutamente insignificanti». Halloween, in realtà, è tutt'altro che un'innocua festicciola per bambini. Profondamente radicata nel paganesimo e nel satanismo, continua ad essere una pericolosa forma di idolatria demoniaca. Trae origine da un'antichissima celebrazione celtica diffusa nelle isole britanniche e nel nord della Francia, con cui i pagani adoravano una delle loro divinità, chiamata Samhain, Signore della morte. Era considerata una delle feste più importanti, e dava inizio al capodanno celtico. La notte del 31 ottobre in onore del sanguinario dio della morte, veniva realizzato, sopra un'altura, un enorme falò utilizzando rami di quercia, albero ritenuto sacro, sul quale venivano bruciati sacrifici costituiti da cibo, animali e persino esseri umani. Di quest'ultima crudele e sanguinaria usanza ne dà testimonianza lo stesso Giulio Cesare nel suo De Bello Gallico (libro VI, 16), così come Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (XXX, 13), in cui parla di «riti mostruosi», e Tacito nei suoi Annales (XIV, 30), che definisce i sacrifici umani praticati dai druidi come «culti barbarici». I Celti ritenevano che Samhain, in risposta alle offerte di tali olocausti, autorizzasse le anime dei morti a ritornare alle proprie case in quel giorno di festa. Per questo motivo i pagani nordici ritenevano che fredde e oscure creature riempissero la notte vagando e mendicando tra i vivi. E' da tale credenza, peraltro, che deriva l'uso odierno di girovagare nel buio, la notte di Halloween, vestiti in costumi che imitano fantasmi, streghe, elfi, e creature demoniache. Anche la celebre espressione "trick or treat", tradotta con l'innocente "dolcetto o scherzetto", è parte dell'antico cerimoniale pagano. Venivano chieste offerte ("treat") sotto la minaccia dell'ira di Samhain, e della sua maledizione divina ("trick"), in caso di rifiuto. «Offrite sacrifici a Samhain, o subirete i suoi castighi», questo si continua inconsciamente a chiedere, oggi, con l'apparentemente scherzoso "dolcetto o scherzetto". L'usanza di chiedere offerte al dio della morte diventava, in passato, anche un metodo per identificare i cristiani che si rifiutavano di onorare la divinità pagana, e che per questo subivano, a volte, odiose ritorsioni. Per comprendere quanto la Chiesa, fin dall'inizio dell'evangelizzazione dei popoli celti, fosse preoccupata di quella pericolosa "solennità" pagana, basta considerare che la Festa di Ognissanti fu spostata, in Occidente, al primo novembre, con tanto di vigilia la notte precedente, proprio per contrastare il culto satanico di Samhain. La cristianità conobbe, infatti, le prime forme di commemorazioni dei Santi già a partire dal IV secolo, in particolare nel giorno della Domenica successiva alla Pentecoste, usanza conservata fino ad oggi dalla Chiesa Ortodossa d'Oriente. Nell'Occidente, come si è detto, la data fu spostata al primo novembre per farla coincidere con la celebrazione in onore del dio celtico della morte, a seguito delle pressanti richieste che provenivano dal mondo monastico irlandese. La prima traccia di questa posticipazione è rinvenibile in un atto di Papa Gregorio III (731-741), che fissava appunto nel 1° novembre l'anniversario della consacrazione di una cappella in San Pietro dedicata alle reliquie «dei santi apostoli e di tutti i santi, martiri e confessori, e di tutti i giusti resi perfetti che riposano in pace in tutto il mondo». Fu il successore Gregorio IV ad estendere e rendere obbligatoria la data della celebrazione a tutta la cristianità. In Francia, in particolare, ciò avvenne grazie ad un decreto di Luigi il Pio, emanato nell' 835, «su istanza di Papa Gregorio IV, con il consenso di tutti i vescovi». Nella Britannia del VIII-IX secolo, quindi, il giorno dedicato dai pagani al dio della morte, era per i cristiani occasione per onorare i Santi, partecipando alla veglia di preghiera la sera del 31 ottobre, ed alla Santa Messa il giorno successivo. E' da qui che deriva il termine Halloween. L'etimo si radica, infatti, nell'antica espressione inglese Hallow E'en, ovvero notte di commemorazione di tutti coloro che sono stati "hallowed", santificati. I pochi che rimasero ancorati alle tradizioni pagane reagirono al tentativo della Chiesa di soppiantare la celebrazione in onore di Samhain, mantenendone il culto e cercando di incrementarlo. Nell'alto medioevo la notte di Halloween divenne simbolicamente la festa principale della stregoneria e del mondo occulto. In quel contesto avvenivano, tra l'altro, forme particolari di sacrilegio nei confronti di oggetti sacri, e l'utilizzo degli scheletri (oggi rappresentati da maschere) costituiva una forma di dileggio delle Sacre Reliquie. Per il moderno satanismo, Halloween continua ad essere una festa privilegiata. E' uno dei quattro sabba delle streghe, delle quattro grandi "solennità" coincidenti con alcune delle principali festività pagane e dell'antica stregoneria. La prima e più importante è, appunto, quella di Halloween, considerata il Capodanno magico. La seconda "solennità" è quella di Candlemass, che si celebra la notte tra il 1° e il 2 febbraio ed è considerata la Primavera magica (per i cristiani è la ricorrenza della Presentazione del Bambino Gesù al tempio, chiamata anche popolarmente "Festa della Candelora"). La terza "solennità" è quella di Beltane, che si festeggia nella notte tra il 30 aprile ed il 1° maggio, chiamata anche la notte di Valpurga, e segna l'inizio dell'Estate magica. La quarta "solennità" è quella di San Giovanni Battista, che si svolge la notte tra il 23 e 24 giugno, ed è particolarmente attesa per mettere in atto malefici di malattia e di morte. Com'è facile notare sono tutte celebrazioni notturne che si svolgono nel buio e nell'oscurità, a conferma della definizione evangelica di Satana come Principe delle Tenebre, e dei suoi seguaci come Figli delle Tenebre. Da un punto di vista cristiano, la partecipazione a tali pratiche, a qualunque livello (anche quello apparentemente inoffensivo di una banale festa), deve considerarsi una pericolosa forma d'idolatria. Come deve considerarsi una forma pagana di superstizione quella di illuminare una zucca vuota fuori dalla porta per scacciare demoni e fantasmi. Sorprende la sottovalutazione fatta oggi anche da molti credenti – a volte preda di una forma di ebetismo consumistico – circa l'origine ed il significato della festa pagana e satanica di Halloween. Ma non sorprende che dalla Chiesa continuino a levarsi voci rivolte ad ammonire e mettere in guardia circa i rischi dell'inganno demoniaco che tale ricorrenza nasconde. Mi ha particolarmente colpito, l'anno scorso, l'iniziativa di una marcia proprio contro i festeggiamenti di Halloween svoltasi a Massa Carrara e promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata dal compianto don Oreste Benzi, iniziativa cui non ha fatto mancare propria fattiva partecipazione l'allora vescovo di Massa Carrara-Pontremoli, monsignor Eugenio Binini. La comunità di don Benzi, in quell'occasione, non ha usato mezze parole per denunciare i pericoli della cosiddetta notte delle