BastaBugie n�39 del 18 luglio 2008

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1 BREVE STORIA DI ELUANA ENGLARO

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2 COMMENTO 1: TORNA LA PENA DI MORTE, ELUANA PUÒ ESSERE UCCISA

Autore: Mario Palmaro - Fonte: fonte non disponibile
3 COMMENTO 2: ELUANA. NON IDONEA A VIVERE

Autore: Nerella Buggio - Fonte: fonte non disponibile
4 COSA DICE LA CHIESA? UN PAZIENTE IN STATO VEGETATIVO È UNA PERSONA, CON LA SUA DIGNITÀ

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5 INTERVISTA 1: GIULIANO DOLCE, IL NEUROLOGO CHE HA VISITATO LA GIOVANE
«L’agonia di Eluana sarà lunga e dolorosa»
Autore: Paolo Lambruschi - Fonte: fonte non disponibile
6 INTERVISTA 2: IL NEUROLOGO GIGLI: ELUANA È VITALE, PROVA EMOZIONI NON È UN VEGETALE
Una sentenza strabica! Per il luminare sono stati ignorati tutti i pareri a favore della vita anche in uno stato di estrema gravità come questo.  
Autore: Paolo Lambruschi - Fonte: fonte non disponibile
7 TESTIMONIANZA 1: MIO FIGLIO DANIELE COME ELUANA, UNA PRESENZA VIVA CHE PORTA FRUTTO

Autore: Giancarla Saglio Dominoni - Fonte: fonte non disponibile
8 TESTIMONIANZA 2: DANILO DA OLTRE 20 ANNI VIVE GRAZIE A UNA CANNULA

Autore: Pino Ciociola - Fonte: fonte non disponibile
9 UN VOLANTINO PRONTO PER LA DIFFUSIONE

Autore: Stefano - Fonte:
10 FIRMA L'APPELLO PER SALVARE ELUANA. BASTANO DUE MINUTI

Fonte: Redazione di BASTABUGIE

1 - BREVE STORIA DI ELUANA ENGLARO

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L’INCIDENTE.
Il 18 gennaio 1992 Eluana Englaro, 21 anni, subisce un grave incidente stradale. In seguito al trauma, entra in stato vegetativo. Viene ricoverata a Lecco, dove da allora è alimentata con un sondino nasogastrico. Il padre della ragazza, Beppino, che ne è tutore, dopo alcuni anni chiede di interrompere l’alimentazione artificiale.
LE SENTENZE.
La prima sentenza è del tribunale di Lecco, che nel 1999 respinge l’istanza del genitore di Eluana. Nello stesso anno, la Corte d’appello di Milano respinge il ricorso. Nel 2003 la richiesta viene ripresentata e nuovamente, prima il tribunale di Lecco e poi la Corte d’appello di Milano, la respingono. Così accade anche nel 2006. L’alimentazione, spiega la sentenza, non può essere interrotta «perché non rappresenta accanimento terapeutico».
LA CASSAZIONE.
Nell’aprile 2005 la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di Englaro. Ma il 16 ottobre 2007, con nuova sentenza, rinvia la decisione alla Corte d’appello di Milano. Per la Suprema corte, il giudice può, su istanza del tutore, autorizzare il distacco del sondino in presenza di due circostanze concorrenti: la condizione di stato vegetativo valutata clinicamente come irreversibile e l’accertamento, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento.
LA DECISIONE.
Il 25 giugno il caso di Eluana torna all’esame della Corte d’appello di Milano che mercoledì ha dato ragione al padre.

