IL POPOLO IRLANDESE CI SALVA E BLOCCA L'EUROCASTA
Il popolo irlandese dice NO alla svendita della Nazione. Si prenda esempio.
Autore: Fausto Carioti - Fonte: fonte non disponibile
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L'IRLANDA BOCCIA IL TRATTATO DI LISBONA: ECCO PERCHE'
Autore: Stefano Fontana - Fonte: fonte non disponibile
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CALCIO STORICO FIORENTINO: LA TRADIZIONE E IL BEL GIOCO
Non ci sono perdite di tempo, errori arbitrali, accordi tra le squadre... da esso sono derivati il calcio e il rugby moderni (VIDEO: un assaggio del calcio storico)
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie
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SPOSATI DUE PRETI GAY: CHIESA ANGLICANA SEMPRE PIÙ LONTANA DALLA VERITÀ!
Anglicani sotto choc: nozze in chiesa tra preti
Fonte: fonte non disponibile
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CLUB DI ROMA, IERI LA BOMBA DEMOGRAFICA, OGGI I CAMBIAMENTI CLIMATICI, MA IL NEMICO È SEMPRE LO STESSO: L'UMANITÀ
Un club poco raccomandabile
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: Avvenire
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CLUB DI ROMA, IERI LA BOMBA DEMOGRAFICA, OGGI I CAMBIAMENTI CLIMATICI, MA IL NEMICO È SEMPRE LO STESSO: L'UMANITÀ
Un club poco raccomandabile
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: fonte non disponibile
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OGNI VOLTA CHE IL CENTRO TORNA AL GOVERNO, DIMENTICA CHE LA BATTAGLIA PIÙ IMPORTANTE È QUELLA CULTURALE
Fonte: fonte non disponibile
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GIACOMINA LA CONTADINA SACRILEGA DI RAVENNA E IL PERDONO DI DIO
Quel pancione gettato come una sfida a Dio.
Autore: Marina Corradi - Fonte: fonte non disponibile
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ANTONIO SOCCI RISPONDE A VASCO ROSSI: LA VITA SPERICOLATA NON È LA TUA, MA QUELLA DEI PRETI E DELLE SUORE
Caro Vasco, sono i preti e le suore a fare davvero una vita spericolata…
Autore: Antonio Socci - Fonte: fonte non disponibile
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INDIMENTICABILE GUARESCHI: NEL SEGRETO DELLA CABINA ELETTORALE DIO TI VEDE, STALIN NO!
Guareschi: e succede un ’48.
Autore: Marco Ferrazzoli - Fonte: fonte non disponibile
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IL POPOLO IRLANDESE CI SALVA E BLOCCA L'EUROCASTA
Il popolo irlandese dice NO alla svendita della Nazione. Si prenda esempio.
Autore: Fausto Carioti - Fonte: fonte non disponibile, 14 giugno 2008
Il 12 giugno, temendo quello che poi di fatto è accaduto in Irlanda, Libération, il giornale della sinistra chic (posseduto dai famosi Rotschild), con un articolo di Alain Duhamel, fratello del direttore generale di France Télévision, vomitava rabbia e disprezzo contro il "dispotismo irlandese", che osava sfidare l'Unione europea. Per l'élite europea chi vota contro non è abbastanza evoluto. Ma ogni volta che si passa dalle urne per loro c'è una sberla. Il Trattato di Lisbona deve essere approvato all'unanimità, e il "no" di Dublino dovrebbe chiudere automaticamente la partita. Ma l'élite europea - o "eurocasta" che dir si voglia - non ha alcuna intenzione di mollare l'osso, e già ieri sera provava a derubricare la nuova bocciatura come un semplice incidente di percorso, aggirabile con uno dei tanti marchingegni istituzionali già adottati in passato. Magari chiamando di nuovo gli irlandesi alle urne il prossimo anno. Ovviamente, avessero vinto i "sì", col cavolo che i fautori del "no" avrebbero avuto una seconda chance. È di questa strana idea di democrazia che i popoli europei non si fidano... LA VENDETTA DEGLI ELETTORI CONTRO L'EUROCASTA Gli elettori europei si dividono in due categorie: quelli che hanno bocciato i trattati europei e quelli ai quali è stata negata la possibilità di bocciarli. Gli irlandesi appartengono alla prima categoria. Gli italiani, come altri popoli europei, fanno parte della seconda. A Dublino e dintorni giovedì scorso, per volere della Corte suprema, cioè della massima magistratura irlandese, i cittadini sono stati chiamati alle urne per approvare o respingere il Trattato di Lisbona, versione edulcorata della precedente costituzione europea, che fu affossata dal pronunciamento degli elettori francesi e olandesi nel 2005. Il verdetto irlandese è stato reso noto ieri: il 53,4% dei votanti ha detto "no". È la conferma - l'ennesima - che il palazzo di Bruxelles è visto dalla gran parte degli europei come un'astronave aliena piombata nel mezzo del continente da chissà dove, abitata da personaggi strani che, pur usando una lingua astrusa e incomprensibile, lontana da ogni comune idioma europeo, pretendono di dettare legge in casa nostra. Il raffronto con gli Stati Uniti, inevitabile pietra di paragone e oggetto delle invidie degli eurotecnocrati, è semplicemente umiliante. La Costituzione americana è sangue e storia di quel popolo, e ogni cittadino d'oltreoceano conosce a memoria almeno i principali emendamenti, quelli che difendono le sue libertà. Il Trattato di Lisbona è il figlio deforme delle beghe delle élites europee e dei loro compromessi al ribasso, è la traduzione cartacea di un progetto costruttivista che nessun cittadino europeo ha ancora capito in cosa consista e in che modo dovrebbe essergli utile. Tant'è che solo pochi esperti della materia - un circolo ristretto di iniziati che se si presentassero al giudizio degli elettori non riuscirebbero nemmeno a farsi eleggere amministratori di condominio - sono in grado di ricordarne qualche brandello di testo. UN'ÉLITE INAMOVIBILE Eppure gli europei, ogni volta che hanno potuto, non l'hanno mandata a dire. Si iniziò con il trattato di Maastricht, che nel 1992 fu sottoposto al giudizio dei danesi, i quali lo bocciarono, anche se di stretta misura. L'impalcatura europea fu salvata miracolosamente dai francesi, i quali - pochi mesi dopo - approvarono con il 51% dei voti l'accordo europeo. Si tornò a dare la parola ai cittadini nel 2001, quando gli irlandesi affossarono il trattato di Nizza, che stabiliva le regole da adottare man mano che gli stati dell'Europa orientale sarebbero entrati nell'Unione. L'accordo dovette essere modificato e fu necessario un secondo referendum per strappare il "sì" di Dublino. Nel 2005 fu il turno della costituzione europea, prima promossa da un referendum spagnolo, quindi silurata senza pietà dagli elettori di Francia e Paesi Bassi. Così furono necessari due anni di riflessione per approvare, a Lisbona, una nuova carta europea, chiamata ufficialmente "trattato di riforma", che assegna più poteri