streghe: «Il fenomeno che viene esaltato il 31 ottobre è un grande rituale satanico. Facciamo appello al mondo cattolico perché non promuova in nessun modo questa ricorrenza che inneggia al macabro e all'orrore. Sappiano tutti i genitori e tutti coloro che credono nei valori della vita, che la festa di Halloween è l'adorazione di Satana che avviene anche in modo subdolo attraverso la parvenza di feste e di giochi per giovani e bambini. Il sistema imposto di Halloween proviene da una cultura esoterico-satanica in cui si porta la collettività a compiere rituali di stregoneria, spiritismo, satanismo che possono anche sfociare, in alcune sette, in sacrifici rituali, rapimenti e violenze. Halloween è per i satanisti il giorno più magico dell'anno e in queste notti si moltiplicano i rituali satanici come le messe nere, le iniziazioni magico-esoteriche e l'avvio allo spiritismo e stregoneria. Attenzione agli educatori e responsabili della società affinché scoraggino i ragazzi a partecipare ad incontri sconosciuti, ambigui o addirittura ad alto rischio perché segreti o riservati». Sempre a proposito di Halloween, monsignor Girolamo Grillo, Vescovo emerito di Civitavecchia-Tarquinia, ha ricordato che «si tratta di una consuetudine nettamente pagana», e che «naturalmente un vero cristiano non potrà mai dare il suo assenso a tutto questo, soprattutto per il fatto che di carnevalate oscene ve ne sono a iosa, cui vanno aggiunte le veglie sataniche mascherate proposte da alcuni gruppi, purtroppo abbastanza diffusi anche nei nostri ambienti». Quest'ultimo punto dell'osservazione di mons. Grillo merita di essere sottolineato, poiché non sono infrequenti – ahimè – le occasioni in cui si ha modo di verificarne la fondatezza. E' accaduto anche a me quando ho appreso del caso di un giovane sacerdote, coadiutore di un anziano parroco, che aveva autorizzato l'uso della sala oratoriale per la celebrazione della festa di Halloween. Con tanto di locandine e volantini. Alle legittime recriminazioni di un genitore, il giovane coadiutore, infastidito per l'osservazione, ha tenuto a precisare che la magia esiste solo nel mondo della fantasia dei bimbi, che i ragazzi cattolici non debbono isolarsi ma condividere le occasioni di divertimento con i loro coetanei, che la Chiesa, in passato, ha già sbagliato dando la caccia a streghe inesistenti, e che la concezione antropomorfa del demonio appartiene alla tradizione preconciliare. Sappiamo già che da alcuni giovani (e inesperti) preti non si può pretendere più di tanto. Ma credo si possa almeno esigere che conoscano un pochino le Sacre Scritture. Se quel neosacerdote avesse dato una ripassatina alla Bibbia, avrebbe avuto modo di leggere che non è opportuno per i cristiani frequentare i pagani e assistere ai loro riti, poiché non può esservi unione tra la luce e le tenebre (2 Corinzi, 6,14), che i libri di arti occulte vanno bruciati (Atti, 19,19), che non si deve partecipare alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannarle apertamente (Efesini, 5,11-12), che idolatria e stregoneria sono opere della carne (Galati, 5,20), che bisogna separarsi da «chi esercita la divinazione, il sortilegio, l'augurio o la magia; da chi fa incantesimi, da chi consulta gli spiriti o gli indovini, e da chi interroghi i morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore» (Deut. 18, 10-12). Più chiaro di così.
Nota di BastaBugie: per leggere altri articoli da noi pubblicati sulla festa di Halloween clicca qui sotto https://www.bastabugie.it/it/ricerca.php?testo_ricerca=halloween
Fonte: Cultura Cattolica, 28 ottobre 2010
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IL CORANO DA' AL MUSULMANO IL DIRITTO DI IMPORRE LA RELIGIONE CON LA FORZA
Il discorso censurato del vescovo libanese al Sinodo in Vaticano sul Medio Oriente
Autore: Don Gabriele Mangiarotti - Fonte: Cultura Cattolica, 26 ottobre 2010
Ho pensato molto prima di scrivere questo editoriale, perché c’erano (e ci sono) due aspetti che in questi giorni mi colpiscono della realtà che ci circonda: da un lato la questione del bene, nel senso che diventa sempre più insopportabile un mondo dei mass-media che sa solo comunicare il male, il negativo, con un compiacimento morboso e inutile. Non voglio guardare la TV o ascoltare le notizie in modo da dovere essere io il giudice, quasi che mi si chieda ogni volta di individuare e condannare il colpevole. Dall’altro lato il problema del politically correct, per cui di certe questioni, come del rapporto con l’islam, bisogna parlare solo in certi termini. E allora ho letto quanto ha detto a proposito dell’islam il Vescovo libanese Raboula Antoine Beylouni, censurato persino dall’Osservatore Romano. Ciò che dice mi pare tra l’altro in sintonia con quello che andiamo pubblicando sul sito, sperando che i rapporti tra gli uomini delle religioni sappiano trovare ragioni di rispetto, nell’assoluta consapevolezza che «solo la verità ci farà liberi». Riporto quanto affermato (e censurato), per amore di verità: «Ecco le difficoltà con cui ci confrontiamo. Il Corano inculca al musulmano l’orgoglio di possedere la sola religione vera e completa, religione insegnata dal più grande profeta, poiché è l’ultimo venuto. Il musulmano fa parte della nazione privilegiata e parla la lingua di Dio, la lingua del paradiso, l’arabo. Per questo affronta il dialogo con questa superiorità e con la certezza della vittoria. Il Corano, che si suppone scritto da Dio stesso da cima a fondo, dà lo stesso valore a tutto ciò che vi è scritto: il dogma come qualunque altra legge o pratica. Nel Corano non c’è uguaglianza tra uomo e donna, né nel matrimonio stesso in cui l’uomo può avere più donne e divorziare a suo piacimento, né nell’eredità in cui l’uomo ha diritto a una doppia parte, né nella testimonianza davanti ai giudici in cui la voce dell’uomo equivale a quella di due donne ecc. Il Corano permette al musulmano di nascondere la verità al cristiano e di parlare e agire in contrasto con ciò che pensa e crede. Nel Corano vi sono versetti contraddittori e versetti annullati da altri, cosa che permette al musulmano di usare l’uno o l’altro a suo vantaggio; così può considerare il cristiano umile, pio e credente in Dio ma anche considerarlo empio, rinnegato e idolatra. Il Corano dà al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con la jihad (guerra santa). Ordina di imporre la religione con la forza, con la spada. La storia delle invasioni lo testimonia. Per questo i musulmani non riconoscono la libertà religiosa, né per loro né per gli altri. Non stupisce vedere tutti i paesi arabi e musulmani rifiutarsi di applicare integralmente i “Diritti umani” sanciti dalle Nazioni Unite. Di fronte a tutti questi divieti e simili argomenti dobbiamo eliminare il dialogo? No, sicuramente no» […] «Peggio ancora, talvolta ci sono interlocutori del clero che, nel dialogo, per guadagnarsi la simpatia del musulmano chiamano Maometto profeta e aggiungono la famosa invocazione musulmana spesso ripetuta “Salla lahou alayhi wa sallam” (che la pace e la benedizione di Dio siano su di lui).» (...)