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2 - COMMENTO 1: TORNA LA PENA DI MORTE, ELUANA PUÒ ESSERE UCCISA

Autore: Mario Palmaro - Fonte: fonte non disponibile, 10 Luglio 2008

Ottobre 2007: il Parlamento cancella definitivamente la pena di morte dal sistema giuridico italiano. Luglio 2008: i Giudici della Repubblica pronunciano la prima condanna a morte.
La Corte d’Appello di Milano, sulla scia della pronuncia della Cassazione di alcuni mesi fa, ha statuito: Eluana Englaro può essere uccisa. Ma di quali colpe si è macchiata questa giovane donna che tanti vogliono morta? Di essersi rifiutata di morire spontaneamente dopo l’incidente stradale che la portò al coma e poi ad uno stato vegetativo persistente? Di avere confidato alle amiche e a scuola – lei, piena di vita, giovane, sconvolta dalla visita ad un amico in coma dopo un incidente – che avrebbe preferito morire piuttosto che rimanere attaccato ad un tubo? Di avere un padre che non riesce a sopportare la vista della figlia malata?
Ma – diranno in molti - la pronuncia è giusta: è stata lei a chiedere di morire, il padre agisce come tutore, fa rispettare la sua volontà …
Noi sappiamo che queste argomentazioni, emotivamente persuasive, sono irricevibili dalla ragione umana. Non possiamo tacere: questa sentenza è un altro passo decisivo verso questo “progresso” che, per molti, significa soltanto la possibilità di uccidere le altre persone.
Questa volta la decisione di uccidere non è stata riservata ad una “scelta privata” (come nell’aborto), non discende dal ricorso a tecniche particolari autorizzate dalla legge (come nella fecondazione artificiale), non è stata procurata da un medico dopo che l’interessato aveva gridato a tutti di voler essere ucciso (come nel caso Welby); oggi sono stati i giudici a stabilire che una donna adulta, che non è in stato terminale, non deve più essere nutrita e curata, ma deve essere lasciata morire.
I giudici italiani discriminano espressamente una categoria di malati: quelli incurabili che mancano di “coscienza e percezione del mondo esterno”.
D’ora in poi, verso questi malati, la domanda non sarà più: come curarli e assisterli al meglio? Ma piuttosto: quando e come ucciderli?
Diranno: la legge sul testamento biologico darebbe garanzia sulla effettiva volontà del malato di morire. Ipocrisia evidente: sarà solo il pezzo di carta che costituirà il nulla osta alle decisioni altrui, con altri che si arrogheranno il diritto di interpretare la volontà di chi l’ha firmato – magari niente affatto libero e niente affatto consapevole – e di decidere il se e il quando …
Una sentenza ingiusta, che ha basato la propria legittimità formale su un finto contraddittorio (la curatrice che era stata nominata per contrastare le richieste del padre si è associata all’istanza di morte) e che – esattamente come altre condanne a morte che tanto deprechiamo – prevede modalità attuative “gentili”: modalità che dovranno “garantire un adeguato e dignitoso accudimento accompagnatorio della persona (ad esempio anche con umidificazione frequente delle mucose, somministrazione di sostanze idonee a eliminare l'eventuale disagio da carenza di liquidi, cura dell'igiene e del corpo e dell'abbigliamento) durante il periodo in cui la sua vita si prolungherà dopo la sospensione del trattamento e in modo da rendere sempre possibili le visite, la presenza e l'assistenza, almeno dei suoi più stretti familiari”.
Il condannato a morte non deve soffrire troppo.

Fonte: fonte non disponibile, 10 Luglio 2008

3 - COMMENTO 2: ELUANA. NON IDONEA A VIVERE

Autore: Nerella Buggio - Fonte: fonte non disponibile, 11 luglio 2008

Eluana era una giovane e bella ragazza, le foto che in questi anni abbiamo visto sui giornali e in tv ci raccontano una giovane che amava le cose belle, la vita in tutte le sue sfumature, lo sport, gli amici, la famiglia, poi il 18 gennaio del 1992, verso le quattro del mattino la sua auto si è schianta contro un muro nei pressi di Lecco.
Il trauma cranico conseguente all’incidente, lede irrimediabilmente la corteccia cerebrale risparmiando invece parte del tronco encefalico. Il risultato è un corpo che respira, un cuore funzionante, ma che ha perso per sempre qualsiasi relazione cosciente con il mondo e il futuro immaginato sfuma, diventa un altro.
Leggo che sino ad ora è stata accudita nella casa di cura dove era venuta al mondo, da suore che il padre definisce premurose e attente, Eluana apre gli occhi quando è giorno, li chiude quando è buio, non è tenuta in vita da respiratori o da altri macchinari, ma non può nutrirsi da sola e viene nutrita con un sondino.
Suo padre si batteva da anni perché venisse interrotta l’alimentazione.
Sostiene, quest’uomo dallo sguardo buono e stanco, che quando sua figlia era piena di vita, parlando di un caso analogo avrebbe espresso l’opinione che piuttosto che vivere in stato vegetativo era meglio morire, ed è per questo che ha condotto una lunga battaglia.
Ora un giudice ha detto “Sì”, si proceda, la si lasci morire di fame.
Perché sia chiaro, qui non si tratta di staccare la spina di un macchinario che tiene in vita una persona che senza tecnologia potrebbe morire, qui si tratta di sospenderne l’alimentazione e l’idratazione, ad una persona che senza sondino vivrà sino a quando la fame non le toglierà la vita.
E’ dura, ma la realtà è questa.
E noi, pur rispettando il dolore e la fatica di un padre che vede sua figlia invecchiare senza che nessuno dei sogni e dei progetti fatti si possa realizzare, senza che un abbraccio possa essere ricambiato da un altro abbraccio, senza che a una domanda vi sia una risposta, pur rispettando il dolore di questo padre, non possiamo non dire, che ci spaventa una società dove un giudice, anziché applicare delle leggi che ci sono, le interpreta, le reinventa, e decide della vita e della morte di altri esseri umani in base ad una sua discrezionalità.
Può un uomo, un giudice decidere che una vita non è abbastanza dignitosa da essere vissuta?
Eluana non verrà più alimentata e noi non possiamo non domandarci se allora sia giusto alimentare forzatamente gli anoressici che si lasciano morire di fame e che con il loro atteggiamento manifestano chiaramente la volontà di non vivere.
Secondo il padre di Eluana Englaro, si tratta di una scelta di “libertà” non certo di eutanasia come sostiene la Chiesa.
Ha infatti dichiarato l'arcivescovo Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, “Togliere il nutrimento e l'idratazione significa porre una persona malata in una condizione di estrema sofferenza e quindi la soluzione che appare all'orizzonte e' quella di aver giustificato di fatto una azione di eutanasia".
Come dargli torto? Chi siamo noi per decidere quando la vita è degna d’essere vissuta, quante cose si debbano saper fare in autonomia per essere degni di vivere?
Quale uomo può essere investito del potere di vita e di morte sulla vita di un altro uomo?
Ci fa paura una società dove un giudice decide della mancata idoneità a vivere di un altro essere umano.
Dove un medico anziché curare deve per legge lasciarti morire di fame.
Certo, nessuno vorrebbe essere nei panni di quel padre, e nessuno può sapere cosa lo sostenga nella sua battaglia per porre fine alla vita, debole e fragile di sua figlia.
Ma di certo sappiamo che questa sentenza apre una voragine che non porterà certo il mondo ad essere migliore.
Perché il mondo dove un uomo decide della sorte di un altro essere umano, non può che essere un mondo inumano.
 