ai parlamenti nazionali e diminuisce la facoltà legislativa della Ue. Non è servito a niente: appena sottoposto agli elettori, questo Trattato ha subito la stessa sorte riservata al suo predecessore. Se a Bruxelles e Strasburgo la politica fosse governata dalla decenza, il voto irlandese sancirebbe la fine dei tentativi di imporre agli europei regole che rifiutano. Il Trattato di Lisbona deve essere approvato all'unanimità, e il "no" di Dublino dovrebbe chiudere automaticamente la partita. Ma l'élite europea non ha alcuna intenzione di mollare l'osso, e già ieri sera provava a derubricare la nuova bocciatura come un semplice incidente di percorso, aggirabile con uno dei tanti marchingegni istituzionali già adottati in passato. Magari chiamando di nuovo gli irlandesi alle urne il prossimo anno. Ovviamente, avessero vinto i "sì", col cavolo che i fautori del "no" avrebbero avuto una seconda chance. Il presidente della commissione europea, José Manuel Barroso, ha ricordato che diciotto Paesi hanno già approvato il trattato, e ha invitato gli altri otto a tirare dritto con le ratifiche. Peccato che l'Irlanda sia stato l'unico Paese che abbia previsto una consultazione popolare, mentre i diciotto che hanno approvato l'accordo l'abbiano fatto solo tramite i parlamenti: evidentemente certe cose sono ritenute troppo importanti per essere affidate al rozzo giudizio degli elettori. UNA STRANA IDEA DI DEMOCRAZIA In Italia, dove il testo è stato varato dal consiglio dei ministri due settimane fa, l'iter per l'approvazione definitiva del trattato inizierà tra pochi giorni. Ovviamente fare un referendum, da queste parti, è pura utopia. Quale sia l'idea d'Europa e di democrazia che va per la maggiore l'ha spiegato con toni da Istituto Luce Giorgio Napolitano, commentando il voto irlandese: «Non si può pensare che la decisione di poco più della metà degli elettori di un Paese che rappresenta meno dell'1% della popolazione dell'Unione possa arrestare l'indispensabile, ed oramai non più procrastinabile, processo di riforma. È l'ora di una scelta coraggiosa da parte di quanti vogliono dare coerente sviluppo alla costruzione europea, lasciandone fuori chi, nonostante impegni solennemente sottoscritti, minaccia di bloccarla». Bontà sua, il presidente della Repubblica se la prende con chi ha sottoposto il trattato Ue al voto degli elettori e propone di lasciare fuori dall'Europa chi non piega la testa al diktat della casta di Bruxelles. Poi si chiedono come mai, appena si parla di Unione europea, la mano degli elettori corre alla fondina.
Fonte: fonte non disponibile, 14 giugno 2008
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L'IRLANDA BOCCIA IL TRATTATO DI LISBONA: ECCO PERCHE'
Autore: Stefano Fontana - Fonte: fonte non disponibile, 17 Giugno 2008
L'Europa dei popoli ha bocciato l'europa dei banchieri e delle lobbies?
L’EUROPA E L’IDEOLOGIA EUROPEISTA
I cittadini irlandesi hanno bocciato il Trattato di Lisbona, costringendoci a ripensare l’Europa. Anche se il percorso costituente potrà continuare, questo fatto, come già la bocciatura di Francia e Olanda della Costituzione europea, richiederà senz’altro un ripensamento. Un dato è sotto gli occhi di tutti: quando la ratifica viene fatta dai parlamenti, il sì passa, quando invece sono direttamente i cittadini a decidere, no. E’ senz’altro un segno di scollamento tra la politica, che vuole far andare avanti il processo costituente, e i popoli, che coltivano invece delle perplessità. Questo gap va colmato, altrimenti l’Europa si sviluppa burocraticamente e senza profonda convinzione. Tra i tanti motivi dell’esito irlandese che si possono addurre, uno ci sembra particolarmente significativo. Nei campi sensibili della vita, della bioetica, della famiglia i cittadini sentono che l’Europa talvolta non rispetta l’etica diffusa nei popoli e cerca di imporre dall’alto una antropologia individualistica e una filosofia relativistica. Casi di questo tipo ce ne sono stati tanti. La Corte di Giustizia di Strasburgo ha di recente sanzionato la Francia in quanto, pur permettendo l’adozione da parte dei singles, l’ha negata ad una donna omosessuale. La Corte di Giustizia delle Comunità europee ha dichiarato che il diritto comunitario impone la pensione di reversibilità anche alle coppie semplicemente registrate e che le leggi nazionali non possono discriminare fra queste ultime e quelle regolarmente costituite in matrimonio. Il Consiglio d’Europa ha approvato una nuova Convenzione sul tema delle adozioni, che apre alle coppie omosessuali e ai singoli. L’opinione pubblica non distingue con precisione tra un organismo e l’altro. Per esempio, il Consiglio d’Europa, appena citato, non c’entra nulla con l’Unione europea. Non distingue molto nemmeno tra politica e giurisprudenza. Sente tuttavia, vagamente ma insistentemente, che le istituzioni sovranazionali cercano di intervenire nei settori di competenza delle nazioni e, per di più, su temi molto sensibili. Di questo hanno un po’ paura. Paura non dell’Europa ma dell’ideologia europeista che di fatto non rispetta il principio di sussidiarietà. Lo stesso trattato di Lisbona, valido per molti aspetti, recepisce la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione che contempla anche i “nuovi diritti” e nell’articolo 9 apre alla possibilità di legislazioni che contemplino varie forme di famiglia”. Alla vigilia della consultazione i vescovi irlandesi hanno reso nota una Lettera dal titolo molto pertinente “Nutrire una comunità di valori”. I vescovi non hanno certamente preso posizione. Nella loro Lettera, però, c’erano delle osservazioni che, lette a posteriori dopo il risultato della consultazione, suonavano premonitrici, come il riconoscimento che c’è una crescente difficoltà da parte dei cittadini a identificarsi con il progetto europeo, e soprattutto che l’Europa non è solo una comunità economica ma una civiltà i cui valori sono ancora vivi. I Padri fondatori – affermavano i vescovi – non solo erano cattolici impegnati, ma pensavano che la dottrina sociale della Chiesa potesse contribuire ad una nuova Europa. Tra i valori di questa civiltà il cristianesimo ha un posto privilegiato, esso ha prodotto l’umanesimo europeo. Il preambolo del Trattato di Lisbona – continuavano i vescovi – fa riferimento alla sua “eredità culturale, religiosa ed umanistica”. E’ fonte di rammarico che manchi un esplicito riconoscimento all’eredità cristiana. I vescovi avevano concluso dicendo “L’occasione del referendum deve servire per riflettere sul tipo di Europa che vogliamo per i nostri figli e nipoti”. Dato l’esito, questo invito assume ancora maggiore rilevanza.