Nota di BastaBugie: un nostro lettore ci segnala che se l'Osservatore Romano ha "censurato" il passaggio del Vescovo libanese SER Beylouni, non è stato così per il Bollettino quotidiano della Sala Stampa. Lo si può leggere nel link sottostante http://www.vatican.va/news_services/press/sinodo/documents/bollettino_24_speciale-medio-oriente-2010/01_italiano/b21_01.html
Fonte: Cultura Cattolica, 26 ottobre 2010
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OGNI FECONDAZIONE ARTIFICIALE DEVE ESSERE VIETATA DALLO STATO
Lo dicono i vescovi (polacchi)
Fonte Comitato Verità e Vita, 22 Ottobre 2010
Ogni fecondazione artificiale deve essere proibita dalle leggi dello Stato, perché sacrifica esseri umani innocenti. Per sei anni lo ha detto e ripetuto una piccola associazione pro-life italiana, fondata nel 2004, che si chiama Verità e Vita. Oggi lo dicono –molto più autorevolmente- i vescovi polacchi, e lo spiegano a chiare lettere, con toni che purtroppo non eravamo più abituati ad ascoltare. Sarebbe una ‘non notizia’, perché la dottrina della Chiesa sulla materia è sempre stata inequivocabile. La Congregazione per la Dottrina della Fede l’ha ribadita con maggior forza nel documento Dignitas Personae del 2008 (cfr. CS di Verità e Vita numero 61 e 62.): fare figli in provetta è illecito sul piano morale (per la frattura dell’aspetto procreativo con quello unitivo), ma è anche contrario al bene giuridicamente tutelato della vita umana, poiché la FIVET [Fecondazione In Vitro e Trasferimento Embrioni] implica sempre un sacrificio previsto e voluto di esseri umani innocenti (oltre 90 embrioni su 100), e la riduzione dell’uomo-embrione a oggetto, usato come mezzo per raggiungere il fine del “bambino in braccio”. Sarebbe una non notizia, se non fosse che in questi sei anni il Comitato Verità e Vita ha dovuto subire un durissimo ostracismo proprio da una parte importante del mondo cattolico italiano, che non ci ha mai perdonato di sostenere la antigiuridicità della FIVET omologa. Schiacciati dalla preoccupazione politica di difendere ‘senza se e senza ma’ la legge 40 del 2004, autorevoli ambienti cattolici –intellettuali, politici, giornalisti, esponenti del mondo pro-life e dell’associazionismo– hanno tentato in ogni modo di mettere la mordacchia ai comunicati di Verità e Vita, negando la nostra stessa esistenza. In questi anni, Verità e Vita è stata accusata, nell’ordine: di dire la verità ma di esseri fuori dalla linea della Conferenza episcopale italiana; di non dire la verità, perché la FIVET omologa è sì immorale, ma è lecita sul piano giuridico; di essere fuori dalla linea del Movimento per la Vita; di non dire la verità, e di essere fuori dalla dottrina della Chiesa; di non avere senso politico; di non avere senso della realtà; di essere degli integralisti. Ora c’è un problema: che queste accuse dovrebbero essere trasferite, in base alla proprietà logica transitiva, da Verità e Vita alla Conferenza Episcopale Polacca. La quale in questi giorni ha diffuso documenti che sembrano la ripetizione in lingua slava dei Comunicati di Verità e Vita. I fatti sono presto detti: in Polonia è in discussione l'approvazione di una legge sulla fecondazione in vitro, attualmente non regolamentata. I vescovi polacchi sono scesi in campo, e non certo per perseguire ‘il male minore’ o per spiegare che l’importante è vietare la FIVET eterologa, o il congelamento in azoto liquido, o la diagnosi reimpianto. I Vescovi "mettono in guardia" contro l'adozione di leggi che l permettono la FIVET, e sottolineano che, dal momento del concepimento, nasce un essere umano. Il costo in termini di vite umane – dice la conferenza episcopale polacca - con la fecondazione in vitro è altissimo: "Per giungere alla nascita di un bambino in ogni caso arrivano alla morte, nelle diverse fasi della procedura, molte vite"; sottolineano, poi, che molti embrioni vengono congelati; che le ricerche dimostrano che la fecondazione in vitro è un metodo pericoloso per i bambini, poiché alte sono le percentuali di bambini sottopeso, con minore capacità di resistenza, con anomalie genetiche o che affrontano complicazioni varie. I vescovi polacchi puntano il dito contro l'ideologia che sorregge la fecondazione in vitro: "la fecondazione in vitro è la sorella minore dell'eugenetica" di non lontana memoria (implicito è il riferimento all'eugenetica nazista): essa presuppone la selezione degli embrioni e, quindi l'uccisione degli embrioni più deboli. I vescovi non si limitano a ciò: prevedono che le conseguenze sociali che la diffusione della fecondazione in vitro può produrre sono "incalcolabili" e aggiungono che: "La separazione della procreazione dal matrimonio porta sempre cattive conseguenze sociali ed è particolarmente dannoso per i bambini venire al mondo come conseguenza di azioni da parte di terzi. Autorizzare per legge la fecondazione in vitro comporta inevitabilmente una ridefinizione della paternità, della maternità, della fedeltà coniugale. Essa introduce inoltre confusione nei rapporti familiari e contribuisce a minare le basi della vita sociale". I vescovi concludono ricordando "la necessità urgente della prevenzione della sterilità, le cui cause sono conosciute e dipendono dall'azione cosciente dell'uomo; la fecondazione in vitro non è la cura dell'infertilità". L’Arcivescovo Henryk Hoser, responsabile per l'episcopato delle questioni di bioetica, egli stesso medico di formazione, in un'intervista ha affermato che "Chiunque voterà leggi a favore della fecondazione in provetta si metterà automaticamente fuori dalla Comunità della Chiesa. Il concepimento di un bambino dovrebbe avvenire solo in modo naturale". L’uso dell'avverbio "automaticamente" sembra equiparare - sul piano del diritto canonico - la fecondazione in vitro all'aborto. E’ molto probabile che qualcuno adesso si affretterà a spiegare che le parole dei vescovi della Polonia sono pronunciate ‘in un contesto diverso da quello italiano’. Ma l’argomento è debolissimo: i prelati polacchi hanno espresso un giudizio veritativo di ordine morale e giuridico, hanno sillabato una valutazione di principio. E nessun ‘contesto’ può relativizzare o addirittura smentire la verità. Una verità semplice, che dice che ogni FIVET dovrebbe essere vietata dalla legge civile. La Chiesa che è in Polonia non vuole un’altra legge 40. Non vuole il (reale o presunto) meno peggio. Vuole il bene per quella nazione e per quel popolo, e lo chiede alla sua classe politica.