Fonte: fonte non disponibile, 11 luglio 2008

4 - COSA DICE LA CHIESA? UN PAZIENTE IN STATO VEGETATIVO È UNA PERSONA, CON LA SUA DIGNITÀ

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La Congregazione per la dottrina della fede ha messo un punto fermo, un anno fa, sul controverso tema del «fine vita», in particolare sulla necessità o meno di alimentare e idratare pazienti in stato vegetativo.  La Congregazione era stata chiamata a esprimere il suo parere da due quesiti, sollevati dai vescovi americani dopo il caso di Terri Schiavo, nel 2005.
Primo quesito: È moralmente obbligatoria la somministrazione di cibo e acqua (per vie naturali oppure artificiali) al paziente in “stato vegetativo”, a meno che questi alimenti non possano essere assimilati dal corpo del paziente oppure non gli possano essere somministrati senza causare un rilevante disagio fisico?
Risposta: Sì. La somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente. In tal modo si evitano le sofferenze e la morte dovute alla mancanza di alimentazione e alla disidratazione.
Secondo quesito: Se il nutrimento e l’idratazione vengono forniti per vie artificiali a un paziente in “stato vegetativo permanente”, possono essere interrotti quando medici competenti giudicano con certezza morale che il paziente non recupererà mai la coscienza?
Risposta: No. Un paziente in “stato vegetativo permanente” è una persona, con la sua dignità umana fondamentale, alla quale sono perciò dovute le cure ordinarie e proporzionate, che comprendono, in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali.
Il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha approvato le presenti Risposte e ne ha ordinato la pubblicazione il 1° agosto 2007.
 
 

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5 - INTERVISTA 1: GIULIANO DOLCE, IL NEUROLOGO CHE HA VISITATO LA GIOVANE
«L’agonia di Eluana sarà lunga e dolorosa»
Autore: Paolo Lambruschi - Fonte: fonte non disponibile, 12 luglio 2008

Il neurologo che ha visitato la giovane: sta bene, per spegnersi impiegherà almeno 15 giorni.
Il professore Giuliano Dolce è un luminare nella cura degli stati vegetativi. La giovane lecchese, spiega, morirà di fame e il dolore fisico in questi pazienti è dimostrato in maniera scientifica.
Questo, conclude, è omicidio.
 