Fonte: fonte non disponibile, 17 Giugno 2008
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CALCIO STORICO FIORENTINO: LA TRADIZIONE E IL BEL GIOCO
Non ci sono perdite di tempo, errori arbitrali, accordi tra le squadre... da esso sono derivati il calcio e il rugby moderni (VIDEO: un assaggio del calcio storico)
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie, 18 giugno 2008
Il calcio Storico Fiorentino è una grande rievocazione storica che anima una tradizione locale contribuendo a tenere vivo ed in fermento, anche in clima moderno, il carattere fiero della città, conservando una parte della tradizione di Firenze. Dal 1930, salvo il periodo bellico, si svolgono puntualmente fra le secolari mura cittadine le sfide fra i giocatori (calcianti) dei quattro Quartieri storici di Firenze: i Bianchi di Santo Spirito, gli Azzurri di Santa Croce, i Rossi di Santa Maria Novella e i Verdi di San Giovanni, nell’incomparabile scenario di Piazza Santa Croce. Tre (due eliminatorie e la finale) sono le partite che tuttora si svolgono nel mese di giugno a Firenze con la finale che si svolge in occasione degli annuali festeggiamenti di san Giovanni (24 giugno), patrono di Firenze, nell’incomparabile scenario di Piazza Santa Croce. Qualche anno fa il Comune ha tentato di scardinare la tradizione spostando la finale alla domenica dopo il 24 giugno, ma quest'anno siamo tornati al tradizionale appuntamento con la finale disputata per il Santo Patrono. Un altro tentativo dell'amministrazione comunale di traviamento della realtà per motivi ideologici, è il continuare a ripetere che il calcio storico sia iniziato durante un assedio nel 1530, ai tempi della lotta tra i Medici e la Repubblica, ma ciò è falso in quanto il calcio si giocava da molto prima: praticamente da quando esiste Firenze. Una annotazione interessante è che ben tre Papi hanno giocato da giovani al calcio storico e, una volta eletti Sommi Pontefici, hanno riproposto in San Pietro, alcune partite di questa antica e prestigiosa manifestazione. Nel calcio storico, da cui sono derivati il calcio e il rugby moderni, non esistono: perdite di tempo, errori arbitrali, sostituzioni tattiche o accordi tra le squadre. Il gioco è duro e puro. Niente finte, ma solo bel gioco. Inoltre il calcio storico fiorentino è diventato una disciplina sportiva associata al Coni.
VIDEO: Un assaggio di calcio storico
www.youtube.com/watch?v=kLmOroNIvR8
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Fonte: Redazione di BastaBugie, 18 giugno 2008
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SPOSATI DUE PRETI GAY: CHIESA ANGLICANA SEMPRE PIÙ LONTANA DALLA VERITÀ!
Anglicani sotto choc: nozze in chiesa tra preti
Fonte fonte non disponibile
La Chiesa anglicana è sotto choc. Il mese scorso, in una delle chiese più antiche di Londra, è stato celebrato il matrimonio di due preti omosessuali. Nella chiesa di San Bartolomeo il Grande a Smithfield, il reverendo Martin Dudley ha benedetto, alla presenza di 300 invitati, lo scambio di promesse e di fedi tra il reverendo neozelandese David Lord e il prete inglese Peter Cowell. Nel tentativo di minimizzarne la portata il parroco ha definito la cerimonia «una semplice benedizione» ma è venuto a galla che i due reverendi omosessuali si sono scambiati gli anelli, hanno fatto la comunione, hanno ascoltato le letture evangeliche previste dalla più classica liturgia matrimoniale, hanno cantato gli inni e promesso di vivere assieme «fino a quando la morte non ci separi», sono usciti dalla chiesa mentre risuonavano le note della celeberrima marcia nuziale di Mendelssohn. Su queste «nozze» – non ammesse dalle direttive ufficiali – il vescovo anglicano Chartres, ha aperto adesso un’inchiesta. Il parroco di San Bartolomeo si è detto convinto di aver fatto una cosa «perfettamente ragionevole».
Fonte: fonte non disponibile
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CLUB DI ROMA, IERI LA BOMBA DEMOGRAFICA, OGGI I CAMBIAMENTI CLIMATICI, MA IL NEMICO È SEMPRE LO STESSO: L'UMANITÀ
Un club poco raccomandabile
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: Avvenire, Giugno 2008
A 40 anni dalla fondazione si rilancia alla grande il Club di Roma, che chiama a raccolta tutto il movimento antinatalista mondiale. Con il pretesto dei cambiamenti climatici, in arrivo una nuova offensiva per il controllo delle nascite. Un promemoria per i docenti cattolici chiamati a collaborare.
Due convegni in Italia, la pubblicazione di libri in varie lingue e la mobilitazione dei propri seguaci, anche all'interno del mondo cattolico, per rilanciare politiche di riduzioni delle nascite e dei consumi. Così il Club di Roma, il partito Radicale e la lobby dei malthusiani cercano di tornare alla ribalta. Nel 1968 la grande paura era la crescita della popolazione, oggi la minaccia è il cambiamento climatico. Secondo il Club di Roma i nemici rimangono gli stessi: "l'umanità che cresce e consuma troppo, la Chiesa cattolica che si oppone ai piani di riduzioni della nascite e quella parte del mondo economico che nutre fiducia nel capitale umano e nel capitale sociale". Così si è svolto il 28 e 29 marzo a Torino alla Fondazione CRT (Cassa di Risparmio Torino) il convegno internazionale "Da allarme globale a politica globale" organizzato dal World Political Forum e dal Club di Roma. Al congresso del partito Radicale svolto a Cianciano dal 2 al 4 maggio, grande rilevanza ha avuto la prima commissione che ha discusso ambiente e demografia, che ha riproposto il programma radicale del 1968 e cioè aborto, eutanasia, utilizzo di pillole abortive e riduzione dei consumi. Inoltre il 16 e 17 giugno si terrà a Roma un convegno internazionale per il 100° anniversario della nascita di Aurelio Peccei e sul 40° anniversario della fondazione del Club di Roma. Era il 1968 infatti quando il Club di Roma diretto da Aurelio Peccei raccolse intorno a sé una potente e internazionale lobby maltusiana, con l'intento di convincere l'umanità a sacrificare i propri figli sull'altare della divinità pagana Gaia, la dea Terra. Il tema forte per spaventare la gente fu quello della "Bomba demografica". La nascita dei bambini e delle bambine, soprattutto nei paesi sottosviluppati, fu indicato come una catastrofe peggiore di una esplosione termonucleare. Per decenni Peccei ed i suoi potenti amici hanno suggestionato e convinto la burocrazia delle Nazioni Unite a praticare politiche di riduzione e selezione delle nascite, hanno chiesto la disintegrazione del matrimonio e dei nuclei familiari, hanno sostenuto la diffusione massiccia di legislazioni e tecniche per aborti e sterilizzazioni, hanno promosso campagne per la legalizzazione dell'eutanasia. Il tutto giustificato dalla minaccia che il Pianeta non avrebbe resistito alla crescita della popolazione e ai consumi delle risorse. Grazie all'aiuto del WWF Italia, di cui fu Presidente del Comitato d'Onore, Peccei disegnò scenari catastrofici e diffuse una ideologia nichilista e antiumana. Fu lui a coniare il termine "uomo cancro del pianeta" e per questo venne spesso indicato come "profeta di sventure". Nel suo libro "Cento pagine per l'avvenire" Peccei ha scritto dell'umanità che "Si tratta di una proliferazione esponenziale che non si può definire che cancerosa...." e in un intervista a la Repubblica del 31 dicembre 1980, il fondatore del Club di Roma sentenzia "Gli uomini continuano a vivere sul pianeta come i vermi sulla carogna: divorandola. Sanno che alla fine moriranno, ma continuano a divorarla". Senza pudore, nel report "The First Global Revolution" del 1991 il club di Roma racconta: "Cercando un nuovo nemico contro cui unirci, pensammo che l'inquinamento, la minaccia dell'effetto serra, della scarsità d'acqua, delle carestie potessero bastare... Ma nel definirli i nostri nemici cademmo nella trappola di scambiare i sintomi per il male. Sono tutti pericoli causati dall'intervento umano... Il vero nemico, allora, è l'umanità stessa". Nella conferenza di Roma è previsto l'intervento di Lester Brown, fondatore del Worldwatch Institute e presidente dell'Earth Policy Institute, autore nel 1974 di una sorta di manifesto del Club di Roma, presentato nel libro "I limiti alla popolazione mondiale". Il titolo intero del libro recita "Nell'interesse dell'umanità i Limiti alla Popolazione Mondiale, una strategia per contenere la crescita demografica". Dopo aver descritto tutte le catastrofi che la crescita della popolazione comporterebbe, Brown propone diverse soluzioni per limitare le nascite. Tra queste Brown indica il programma "libretti di risparmio per la pianificazione famigliare" ideato da Ronald Rickter e realizzato nelle piantagioni da tè in India. Un programma crudele in cui le donne non possono utilizzare