Fonte: Comitato Verità e Vita, 22 Ottobre 2010
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INDAGINE SUL CRISTIANESIMO DI FRANCESCO AGNOLI
Oggi c'è il tentativo di marginalizzare la Chiesa, perseguitandone i membri
Fonte Corrispondenza Romana, 7/8/2010
L’attacco che attualmente è portato al Cristianesimo, pur simile ad altri precedenti storici, ha qualcosa di unico che lo rende particolarmente ignobile e fa della Chiesa quella «santa cittadella assediata» di cui solo certi ecclesiastici non vogliono prendere atto. Contrariamente agli assalti velenosi del comunismo e dell’illuminismo, oggi si vorrebbe non solo mettere al bando la Chiesa e giudicarla, come già avvenuto, religio non licita nell’Unione Europea e nell’intero Occidente, ma anche e soprattutto cambiarne i connotati e il DNA, cioè sedurla a tal punto da farla diventare irriconoscibile. Il tentativo contemporaneo, in verità nient’affatto contraddittorio, è quello di marginalizzare la Chiesa, perseguitandone i membri, ma al contempo favorire la nascita di una Nuova Chiesa che rispetto a quella fondata da Cristo non abbia in comune che le apparenze. A partire dalla svolta conciliare, tantissimi sacerdoti e laici cattolici hanno creduto che davanti alla permanenza inattesa dell’anticlericalismo sette-ottocentesco bisognasse trovare un compromesso, cambiando la secolare mentalità cattolica contro-riformista, in favore del dialogo e della fattiva collaborazione. Si credeva, a volte sinceramente, che così facendo si sarebbero azzerati i pretesti di rivalsa degli atei, e si sarebbe giunti ad una pacifica convivenza nel quadro delle democrazie pluraliste (a maggioranza democristiana). Ma la storia recente, dal Vaticano II ad oggi, è andata in tutt’altro senso: la maggioranza cristiana in Europa e nella stessa Italia si è volatilizzata, e di anno in anno, inesorabilmente, cala il numero dei credenti e quello dei praticanti. Crescono invece gli atei, gli indifferenti e i membri di altre religioni, come l’Islam, gli evangelici o i Testimoni di Geova. L’anticlericalismo inoltre, paragonato a 50 anni fa, non solo non è diminuito e non giunto a miglior consiglio, come auspicato, ma è aumentato drasticamente nelle élite e nel popolo, e ormai tutta la cultura contemporanea, si pensi al cinema, alla televisione e ai libri di scuola dei giovani, è improntata alla denigrazione sistematica del fatto cristiano. Oggi il solo modo per non perdere a priori una partita che parrebbe umanamente impossibile è quello di difendere la verità cristiana senza alcun cedimento e in tutti gli ambiti, dalla storia all’etica, dalla politica alla liturgia, dalle scienze naturali alla bioetica. In questi settori grazie a Dio è nata una nuova scuola apologetica, in cui eccelle Francesco Agnoli, penna agilissima e combattiva sul “Foglio” di Giuliano Ferrara, e recente autore di una nuova ottima sintesi delle sue ricerche (cfr. F. Agnoli, Indagine sul cristianesimo, Piemme, 2010, 17 euro). Libro semplice, schietto, godibile e da diffondere in tutti gli ambienti.
Fonte: Corrispondenza Romana, 7/8/2010
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IL FALLIMENTO DEL MULTICULTURALISMO
La storia decreta sempre la vittoria di una cultura sull'altra: il relativismo non può reggere nel lungo periodo
Autore: Davide Rondoni - Fonte: Avvenire, 24 ottobre 2010
Quello decretato da Angela Merkel qualche giorno fa è proprio come la fine di un sistema. Un po’ come quando crollano sistemi politici, dittature o repubbliche, come crollò il fascismo, come crollò, qui da noi, la prima Repubblica. Un crollo del multiculturalismo. Del suo sistema. E come quegli altri sistemi crollarono ma non senza spargimento di sangue e ferite profonde, anche questo crollo ha nelle mani sangue e tensioni. Scontri e traumi. E come quei sistemi, anche questo crolla non per un avversario esterno, ma per l’esplosione di troppe interne contraddizioni. Dire che il sistema del multiculturalismo non funziona significa prender atto della crisi di un sistema di pensiero, oltre che di un sistema di potere. Perché non c’è dubbio che la ideologia del multiculturalismo ha anche creato un sistema di potere. Basta vedere quanti e quali programmi e iniziative politiche, sociali, culturali e così via si dicevano ispirate e sostenute a quella ideologia. Bastava il marchio di multiculturalismo e si diventava immediatamente giusti, corretti, moderni. Come avveniva con le iniziative ispirate al fascismo. O a certe idee, sempre qui da noi, della Prima Repubblica. Che ci fosse una egemonia dell’ideologia multiculturale lo dimostrano infiniti atti legislativi, come quelli che a furia di voler garantire una astratta idea di libertà a tutti, ha finito per proibire a moltissimi la più discreta e personale affermazione di appartenenza culturale e religiosa, in un deserto di identità che è il contrario di quanto affermato teoricamente dall’ideologia multiculturale. Un po’ come quando in nome del comunismo dei beni si ritrovavano soprattutto i più poveri senza beni. O, tornando qui da noi, in nome del luminoso avvenire italico, l’Italia si impoveriva di tutto. Anche in questo caso, in nome del multiculturalismo si è finito per costruire ghetti, per favorire tensioni sociali e radicalizzarsi di affermazioni identitarie. Non solo per reazione, ma per inevitabile conseguenza di un sistema errato nei suoi fondamenti teorici. Ci sono parole che vorrebbero rappresentare la realtà. E invece rappresentano la mente, l’idea di chi vorrebbe che le cose fossero come lui le immagina. Queste parole diventano ideologie suasive, ben confezionate e propagandate. Solo che la realtà, per così dire, non ci sta dentro. Ma non si vuole ridiscutere quelle parole. Perché significherebbe perdere la comodità di essere automaticamente giusti, corretti e moderni. Si perderebbe il potere che automaticamente ne discende. E allora il sistema va avanti, ma calpestando la realtà. E le persone. L’idea di una società multiculturale ha evidenziato i suoi drammatici scompensi in molti posti del mondo. Le crisi in Francia, in Germania, in Inghilterra - accadute sotto governi di diversi colori, ma integrati nel sistema del multiculturalismo - ci devono insegnare qualcosa, sia sugli errori sia sul valore di certe idee non campate per aria che abbiamo in Italia. L’esempio da molti citato della società Usa non è adeguato: lì c’è una società multietnica, non multiculturale. Le recenti polemiche sulle domande da inserire nel questionario di censimento, sulla moschea a Ground Zero e altri fatti più o meno evidenti, mostrano che finché l’idea è essere innanzitutto americani (l’idea che vince sempre a Hollywood e nei grandi media, altro che multiculturalismo!) le cose funzionano. Altrimenti scricchiolano. E parecchio. A un sistema che crolla è bene non sostituirne un altro. Ma come diceva un gran poeta francese: diffidare dei sistematici, e servire umilmente la realtà.
Fonte: Avvenire, 24 ottobre 2010
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IL SINODO DEI VALDESI HA VOTATO DEI PROVVEDIMENTI DEGNI DEL PIU' LAICISTA DEI PARLAMENTI
Ulteriore strappo tra la più numerosa comunità protestante italiana e la Chiesa Cattolica: rifiuto della legge naturale, sì al riconoscimento delle coppie gay, sì alla ricerca sulle staminali embrionali, sì alla rimozione del crocifisso
Fonte Corrispondenza Romana, 4/9/2010
Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste conclusosi il 27 agosto a Torre Pellice, presso Torino, ha sancito un ulteriore strappo tra la più numerosa comunità protestante italiana – sono circa trentamila i valdesi in Italia – e la Chiesa Cattolica. Rifiutando infatti tutti gli insegnamenti morali del Magistero e della stessa legge naturale – ma anche le posizioni di numerose confessioni protestanti americane, sicuramente più conservatrici di tanti “cattolici adulti” europei – il sinodo valdese ha votato a maggioranza due provvedimenti degni del più laicista dei parlamenti. In primis ha autorizzato a larga maggioranza – con 105 sì, 9 no e 29 astenuti – il riconoscimento delle coppie gay, alle quali si potrà impartire la benedizione, accompagnato dall’augurio di avere presto in Italia una normativa sui “diritti delle coppie di fatto”, così come riportato da “La Stampa” del 27 agosto. Successivamente la “pastora” Erika Tomassone, membro della Commissione di Bioetica valdese, ha approvato un documento in favore della ricerca sulle staminali embrionali. Sempre la stessa Tomassone ha favorevolmente accolto l’iniziativa dei valdesi di Milano, meritevoli – a suo avviso – di essere stati i primi ad aver istituito un registro per il testamento biologico. Come degna conclusione non poteva mancare un pronunciamento anche nei riguardi della presenza o meno del Crocifisso nelle aule scolastiche italiane. Per i valdesi, stando a quanto riporta “la Repubblica” del 28 agosto, la rimozione del simbolo cristiano sarebbe «il modo migliore per celebrare i 150 anni dell’ Unità d’Italia».