 Eluana non morirà in fretta. Ci vorranno almeno due settimane, dal momento della sospensione dell’alimentazione con il sondino, prima che la sua vita si spenga. Il corpo della giovane è infatti in buone condizioni grazie alle cure ricevute in questi 16 anni dalle Suore Misericordine della clinica lecchese « Talamoni » . E per lei saranno giorni di sofferenza fisica.
  Lo assicura Giuliano Dolce, 80 anni, direttore scientifico della clinica Sant’Anna di Crotone, scienziato di fama internazionale, uno dei luminari italiani nella cura degli stati vegetativi. Il quale precisa: «Non parlo per sentito dire. Ho visitato Eluana lo scorso gennaio, d’accordo con la famiglia e i legali. Ho visto che è stata curata bene e con molto affetto dalle suore. Per questo affermo che, quando le verrà tolto il sondino per l’alimentazione, ci vorranno almeno due settimane prima che arrivi la morte. Il suo sarà un viaggio lungo, come accadde per la povera Terry Schiavo negli Stati Uniti qualche anno fa » .
 Una persona in coma soffre se le viene tolta l’alimentazione?
 « Si, la sofferenza fisica è scientificamente provata nei pazienti in stato vegetativo. L’incredibile sentenza del tribunale di Milano presenta comunque diversi aspetti contraddittori dal punto di vista medico » .
 Quali?
 « A mio avviso la contraddizione scatta nel punto in cui viene comunque imposta, oltre che un’indispensabile umidificazione frequente delle mucose con l’ovatta bagnata sulle labbra, anche una somministrazione di ' sostanze idonee ad eliminare l’eventuale disagio da carenza di liquidi'. Tradotto, la paziente deve essere idratata per evitarle sofferenza. Quindi non morirà di sete, ma di fame. E voglio vedere dove troverà un posto che la ospiterà per morire. Non è un caso di eutanasia, perché, ad esempio, in Olanda si essa viene praticata su un malato che soffre molto e negli ultimi giorni della sua esistenza e ne fa richiesta. Questo è un omicidio e dal punto di vista deontologico per un medico è inac-cettabile » .
 Il punto è: alimentazione e idratazione sono o no un atto terapeutico?
 « No. In Francia e Germania sono un atto dovuto per legge. In Italia la legge la sta facendo il tribunale di Milano e non il Parlamento e contrasta con quanto deciso dalla Commissione nazionale di bioetica. Eluana è come un neonato: se le togli il latte muore perché non è in grado di alimentarsi da sola. Come si può dire che nutrirla è un atto di cura? Clinica-mente non è malata, è un paziente guarito con difetto».
 Cosa significa?
 « La ragazza è in coma per una cerebropatia grave causata da un incidente stradale. Dopo un anno in medicina chi sopravvive è considerato clinicamente guarito. Quindi non viene più curato, ma sottoposto a nursing, cioè alla nutrizione, alla riabilitazione passiva quotidiana e alle cure che prevengono, ad esempio, le piaghe da decubito. Ma è guarito con difetto, nel suo caso gravissimo, perché non ha ripreso coscienza. Quindi va considerata una disabile, probabilmente sulla frontiera estrema della disabilità. La sentenza si basa sulle teorie di chi sostiene che la vita in stato vegetativo sia peggiore della morte. Invece per me, che mi occupo di questi pazienti da molto tempo, è vita vera. Al momento la donna ha una sua vita sociale, è assistita da una suora che le vuole bene e che quando la ragazza se ne andrà probabilmente soffrirà moltissimo. La famiglia e gli amici la vanno a visitare, le fanno sentire affetto, non è sola. Non ci manda segnali, ma chi sa cosa prova in silenzio davanti a questo amore? » .
 Possono provare emozioni i pazienti  nelle sue condizioni?
 « Certo. A Crotone, in 12 anni abbiamo verificato le alterazioni provocate dall’ascolto della voce della mamma. In altri casi arrossiscono. Dipende dalle loro condizioni » .
 Eluana Englaro è in stato vegetativo da 16 anni. C’è un limite temporale oltre il quale non ci si risveglia?
 « Non si può dirlo con cognizione scientifica. All’ultimo convegno mondiale sui danni cerebrali di Lisbona, in aprile, è stato citato il caso di un paziente statunitense che si è risvegliato dopo 18 anni. In letteratura ci sono molti esempi di persone risvegliatesi dopo molto tempo. Superati i primi due anni di coma, si può sopravvivere a lungo. È superato il termine di stati vegetativi ' permanenti' usato nella sentenza milanese, la definizione corretta è ' persistenti'. Perciò per la nostra professione l’esecuzione della sentenza è pericolosa, perché potrebbe lasciare a qualcuno, medico o giudice, il potere di stabilire quando finisce la vita, varcando frontiere etiche e di civiltà » .
 Quanti sono i pazienti in stati vegetativo in Italia?
 « Diverse migliaia, impossibile stabilirlo in mancanza di una banca dati. Nel 2005 erano 2500, un terzo bambini. L’incidenza è di 1800 nuovi casi all’anno. La Lombardia ad esempio tre mesi fa ha approvato la creazione di 500 nuovi posti letto in hospice. Oltre ai pazienti in coma per trauma, ci sono quelli il cui cervello è rimasto danneggiato per mancanza di ossigeno, chi ha avuto un ictus, chi un infarto. Gli ultimi anni di vita dei malati di Alzheimer spesso vengono trascorsi in stato vegetativo. Dopo Eluana potrebbero verificarsi molti casi » .
 Lei fa parte di un’associazione di bioeticisti laici e cattolici, «Vi.ve», vita vegetativa. Cosa farete?
 « Prima di tutto faremo appello al procuratore generale della repubblica di Milano perché presenti ricorso contro la sentenza. Poi utilizzeremo tutti gli strumenti giuridici disponibili contro il medico che eseguirà la sentenza » .
 

Fonte: fonte non disponibile, 12 luglio 2008

6 - INTERVISTA 2: IL NEUROLOGO GIGLI: ELUANA È VITALE, PROVA EMOZIONI NON È UN VEGETALE
Una sentenza strabica! Per il luminare sono stati ignorati tutti i pareri a favore della vita anche in uno stato di estrema gravità come questo.  
Autore: Paolo Lambruschi - Fonte: fonte non disponibile, 13 luglio 2008