i fondi accumulati finchè non oltrepassano l'età fertile. Se la donna resta incinta, l'impresa smette di fare i versamenti e ne reclama una parte. Le deduzioni retroattive vengono calcolate in base alle maternità precedenti. Praticamente una grave violazione del diritto alla vita e di tutti i diritti della donne in maternità. Tra i relatori del convegno di Roma c'è anche Gianfranco Bologna, già vicepresidente del World Wide Fund for Nature (WWF Italia) e General Secretary della Fondazione Peccei. Circa la posizione della Chiesa cattolica sulla crescita demografica in un documento dal titolo "Le posizioni del WWF Italia, La popolazione" approvato dal Consiglio Nazionale del WWF Italia del 26 novembre 1991 e pubblicato dal WWF Italia nel Dicembre 1991, Gianfranco Bologna ha scritto: "É necessario fare il possibile per ridurre ovunque il tasso di fertilità totale, cioè la media di figli per donna, in particolare nei paesi poveri. (...) La pianificazione demografica dovrebbe essere inclusa in tutti gli altri settori della pianificazione dello sviluppo, con la presenza di un servizio ad hoc specializzato in queste tematiche, presso i ministeri ed i servizi che si occupano di aiuti allo sviluppo. Tali aiuti dovrebbero essere sistematicamente abbinati a programmi di assistenza denatalista. (...) È indispensabile che le grandi fedi religiose - in particolare quella cattolica e quella islamica, che hanno ampia diffusione nei paesi poveri dove la crescita demografica è particolarmente sostenuta - riconsiderino con urgenza le loro posizioni contrarie all'utilizzo di sistemi di pianificazione familiare". Visto che al convegno commemorativo del Club di Roma, è prevista la presenza anche di esponenti e collaboratori di Università pontificie e della Chiesa cattolica, sarebbe opportuno che si levi qualche voce critica nei confronti di una istituzione che ha già fatto tanto male all'umanità.
Fonte: Avvenire, Giugno 2008
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CLUB DI ROMA, IERI LA BOMBA DEMOGRAFICA, OGGI I CAMBIAMENTI CLIMATICI, MA IL NEMICO È SEMPRE LO STESSO: L'UMANITÀ
Un club poco raccomandabile
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: fonte non disponibile, Giugno 2008
A 40 anni dalla fondazione si rilancia alla grande il Club di Roma, che chiama a raccolta tutto il movimento antinatalista mondiale. Con il pretesto dei cambiamenti climatici, in arrivo una nuova offensiva per il controllo delle nascite. Un promemoria per i docenti cattolici chiamati a collaborare.
Due convegni in Italia, la pubblicazione di libri in varie lingue e la mobilitazione dei propri seguaci, anche all'interno del mondo cattolico, per rilanciare politiche di riduzioni delle nascite e dei consumi. Così il Club di Roma, il partito Radicale e la lobby dei malthusiani cercano di tornare alla ribalta. Nel 1968 la grande paura era la crescita della popolazione, oggi la minaccia è il cambiamento climatico. Secondo il Club di Roma i nemici rimangono gli stessi: "l'umanità che cresce e consuma troppo, la Chiesa cattolica che si oppone ai piani di riduzioni della nascite e quella parte del mondo economico che nutre fiducia nel capitale umano e nel capitale sociale". Così si è svolto il 28 e 29 marzo a Torino alla Fondazione CRT (Cassa di Risparmio Torino) il convegno internazionale "Da allarme globale a politica globale" organizzato dal World Political Forum e dal Club di Roma. Al congresso del partito Radicale svolto a Cianciano dal 2 al 4 maggio, grande rilevanza ha avuto la prima commissione che ha discusso ambiente e demografia, che ha riproposto il programma radicale del 1968 e cioè aborto, eutanasia, utilizzo di pillole abortive e riduzione dei consumi. Inoltre il 16 e 17 giugno si terrà a Roma un convegno internazionale per il 100° anniversario della nascita di Aurelio Peccei e sul 40° anniversario della fondazione del Club di Roma. Era il 1968 infatti quando il Club di Roma diretto da Aurelio Peccei raccolse intorno a sé una potente e internazionale lobby maltusiana, con l'intento di convincere l'umanità a sacrificare i propri figli sull'altare della divinità pagana Gaia, la dea Terra. Il tema forte per spaventare la gente fu quello della "Bomba demografica". La nascita dei bambini e delle bambine, soprattutto nei paesi sottosviluppati, fu indicato come una catastrofe peggiore di una esplosione termonucleare. Per decenni Peccei ed i suoi potenti amici hanno suggestionato e convinto la burocrazia delle Nazioni Unite a praticare politiche di riduzione e selezione delle nascite, hanno chiesto la disintegrazione del matrimonio e dei nuclei familiari, hanno sostenuto la diffusione massiccia di legislazioni e tecniche per aborti e sterilizzazioni, hanno promosso campagne per la legalizzazione dell'eutanasia. Il tutto giustificato dalla minaccia che il Pianeta non avrebbe resistito alla crescita della popolazione e ai consumi delle risorse. Grazie all'aiuto del WWF Italia, di cui fu Presidente del Comitato d'Onore, Peccei disegnò scenari catastrofici e diffuse una ideologia nichilista e antiumana. Fu lui a coniare il termine "uomo cancro del pianeta" e per questo venne spesso indicato come "profeta di sventure". Nel suo libro "Cento pagine per l'avvenire" Peccei ha scritto dell'umanità che "Si tratta di una proliferazione esponenziale che non si può definire che cancerosa...." e in un intervista a la Repubblica del 31 dicembre 1980, il fondatore del Club di Roma sentenzia "Gli uomini continuano a vivere sul pianeta come i vermi sulla carogna: divorandola. Sanno che alla fine moriranno, ma continuano a divorarla". Senza pudore, nel report "The First Global Revolution" del 1991 il club di Roma racconta: "Cercando un nuovo nemico contro cui unirci, pensammo che l'inquinamento, la minaccia dell'effetto serra, della scarsità d'acqua, delle carestie potessero bastare... Ma nel definirli i nostri nemici cademmo nella trappola di scambiare i sintomi per il male. Sono tutti pericoli causati dall'intervento umano... Il vero nemico, allora, è l'umanità stessa". Nella conferenza di Roma è previsto l'intervento di Lester Brown, fondatore del Worldwatch Institute e presidente dell'Earth Policy Institute, autore nel 1974 di una sorta di manifesto del Club di Roma, presentato nel libro "I limiti alla popolazione mondiale". Il titolo intero del libro recita "Nell'interesse dell'umanità i Limiti alla Popolazione Mondiale, una strategia per contenere la crescita demografica". Dopo aver descritto tutte le catastrofi che la crescita della popolazione comporterebbe, Brown propone diverse soluzioni per limitare le nascite. Tra queste Brown indica il programma "libretti di risparmio per la pianificazione famigliare" ideato da Ronald Rickter e realizzato nelle piantagioni da tè in India. Un programma crudele in cui le donne non possono utilizzare i fondi accumulati finchè non oltrepassano l'età fertile. Se la donna resta incinta, l'impresa smette di fare i versamenti e ne reclama una parte. Le deduzioni retroattive vengono calcolate in base alle maternità precedenti. Praticamente una grave violazione del diritto alla vita e di tutti i diritti della donne in maternità. Tra i relatori del convegno di Roma c'è anche Gianfranco Bologna, già vicepresidente del World Wide Fund for Nature (WWF Italia) e General Secretary della Fondazione Peccei. Circa la posizione della Chiesa cattolica sulla crescita demografica in un documento dal titolo "Le posizioni del WWF Italia, La popolazione" approvato dal Consiglio Nazionale del WWF Italia del 26 novembre 1991 e pubblicato dal WWF Italia nel Dicembre 1991, Gianfranco Bologna ha scritto: "É necessario fare il possibile per ridurre ovunque il tasso di fertilità totale, cioè la media di figli per donna, in particolare nei paesi poveri. (...) La pianificazione demografica dovrebbe essere inclusa in tutti gli altri settori della pianificazione dello sviluppo, con la presenza di un servizio ad hoc specializzato in queste tematiche, presso i ministeri ed i servizi che si occupano di aiuti allo sviluppo. Tali aiuti dovrebbero essere sistematicamente abbinati a programmi di assistenza denatalista. (...) È indispensabile che le grandi fedi religiose - in particolare quella cattolica e quella islamica, che hanno ampia diffusione nei paesi poveri dove la crescita demografica è particolarmente sostenuta - riconsiderino con urgenza le loro posizioni contrarie all'utilizzo di sistemi di pianificazione familiare". Visto che al convegno commemorativo del Club di Roma, è prevista la presenza anche di esponenti e collaboratori di Università pontificie e della Chiesa cattolica, sarebbe opportuno che si levi qualche voce critica nei confronti di una istituzione che ha già fatto tanto male all'umanità.