Fonte: Corrispondenza Romana, 4/9/2010
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IN SPAGNA LA NUOVA LEGGE SULL'ABORTO: BANALISSIMA PRATICA SCIOLTA DEL TUTTO DA OGNI RISPETTO PER LA PERSONA UMANA
Luis Zapatero ha inflitto al Paese un ulteriore durissimo colpo alla civiltà della vita
Fonte Corrispondenza Romana, 18/9/2010
In Spagna, nel mezzo di una gravissima crisi economica e sociale che mette sempre più in discussione tra la società civile il modello di governo socialista, il leader Luis Zapatero ha inflitto al Paese un ulteriore durissimo colpo alla civiltà della vita: è appena entrata in vigore la nuova legge normativa di riforma sull’aborto, che de facto rende lo stesso una banalissima pratica sciolta del tutto da ogni vincolo etico morale di rispetto per la persona umana. La legge del 1985 che depenalizzò l’aborto in Spagna, rendendo un diritto quello che fino ad allora era un delitto, prevedeva l’autorizzazione solo nelle ipotesi di malformazione del feto, gravi rischi per la salute psichica o fisica della madre, violenza sessuale. Questi limiti giuridici posti dal legislatore alla pratica dell’interruzione di gravidanza sono stati spazzati dalla riforma Zapatero, che sta suscitando una forte alzata di scudi in tutto il Paese, Partito socialista compreso, a causa di una radicale aggressività a-morale già definita di stampo eugenetico che la legge presenta. Vediamone i punti cardine succintamente. Con la nuova legge si alza la soglia, fino a 14 settimane, entro cui la donna sarà assolutamente libera di scegliere la soppressione del feto. Con la nuova legge, in caso di malformazione del feto, sarà possibile l’aborto fino alla 22 settimana. Addirittura, sfidando il ragionevole margine di errore della diagnostica clinica, la legge prevede che – ove venisse diagnostica una patologia incurabile o «incompatibile con la vita del feto» – sarà eliminato ogni limite all’aborto. Ma il punto ancora più preoccupante – per lo sfaldamento di ogni vincolo solidaristico e pubblico della legge – è il fatto che le minorenni, da i sedici anni in su, sono autorizzate ad abortire liberamente, senza più la necessità del parere vincolante dei genitori, ma dietro una mera comunicazione agli stessi: in altri termini, se per un verso il diritto civile ritiene il minorenne privo della capacità giuridica di agire per il semplice acquisto di un bene o una normale transazione patrimoniale – proprio in quanto minore – per converso lo ritiene pienamente capace di agire laddove, al contrario, disponga la soppressione di una vita umana quale quella del nascituro. Sul medesimo piano inclinato si muove la giurisprudenza tedesca, mettendo in discussione il principio consolidato dell’etica medica, ovverosia l’impegno a salvare il paziente e non già a cagionarne la morte. La Corte di Cassazione tedesca – il Bundesgerichthof – ha emesso recentemente una sentenza che contribuisce nei fatti ad ammettere l’eutanasia in Germania. La Corte si è espressa sul ricorso avverso una sentenza del Tribunale di Fulda, che aveva condannato l’avvocato Wolfgang Puetz a nove mesi di reclusione in quanto nel 2007 aveva consigliato una cliente di interrompere di persona i trattamenti artificiali di alimentazione e ventilazione della madre, in coma vigile da cinque anni. La Corte di Cassazione ha affermato che – ove il paziente abbia espresso inequivocabilmente il consenso all’interruzione delle terapie – non sia perseguibile chi stacchi un ventilatore o tagli un tubo dell’alimentazione del paziente medesimo. Il diritto all’alimentazione e idratazione del paziente, considerati «trattamenti medici forzati» vengono sviliti, ma è bene rammentare al riguardo come molte associazioni di medici in Europa e in Italia in particolare affermino al riguardo esattamente il contrario ovvero che la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione a una persona in condizioni generali stabili, in stato di coma permanente da anni, senza l’evidenza di alcun peggioramento clinico che ne indichi l’approssimarsi della fine, è eutanasia, cioè atto dal quale deriva la morte del paziente. È necessario evidenziare come in questi tragici casi la magistratura, uno dei tre poteri classici dello stato di diritto, abbia l’arrogante pretesa di sostituirsi alla classe medica nello stabilire i criteri clinici con cui dichiarare non più assistibile un paziente. Questo discutibilissimo criterio di funzione “suppletiva” della giurisprudenza, che va contro ogni codice deontologico della professione medica, ha la presunzione di legittimare nei fatti – oggettivamente – terapie di morte quali l’eutanasia, l’aborto, scavalcando per via “extraparlamentare” la volontà sovrana di ogni popolo, che viene rappresentata dal potere legislativo e non già dalla magistratura,“bocca” e non già “cervello” della legge.
Fonte: Corrispondenza Romana, 18/9/2010
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COSA DIRE NEL 140° ANNIVERSARIO DELLA PRESA DI ROMA (20 SETTEMBRE 1870)?
Viva Pio IX, Papa-Re!
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana, 25/9/2010
In occasione del 140° anniversario della presa di Roma (20 settembre 1870), riportiamo una ricostruzione dell’evento tratta dal libro del prof. Roberto de Mattei, Pio IX (Piemme, Casale Monferrato 2000).