La medicina non sa ancora in quale parte del cervello si trovi la coscienza e neppure dove si colloca l’interruttore che può spegnerla. E non è in grado di stabilire che non si accenderà più. Ma per Gianluigi Gigli, ordinario di neurologia all’università di Udine, la sentenza che ha autorizzato la morte di Eluana ha ignorato tutto questo, accogliendo invece le tesi granitiche di chi pensa che lo stato vegetativo non sia vita umana. Senza porsi dubbi. Sui giornali, ad esempio, il dottor Defanti, l’uomo disposto a togliere il sondino che tiene in vita Eluana, ribadisce che lo stato vegetativo è equiparabile alla vita vegetale. Quindi, a suo dire, la giovane non soffrirà quando partirà per l’ultimo viaggio.
 Professor Gigli, cosa ne pensa?
 Che la sentenza della Cassazione dello scorso ottobre, su cui si basa il decreto della Corte d’appello che autorizza la morte della giovane, definisce vive le persone in stato vegetativo. È stata presa solo a pezzi e piegata. Se è un vegetale, qualcuno mi spieghi allora perché il tribunale raccomanda di sedarla, una volta tolta l’alimentazione, e di tenerle le mucose bagnate quando le toglieranno l’idratazione. Evidentemente sanno che il 'vegetale' soffrirà. Non si sedano le piante quando si tagliano.
 Quindi?
 Facciamo chiarezza. Eluana non è in coma, è in stato vegetativo, appunto. La differenza è fondamentale: non vive a letto, dorme e si sveglia, non è attaccata a un respiratore, muove gli occhi. Non può alimentarsi autonomamente, ma sta bene e non assume farmaci.
 Come si può affermare che Eluana non è una persona viva?
 Non è possibile. Sono apparsi di recente articoli splendidi su riviste scientifiche internazionali che si domandano dove si trovi la coscienza, arrivando a ipotizzare che risieda nel tronco del cervello. Significa che pure un bambino anencefalo prova emozioni. Perché non dovrebbe provarle Eluana Englaro?
 Può riaccendersi la vita nella frontiera remota dove si trova la ragazza?
 Onestamente più passa il tempo e più le probabilità diminuiscono. Ma sono noti casi di risveglio dopo tempi lunghissimi. Non sappiamo dove sta l’interruttore della coscienza e cosa lo fa scattare. Ma un medico non può mai escludere che lo scatto vitale avvenga.
 Allora perché la sentenza milanese sostiene il contrario?
 Mi pare una sentenza scritta a più mani e anche un po’ 'strabica' e orientata, che accoglie solo le tesi su idratazione e alimentazione della commissione bioetica voluta nel 2000 dall’allora ministro della Salute Umberto Veronesi e presieduta da Fabrizio Oleari. Ma vi sono altri pareri successivi di commissioni bioetiche non meno autorevoli e non considerati. I quali giudicano ad esempio gli stati vegetativi 'persistenti' e non 'permanenti'. E che ritengono l’alimentazione non accanimento terapeutico, bensì atto dovuto verso un malato non autosufficiente. Pensiamo solo a quei malati di Sla che si alimentano con sondino o cannula e riescono persino a lavorare. Se passa il principio dell’alimentazione come atto terapeutico si apre un fronte pericoloso.
 Quale?
 Di fatto si autorizza l’eutanasia omissiva. Potrà farsi avanti qualche parente che vuole sospendere l’alimentazione a qualcun altro dei 2500 pazienti in stato vegetativo sostenendo che non voleva finire così. Dopo toccherebbe agli anziani in demenza senile, condizione davvero irreversibile.
 I famigliari sostengono di difendere gli interessi della giovane...
 Mi permetta di citare la convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina del 1997. L’articolo 9 sui desideri precedentemente espressi dal paziente è stato infatti utilizzato dai giudici per autorizzare il padre a staccare la sonda. Ma è stato ignorato l’articolo 6: sostiene che un intervento non può essere effettuato su persona incapace di dare consenso, se non per suo diretto beneficio. Mi domando che beneficio porti la morte.
 Cosa si può fare ancora?
  L’associazione Vi.ve, della quale faccio parte, si rivolgerà al procuratore generale di Milano perché faccia ricorso contro la sentenza Englaro della Corte d’appello di Milano perché ha disatteso i principi di diritto espressi dalla Cassazione lo scorso ottobre. C’è poi una possibilità legata all’Avvocatura dello Stato, la quale può intervenire su sollecitazione del Presidente del consiglio o del Ministro della giustizia. Il governo è sensibile agli sconfinamenti politici della magistratura. Bene, in questo caso i giudici introducono nell’ordinamento l’eutanasia omissiva scavalcando il Parlamento, cioè la sovranità popolare. Dal punto di vista etico è in gioco un concetto di civiltà e rispetto del bene indisponibile della vita. La comunità medica è divisa e sta dibattendo sulla vicenda.
 