Fonte: fonte non disponibile, Giugno 2008
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OGNI VOLTA CHE IL CENTRO TORNA AL GOVERNO, DIMENTICA CHE LA BATTAGLIA PIÙ IMPORTANTE È QUELLA CULTURALE
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Lasciare il potere intellettuale al gramscismo? Sandro Bondi dichiara a Tempi di non avere alcuna intenzione di far guerra alla egemonia culturale della sinistra. Chiede Amicone, direttore di Tempi: Lei ha già ha speso parole generose per Nanni Moretti e Umberto Eco, per esempio. Oltre all’ecumenismo proverà a promuovere voci, personalità, espressioni culturali radicalmente diverse rispetto all’egemonia di matrice gramsciana che imperversano in questo paese praticamente dall’immediato secondo dopoguerra? Il Ministro risponde: sarebbe assurdo pensare di proporre una nuova egemonia di segno diverso ma sempre finalizzata al potere. Ci risiamo. Ogni volta che il Centro torna al Governo, è preso da raptus di buonismo e libertarismo. Dimenticando che la battaglia più importante, premessa di ogni altra, è quella culturale. A questa battaglia le sinistre dedicano da sempre le migliori energie. Un esempio? Nel 1974 viene introdotto in Italia il divorzio. Sbaglierebbe chi pensasse che la maggioranza degli italiani si sia lasciata convincere dai tre anni di campagna referendaria che lo precedettero. Il voto sul divorzio (o sull’aborto, sulla droga e così via) fu il risultato di un’opera di corruzione della mentalità e dei costumi intrapresa almeno dal secondo dopo guerra. Fu Gramsci ad insegnare che, per ottenere la direzione della vita di un paese occidentale, era indispensabile conquistare l’egemonia culturale. Luigi Amicone, direttore di Tempi, queste cose le sa ed intelligentemente chiede all’On. Bondi, neo-Ministro per i Beni e le Attività culturali: "Lei ha già speso parole generose per Nanni Moretti e Umberto Eco, per esempio. Oltre all’ecumenismo proverà a promuovere voci, personalità, espressioni culturali radicalmente diverse rispetto all’egemonia di matrice gramsciana che imperversano in questo paese praticamente dall’immediato secondo dopoguerra?". La risposta del Ministro è permeata dalle ingenuità del libero mercato: "Piuttosto credo sia giusto riconoscere le grandi intellettualità, come nel caso di Eco, ma vorrei anche che nessuno si scandalizzasse quando vengono chiamati ai livelli più alti intellettuali di centrodestra". Bondi vede "grande intellettualità" dove, invece, c’è solo un raccontar balle utile alla cultura progressista. Ma la risposta di Bondi rivela un virus più grave: il considerare la concorrenza – tra intellettuali di destra e "intellettuali" di sinistra – come una panacea per tutti i mali. Il buon Amicone, non si arrende e, forse non capacitandosi di tanta insipienza, insiste sollevando: "la questione della storia e della storia della cultura insegnata attraverso i libri di testo". Allucinante la risposta del neo-Ministro: "Credo che la questione sia di competenza del ministro dell’Istruzione". Peccato che il Ministero incaricato del "Sostegno Editoria Libraria" sia proprio quello di Bondi. Se non si sostengono le case editrici che pubblicano testi veritieri, quali saranno i libri che verranno adottati nelle scuole? Amicone - lo immagino sgomento - insiste: "Non sarebbe ora di chiudere il rubinetto dei finanziamenti pubblici a questo cinema che di italiano ha solo i vizi e ben poche virtù culturali?". Aggiungo io: e il teatro, la musica, lo spettacolo? Bondi nemmeno capisce la domanda: "Se non ci fosse un sostegno pubblico, non esisterebbe più da tempo cinema di qualità italiano". On. Bondi, pensi almeno alla sua poltrona: quanti voti crede le porterà la libera concorrenza? Un popolo nutrito da sesso libero, droga, sballi vari, per quale ragione dovrebbe preferirla al Partito Democratico? Le parole del neo ministro rivelano tuttavia una malattia ancora più grave. Si tratta del male – letale per l’Occidente – del relativismo. Ogni papà sa che non tutto deve essere lasciato alla libertà di scelta dei piccoli. Un Governo che vuole davvero il bene di un popolo non può ignorare come e da quale cultura si sia affermato il peggiore totalitarismo della storia. Chissà perché, invece, per il Centro-Destra, la libera diffusione di testi come "Il piccolo manuale della guerriglia urbana" (autoprol.org) o il "Manuale dell’azione diretta" (bologna.social-forum.org) è considerata "concorrenza", come se i black block o i neo terroristi dei Centri Sociali spuntassero per magia. La maggiore novità del nuovo Parlamento sta nel fatto che la destra non è più rappresentata, benché alcuni suoi esponenti siano stati eletti qua e la’. Così, come tutti i Governi centristi, anche quello attuale si sta occupando di economia, si sicurezza, di efficienza. Alla cultura ci mettono uno qualsiasi. Ma dire che "La Chiesa è una ricchezza per lo Stato" e poi agire come se verità ed errore avessero gli stessi diritti o producessero gli stessi effetti è roba da Prodi.