La guerra franco-prussiana del 1870 dissolse il sogno imperiale di Napoleone III e realizzò quello, altrettanto fugace, di Bismarck. Grazie alla sua rapida e schiacciante vittoria sull’esercito francese, il cancelliere “di ferro” non solo portò a termine l’unificazione tedesca, creando il Secondo Reich, ma contribuì a compiere, con la conquista piemontese di Roma, la “Rivoluzione italiana”, lasciata incompiuta dal conte di Cavour. Gli avvenimenti precipitano nell’estate del 1870. Il 27 luglio l’ambasciatore francese a Roma Bonneville comunica al cardinale Antonelli la notizia della prossima partenza delle truppe francesi. Il 2 settembre 1870, con la notizia della disfatta di Sédan, risuonano per le strade di Parigi le grida di “Vive la République!”. Una settimana dopo la sconfitta francese, il ministro degli Esteri Emilio Visconti Venosta, smentendo quanto il 22 luglio aveva assicurato a Napoleone III, notifica alle potenze estere la imminente occupazione dello Stato della Chiesa da parte delle truppe italiane. L’8 settembre, Vittorio Emanuele II invia presso Pio IX il conte Gustavo Ponza di San Martino per offrire al Pontefice la “protezione” delle sue truppe. In una lettera che rappresenta un capolavoro di ipocrisia, il sovrano italiano scrive al Papa che, al fine di impedire le violenze che potrebbero essere promosse dal «partito della rivoluzione cosmopolita», egli vede «la indeclinabile necessità per la sicurezza dell’Italia e della Santa Sede che le mie truppe già poste ai confini s’inoltrino ad occupare quelle posizioni che saranno indispensabili per la sicurezza della Vostra Santità e pel mantenimento dell’ordine». Leggendo la lettera, Pio IX reagisce con energia e, rivolgendosi al conte Ponza, esclama: «Razza di vipere, sepolcri imbiancati! (…) Ecco dove la rivoluzione ha fatto scendere un re di Casa Savoia! (…) Senz’essere né profeta, né figlio di profeta, vi dico che a Roma non vi resterete». Il Papa scrive quindi immediatamente a Vittorio Emanuele: «Dal conte Ponza di San Martino mi fu consegnata una lettera che V. M. ha voluto dirigermi, ma che non è degna di un Figlio affettuoso, che si gloria professare la fede cattolica e si pregia di lealtà regia. Non entro nei dettagli della lettera stessa per non rinnovare il dolore che la prima lettura mi ha cagionato. Benedico Dio che ha permesso a V. M. di ricolmare di amarezza l’ultimo periodo della mia vita. Del resto Io non posso ammettere certe richieste, né conformarmi a certi principi contenuti nella sua lettera. Nuovamente invoco Dio e rimetto nelle Sue mani la mia causa, che è tutta sua. Lo prego a concedere molte grazie alla M. V., liberarla dai pericoli e dispensarle le misericordie di cui abbisogna. Dal Vaticano 11 settembre 1870. Pius PP. IX». Nel pomeriggio di quel giorno Pio IX si reca sulla piazza di Termini per inaugurare davanti a una folla calorosa il nuovo Acquedotto dell’Acqua Marcia. I presenti lo descrivono calmo e sorridente, senza traccia sul viso del subbuglio che doveva agitargli il cuore. Senza attendere la risposta del Papa, il Consiglio dei Ministri, il 10 settembre, delibera che il giorno successivo le truppe italiane, sotto il comando del generale Raffaele Cadorna, inizino l’occupazione dello Stato Pontificio. Le forze italiane contano circa 60.000 uomini contro un totale di 13.000 effettivi dell’esercito pontificio. L’8 settembre il Lanza aveva spedito al prefetto di Caserta e al prefetto di Cagliari due telegrammi per raccomandare massima sorveglianza per Mazzini incarcerato a Gaeta e per Garibaldi quasi esule a Caprera. Il 18 settembre, domenica, la giornata è bellissima. Le porte di Roma sono chiuse e il popolo, non potendo andare nelle osterie di campagna, passeggia sulle alture del Gianicolo, per vedere i sessantamila italiani accampati attorno alle mura della città. È evidente la difficoltà per il piccolo esercito pontificio di difendere l’immenso perimetro delle mura di Roma. Ufficiali e soldati del Papa fregiano la divisa di una piccola croce capovolta in lana rossa, la Croce di San Pietro, a somiglianza delle medaglie commemorative fatte coniare da Pio IX per la battaglia di Castelfidardo. Il 19 settembre Pio IX manifesta al Generale Kanzler le sue decisioni con una lettera in cui scrive: «Signor Generale, ora che si va a consumare un gran sacrilegio, e la più enorme ingiustizia, e la truppa di un Re Cattolico, senza provocazione, anzi senza nemmeno l’apparenza di qualunque motivo, cinge di assedio la capitale dell’Orbe Cattolico, sento in primo luogo il bisogno di ringraziare Lei, sig. Generale, e tutte le nostre truppe della generosa condotta finora tenuta, dell’affezione mostrata alla Santa Sede e della volontà di consacrarsi interamente alla difesa di questa Metropoli. Siano queste parole un documento solenne che certifica la disciplina, la lealtà ed il valore della truppa al servizio di questa Santa Sede. In quanto poi alla durata della difesa sono in dovere di ordinare che questa debba unicamente consistere in una protesta atta a constatare la violenza, e nulla più: cioè di aprire trattative per la resa appena aperta la breccia. In un momento in cui l’Europa intera deplora le vittime numerosissime, conseguenza di una guerra fra due grandi Nazioni, non si dica mai che il Vicario di Gesù Cristo quantunque ingiustamente assalito, abbia ad acconsentire ad un grande spargimento di sangue. La Causa Nostra è di Dio, e Noi mettiamo tutta nelle Sue mani la nostra difesa». La sera stessa, mentre giunge la notizia che il giorno seguente sarebbe avvenuto l’attacco, Pio IX, percorrendo per l’ultima volta le vie di Roma, si reca a San Giovanni in Laterano, sale in ginocchio la Scala Santa e, giunto in cima, con voce rotta dal pianto implora: «A te, mio Dio, mio Salvatore, a te mi rivolgo, servo dei servi, e indegnissimo tuo Vicario: ti supplico per il sangue sparso per questo luogo, di cui Io sono il dispensatore supremo, e ti prego per i tuoi tormenti e per il sacrificio che hai fatto montando volontariamente questa scala di obbrobrio per offrirti in olocausto per un popolo che t’insultava, per il quale andavi a morire sopra un tronco infame: abbi pietà del tuo popolo, della Chiesa, tua amatissima sposa. Sospendi lo sdegno, la tua giusta collera. Non permettere ai tuoi nemici di venire a profanare la tua dimora. Perdona al mio popolo, che è pure tuo! E se un olocausto è necessario, se è necessaria una vittima, eccomi o Signore: non ho vissuto abbastanza? Pietà, mio Dio, pietà ti prego; ma qualunque cosa avvenga, sia sempre fatta la tua volontà». Alle 5,15 del 20 settembre 1870, l’osservatorio di Santa Maria Maggiore avverte il ministero della Guerra che le batterie nemiche hanno aperto il fuoco contro Porta Pia che, per la sua posizione, costituisce il punto più vulnerabile della città. Il Papa, in previsione degli avvenimenti, ha da qualche giorno invitato gli ambasciatori e i ministri delle Corti straniere a volersi recare da lui ai primi colpi di cannone. Fin dalle sei e mezza del mattino, tutti i diplomatici sono riuniti in Vaticano dove assistono alle Messa privata del Pontefice, celebrata tra il rombo delle cannonate e gli scoppi delle granate. Pio IX, rimasto a pregare nel suo oratorio, rientra nella Sala del Trono verso le nove. Mentre si intrattiene con il Corpo Diplomatico, riunito attorno a lui come nei lontani giorni del novembre 1848, giunge il cardinale Antonelli con un dispaccio in mano: è la notizia che una breccia è aperta nelle mura della villa Bonaparte a sinistra di Porta Pia. «Il Rubicone è passato: Fiat voluntas tua in coelo et in terra» mormora Pio IX. Poi, rivolgendosi ai diplomatici: «Signori io dò l’ordine di capitolare: a che difendersi più oltre! Abbandonato da tutti, dovrei tosto o tardi soccombere, ed io non debbo far versare sangue inutilmente. Voi mi siete testimoni, Signori, che lo straniero non entra qui che con la forza». L’ordine agli zuavi, che chiedono di combattere a oltranza, è quello di limitare la resistenza a quel tanto che è necessario per dimostrare al mondo che il Papa non rinuncia ai suoi diritti ma cede alla violenza. Lungo le mura che cingono la Città Eterna, nell’interminabile pausa di silenzio che precede l’attacco, si leva in quel momento l’ultimo cantico di fedeltà degli zuavi: «Flottez au vent, triomphantes bannières Gloire à vous tous, chevaliers de Saint Pierre!». Mentre il fumo si dirada, il capitano Berger ne intona una strofa in piedi sulle macerie della breccia di Porta Pia, tenendo la spada per la lama, con l’impugnatura rivolta al Cielo, come ad offrire a Dio l’estremo sacrificio: quello di una resistenza ad oltranza mancata. Già la bandiera bianca sventola sulla cupola di San Pietro. La Rivoluzione risorgimentale è compiuta. «In questo momento che scrivo – annota Francesco De Sanctis, interrompendo la stesura della sua Storia della letteratura italiana – le campane suonano a distesa e annunziano l’entrata degli italiani a Roma. Il potere temporale crolla. E si grida il viva all’unità d’Italia. Sia gloria a Machiavelli». Al mattino del 21 settembre 1870, le milizie pontificie, dopo aver passato l’intera notte sotto il porticato di San Pietro, si raccolgono sotto le finestre del Vaticano. Il colonnello canadese Allet, fatto formare il quadrato, fa presentare per l’ultima volta le armi al grido di «Viva Pio IX, Papa-Re!». Il 9 ottobre Roma e il suo territorio vengono annessi al ragno d’Italia per decreto reale.
