BastaBugie n�15 del 08 febbraio 2008

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1 INGHILTERRA: ABOLITE LE PAROLE MAMMA E PAPÀ
L’ossessione dell’omofobia
Autore: Michele Brambilla - Fonte:
2 È MORTO PADRE MARCIAL MACIEL, FONDATORE DEI LEGIONARI DI CRISTO
In memoriam: Padre Marcial Maciel Degollado, L.C. (1920-2008)
Autore: Massimo Introvigne - Fonte:
3 PERCHÉ IL PROBLEMA DEL MEDIO ORIENTE NON È ISRAELE

Autore: Fausto Carioti - Fonte:
4 LA LEGGE SULL'ABORTO PERMETTE SCELTE EUGENETICHE
Nuovi miti e leggende sulla 194: “Non è una legge eugenetica”. Ovvero: fin dove si può arrivare quando si comincia a difendere una legge ingiusta.
Autore: Mario Palmaro - Fonte:
5 IL PAPA DICE CHE LA FECONDAZIONE ARTIFICIALE È CONTRO LA DIGNITÀ UMANA
Ci vuole una moratoria anche sulla fecondazione artificiale.
Autore: Mario Palmaro - Fonte:
6 LA CHIESA CATTOLICA È L'UNICA VERA CHIESA DI CRISTO. LA FECONDAZIONE ARTIFICIALE È SEMPRE CONTRARIA ALLA DIGNITÀ UMANA
Discorso di sua santità benedetto XVI ai partecipanti alla sessione plenaria della congregazione per la dottrina della fede.
Autore: Benedetto XVI - Fonte:
7 PERCHÉ È CADUTO PRODI: IL FALLIMENTO DEL DOSSETTISMO

Autore: Rocco Buttiglione - Fonte:
8 MESSAGGIO PER LA QUARESIMA 2008

Autore: Benedetto XVI - Fonte:

1 - INGHILTERRA: ABOLITE LE PAROLE MAMMA E PAPÀ
L’ossessione dell’omofobia
Autore: Michele Brambilla - Fonte:

Gilbert Keith Chesterton diceva che «il guaio dell’uomo moderno non è quello di avere perso la fede, ma quello di avere perso la ragione». Basterebbe questa battuta per liquidare l’idiozia di un altro molto meno illustre cittadino inglese, il ministro per la scuola e per l’infanzia Ed Balls (nomen omen) che ha deciso di vietare ai bambini delle elementari l’utilizzo dei termini «mamma» e «papà», i quali sarebbero gravemente offensivi nei confronti degli omosessuali.
Poiché in teoria - ma solo in teoria - dovrebbe esserci un limite all’imbecillità umana, il lettore può pensare che abbiamo capito male, e che le cose non stanno proprio così. E invece stanno proprio così, anzi un po’ peggio. Cito testualmente dall’agenzia: «L’espressione “mamma e papà” lede infatti i diritti dei genitori omosessuali e favorisce le tendenze omofobiche, diffondendo l’idea che esista solo una famiglia tradizionale». Fantastico. Secondo questo ministro - che è riuscito nella titanica impresa di farci rivalutare i nostri, di ministri - quella che i bambini nascano da una mamma e da un papà sarebbe «un’idea», e non un dato di fatto. Viceversa, Balls parla di «genitori omosessuali» come se, quelli sì, fossero un dato di fatto. Ora, il sottoscritto sarà anche un becero reazionario, ma se l’etimologia ha ancora un senso «genitore» vuol dire «colui che genera, che procrea, che dà la vita». Tutte cose che una coppia omosessuale non può né potrà mai fare, e non perché glielo impedisca qualche pretacchione: è la natura a frapporre qualche non marginale impedimento.
È dunque la realtà, e non una chiesa o un partito politico, a mostrarci che dire «mamma» e «papà» non è un’offesa per nessuno, ma la cosa più naturale del mondo. Balls segue però, evidentemente, il metodo hegeliano secondo il quale «se la realtà non coincide con la teoria, tanto peggio per la realtà».
Non è solo un problema di un qualsiasi Balls. Questa mentalità si sta sempre più diffondendo, anzi è l’unica accettata e riverita in quel patetico mondo del politically correct che ammorba parlamenti e redazioni dei giornali. Badate bene: la tutela degli omosessuali non c’entra nulla. Provvedimenti come quello del ministro inglese, o come tante altre norme cosiddette anti-omofobia, non vietano solo le offese ai gay (il che è sacrosanto): vietano anche che si possa dire «mamma» e «papà», vietano perfino - è scritto nel demenziale diktat inglese - che a scuola si possa parlare di «maschi» e di «femmine». Con il pretesto di tutelare alcuni, si nega il diritto di esistere a molti altri, direi a quasi tutti. Soprattutto, si nega il diritto di guardare in faccia alla realtà.
Qualche tempo fa su Rai Tre, al programma Gaia il pianeta che vive, un geologo ha mostrato un amplesso omosessuale dipinto in una tomba etrusca per documentare come simili pratiche fossero del tutto normali nelle civiltà antiche, prima che arrivassero quegli omofobi dei cristiani; si è però guardato bene, il geologo, di aggiungere che a fianco di quel dipinto - che è nella tomba detta «dei Tori» a Tarquinia - ce n’è uno di accoppiamento eterosessuale, e il toro, simbolo del dio della fertilità, è raffigurato mentre si compiace del rapporto uomo-donna ma carica furiosamente quello omosex. Nelle civiltà antiche l’omosessualità era a volte anche serenamente accettata, ma mai nessuno si è sognato di equiparare per legge la famiglia eterosessuale a quella omosessuale; né tantomeno ha mai vietato di parlare di differenze tra i sessi, o impedito di pronunciare i nomi di «mamma» e «papà».
Certe idiozie fanno proseliti, dicevo, e infatti ieri sera, sul sito del Corriere della Sera, nel sondaggio lanciato sul caso-Balls si registrava un 15 per cento di «sì» all’incredibile cancellazione dei termini «mamma» e «papà». Lo stesso sito del Corriere, giustamente, nel titolo parlava di «ossessione omofobia». Esatto: ormai è un’ossessione. Della quale anche gli omosessuali finiranno per fare le spese. È con le esagerazioni, con gli estremismi, con gli oltraggi alla ragione e al buon senso che si finisce poi con il provocare reazioni di segno opposto, con il favorire il ritorno di quelle discriminazioni che ormai da tempo erano del tutto, o quasi del tutto, giustamente scomparse.