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GIACOMINA LA CONTADINA SACRILEGA DI RAVENNA E IL PERDONO DI DIO
Quel pancione gettato come una sfida a Dio.
Autore: Marina Corradi - Fonte: fonte non disponibile, 22 maggio 2008
È storia antica, di un secolo fa quasi, che affiora ancora nelle campagne verso Ravenna, dove la pianura è infinita e il sole a giugno inchioda le cose a terra, senza margine d’ombra. Te la racconta il parroco di un paese, vaga, sfumata come quando una storia comincia a farsi leggenda. Poi la ritrovi precisa, con nomi e cognomi, in un saggio di un anziano sacerdote di Ravenna (don Enzo Tramontani, La settimana rossa nella Romagna del 1914, Longo). Dunque la storia è del tempo delle rivolte anarchiche e socialiste dei braccianti affamati contro i padroni, il re, la Chiesa. Che fosse l’inizio della rivoluzione? Manipoli di uomini con asce e forconi assaltavano le chiese, in quel giugno 1914. A Villanova di Bagnacavallo nel branco c’era una ragazza. Giacomina Tavolazzi, 21 anni, contadina, occhi di incendio sotto a una massa dei capelli neri. La banda piombò come una tempesta in paese, si avventò contro la pieve, le asce brandite a sfondare il portone. Sfasciarono ogni cosa, ciechi di furia. Poi, davanti all’altare, un gran banchetto di roba buona rapinata alle cascine. Sulle vivande Giacomina sparse come sale l’Ostia consacrata, ridendo: «Se è vero che qui dentro c’è il Signore, che me ne dia un segno in questo qui che ho nella pancia». E si battè sguaiata la mano sul ventre. Giacomina era incinta. Poi, ebbra, si accucciò a terra e pisciò sul Sacramento. La rivolta fu soffocata. Stava per scoppiare la guerra. La ragazza del branco sacrilego rimase sola, il ventre che ingrossava. Quella storia, nei paesi, la sapevano tutti. E attorno alla profanatrice nelle campagne un fumo acre di paura, mentre le vecchie al suo passaggio mormoravano sinistre profezie su quel figlio gettato come una sfida contro Dio. Certamente, dicevano, sarebbe nato con addosso il segno della maledizione. Nacque a marzo. Sua madre partorì all’ospedale di Ravenna, forse per fuggire agli occhi del paese. Sola, prese il suo fagotto e tornò a casa. Le rimase però in mente la suora che nel parto aveva avuto accanto. L’aveva accudita come una madre – e non le aveva fatto nemmeno una domanda. Scolastica, si chiamava la suora, e Scolastico fu chiamato il neonato. Crebbe con gli occhi curiosi e forse sprezzanti della gente addosso. Ma gli uomini hanno liberi destini. A 11 anni il ragazzo entrò in seminario. A poco più di venti fu prete, un prete molto amato in quelle campagne. La profanatrice morì in canonica, accanto al figlio della sfida. Sorride ancora laggiù chi ricorda questa storia: vedete che scherzi fa Dio? Ma non fu vendetta, né beffa. Semplicemente, testimonia chi ha visto, Dio mostrò in quella donna il suo perdono. Che non è un dire: pazienza. Ma è trarre da un male un bene più grande. «Fatti vedere in questo che ho nella pancia», rise la fanciulla ubriaca. Dio la prese sul serio. Perdonando, e facendo nuova ogni cosa.
Fonte: fonte non disponibile, 22 maggio 2008
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ANTONIO SOCCI RISPONDE A VASCO ROSSI: LA VITA SPERICOLATA NON È LA TUA, MA QUELLA DEI PRETI E DELLE SUORE
Caro Vasco, sono i preti e le suore a fare davvero una vita spericolata…
Autore: Antonio Socci - Fonte: fonte non disponibile, 7 giugno 2008
E’ proprio vero che Dio rende nota la potenza della sua salvezza attraverso la letizia di certi volti… Vasco Rossi ha preso cappello per il mio corsivo di martedì scorso. E ieri ha scritto una risentita replica sulla Stampa. Pensavo che, presentandosi come trasgressivo, irriverente e anarchico, avesse un po’ di senso dell’umorismo e di autoironia. Invece si prende maledettamente sul serio. Mi spiace. Saper sorridere anche di sé rende più simpatici. Quello che è andato di traverso a Vasco è la mia battuta sulla citazione di Spinoza con cui ha iniziato il suo grande concerto. Ci tiene a far sapere precisamente il titolo dell’opera da cui è tratta e – piacendogli la vita esagerata - aggiunge addirittura un’altra frase del vecchio Baruch. Cosa che probabilmente fa di Vasco il maggior esperto vivente del filosofo seicentesco. Nulla in contrario: è un luminare. Resta la mia perplessità sul fatto che il malinconico Spinoza possa essere considerato il simbolo della “gioia”. Avesse evocato Mozart o Francesco d’Assisi avrei capito. Ma Spinoza francamente no. E Vasco? Dice: “Noi musicanti con la nostra musica portiamo un po’ di gioia”. La levità delle sue canzoni, l’allegra gioia di vivere che le connota in effetti è proverbiale. Si può rappresentare con alcuni titoli emblematici: “Fegato, fegato spappolato”, “Sono ancora in coma”, “Ti taglio la gola”, “Valium”. “Siamo soli”, “Mi si escludeva”, “Io perderò”. Ora – parlando seriamente – le canzonette di Vasco in genere piacciono (anche a me) precisamente per la loro tristezza (anche se a volte è una disperazione compiaciuta e un maledettismo recitato). E’ poesia saper cantare lo spleen e quanto è triste Bologna. Non che Vasco sia Baudelaire o Rimbaud, ma talora sa esprimere con accenti veri e giri armonici piacevoli il male di vivere e lo smarrimento della vita quotidiana. Questo è il suo talento: la disperazione, non certo la “gioia”. Tanto è vero che ci ha costruito una carriera piena di soddisfazioni. Discutibile è – a mio parere – la sua invettiva contro il Potere. Non se ne può più di questi cantanti (attempati e) benestanti che si atteggiano a guru della “rivolta” e della protesta, proponendosi come maestri di vita e comizianti. Una volta Vasco realisticamente disse: “io non sono un predicatore. Se parli finisce che fai una predica, io non sono mica Celentano. Per carità”. Avrebbe fatto bene a restare di questa idea ed esprimersi con le canzoni (che sa far bene). Ma il successo, si sa, porta a esagerare. E allora uno s’impanca a predicatore, pontifica sulle sorti del mondo, sulla politica, sul Potere. Si vorrebbe sapere di quale Potere parla. A me i suoi sembrano messaggi molto conformisti, che fanno parte della mentalità dominante la quale, appunto, è il Potere. Non a caso una star come lui è idolatrata da migliaia di persone paganti e osannanti. E’ ripreso in prima serata dalla televisione ed esaltato sui giornali. Mi pare che un milionario quasi sessantenne, sebbene abbigliato da ventenne scapigliato, resti pur sempre un borghese che sta in questa società e nel redditizio mondo della musica (la grande multinazionale dell’immateriale) come un topo nel formaggio. Dunque fa parte del sistema e anche – volente o nolente - della tristezza della mentalità dominante. La lettera di Vasco alla Stampa di ieri lancia un’altra frecciata polemica contro di me. Sempre appoggiandosi a Spinoza aggiunge che c’è “un legame profondo fra il despota e il prete, poiché entrambi hanno bisogno che le persone assoggettate siano tristi”. E io sarei di questa bella