Fonte: Corrispondenza Romana, 25/9/2010
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DUE CITTADINI DI FEDE ISLAMICA METTONO IN TASCA LE OSTIE CONSACRATE
La comunione sulla mano tende ad affievolire nei fedeli la consapevolezza della presenza reale di Gesù nell'Eucarestia
Fonte Corrispondenza Romana, 3/10/2010
Sconcertante episodio avvenuto pochi giorni fa nella chiesa principale di Sondrio. Due cittadini di fede islamica durante la Messa serale si sono presentati al cospetto del sacerdote per ricevere la comunione e, ricevuta la particola, se la sono messa in tasca tra lo sconcerto dei fedeli (“Ansa”, 28 settembre 2010). Alla richiesta di spiegazione i due hanno reagito in modo aggressivo rifiutandosi di rispondere alle giuste rimostranze del sacerdote. L’episodio non si sarebbe potuto verificare se la distribuzione dell’ostia consacrata ai fedeli fosse avvenuta nel modo tradizionale, ossia direttamente in bocca e preferibilmente in ginocchio. Purtroppo, non è la prima volta che ciò accade da quando la Chiesa ha introdotto nel rituale liturgico l’uso della comunione sulla mano. Tale novità venne introdotta come forma di indulto verso gli abusi che si verificarono soprattutto in Belgio e in Olanda, tuttavia col passare del tempo è divenuta la prassi abituale in molte parrocchie. Oltre a prestare il fianco ad ogni sorta di abusi ed oltraggi (messe nere, dispersione di frammenti ecc) la comunione sulla mano tende ad affievolire nei fedeli la consapevolezza della presenza reale di Nostro Signore Gesù Cristo nell’Eucarestia e per dirla con Paolo VI «favorisce la diffusione di gravi errori contro il dogma eucaristico, propri della teologia protestante». C’è da augurarsi che i sacerdoti prendano esempio da quanto fa Benedetto XVI che nelle sue celebrazioni, ormai da tempo, dà la comunione ai fedeli solo in bocca e in ginocchio. Anche durante l’ultimo viaggio in Gran Bretagna ha mantenuto questo suo stile. Purtroppo, sottolinea Sandro Magister, «tra i gesti esemplari di Benedetto XVI il meno compreso – sinora – è forse quello della comunione data ai fedeli inginocchiati» (Chiesa.it, 13 settembre 2010).
Fonte: Corrispondenza Romana, 3/10/2010
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NUOVO STUDIO: GLI OMOSESSUALI ATTIVI SONO LA MAGGIOR PARTE DEI MALATI DI AIDS
Gli omosessuali in realtà fanno un uso non sessuale delle loro parti sessuali: se la sessualità non è aperta alla fecondità, di cosa si sta parlando?
Fonte Unione Cristiani Cattolici Razionali (anti-uaar),18 ottobre 2010
Come ricorda il giovane filosofo convertito, Fabrice Hadjadj, la Chiesa rigetta l’omosessualità semplicemente perché non si tratta di vera sessualità. «Dire omosessualità è come dire “cerchio quadrato”: se i due hanno lo stesso sesso, viene meno l’ordinazione reciproca dei due sessi. Se la sessualità non è aperta alla fecondità, di cosa si sta parlando?». Anche qualsiasi manuale di zoologia parla di sessualità sempre legandola alla questione della fecondità, della procreazione. Continua Hadjadj su Tempi: «Gli omosessuali in realtà fanno un uso non sessuale delle loro parti sessuali. Non è perché le parti sessuali entrano in gioco che si è obbligati a definire ciò sessualità: io posso, se voglio, ficcare il mio pene in una porta, ma quel che faccio non è sessualità. Non sono necessariamente atti sessuali tutti gli atti che io posso fare con le mie parti sessuali. Se vivo l’amore e la comunione in opposizione al dato fisico del mio corpo, vivo una situazione schizofrenica, dualista. La Chiesa dice: siete liberi di fare quel che volete, ma vi ricordiamo soltanto che se andate in quella direzione, vi sarà una rottura della vostra unità personale, questa rottura noi la chiamiamo peccato». Questa “rottura”, questo disagio interno descritto dalla Chiesa e riportato da Hadjadj, è anche dimostrato dalle ricerche sociologiche sul mondo omosessuale. Non ci sentiamo quindi omofobi se riportiamo all’attenzione un recente studio sociologico sull’AIDS, il quale mostra come gli omosessuali attivi rappresentino quasi la metà di tutti gli americani infetti dall’HIV-positivo. Il Centers Disease Control (CDC) informa che «gli uomini che fanno sesso con altri uomini soffrono il 53% delle nuove infezioni da HIV segnalati ogni anno, anche se questi costituiscono solo il 4% della popolazione americana. Le diagnosi di HIV tra gli omosessuali attivi negli Stati Uniti sono 44 volte superiori a quelle degli altri uomini». Mentre il tasso di infezione da HIV tra gli altri gruppi a rischio (come i consumatori di droghe) è diminuito, il sondaggio CDC mostra che il tasso di infezioni tra gli omosessuali attivi continua a evidenziare un trend al rialzo. Sempre che le lobby omosessuali ci permettano di dirlo, ricordiamo come altre ricerche dimostrino la grande affinità tra la pratica omosessuale e la dipendenza, l’utilizzo e l’abuso di droga, fumo e alcool rispetto al resto della popolazione.