2 - È MORTO PADRE MARCIAL MACIEL, FONDATORE DEI LEGIONARI DI CRISTO
In memoriam: Padre Marcial Maciel Degollado, L.C. (1920-2008)
Autore: Massimo Introvigne - Fonte:

Padre Marcial Maciel Degollado, L.C., fondatore dell’ordine religioso cattolico dei Legionari di Cristo, è morto il 30 gennaio 2008. Nato a Cotija de la Paz nello Stato messicano di Michoacán il 10 marzo 1920, è ordinato sacerdote nel 1944, quando già da tre anni – nel 1941 – ha fondato i Legionari di Cristo. L’ordine religioso fondato da padre Maciel e l’associazione di laici che ha ispirato, Regnum Christi, nati nella difficile situazione di un Messico ufficialmente anticlericale, hanno avuto un successo mondiale che non è esagerato definire fenomenale. Oggi i Legionari di Cristo contano settecento sacerdoti e 2.500 seminaristi in venti Paesi del mondo. Ma non è in queste cifre che va cercata la dimensione reale dell’importanza culturale, spirituale e missionaria della Legione, che va molto al di là del numero dei suoi membri. Il mondo intero, grazie all’opera di padre Maciel e dei Legionari, è percorso da una rete di scuole e università (fra cui il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum di Roma e la collegata Università Europea di Roma, legalmente riconosciuta dallo Stato Italiano), centri culturali, giornali e riviste scientifiche e popolari, attività missionarie e caritative fra cui vanno ricordate quelle “di frontiera” nello Stato messicano dello Yucatán e in Campania tramite il Villaggio del Fanciullo di Maddaloni (Caserta).
La rigorosa fedeltà dei Legionari di Cristo al magistero pontificio è da molti considerata la causa profonda delle campagne mediatiche che a più riprese attaccano padre Maciel. Già nel 1956 è accusato di vari abusi e temporaneamente sospeso dalle sue funzioni di superiore dell’ordine; ma nel 1959 è dichiarato innocente e può non solo riprendere le sue funzioni, ma espandere le sue attività fino a diventare uno stimato consigliere di Papa Giovanni Paolo II (1920-2005) e una figura tra le più rispettate nei circoli vaticani e nella vita culturale di Roma come del mondo cattolico in genere.
Negli anni 1970 – mentre la Legione continua a crescere – contro padre Maciel si scatena un attacco ancora più violento. Il fondatore dei Legionari è accusato di abusi sessuali che risalirebbero in gran parte agli anni 1950. In concomitanza con gli scandali americani sui preti pedofili, una mezza dozzina di ex-religiosi “ricordano” abusi che padre Maciel avrebbe commesso venti o trent’anni prima. Altri rispondono affermando di avere ricevuto offerte di denaro perché confermassero calunnie inventate. Gli accusatori, che pure frequentano un ambiente dove si muovono legioni di avvocati pronti a chiedere miliardi alla Chiesa in ogni caso di abusi, evitano accuratamente di rivolgersi ai tribunali secolari. Per loro stessa ammissione sarebbero, come si dice negli Stati Uniti, “buttati fuori dai tribunali”, che non sono abituati a prendere sul serio ricordi a orologeria scattati decenni dopo i fatti.
Ma quello che non reggerebbe in un tribunale può continuare ad alimentare furibonde campagne giornalistiche e a causare turbamento presso i fedeli. La Congregazione per la Dottrina della Fede ha dunque ritenuto di intervenire nel 2005. Considerata l’età di padre Maciel, le regole canoniche sulla prescrizione e la difficoltà anche per i tribunali ecclesiastici di ricostruire vicende vecchie di mezzo secolo, la Congregazione – evitando, ed è fondamentale sottolinearlo, ogni pronuncia esplicita sui fatti – ha “invitato” padre Maciel “ad una vita riservata di preghiera e di penitenza, rinunciando ad ogni ministero pubblico”, nello stesso tempo riconoscendo “con gratitudine il benemerito apostolato dei Legionari di Cristo”.
La Chiesa ha le sue vie che non sono quelle dei tribunali degli uomini. In questi ultimi le accuse non avrebbero mai potuto reggere. Per la Chiesa, anche l’ombra di un dubbio su un religioso che ha avuto un ruolo importante e ha ispirato milioni di persone, come certamente continuerà a fare dopo la sua morte, non poteva essere tollerata. Lo stesso Padre Pio (1887-1968), poi canonizzato, passò i suoi guai non appena furono sollevati dubbi su certe sue transazioni finanziarie. Senza che ci fosse alcuna condanna esplicita, la dichiarazione della Congregazione del 2005 sceglieva la via della prudenza. Il Signore giudicherà con i suoi tempi; la Chiesa – pur senza pronunciarsi sui fatti – non può permettersi di essere garantista.
Detto questo, non si può – come sta avvenendo su media superficiali in occasione della morte di padre Maciel –  presentare il provvedimento cautelativo della Santa Sede per quello che non è. Non si tratta di un imprimatur sui diversi libri sensazionalistici che sono partiti da padre Maciel per attaccare i Legionari di Cristo, e l’’immenso bene che fanno nell’apologetica, nella spiritualità, nell’educazione, del “benemerito apostolato” che il documento vaticano esplicitamente richiama, accusandoli di essere “conservatori” o “di destra”. Anche sulla figura di padre Maciel, il documento vaticano non implica affatto che quanto quei libri sostengono sia vero. Gli accusatori dei Legionari di Cristo hanno scritto che per evitare rischi di abusi sessuali la Chiesa dovrebbe aprire le sue porte al relativismo dominante, alle donne sacerdote, ai preti sposati, agli omosessuali, all’aborto. Il misterioso rigore della Chiesa – che nel dubbio non condanna, ma allontana dalla scena pubblica, anche i suoi figli più cari e fedeli – e il magistero di Benedetto XVI vanno, ovviamente, in direzione esattamente opposta. Il senso dei fedeli comuni, che raramente sbaglia, lo percepisce. I Legionari di Cristo e altri gruppi attaccati da chi ha orchestrato la campagna contro padre Maciel prosperano, e i fedeli non cessano di riconoscere tutto il bene che è scaturito dall’opera del fondatore della Legione in campo spirituale, educativo e culturale, mentre è piuttosto il progressismo relativista a vegetare stancamente.