congrega. Ora, anche se Vasco ha studiato dai preti e io no, ritengo di conoscere molto meglio di lui l’inquisizione clericale (essendo stato “vittima” perfino del tribunale ecclesiastico) e la detesto. Così come conosco sulla mia pelle e detesto l’inquisizione anticlericale. Ciò che trovo intollerabile – da quel pulpito - sono certe espressioni sprezzanti sui “preti”. Un prete oggi è un povero (vive con 700 euro al mese), lo aspetta una vecchiaia povera e da solo. Eppure è uno che ha scelto questo tipo di esistenza, ha scelto di donare tutto se stesso e tutta la sua vita agli altri per Cristo. Conosco ragazzi di 20 anni, belli, intelligenti e vigorosi, che avrebbero avuto davanti a sé un futuro di successo e soddisfazioni mondane e che invece hanno deciso di entrare in seminario (a volte per farsi missionari), facendo questo “folle” dono di sé, per sempre, a un mondo che li disprezza, li dileggia e spesso li odia (salvo ricorrere a loro nei momenti di disperazione). La loro sì che è una “vita spericolata”. Loro sì che disobbediscono al Potere e ai ferrei comandamenti dell’apparire, del dominare e del possedere, del vendere e del comprare, i quali rappresentano – come scriveva Pasolini – il vero dispotismo di oggi. Eppure, la cosa stupefacente per me è vedere quanto spesso loro sono lieti. E’ incredibile come possa rendere felici questo rinunciare a tutto per donarsi a Cristo. Conosco tante ragazze ventenni e trentenni che hanno scelto la vita da suore, da sorelle di tutti, e sono ancora più povere dei preti, ancora più senza potere e hanno nel volto una luce certamente sconosciuta a noi “uomini di successo” e di potere. La gioia vera abita lì ed è ignota ai sudditi della religione del consumo, dell’apparire e del dominio. Che scambiano per gioia l’eccitazione illusoria, congestionata e fasulla dei concerti rock. Di questa religione mondana, diffusa a livello planetario, le star, i cantanti sono i sacerdoti. Talvolta gli idoli. Anche il cantante bolognese lo è. Non a caso c’è un libro dedicato a lui che si intitola “dio Vasco”. Sono i guru, i sacerdoti e i profeti dei nuovi dogmi. Ormai i veri “preti” di oggi sono loro. Calano dall’alto dei loro palchi il loro Verbo e folle in delirio lo bevono acriticamente. E guai a ironizzare sulle loro prediche noiose e su certe ipocrite sparate contro il sistema. Oltretutto quando li fai parlare, spesso devi constatare una povertà, anche argomentativa, scoraggiante. Mentre i preti almeno conoscono la razionalità aristotelica. Vasco mi definisce un “integralista religioso”. Ecco, di quella religione mondana che celebra i suoi riti in quei chiassosi concerti e dei suoi idoli, osannati sui media, mi dichiaro ateo. La ritengo il vero “oppio dei popoli”, che stordisce e fa dimenticare la vita vera. Il buon Vasco mi gratifica anche di altre qualifiche: fazioso e arrogante. C’è sempre qualcosa di vero nelle critiche e farò tesoro anche delle sue parole, cercando di imparare mitezza e comprensione. Vorrei solo invitare, un giorno, con me il mio fratello Vasco a conoscere qualcuno di quelli che chiama “i preti”. Preti veri. O certe mie sorelle di qualche convento di clausura. Vorrei che vedesse i loro occhi. Potrebbe scoprire dove sta di casa la gioia. Sorprendendosi, come capita continuamente a me.
Fonte: fonte non disponibile, 7 giugno 2008
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INDIMENTICABILE GUARESCHI: NEL SEGRETO DELLA CABINA ELETTORALE DIO TI VEDE, STALIN NO!
Guareschi: e succede un ’48.
Autore: Marco Ferrazzoli - Fonte: fonte non disponibile, Aprile 2008
La storia di questo secolo la si può fare senza chiunque altro ma non senza Guareschi». Indro Montanelli amava le iperboli ed era molto amico di Guareschi: dunque si potrebbe sospettare che la frase sia una sparata del tipico toscanaccio, tesa a esaltare oltre misura un contributo magari significativo ma non così determinante. Per una volta, invece, Montanelli si è attenuto alla reale dimensione storica dei fatti. «C’è un Guareschi politico cui si deve la salvezza dell’Italia. Se avessero vinto gli altri non so dove saremmo andati a finire, anzi lo so benissimo», dice ancora “Cilindro”. Il riferimento è ad un preciso episodio, per quanto si possa definire con questo termine riduttivo un avvenimento epocale per l’Italia quale le elezioni del 1948. Il sillogismo montanelliano è inconfutabile: se in quella consultazione avesse vinto il Fronte popolare, anziché la Democrazia Cristiana, l’Italia sarebbe entrata nell’orbita del Patto di Varsavia, dell’Europa orientale, del comunismo sovietico. Dire che la storia italiana sarebbe stato diversa è una semplice constatazione. E dire che Guareschi fu uno dei principali protagonisti della campagna elettorale grazie a cui la DC batté i social-comunisti è un altro, inoppugnabile dato di fatto. Nelle elezioni del ‘48, lo scrittore fu anzi tra gli artefici principali della vittoria della DC, insieme all’Azione Cattolica e ai Comitati Civici di Luigi Gedda, braccio ‘militante’ di AC, che vi arruolarono ben trecentomila fedeli, con un impegno politico forse mai più animato da parte cattolica moderata. PROTAGONISTA DELLA SALVEZZA D’ITALIA DAL COMUNISMO In quel frangente, l’Italia rischiava non un semplice cambio di governo bensì una rivoluzione vera e propria, seppure mediata dal consenso delle urne. Si tratta, in senso nemmeno troppo metaforico, di non far avvicinare i cosacchi alle fontane di San Pietro: Stalin è alle porte e le sue “divisioni” sono già dentro. Ecco perché in quelle cruciali consultazioni Candido diventa l’organo satirico ufficiale di parte democratica, come Don Basilio lo è dei frontisti. Dal Candido, ma anche a prescindere dal suo giornale, Guareschi si butta nella mischia elettorale del ‘48 rivelandosi il primo e più efficace “creativo” pubblicitario che la politica italiana del dopoguerra abbia mai avuto. I successivi spot interpretati da attori, intellettuali e giornalisti non sortiranno un effetto nemmeno paragonabile a quello suscitato dai suoi articoli e disegni, nei quali egli impiega anche l’esperienza fatta come cartellonista durante la sua variegata gavetta (con l’unica differenza, rispetto ad allora, che stavolta presta la sua opera gratuitamente). In particolare – è questo il colpo di genio guareschiano – due manifesti divennero le icone-simbolo della propaganda anti-comunista. In uno, un elettore viene avvertito dalla scritta: “Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no”. Nell’altro, lo scheletro di uno dei “100.000 prigionieri italiani non tornati” dalla Russia implora: “Mamma, votagli contro anche per me!”