Fonte: fonte non disponibile, 13 luglio 2008

7 - TESTIMONIANZA 1: MIO FIGLIO DANIELE COME ELUANA, UNA PRESENZA VIVA CHE PORTA FRUTTO

Autore: Giancarla Saglio Dominoni - Fonte: fonte non disponibile

Spesso le notizie dei giornali e dei media ci interrogano sui fatti della vita, portano a chiederci che cosa faremmo in certe situazioni che peraltro non viviamo in prima persona.
  Ma viene anche il momento in cui ci si confronta con qualcosa che si conosce benissimo: potrei dire troppo bene. Ed è precisamente quanto mi accade rispetto alla vicenda di Eluana.
  Mio figlio Daniele oggi ha 9 anni, all’età di 4 ha riportato una grave anossia da annegamento e la sua attuale situazione è di 'stato vegetativo persistente'. Ho vissuto quindi l’angoscia al momento dell’incidente, l’ansia dei giorni che passavano segnati da continui peggioramenti, le speranze frustrate di un suo risveglio, il dolore lancinante sia fisico che psicologico di trovarsi catapultati per mesi in ospedale dove impari a convivere e gestire la tracheotomia e l’alimentazione assistita, dove sei costretto a vivere la realtà del 'tuo splendido e meraviglioso bambino' che non parla più, non mangia più, non ti sorride più... non ti corre più incontro.
  Da quattro anni siamo tornati a casa, dove con mio marito e gli altri due figli abbiamo dovuto ricominciare una vita diversa, molto diversa.
  L’impegno per assistere Daniele ci ha assorbito giorno e notte per molti mesi: solo per alimentarlo ci volevano 18 ore al giorno e tuttora ci alziamo diverse volte ogni notte per girarlo. Se abbiamo potuto fisicamente resistere è perché attorno a noi si è formata una rete di volontari che ci ha permesso di riposare e seguire gli altri due figli. Abbiamo dovuto anche cambiare casa per la necessità di un letto da ospedale e tante attrezzature che in quella precedente non era possibile collocare. Eppure… nonostante queste e tantissime altre fatiche e difficoltà, per tutti noi e per chi frequenta la nostra casa Daniele è una presenza viva: non parla, però nel suo silenzio aiuta e sostiene tanti, stanchi e sfiduciati. I suoi grandissimi occhi azzurri che ci fissano e che riescono a trasmetterci i suoi stati di tranquillità e di fastidio, ci dicono che la vita può avere forme ed espressioni difficilissime da capire ma che è vita piena. Un amico ha scritto che «lo scalpello del dolore è strumento rude e pesante, ma che produce capolavori di grazia», ed è una frase che io pienamente condivido. È difficile da dire, ma in un mondo che insegue l’effimero è la sofferenza che ci obbliga a riflettere sul fine Ultimo della nostra vita e a coglierne il senso.
  Noi continueremo a chiedere a Dio che ci faccia la grazia di questa guarigione e tanti amici con noi continuano a pregare, ma sappiamo anche che lo stato di Daniele a suo modo porta frutto. Si è vero, la nostra fede, anche se messa a dura prova, ci ha aiutato e sostenuto, ma è anche vero che il valore assoluto della vita è un dato non solo di fede ma oggettivo. Il nostro vivere ci pone di fronte a responsabilità ben precise nei confronti degli altri: non credo che il 'supposto bene' del singolo possa andare contro il bene generale. In particolare, riferendomi alla sospensione dell’alimentazione a Eluana, penso che oltre ad essere un atto di violenza, anche se compiuto come gesto di pietà, in realtà fa innescare il dubbio che l’uomo possa decidere della vita e della morte e pertanto diventa un atto immorale. Non tutto ciò che è legalmente possibile è eticamente accettabile. Ognuno di noi è chiamato, anche se con sacrificio estremo, ad assumersi grandi responsabilità.
 

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8 - TESTIMONIANZA 2: DANILO DA OLTRE 20 ANNI VIVE GRAZIE A UNA CANNULA