3 - PERCHÉ IL PROBLEMA DEL MEDIO ORIENTE NON È ISRAELE

Autore: Fausto Carioti - Fonte:

E' il ritornello che intonano tutti, a destra come a sinistra: per vedere la pace in Medio Oriente basta risolvere la questione israelo-palestinese, il resto si metterà a posto da sé. Come molti ritornelli del genere, anche questo è pericoloso e falso. Pericoloso, perché tende a generare in tutti, anche nei pochi amici su cui può contare Israele, la convinzione che lo Stato ebraico rappresenti comunque l'unico ostacolo alla pacificazione dell'area e allo sviluppo dei Paesi arabi, e dunque un fastidio. Falso, perché il problema vero del Medio Oriente - e non solo del Medio Oriente, purtroppo - è l'islam e la facilità con cui il Corano si presta alle interpretazioni più violente e misogine.

David Harris, direttore dell'American Jewish Committee, lo spiega in termini molto chiari in un articolo sul Jerusalem Post.
Immaginiamo per un attimo che Israele non esista. (...) Iraq e Iran avrebbero forse scelto di non combattere una guerra di otto anni che è costata oltre un milione di morti? L'Iraq avrebbe forse deciso di non invadere il Kuwait nel 1990? Si sarebbe astenuto dall'usare le armi chimiche contro la sua stessa popolazione curda e l'Iran?

La Siria si sarebbe astenuta dal massacrare oltre 10.000 dei suoi stessi cittadini ad Hama, nel 1982? Avrebbe tolto la sua presa sul Libano, come chiesto da numerose risoluzioni del Consiglio di Sicurezza?

L'Arabia Saudita avrebbe smesso di esportare in tutto il mondo il suo modello wahabita di islam, con la sua visione ristretta e dottrinaria del mondo e l'emarginazione dei non musulmani e dei cosiddetti infedeli? Al Quaeda si sarebbe trattenuta dall'attaccare gli Stati Uniti nel 2001, quando - ricordiamolo - la questione israelo-palestinese non era ancora stata mai menzionata tra le principali rivendicazioni di Osama Bin Laden?

La minaccia rappresentata dalla Fratellanza Musulmana in Egitto e Giordania scomparirebbe forse magicamente, se fosse assente il "fattore Israele"? L'Iran abbandonerebbe le sue ambizioni egemoniche sulla regione? La divisione tra sciiti e sunniti, con le sue profonde ramificazioni politiche e strategiche, si dissolverebbe nell'aria? Il governo sudanese metterebbe fine alla sua collusione con le milizie arabe Janjaweed per terminare le stragi e l'occupazione del Darfur?

Il livello di disperata povertà e l'analfabetismo diffuso che stroncano la speranza e creano un fertile terreno di reclutamento per i movimenti estremistici islamici verrebbero immediatamente alleviati? Le donne saudite conquisterebbero subito il diritto di guidare, i non islamici otterrebbero finalmente uguali diritti in tutti quei Paesi arabi in cui l'islam è la religione ufficiale, i seguaci della religione Baha'i smetterebbero di essere perseguitati dal governo iraniano?


4 - LA LEGGE SULL'ABORTO PERMETTE SCELTE EUGENETICHE
Nuovi miti e leggende sulla 194: “Non è una legge eugenetica”. Ovvero: fin dove si può arrivare quando si comincia a difendere una legge ingiusta.
Autore: Mario Palmaro - Fonte:

Continua la diffusione attraverso i mass media di false informazioni sulla legge 194 del 1978. E’ un vero e proprio filone mitologico, che tende ad accreditare un’interpretazione fantasiosa della legge sull’aborto. Interpretazioni che fanno a pugni con la realtà delle cose, e che sentiamo il dovere di smascherare. In fondo, la nostra associazione si chiama “Verità e Vita”, non “Falsità e aborto”.

Dunque, dicevamo, ecco diffondersi da alcune settimane una nuova leggenda aurea, secondo cui la 194 non ammetterebbe una selezione eugenetica dei figli. Lo scrive ad esempio Avvenire del 25 gennaio scorso, in un editoriale che giustamente attacca il professor Veronesi (favorevole all’eliminazione degli embrioni difettosi). Nello stesso articolo, però, si può leggere che “nella normativa italiana del dopoguerra l’eugenetica non è mai stata introdotta: non la prevede la legge 194 che regolamenta l’aborto, e neppure la legge 40.”

Ora, qui si tratta di ristabilire la realtà dei fatti. La legge 194 prevede che, dopo i primi novanta giorni, l’aborto possa essere praticato con delle restrizioni. Fra l’altro, si può abortire se le condizioni patologiche del nascituro possono costituire un pericolo per la salute psico-fisica della madre. Si tratta di un abile escamotage tecnico giuridico, attraverso il quale il legislatore ha evitato la censura della Corte costituzionale. Se la 194 avesse dichiarato direttamente che i figli “tarati” sono eliminabili, avrebbe contraddetto il fondamentale principio di eguaglianza.

Ma si tratta, appunto, di una foglia di fico. Che può ingannare solo i buontemponi o le persone in mala fede.
Qualche domanda scomoda. A chi sostiene che la 194 “non è eugenetica” vorremmo rivolgere alcune semplici domande:

Qual è l’elemento oggettivo che legittima l’intervento abortivo nei casi di malattia del nascituro? Non è forse proprio la patologia del concepito? E’ a partire dall’accertamento di questo fatto che la legge “sdogana” l’uccisione del malato non ancora nato.
Da anni gli ambienti cattolici e pro life lamentano – giustamente – la diffusione di un uso eugenetico della diagnostica prenatale. Si dice: l’ecografo e le altre tecniche predittive sono usate per scoprire ed eliminare i concepiti down, o talassemici, o focomelici, o affetti da nanismo. Tutto tragicamente vero. Domanda: ma come sarebbe possibile questa prassi, se in Italia fosse in vigore una legge che impedisce realmente una discriminazione eugenetica? L’ecografista dice alla donna: “Signora, con questa patologia è meglio per suo figlio non nascere.” Parla sapendo che la legge lo consente, oppure sta violando la 194?
Caso clinico: un concepito di quattro mesi, sano, non può essere abortito a norma della 194; suo fratello gemello, portatore della sindrome di down, può essere soppresso a norma delle 194. Qualcuno può spiegarci come questo dato di realtà sia compatibile con l’affermazione “la legge 194 non è eugenetica”? Qualcuno può soprattutto spiegarlo al concepito che verrà abortito? C’è qualcuno che onestamente può dirgli: “Sai, ti abbiamo eliminato, ma non perché eri ammalato… Abbiamo dovuto farlo perché minacciavi la salute della tua mamma”.
Una volta stabilita per legge la generica e assolutamente aleatoria categoria del “pericolo per la salute psico-fisica”, quale giudice, o collegio medico, o esperto di scienze umane potrebbe affermare che la nascita di quel particolare figlio malato non provocherà un danno alla salute della donna? E’ una missione praticamente impossibile. Con il che se ne ricava la sintesi giuridica e quindi pratica: la 194 intende dire che, quando la donna ritiene insopportabile per lei l’idea di avere un figlio handicappato, può abortire. Questa non è eugenetica? E allora, come vogliamo chiamarla?

Donna, tutto si fa per te.

Giuliano Ferrara, nell’ambito della sua moratoria, insiste giustamente sulla vergogna costituita dall’aborto praticato in alcune regioni del mondo per eliminare figli di sesso femminile. Ha ragione: una vera vergogna. Proviamo allora a fare un esperimento. Mettiamo che una madre italiana – magari sotto la pressione di un ambiente rurale ancora retrivo e ottusamente maschilista - chieda l’aborto dopo il terzo mese, perché ha scoperto che aspetta una bambina. “Ho già cinque figlie femmine – dice lei – e qua in campagna abbiamo bisogno di braccia maschili. Un’altra donna non ce la voglio. Metterebbe in crisi la mia salute psico-fisica.”

Ovviamente, di fronte a un ragionamento del genere tutta l’opinione pubblica si solleverebbe, i medici si straccerebbero il camice, e tutti insieme appassionatamente – pro life, neo pro life, pro choice, e pro domo sua – urlerebbero scandalizzati. Per quale motivo? Perché il sesso del nascituro non è considerato un motivo serio per abortire. Anzi, sarebbe giudicata un’odiosa discriminazione. La donna rurale si arrangi: dovrà farsi passare le sue paturnie e tenersi la figlia femmina.

Se però la stessa donna avesse detto: “non voglio far nascere quella figlia femmina, perché in quanto femmina ha molte più probabilità di sviluppare una certa patologia ereditaria”, allora non ci sarebbe nulla da ridire. E la 194 potrebbe dispiegare le sue umanitarie potenzialità. Questa non è eugenetica? E che cos’è, allora?

Il paradosso della suocera:
per capire davvero che cos’è la legge 194, bisogna ricorrere a un espediente: sostituire il concepito con qualche altro soggetto umano. Ad esempio, la suocera. Sarebbe una legge strana: ma – qualcuno vi potrebbe obiettare - necessaria per eliminare la piaga della eliminazione clandestina delle suocere, di cui nessuno parla.
Proviamo a immaginare che la legge 194 del 2008 disciplini “Norme per la tutela della suocera e per la regolamentazione della sua vecchiaia”. Avremmo una legge così concepita:
“Art. 1. Lo Stato riconosce il valore della vecchiaia fino alla sua fine, e promuove una gestione responsabile degli anziani.

L’eliminazione della suocera non può essere attuata per antipatia personale o per motivi ereditari.

Art. 2 Quando la suocera ha più di 95 anni, la sua soppressione può essere autorizzata sulla base della semplice richiesta del genero, o di altri parenti e affini interessati.

Il certificato viene rilasciato da un consultorio familiare o dal medico curante. Il genero o il parente ha sette giorni di tempo per riflettere, dopo di che può ottenere la prestazione.

Le linee guida del Ministero della Salute stabiliranno i casi di urgenza, in cui non sarà necessario attendere i sette giorni.

Art. 3 Quando la suocera ha meno di 95 anni, la sua soppressione può essere autorizzata soltanto se, a causa della condizione patologica, degli handicap, delle infermità, o del suo pessimo carattere, la sua presenza costituisca un serio pericolo per la salute psico-fisica del genero o di altri parenti e affini interessati.

Art. 4 Lo Stato promuove le iniziative volte all’assistenza del genero (o di altri parenti e affini interessati), miranti soprattutto a rimuovere le cause per cui intende procedere alla soppressione della suocera, senza tuttavia esercitare alcuna pressione psicologica sulla sua libera scelta.

Art. 5 La figlia della suocera potrà essere sentita con valore meramente consultivo, solo se il genero lo ritiene opportuno.

Art. 6 Nel caso in cui la soppressione della suocera avvenga fuori dai casi previsti dalla presente legge, i medici e il personale sanitario sono puniti con la reclusione fino a cinque anni. Il genero è punito con una tirata d’orecchie, e con l’obbligo di appendere in ufficio una foto a colori della suocera.

(…)

Di fronte a una legge come questa, quale sarebbe la prima idea che vi viene in mente? Applichiamo le sue parti buone. Oppure: è una legge che nasce con buone intenzioni. O ancora: cribbio, ma questa non è affatto una legge eugenetica.

Meditate, gente. Meditate.


5 - IL PAPA DICE CHE LA FECONDAZIONE ARTIFICIALE È CONTRO LA DIGNITÀ UMANA
Ci vuole una moratoria anche sulla fecondazione artificiale.
Autore: Mario Palmaro - Fonte:

“Con la fecondazione artificiale extra-corporea, é stata infranta la barriera posta a tutela della dignità umana.” Le parole di Benedetto XVI - rivolte giovedì 31 gennaio 2008 ai partecipanti alla Sessione Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede – riaffermano con forza una verità scomoda e tremenda: ogni tecnica di fecondazione artificiale che produce embrioni fuori dal corpo della donna è un attentato alla dignità dell’uomo.

Questo giudizio di valore è espresso non solo in base alla fede, ma primariamente alla luce della recta ratio e dei criteri universali della legge naturale. E’ dunque un giudizio che si rivolge non solo alle coscienze individuali; non solo alle intelligenze dei teologi, dei moralisti e dei credenti; ma che chiama in causa i legislatori e i responsabili del bene comune.