. L’efficacia di quelle immagini fu tanto chiara agli avversari che essi non si limitarono a strapparli dai muri, ma cercarono di impedirne la stampa e la diffusione e – inutilmente – di controbatterli plagiandoli. I due direttori del Candido (all’epoca al timone c’è anche Giovanni Mosca) furono ripetutamente minacciati dagli avversari e ricevettero dal beato Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, l’offerta di rifugiarsi in arcivescovado. UNA VITA AL SERVIZIO DELLA LIBERTÀ Per Guareschi, come cerco di raccontare nel mio saggio L’eretico della risata (Costantino Marco, 2001), quelle elezioni non sono un episodio, ma la tappa di un percorso di impegno politico-culturale preciso. Nel 1946 era intervenuto a favore della monarchia nel referendum istituzionale. Nel 1953 sostenne ancora i monarchici, che ottennero un buon successo elettorale. E sin dall’immediato dopoguerra si affermò come uno dei più feroci fustigatori del partitismo, oltre che come il massimo polemista anti-comunista, venendo condannato per vilipendio del Presidente della Repubblica e finendo in galera per aver attribuito ad Alcide de Gasperi una lettera ritenuta falsa, a seguito di un processo dalla conduzione molto dubbia. Resta da dire che Guareschi era già stato un umorista molto critico contro il regime fascista sul Bertoldo e una figura di spicco della “resistenza bianca” nei lager nazisti. Per non parlare di Mondo piccolo, la sua opera più universalmente nota, la saga di Peppone e don Camillo, letta e amata da milioni di persone, in Italia e nel mondo. AMMIRATISSIMO ALL’ESTERO A testimoniare l’importanza di Guareschi come protagonista del Novecento non è solo Montanelli. L’ambasciatore americano Cabot Lodge, nel ’48, venne inviato a chiedere consiglio a Guareschi direttamente dal Presidente Harry Truman, la cui stima verso lo scrittore fu apertamente condivisa anche dal successore Ike Eisenhower, che se ne faceva inviare con urgenza il settimanale per aggiornarsi sulla situazione italiana. E dopo la vittoria elettorale di quell’anno, in Germania uscì il titolo: “Un solo uomo ha messo con le spalle al muro il comunismo: Guareschi”. I giornali francesi e inglesi dedicarono articoli e articoli al “caso” guareschiano. Life riconobbe il fondamentale contributo dell’“anti-comunist funnyman”, definito come «il più abile ed efficace propagandista anticomunista in Europa». Mentre «colui che più e meglio di ogni altro ha fatto sventolare la bandiera della libertà e della dignità nazionale in Italia» è la definizione che di Guareschi diede un altro ambasciatore americano, Clare Luce, peraltro accolta da Candido al suo arrivo con una corrosiva vignetta, in cui la bandiera a stelle e strisce era effigiata in foggia di lingerie femminile e la didascalia commentava: “Non ci prendono sul serio”. Dando prova di un notevole sense of humour, l’ambasciatrice diventò una collezionista delle vignette guareschiane e meditò di ridurre i racconti del Mondo piccolo per i palcoscenici di Broadway. L’affinità politica era in realtà molto stretta tra Guareschi e la Luce, alla quale Indro Montanelli si rivolse per chiedere appoggio a una forza para-militare anti-comunista, da approntare se il PCI avesse instaurato una dittatura. IL CANDIDO… PIÙ CHE UN SEMPLICE GIORNALE… Il contributo alla “salvezza dell’Italia” dato dallo scrittore fu da un lato frutto dell’eterogenesi dei fini, dall’altro la tappa di un percorso molto deciso. Non ci troviamo, insomma, di fronte a un episodio fortuito come quello di Gino Bartali, la cui vittoria sulla vetta dell’Izoard al Tour de France dopo l’attentato a Palmiro Togliatti ha in qualche modo evitato – secondo molti, fors’anche secondo un’iconografia un po’ romantica – il rischio di una rivolta armata. «Ci salvarono le zie, Don Camillo e Bartali» è il divertente titolo di un articolo di Ideazione sulle elezioni del ’48. Il testimone e il frutto principale di quest’impegno è, come accennato, il Candido. A sentirla oggi, in un’epoca in cui è più facile imbattersi in editori “impuri” o improvvisati che in talent scout, quella del settimanale guareschiano sembra una storia inventata. Andrea Rizzoli, il più importante editore di giornali d’Italia, aveva mandato personalmente il figlio, nel luglio del 1936, perché arruolasse il sottotenente Guareschi, allora disoccupato e poco conosciuto, in una sua testata di imminente pubblicazione: il Bertoldo. In quella palestra diretta da Metz e Mosca lavorava il gotha dell’umorismo italiano e non: tra gli altri Manzoni, Mondaini, Marcello Marchesi, Walter Molino e Saul Steinberg, poi esiliato per le leggi razziali. Con l’assunzione al Bertoldo comincia il rapporto tra Guareschi, i Rizzoli e la Rizzoli, da allora e per sempre la sua casa editrice. L’aneddoto appena citato si ripete quasi identico al ritorno dal lager, dove Guareschi ha subito una deportazione durissima e lasciato diversi commilitoni e 40 chili di peso, quando l’editore va a cercare il suo pupillo “per parlare del nostro giornale”: Candido. In realtà, Candido sarà soprattutto il giornale guareschiano: l’anima di Candido è lui, tant’è che il condirettore Mosca dopo qualche tempo e qualche dissidio lo lascerà. La compagine giornalistica e artistica, comunque, non è da meno della precedente. Tra vecchi collaboratori bertoldiani e nomi nuovi, si contano tra i tantissimi (e facendo un grave torto agli esclusi) Manzoni, Mondaini, Metz, Marchesi, Molino, Pietrino Bianchi, Oreste Del Buono, Nino Nutrizio, Giorgio Pillon, Giorgio Torelli, Enrico Mattei, Leo Longanesi, Indro Montanelli, Giorgio De Chirico, Giorgio Pisanò, Piero Buscaroli, Castellano e Pipolo, Franco Cangini, Carlo Delcroix, Lucio Lami, Cesare Marchi, Achille Campanile, Nando Martellini, Jader Jacobelli, Domenico Fisichella, Natalia Aspesi e Oriana Fallaci (sotto pseudonimo). Mentre alcuni collaboratori restano legati al vecchio umorismo, ormai inadeguato all’Italia post-bellica, oppure, se animati da nuove idee, finiranno per portarle su altri giornali, Guareschi farà del Candido la punta più acuminata della satira e della polemica politica nazionale. Basti un solo esempio, in apparenza secondario: è lui il Forbiciastro che firma quel “Giro d’Italia”, avviato sempre al motto “qui in Italia va tutto bene”, con il quale si conduce il lettore tra le magagne italiane tramite le citazioni di altre testate. Nasce così un genere – la rassegna stampa commentata – che successivamente in moltissimi avrebbero utilizzato. MA I TEMPI CAMBIANO… Per evitare nostalgie agiografiche, va anche raccontato come Candido morì. Dal 1957 Guareschi continuava a esserne il motore ma aveva lasciato ad Alessandro Minardi la direzione responsabile. Nel 1961 però Guareschi rassegna le dimissioni, a seguito di una lite con la regia e con la Cineriz, la produzione dei suoi film, e Angelo Rizzoli ne approfitta per chiudere il giornale e così grattar via una rogna politico-editoriale per lui ormai insopportabile. Siamo a quell’“apertura a sinistra” della casa editrice che Gianna Preda stigmatizzerà in una celebre “Lettera aperta” uscita sul Borghese, il giornale che in parte erediterà la funzione politica del Candido e che infatti qualche tempo dopo accoglierà Guareschi, ma in un rapporto di collaborazione molto più distaccato.
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