Autore: Pino Ciociola - Fonte: fonte non disponibile, 15 luglio 2008

Non si muove. Non parla. Non reagisce. È nato nel 1981 ed ha imparato, dopo molti anni, a sbattere le ciglia in modo diverso da prima e, una volta ogni chissà quanto, abbozzare forse un sorriso. Il resto è zero: almeno per quanto è concesso vedere a noi. La morte, tra asfissie e arresti cardiorespiratori, ha provato decine di volte a portarselo via. E a Grazia lo ripeterono spesso: « Lasci che la natura faccia il suo corso... » . Qualcun altro, vedendo che lei gli dedicava amore e tutta la sua vita ventiquattr’ore al giorno, l’ha bonariamente rimproverata: « Ma perché si agita così? È un vegetale, basta solo innaffiarlo» .
  A pranzo ieri, come domenica sera a cena, era a capotavola: immobile nella sua speciale carrozzella, gli occhi semichiusi e fissi, il tubicino di plastica chiara e opaca della tracheotomia appeso alla gola. Non ha mangiato, né bevuto con noi: l’aveva già fatto poco prima, col suo sondino nasogastrico attraverso cui scorre, da una sacca, il liquido marrone che è il suo nutrimento.
  Danilo ( nome di fantasia, ndr) nacque a posto, un bel pupetto. Otto o nove mesi dopo si manifestarono le prime anomalie cerebrali. Poco tempo ancora e il suo stato crollò. I primi sei anni di vita se ne andarono ciclicamente: quindici giorni a casa e quindici in ospedale. La mamma nell’ 85 non ce la fece più, chiese aiuto. Lo prese Grazia, che lo cura, e coccola, ancora oggi: per tutti gli altri è «sua madre», per lei stessa probabilmente anche. Nel 1993 cominciò la roulette russa: asfissie, arresti cardiocircolatori, terapie intensive, condizioni disperate una dietro l’altra, medici che non volevano perder troppo tempo e troppe energie a rianimarlo. Tentarono di convincerla a lasciarlo morire e fine della triste storia. Ma furono le parole di un primario di pediatria uno schiaffo in faccia a Grazia: «Siete dei fanatici. Per non rinunciare alla vostra missione fate soffrire una persona!» . Quando la morte sembrò aver capito che per il momento non c’era verso, Danilo poté addirittura tornare a casa. Perché qualcosa era intanto e imprevedibilmente cambiato: alcuni anestesisti e il primario della Terapia intensiva - gli stessi che prima l’avrebbero lasciato morire - si erano offerti di seguirlo, gratuitamente, andando loro da lui.
  Tre anni fa, poi, altra crisi, altro piede nella fossa, altra corsa in terapia intensiva (dove rimane un mese, più tre in un altro reparto) e viene salvato soltanto dalla tracheotomia. Grazia prende un altro ceffone: qualcuno definisce Danilo «una bambola di stracci» . È stata invece la neuropsichiatra che lo segue a dirle una delle cose più belle che lei ha sentito: «Valgono più le vostre carezze delle medicine che gli do io» . Fa freddo a Canazei, piove e il termometro segna nove gradi: Grazia sistema una coperta addosso a Danilo. «Chi può dirmi che le sue capacità relazionali corrispondano a ciò che capisce o non capisce?» , spiega. E «seppure non capisse, ha respirato il nostro amore. A casa nostra c’è sempre un sacco di gente che viene a trovarlo» .
  Ma il punto per lei non è neppure questo. «Chi sono io per stabilire che Dani soffre o addirittura non vorrebbe vivere?» , spiega. «Hai idea di quanto ha saputo fare Dani? Credi sia un inutile vegetale?» . Aspetta un istante la risposta, poi riprende. «Ti racconto un fatto, ma ce ne sono tantissimi. Una ragazza di ventotto anni, che da quattordici era stata fatta prostituire e aveva subìto violenze e umiliazioni di ogni tipo, odiava la vita e aveva tentato di suicidarsi quattro o cinque volte, ma erano riusciti sempre a impedirglielo. Ha conosciuto Dani: te la farò incontrare e coi tuoi occhi vedrai cos’è diventata. Una donna nuova» . Magari non sempre serve saper parlare, muoversi e reagire. Grazia lo ripete: «Dani per la società è un terribile non senso. L’umanità ha tanto studiato e scoperto, ha superato tanti limiti, eppure s’ostina ancora a credere che le potenzialità di un essere umano siano nelle sue capacità di comunicare secondo certi parametri». Deve aver ragione: basta chiudere gli occhi,  prendere la mano di Danilo e tenerla, a lungo, nella propria.
 Ogni giorno una rete di solidarietà si prende cura del giovane, che viene messo a sedere sulla speciale sedia a rotelle e portato persino a tavola, anche se è il sondino a nutrirlo e idratarlo. Grazia: «Chi sono io per stabilire che soffre troppo e preferirebbe morire? Chi può dire quanto lui sente e capisce dentro di sé?»
Ecco ora l'intervista al primario che voleva lasciarlo morire. Adesso si è pentito, lo visita spesso ed è stato suo padrino di cresima.
«Non so che cosa mi sia scattato dentro». Maurizio Mazzanti nel 1993 era il primario della Terapia intensiva dove portarono in asfissia Danilo: è il medico che lo strappò alla morte. Eppure non l’avrebbe fatto, gli era sembrata una perdita di tempo, quasi un atto di arroganza e cattiveria. Così convocò Grazia in una stanza dell’ospedale e le disse: «Signora, non è meglio lasciare che finalmente la natura faccia il suo corso? Perché accanirsi su un bambino già tanto grave? ». Fosse dipeso da lui, lo avrebbe semplicemente lasciato morire. Grazia non lo permise, ma venne straziata da quella richiesta. Il primario diversi anni dopo è diventato il padrino di cresima di Danilo. Ancora oggi, quindici anni più tardi, quando c’è qualche problema va a casa di Danilo. Gratuitamente. Grazia ormai non lo chiama «dottore», ma solo «Maurizio».
  Non sa cosa gli sia scattato dentro. Ma ad un certo punto – ricorda – «tutte le volte che le condizioni di Danilo precipitavano abbiamo cominciato ad affrontarle senza preoccuparci che lui sarebbe rimasto sempre in questo stato e certo non avrebbe mai recitato la Divina Commedia!». Ha sessantacinque anni, il dottor Mazzanti: «Vede, ai tempi della mia infanzia i portatori d’handicap venivano chiamati 'gli infelici', perché si pensava lo fossero. Ho capito via via che l’infelice è invece chi non li considera esseri umani». E in un’intervista di molti anni fa spiegò che «il caso di Danilo ha cambiato il mio essere medico: ho smesso di sentirmi dio».
  Va bene, ma come la mettiamo con l’accanimento terapeutico, dottor Mazzanti? «La domanda cruciale per noi medici, alla quale siamo chiamati a dare risposta di fronte ai casi estremi, è proprio questa: salvare la vita di un paziente o impedirgli artificialmente di morire? Due considerazioni. L’accanimento terapeutico è sbagliatissimo. E adesso sono sicuro che la vita di Danilo pur in quelle condizioni aveva un senso».
  Ma il punto non è forse garantire o almeno puntare a mantenere la cosiddetta «qualità della vita» dei pazienti? E non è un doveroso atto di pietà far cessare di vivere chi quella «qualità» non l’ha o l’ha persa senza speranze? «Le faccio un esempio – risponde Mazzanti –. Quando qualcuno mostra i primi sintomi dell’Alzheimer noi sappiamo con certezza che entro alcuni mesi o qualche anno quella persona soffrirà e non sarà mai più autosufficiente. A me sembra, da uomo e da medico, che farlo cessare di vivere, più che pietà sia toglierci un problema di torno e toglierlo alla società».
  Mettiamo allora da parte la questione dell’autosufficienza e parliamo di dolore: far vivere chi sta soffrendo molto non appare come una specie di facile e superiore arroganza? Alla fin fine il dolore è solo di chi lo prova. «Poniamo pure che sia come lei sostiene – dice Mazzanti – le faccio io delle domande: sbaglio o le sofferenze sono tali e tante che sarebbe impossibile diversificarle? E poi in base a chi o a che cosa si potrebbe classificarle o anche soltanto giudicare insostenibile una sofferenza altrui? E ancora, una sofferenza fisica è per esempio sempre più grande e insopportabile di una interiore? Ma voglio dirle un’altra cosa: ad usare il parametro del 'meglio che muoia piuttosto che soffra' dovremmo eliminare o lasciar andare una tale quantità di esseri umani che credo ne resterebbero davvero pochi...».
 