Il cuore della denuncia di Benedetto XVI tocca infatti il tema dei diritti umani fondamentali, che sono sistematicamente violati dalle tecniche di riproduzione artificiale: la fivet riduce l’essere umano a cosa. “Quando esseri umani – dice il Papa - nello stato più debole e più indifeso della loro esistenza, sono selezionati, abbandonati, uccisi o utilizzati quale puro "materiale biologico", come negare che essi siano trattati non più come un "qualcuno", ma come un "qualcosa", mettendo così in questione il concetto stesso di dignità dell’uomo?”

Le parole di Benedetto XVI non possono essere liquidate come un fervorino esortativo, ma devono produrre alcune conseguenze pratiche molto concrete. Da parte sua, il Comitato Verità e Vita – associazione aconfessionale - intende riaffermare laicamente alcuni punti fermi:

1) Ogni fecondazione artificiale extracorporea, sia essa omologa o eterologa, è illicecita non solo dal punto di vista morale ma anche sotto il profilo giuridico. Non per nulla, il Papa non fa nel suo discorso alcuna distinzione fra tecniche omologhe o eterologhe;
2) Ogni legge che regolamenta – cioè che rende lecita – la fecondazione artificiale, fosse pure nella sola versione omologa, è una legge intrinsecamente ingiusta (=contraria alla legge naturale), come ogni legge che legalizza l’aborto.
3) Dunque, anche la legge 40 del 2004 è una legge intrinsecamente ingiusta, pur considerando le particolari circostanze storiche in cui essa è stata approvata. Il fatto che essa abbia eventualmente scongiurato una legalizzazione più ampia delle tecniche artificiali non è sufficiente a trasformarla in una “buona legge”.
4) Il Comitato Verità e Vita ricorda altresì che la produzione seriale di embrioni umani ha, in primis, una ripetitiva elevata mortalità intrinseca per tecnica, e rende poi disponibili gli embrioni umani prodotti anche alla selezione, congelamento, riduzione, abbandono, diagnostica pre-impianto, clonazione e qualsivoglia forma di ricerca.
5) Il Comitato Verità e Vita sente il dovere di denunciare la gravissima contraddizione che vi è fra questo ineccepibile magistero del Sommo Pontefice, e la prassi invalsa in non pochi ospedali di ispirazione cristiana o di diretta emanazione della Chiesa cattolica; ospedali – citiamo ad esempio il caso del San Raffaele di Milano - nei quali da anni si praticano quelle tecniche di fecondazione artificiale che Benedetto XVI ha definito contrarie alla dignità umana.
6) Il Comitato Verità e Vita rilancia il proprio appello – caduto nel vuoto fino a questo momento – affinché sia promossa e incoraggiata l’obiezione di coscienza alla legge 40 del 2004 sulla base di quanto previsto dall’articolo 16. Si tratta di un’obiezione doverosa, del tutto analoga a quella prevista dalla legge 194. Una facoltà di obiezione alla fivet che oggi è sconosciuta alla gran parte dell’opinione pubblica e che per questo motivo dovrebbe essere promossa e incoraggiata dall’episcopato italiano, così come avvenne nel 1978 all’indomani dell’approvazione della legge 194.

Il Comitato Verità e Vita auspica che il clima di positiva discussione - suscitato dalla moratoria lanciata da Giuliano Ferrara sull’aborto – promuova una seria opera di informazione intorno alla insensata disumanità delle tecniche di fecondazione artificiale. Non esiste un “modo buono” di fare la fecondazione in vitro. Non basta una legge dello Stato – per quanto “meno peggiore” di altre - a trasformare l’intrinseca illiceità di una tecnica in “vittoria” del fronte pro life.


6 - LA CHIESA CATTOLICA È L'UNICA VERA CHIESA DI CRISTO. LA FECONDAZIONE ARTIFICIALE È SEMPRE CONTRARIA ALLA DIGNITÀ UMANA
Discorso di sua santità benedetto XVI ai partecipanti alla sessione plenaria della congregazione per la dottrina della fede.
Autore: Benedetto XVI - Fonte:

Sala Clementina
Giovedì, 31 gennaio 2008
 
Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
carissimi e fedeli Collaboratori!

E’ per me motivo di grande gioia incontrarvi in occasione della vostra Sessione Plenaria. Posso così parteciparvi i sentimenti di profonda riconoscenza e di cordiale apprezzamento che provo per il lavoro che il vostro Dicastero svolge al servizio del ministero di unità, affidato in special modo al Romano Pontefice. E’ un ministero che si esprime primariamente in funzione dell’unità di fede, poggiante sul “sacro deposito”, di cui il Successore di Pietro è il primo custode e difensore (cfr Cost. ap. Pastor Bonus, 11). Ringrazio il Signor Cardinale William Levada per i sentimenti che, a nome di tutti, ha espresso nel suo indirizzo e per il richiamo dei temi che sono stati oggetto di alcuni Documenti della vostra Congregazione in questi ultimi anni e delle tematiche che tuttora impegnano l’esame del Dicastero.

In particolare, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato l’anno scorso due Documenti importanti, che hanno offerto alcune precisazioni dottrinali su aspetti essenziali della dottrina sulla Chiesa e sull’Evangelizzazione. Sono precisazioni necessarie per lo svolgimento corretto del dialogo ecumenico e del dialogo con le religioni e le culture del mondo. Il primo Documento porta il titolo “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della Chiesa” e ripropone anche nelle formulazioni e nel linguaggio l’insegnamento del Concilio Vaticano II, in piena continuità con la dottrina della Tradizione cattolica. Viene così confermato che l’una e unica Chiesa di Cristo ha la sua sussistenza, permanenza e stabilità nella Chiesa Cattolica e che pertanto l’unità, l’indivisibilità e l’indistruttibilità della Chiesa di Cristo non vengono annullate dalle separazioni e divisioni dei cristiani. Accanto a questa precisazione dottrinale fondamentale, il Documento ripropone l’uso linguistico corretto di certe espressioni ecclesiologiche, che rischiano di essere fraintese, e richiama a tal fine l’attenzione sulla differenza che ancora permane tra le diverse Confessioni cristiane nei riguardi della comprensione dell’essere Chiesa, in senso propriamente teologico. Ciò, lungi dall’impedire l’impegno ecumenico autentico, sarà di stimolo perché il confronto sulle questioni dottrinali avvenga sempre con realismo e piena consapevolezza degli aspetti che ancora separano le Confessioni cristiane, oltre che nel riconoscimento gioioso delle verità di fede comunemente professate e della necessità di pregare incessantemente per un cammino più solerte verso una maggiore e alla fine piena unità dei cristiani. Coltivare una visione teologica che ritenesse l’unità e identità della Chiesa come sue doti “nascoste in Cristo”, con la conseguenza che storicamente la Chiesa esisterebbe di fatto in molteplici configurazioni ecclesiali, riconciliabili soltanto in prospettiva escatologica, non potrebbe che generare un rallentamento e ultimamente la paralisi dell’ecumenismo stesso.