Fonte: Unione Cristiani Cattolici Razionali (anti-uaar),18 ottobre 2010
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LA CHIESA NON PUÒ APPROVARE DELLE INIZIATIVE LEGISLATIVE CHE IMPLICHINO MODELLI ALTERNATIVI DELLA VITA DI COPPIA E DELLA FAMIGLIA
C'è un crescente tentativo di eliminare il concetto cristiano di matrimonio e famiglia dalla coscienza della società
Fonte Corrispondenza Romana, 18/9/2010
«La Chiesa non può approvare delle iniziative legislative che implichino una rivalutazione di modelli alternativi della vita di coppia e della famiglia». È quanto ha ricordato lunedì 13 settembre Benedetto XVI nel ricevere in udienza il signor Walter Jürgen Schmid, nuovo ambasciatore della Repubblica Federale di Germania, in occasione della presentazione delle lettere credenziali (“L’Osservatore Romano”, 13-14 settembre 2010). «Può verificarsi – ha osservato il Papa – che in una società la cultura della persona si abbassi» e «non di rado questo deriva paradossalmente dalla crescita dello standard di vita». A questo proposito ha citato «il crescente tentativo di eliminare il concetto cristiano di matrimonio e famiglia dalla coscienza della società». Un pericolo questo, secondo la Chiesa, che può portare «all’indebolimento dei principi del diritto naturale e così alla relativizzazione di tutta la legislazione e anche alla confusione circa i valori nella società». «Il Matrimonio – ha continuato il Santo Padre – si manifesta come unione duratura d’amore tra un uomo e una donna, che è sempre tesa anche alla trasmissione della vita umana. Una sua condizione è la disposizione dei partner a rapportarsi l’uno con l’altro per sempre. Per questo è necessaria una certa maturità della persona e un fondamentale atteggiamento esistenziale e sociale: una “cultura della persona”, come ha detto una volta Giovanni Paolo II. L’esistenza di questa cultura della persona dipende anche da sviluppi sociali. Può verificarsi che in una società la cultura della persona si abbassi; non di rado questa deriva paradossalmente dalla crescita dello standard di vita. Nella preparazione e nell’accompagnamento dei coniugi occorre creare le condizioni di base per sollevare e sviluppare tale cultura. Contemporaneamente dobbiamo essere consapevoli che il buon esito dei matrimoni dipende da tutti noi e dalla cultura personale di ogni singolo individuo. In questo senso, la Chiesa non può approvare delle iniziative legislative che implichino una rivalutazione di modelli alternativi della vita di coppia e della famiglia. Esse contribuiscono all’indebolimento dei principi del diritto naturale e così alla relativizzazione di tutta la legislazione e anche alla confusione circa i valori nella società. È un principio della fede cristiana, ancorato al diritto naturale, che la persona umana vada protetta proprio nella situazione di debolezza. L’essere umano ha sempre la priorità rispetto ad altri scopi». L’altro esempio citato dal Santo Padre riguardava invece le nuove possibilità create dallo sviluppo della biotecnologia e della medicina. Per questo, il Pontefice ha sottolineare il dovere di «studiare diligentemente fin dove questi metodi possono fungere d’aiuto per l’uomo e dove invece si tratta di manipolazione dell’uomo, di violazione della sua integrità e dignità. Non possiamo rifiutare questi sviluppi ma dobbiamo essere molto vigilanti». «Quando una volta si incomincia a distinguere – e spesso ciò accade già nel seno materno – tra vita degna e indegna di vivere, non sarà risparmiata nessun’altra fase della vita, ancor meno l’anzianità e l’infermità». Tra gli argomenti affrontati dal Papa anche il tema dei media e della «fedeltà alla verità». «Fanno riflettere – ha detto al riguardo – certi fenomeni operanti nell’ambito dei media pubblici: essendo in concorrenza sempre più forte, i mezzi di comunicazione si credono spinti a suscitare la massima attenzione possibile». Inoltre – ha continuato – «è il contrasto che fa notizia in genere, anche se va a scapito della veridicità del racconto».
Fonte: Corrispondenza Romana, 18/9/2010
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OMELIA PER LA XXXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 20,27-38)
Dio non è dei morti, ma dei viventi, perché tutti vivono per lui
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 7 novembre 2010)
Il Vangelo di questa domenica ci presenta l’episodio di Gesù a confronto con i farisei e con i sadducei. Dei farisei si parla tante volte nel Nuovo Testamento, non così dei sadducei. Il nome sadducei deriva da Sadoc che era Sommo Sacerdote al tempo di Salomone. Ai sadducei appartenevano le famiglie più ricche e influenti della casta sacerdotale e della nobiltà di Gerusalemme. Dal punto di vista religioso essi erano molto conservatori: riconoscevano l’autenticità solamente della Legge scritta di Mosé, rifiutando invece la tradizione orale, alla quale i farisei attribuivano una grande importanza. Una delle più grandi differenze tra farisei e sadducei riguardava la risurrezione dei corpi e la Vita eterna; i farisei le sostenevano, i sadducei le negavano. Nell’Antico Testamento, la fede in queste verità si andò sempre più perfezionando. All’inizio si pensava che l’anima nell’aldilà vivesse come un’ombra, e quindi non conducesse una vera e propria vita. Impensabile era inoltre ammettere la risurrezione dei corpi. I sadducei, per il loro esasperato attaccamento alla tradizione più antica, pensavano proprio questo. I farisei, al contrario, credevano alla Vita eterna e alla risurrezione finale. I sadducei, sapendo che su questo punto Gesù sosteneva la stessa dottrina dei farisei, presentarono al Signore un caso da risolvere. Questo caso era basato sulla legge del “levirato”, secondo cui il cognato doveva sposare la vedova del fratello morto senza figli, e questo per assicurare a lui una discendenza e alla famiglia la conservazione propria e dei beni patrimoniali. I sadducei fanno il caso di sette fratelli, tutti morti senza figli, la cui vedova era passata dall’uno all’altro. Se si ammette la risurrezione, ci si trova di fronte ad un caso molto difficile: di chi sarà moglie la donna? La risposta di Gesù scavalca come sempre le corte vedute dei suoi interlocutori. Questi intendevano la vita dell’aldilà, se veramente esisteva, come un prolungamento della vita terrena, con tanto di matrimonio; mentre Gesù, rispondendo loro, fa comprendere che la Vita eterna è totalmente trasfigurata, che il matrimonio c’è solo su questa terra e che in Paradiso saremo tutti come angeli. Per condurre i sadducei alla retta fede, Gesù cita un versetto del Pentateuco, un versetto che dovevano conoscere molto bene dal momento che era l’unica parte della Sacra Scrittura che accettavano. Il versetto riporta le parole che Dio pronunciò quando si rivolse a Mosé dal roveto ardente. Egli si chiamò il «Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe» (Lc 20,37; cf Es 3,6). Questa dimostrazione a noi, forse, non dice molto; ma, per un israelita era molto stringente. Per noi, dire “Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe” significa affermare il Dio che Abramo, Isacco e Giacobbe hanno adorato, ossia l’unico vero Dio. Ma non è così per un ebreo. Queste parole hanno un senso molto più profondo e significano il Dio dal quale Abramo, Isacco e Giacobbe sono attualmente protetti. Quindi, se Dio disse così a Mosé, e se così Mosé in seguito disse agli israeliti, voleva dire che i tre grandi Patriarchi dell’antichità esistevano ancora e che la vita che abbiamo da Dio è eterna. Se Abramo e gli altri Patriarchi fossero morti per sempre, il Signore sarebbe venuto meno alla promessa di essere loro protettore, e l’appellativo «Dio di Abramo» risulterebbe ingannevole. Veniamo ora a qualche applicazione per la nostra vita. La vita che abbiamo avuto in dono da Dio è eterna. Siamo stati creati per conoscere, amare e servire Dio. Questa è la nostra più vera e profonda vocazione e solo realizzando questa vocazione noi saremo autenticamente felici. I Santi sono quelli che hanno capito la cosa più importante e sono andati diritti alla mèta. Impariamo da loro a non sciupare la nostra vita e a prepararci giorno dopo giorno la nostra eternità beata in Paradiso. Gesù ha detto che in Paradiso saremo tutti come angeli e che non vi sarà più il matrimonio. Da queste parole di Gesù si comprende l’importanza della vita religiosa, con i voti di povertà, castità e obbedienza, che anticipa già su questa terra la condizione futura del Paradiso. Preghiamo che ci siano sempre numerose e sante vocazioni alla vita consacrata, perché i consacrati sono un richiamo vivo e costante alle cose di lassù, dov’è la nostra vera Patria.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 7 novembre 2010)
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