Fonte: fonte non disponibile, 15 luglio 2008

9 - UN VOLANTINO PRONTO PER LA DIFFUSIONE

Autore: Stefano - Fonte:

Vi proponiamo un testo breve che può essere diffuso con e-mail o volantini. E' utile per fare controinformazione efficace (cioè con slogan facilmente comprensibili). Se rivolta a cattolici è utile allegare anche il parere della Congregazione della Dottrina della Fede che trovate in questo numero di BASTABUGIE. Ecco il testo da divulgare:
 
ELUANA NON DEVE ESSERE UCCISA
 
Ecco perché utilizzando anche la sola ragione non possiamo essere d'accordo con l'eutanasia
 
1) HA SOLO BISOGNO DI CIBO E ACQUA
 
Nel caso di Eluana non si tratta di sospendere un trattamento medico in quanto lei ha solo bisogno di cibo e acqua e non di medicine. Non si tratta di staccare macchine. E interrompere la somministrazione di cibo e acqua vuol dire farla morire di fame e di sete (come Terri Schiavo negli Stati Uniti, ricordate?)
 
2) NON SI PUÒ SAPERE COSA PENSA OGGI
 
Non è certa e attuale la sua volontà (come ad esempio lo era con il caso di Welby) perché si sono interpretati discorsi generici del passato. Chi può sapere cosa pensa oggi?
 
3) CHI SI È SVEGLIATO DAL COMA HA DETTO CHE SENTIVA E CAPIVA TUTTO
 
Salvatore Crisafulli, in coma dal 2003 al 2005, si è poi risvegliato. I medici dicevano che non sentiva nulla. Lui invece ha dichiarato che sentiva e capiva tutto.
 
4) INCREDIBILE: UN POLACCO SI È SVEGLIATO DAL COMA DOPO 19 ANNI!
 
Un ferroviere polacco si è risvegliato nel 2007 dopo un coma durato 19 anni. Sta bene e può vivere con i suoi nipoti, nati nel frattempo.
 
5) LE SUORE HANNO CHIESTO DI CONTINUARE A OCCUPARSI DI LUANA
 
Le suore che hanno accudito fino ad ora Eluana nella Casa di Cura di Lecco hanno chiesto al padre di lasciarla a loro per proseguire le amorevoli cure. Nulla chiedono se non di poter continuare a nutrirla e accudirla come si fa con le persone a cui si vuol bene, ma non possono più badare a sé stesse.
 
6) UN PRECEDENTE INQUIETANTE
 
Adolf Hitler è stato un convinto sostenitore dell’eutanasia per motivi pietosi. Le camere a gas naziste sono state inaugurate da tedeschi di pura razza ariana, nient’affatto ostili al regime, ma considerati portatori di ‘vite senza valore’.
Ci sono lettere riservate del Fuhrer al suo medico personale, in cui Hitler spiega le ragioni filantropiche per cui è meglio eliminare handicappati, scemi, storpi, reduci della prima guerra mondiale. Non ne parla con odio o disprezzo, ma con sincera pietà.
Proprio come accade oggi ai fautori dell’eutanasia liberale e democratica.
 


10 - FIRMA L'APPELLO PER SALVARE ELUANA. BASTANO DUE MINUTI

Fonte Redazione di BASTABUGIE

APPELLO ALLA SOCIETA' CIVILE PER LA DIFESA DEL DIRITTO ALLA VITA DI ELUANA ENGLARO
 
Il presente appello é per la difesa del diritto alla vita di Eluana Englaro e si oppone alla richiesta di interromperne l'idratazione e l'alimentazione.
Tale interruzione provocherebbe infatti la morte di Eluana, e questo solo in seguito ad una lunga e dolorosa agonia, come giá successe per Terri Schiavo nel 2005.
Togliere la vita ad una persona, solo perché malata o disabile o incosciente, é una pratica inaccettabile in ogni paese che voglia continuare a rientrare nel novero di quelli civili.
LA VITA E' UN BENE INVIOLABILE E INDISPONIBILE E NESSUNO SI PUO' ARROGARE LA PREROGATIVA DI TOGLIERLA A PROPRIO ARBITRIO.
PER ADERIRE ALL'APPELLO vai sul sito di BASTABUGIE e clicca sul banner che scorre con la scritta "Firma per la difesa della vita di Eluana Englaro"
Bastano due minuti!

Fonte: Redazione di BASTABUGIE

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