L’affermazione del Concilio Vaticano II che la vera Chiesa di Cristo “sussiste nella Chiesa cattolica” (Cost. dogm. Lumen gentium, 8) non riguarda soltanto il rapporto con le Chiese e comunità ecclesiali cristiane, ma si estende anche alla definizione dei rapporti con le religioni e le culture del mondo. Lo stesso Concilio Vaticano II nella Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa afferma che “questa unica vera religione sussiste nella Chiesa cattolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato il compito di diffonderla a tutti gli uomini” (n. 1). La “Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione” - l’altro Documento pubblicato dalla vostra Congregazione nel dicembre 2007 -, a fronte del rischio di un persistente relativismo religioso e culturale, ribadisce che la Chiesa, nel tempo del dialogo tra le religioni e le culture, non si dispensa dalla necessità dell’evangelizzazione e dell’attività missionaria verso i popoli, né cessa di chiedere agli uomini di accogliere la salvezza offerta a tutte le genti. Il riconoscimento di elementi di verità e bontà nelle religioni del mondo e della serietà dei loro sforzi religiosi, lo stesso colloquio e spirito di collaborazione con esse per la difesa e la promozione della dignità della persona e dei valori morali universali, non possono essere intesi come una limitazione del compito missionario della Chiesa, che la impegna ad annunciare incessantemente Cristo come la via, la verità e la vita (cfr Gv 14,6).

Vi invito inoltre, carissimi, a seguire con particolare attenzione i problemi difficili e complessi della bioetica. Le nuove tecnologie biomediche, infatti, interessano non soltanto alcuni medici e ricercatori specializzati, ma vengono divulgate attraverso i moderni mezzi di comunicazione sociale, provocando attese ed interrogativi in settori sempre più vasti della società. Il Magistero della Chiesa certamente non può e non deve intervenire su ogni novità della scienza, ma ha il compito di ribadire i grandi valori in gioco e di proporre ai fedeli e a tutti gli uomini di buona volontà principi e orientamenti etico-morali per le nuove questioni importanti. I due criteri fondamentali per il discernimento morale in questo campo sono a) il rispetto incondizionato dell’essere umano come persona, dal suo concepimento fino alla morte naturale, b) il rispetto dell’originalità della trasmissione della vita umana attraverso gli atti propri dei coniugi. Dopo la pubblicazione nel 1987 dell’Istruzione Donum vitae, che aveva enunciato tali criteri, molti hanno criticato il Magistero della Chiesa, denunciandolo come se fosse un ostacolo alla scienza e al vero progresso dell’umanità. Ma i nuovi problemi connessi, ad esempio, con il congelamento degli embrioni umani, con la riduzione embrionale, con la diagnosi pre-impiantatoria, con le ricerche sulle cellule staminali embrionali e con i tentativi di clonazione umana, mostrano chiaramente come, con la fecondazione artificiale extra-corporea, sia stata infranta la barriera posta a tutela della dignità umana. Quando esseri umani, nello stato più debole e più indifeso della loro esistenza, sono selezionati, abbandonati, uccisi o utilizzati quale puro “materiale biologico”, come negare che essi siano trattati non più come un “qualcuno”, ma come un “qualcosa”, mettendo così in questione il concetto stesso di dignità dell’uomo?

Certamente la Chiesa apprezza e incoraggia il progresso delle scienze biomediche che aprono prospettive terapeutiche finora sconosciute, mediante, ad esempio, l’uso delle cellule staminali somatiche oppure mediante le terapie volte alla restituzione della fertilità o alla cura delle malattie genetiche. Nel contempo essa sente il dovere di illuminare le coscienze di tutti, affinché il progresso scientifico sia veramente rispettoso di ogni essere umano, a cui va riconosciuta la dignità di persona, essendo creato ad immagine di Dio. Lo studio su tali tematiche, che ha impegnato in special modo la vostra Assise in questi giorni, contribuirà certamente a promuovere la formazione della coscienza di tanti nostri fratelli, secondo quanto afferma il dettato del Concilio Vaticano II nella Dichiarazione Dignitatis humanae: “I cristiani... nella formazione della loro coscienza devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa. Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità, e il suo compito è di annunziare e di insegnare in modo autentico la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare con la sua autorità i principi dell'ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana” (n. 14).

Nell’incoraggiarvi a proseguire nel vostro impegnativo ed importante lavoro, vi esprimo anche in questa circostanza la mia spirituale vicinanza, ed imparto di cuore a tutti voi, in pegno di affetto e di gratitudine, la Benedizione Apostolica.


7 - PERCHÉ È CADUTO PRODI: IL FALLIMENTO DEL DOSSETTISMO

Autore: Rocco Buttiglione - Fonte:

Il governo Prodi è caduto in Parlamento. Non è caduto perché travolto da una forza maggiore dell’opposizione. È caduto per decomposizione della maggioranza. In un certo senso il governo inizia a morire nel momento in cui Veltroni e Berlusconi si parlano e cercano di delineare un sistema di regole, scritte e non scritte, che consentano un funzionamento “normale” della democrazia italiana.

Nel momento, però, in cui viene meno la pregiudiziale antiberlusconiana, cioè l’identificazione surrettizia di berlusconismo e fascismo, viene meno anche il collante della coalizione di governo ed emergono tutte le sue esplosive contraddizioni interne. In altre parole, la coalizione di governo, per resistere, ha bisogno di una sorta di coazione esterna, di un clima di emergenza.

Veltroni pensava, giustamente, che il paese avesse bisogno di uscire da questo clima di bipolarismo barbaro, che usa un linguaggio da guerra civile ed in cui la competizione politica sui programmi e sui valori è sostituita dal dileggio dell’avversario e dalla sua demonizzazione. La coalizione di centrosinistra si rivela però incapace di realizzare questa transizione. È davanti alla esplosione della coalizione che Veltroni si vede costretto a correre da solo e, di conseguenza, a costruire un sistema elettorale che gli consenta di correre da solo, capovolgendo la posizione tradizionale dei Ds.

Esplode la coalizione di centrosinistra, finisce l’Ulivo. Non ci si faccia ingannare dalle apparenze. Se non fossero stati i centristi a far cadere il governo lo avrebbe fatto di qui a poco la sinistra. La ragione è semplice: questo centro e questa sinistra non possono governare insieme, sono reciprocamente incompatibili. Non è solo il fallimento di un governo e di una coalizione. È il fallimento di una cultura politica, la cultura politica azionista e dossettiana di cui Prodi è stato la espressione politica.

Non è riuscito l’incontro dei cattolici e dei comunisti. Gli azionisti ed i dossettiani erano convinti che nella Resistenza italiana si fosse realizzato un incontro storico dei cattolici, dei comunisti e dei liberali che generava una forma culturale e politica superiore sia al comunismo che alle democrazie occidentali. Questa sintesi superiore imponeva una revisione radicale ed anche una abiura parziale del comunismo tradizionale, del liberalismo tradizionale e del cattolicesimo tradizionale.

Avrebbero potuto incontrarsi fra loro solo un nuovo comunismo, un nuovo liberalismo ed un nuovo cattolicesimo. Da questo presupposto discende, fra l’altro, la interpretazione dossettiana del Concilio ecumenico Vaticano II come rottura assoluta con il passato cattolicesimo, bollato in blocco come integrista. La novità politica avrebbe avuto bisogno, per realizzarsi compiutamente, di una riforma religiosa e teologica. È in questa luce che si comprendono anche alcune sorprendenti affermazioni degli onorevoli Bindi e Castagnetti secondo i quali i vescovi italiani sarebbero teologicamente in ritardo rispetto alla novità non solo politica ma anche religiosa dell’Ulivo.

Questa idea azionista e dossettiana conquista negli anni post-conciliari quella che Del Noce chiamava la Repubblica della Cultura. Dopo la caduta del muro di Berlino azionismo e dossettismo (il dossettismo è la variante cattolica dell’azionismo) giungono anche alla conquista del potere politico con l’Ulivo e con l’Unione. Il Partito democratico avrebbe dovuto essere il frutto maturo di questa lunga gestazione politica.

Era necessario che il dossettismo godesse il suo momento di successo politico perché solo in questo modo era possibile arrivare alla dimostrazione evidente del suo fallimento. Così è stato. Diceva Del Noce che comunismo e cattolicesimo sono essenze irriducibili, non mediabili. E così infatti è stato.

I comunisti sono rimasti fuori dal Partito democratico, hanno rifiutato di lasciarsi riassorbire nella sintesi prodiana. Anche la maggioranza dei cattolici è rimasta fuori e, comunque, la Chiesa italiana si è rifiutata di attribuire ai cattolici dossettiani nel Partito democratico quel ruolo di sua rappresentanza laica che essi si erano attribuiti. La grande sintesi che avrebbe dovuto abbracciare tutti gli italiani ricostruendo l’unità morale della nazione finisce con l’avere il consenso, nel migliore dei casi, di un po’ meno di un terzo dell’elettorato.

In effetti dopo il crollo del comunismo diventa difficile proporre una sintesi di comunismo ed economia di mercato. Si pone, se mai, il problema di come coniugare libertà e solidarietà, ma questa è altra cosa, che appartiene, se mai, all’ambito della dottrina sociale cristiana e del pensiero liberale.

Il comunismo, a livello mondiale, si è dissolto davanti ad una opposizione intellettuale, religiosa e morale, non è stato riassorbito in una sintesi di ordine superiore che ne conservi alcuni elementi. Dossettismo ed azionismo sono disarmati davanti all’emergere di una globalizzazione che ridimensiona il ruolo dello stato ed il potere della politica ed impone di ripensare in modo del tutto nuovo il rapporto fra stato e società e fra libertà e solidarietà.

Egualmente disarmato è il dossettismo davanti all’emergere delle questioni della bioetica, in una fase storica in cui l’uomo acquisisce capacità inaudite di manipolare se stesso. Qui si delinea per i cattolici un nucleo di valori non negoziabili che resiste al primato assoluto della mediazione politica che è invece proprio della ideologia dossettiana. Per giungere all’incontro cattolici e comunisti devono rinunciare, ciascuno per suo conto, al proprio orizzonte di riferimenti ideali. Si incontrano dunque sul terreno di un pragmatismo assoluto e di un primato della politica che si stacca da ogni riferimento vincolante di valori che la preceda.

Cessano, in tal modo, di essere popolari. Rinunciamo a mostrare (ma il lettore vi arriva facilmente da solo) in che modo le singole tappe del fallimento del governo Prodi si lasciano ricondurre alla insufficienza di questi suoi presupposti ideali. Dalla presa d’atto di questo fallimento ideale bisogna comunque partire per ripensare fuori da schemi consumati il ruolo dei cattolici, dei liberali ed anche della sinistra riformista nel futuro della democrazia italiana.


8 - MESSAGGIO PER LA QUARESIMA 2008

Autore: Benedetto XVI - Fonte:

 "Cristo si è fatto povero per voi" (2 Cor 8,9)
Cari fratelli e sorelle!
1. Ogni anno, la Quaresima ci offre una provvidenziale occasione per approfondire il senso e il valore del nostro essere cristiani, e ci stimola a riscoprire la misericordia di Dio perché diventiamo, a nostra volta, più misericordiosi verso i fratelli. Nel tempo quaresimale la Chiesa si preoccupa di proporre alcuni specifici impegni che accompagnino concretamente i fedeli in questo processo di rinnovamento interiore: essi sono la preghiera, il digiuno e l’elemosina. Quest’anno, nel consueto Messaggio quaresimale, desidero soffermarmi a riflettere sulla pratica dell’elemosina, che rappresenta un modo concreto di venire in aiuto a chi è nel bisogno e, al tempo stesso, un esercizio ascetico per liberarsi dall’attaccamento ai beni terreni. Quanto sia forte la suggestione delle ricchezze materiali, e quanto netta debba essere la nostra decisione di non idolatrarle, lo afferma Gesù in maniera perentoria: “Non potete servire a Dio e al denaro” (Lc 16,13). L’elemosina ci aiuta a vincere questa costante tentazione, educandoci a venire incontro alle necessità del prossimo e a condividere con gli altri quanto per bontà divina possediamo. A questo mirano le collette speciali a favore dei poveri, che in Quaresima vengono promosse in molte parti del mondo. In tal modo, alla purificazione interiore si aggiunge un gesto di comunione ecclesiale, secondo quanto avveniva già nella Chiesa primitiva. San Paolo ne parla nelle sue Lettere a proposito della colletta a favore della comunità di Gerusalemme (cfr 2 Cor 8-9; Rm 15,25-27).
2. Secondo l’insegnamento evangelico, noi non siamo proprietari bensì amministratori dei beni che possediamo: essi quindi non vanno considerati come esclusiva proprietà, ma come mezzi attraverso i quali il Signore chiama ciascuno di noi a farsi tramite della sua provvidenza verso il prossimo. Come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, i beni materiali rivestono una valenza sociale, secondo il principio della loro destinazione universale (cfr n. 2404).
Nel Vangelo è chiaro il monito di Gesù verso chi possiede e utilizza solo per sé le ricchezze terrene. Di fronte alle moltitudini che, carenti di tutto, patiscono la fame, acquistano il tono di un forte rimprovero le parole di san Giovanni: “Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il proprio fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio?” (1 Gv 3,17). Con maggiore eloquenza risuona il richiamo alla condivisione nei Paesi la cui popolazione è composta in maggioranza da cristiani, essendo ancor più grave la loro responsabilità di fronte alle moltitudini che soffrono nell’indigenza e nell’abbandono. Soccorrerle è un dovere di giustizia prima ancora che un atto di carità.
3. Il Vangelo pone in luce una caratteristica tipica dell’elemosina cristiana: deve essere nascosta. “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”, dice Gesù, “perché la tua elemosina resti segreta” (Mt 6,3-4). E poco prima aveva detto che non ci si deve vantare delle proprie buone azioni, per non rischiare di essere privati della ricompensa celeste (cfr Mt 6,1-2). La preoccupazione del discepolo è che tutto vada a maggior gloria di Dio. Gesù ammonisce: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16). Tutto deve essere dunque compiuto a gloria di Dio e non nostra. Questa consapevolezza accompagni, cari fratelli e sorelle, ogni gesto di aiuto al prossimo evitando che si trasformi in un mezzo per porre in evidenza noi stessi. Se nel compiere una buona azione non abbiamo come fine la gloria di Dio e il vero bene dei fratelli, ma miriamo piuttosto ad un ritorno di interesse personale o semplicemente di plauso, ci poniamo fuori dell’ottica evangelica. Nella moderna società dell’immagine occorre vigilare attentamente, poiché questa tentazione è ricorrente. L’elemosina evangelica non è semplice filantropia: è piuttosto un’espressione concreta della carità, virtù teologale che esige l’interiore conversione all’amore di Dio e dei fratelli, ad imitazione di Gesù Cristo, il quale morendo in croce donò tutto se stesso per noi. Come non ringraziare Dio per le tante persone che nel silenzio, lontano dai riflettori della società mediatica, compiono con questo spirito azioni generose di sostegno al prossimo in difficoltà? A ben poco serve donare i propri beni agli altri, se per questo il cuore si gonfia di vanagloria: ecco perché non cerca un riconoscimento umano per le opere di misericordia che compie chi sa che Dio “vede nel segreto” e nel segreto ricompenserà.
4. Invitandoci a considerare l’elemosina con uno sguardo più profondo, che trascenda la dimensione puramente materiale, la Scrittura ci insegna che c’è più gioia nel dare che nel ricevere (cfr At 20,35). Quando agiamo con amore esprimiamo la verità del nostro essere: siamo stati infatti creati non per noi stessi, ma per Dio e per i fratelli (cfr 2 Cor 5,15). Ogni volta che per amore di Dio condividiamo i nostri beni con il prossimo bisognoso, sperimentiamo che la pienezza di vita viene dall’amore e tutto ci ritorna come benedizione in forma di pace, di interiore soddisfazione e di gioia. Il Padre celeste ricompensa le nostre elemosine con la sua gioia. E c’è di più: san Pietro cita tra i frutti spirituali dell’elemosina il perdono dei peccati. “La carità - egli scrive - copre una moltitudine di peccati” (1 Pt 4,8). Come spesso ripete la liturgia quaresimale, Iddio offre a noi peccatori la possibilità di essere perdonati. Il fatto di condividere con i poveri ciò che possediamo ci dispone a ricevere tale dono. Penso, in questo momento, a quanti avvertono il peso del male compiuto e, proprio per questo, si sentono lontani da Dio, timorosi e quasi incapaci di ricorrere a Lui. L’elemosina, avvicinandoci agli altri, ci avvicina a Dio e può diventare strumento di autentica conversione e riconciliazione con Lui e con i fratelli.
5. L’elemosina educa alla generosità dell’amore. San Giuseppe Benedetto Cottolengo soleva raccomandare: “Non contate mai le monete che date, perché io dico sempre così: se nel fare l’elemosina la mano sinistra non ha da sapere ciò che fa la destra, anche la destra non ha da sapere ciò che fa essa medesima” (Detti e pensieri, Edilibri, n. 201). Al riguardo, è quanto mai significativo l’episodio evangelico della vedova che, nella sua miseria, getta nel tesoro del tempio “tutto quanto aveva per vivere” (Mc 12,44). La sua piccola e insignificante moneta diviene un simbolo eloquente: questa vedova dona a Dio non del suo superfluo, non tanto ciò che ha, ma quello che è. Tutta se stessa.
Questo episodio commovente si trova inserito nella descrizione dei giorni che precedono immediatamente la passione e morte di Gesù, il quale, come nota san Paolo, si è fatto povero per arricchirci della sua povertà (cfr 2 Cor 8,9); ha dato tutto se stesso per noi. La Quaresima, anche attraverso la pratica dell’elemosina ci spinge a seguire il suo esempio. Alla sua scuola possiamo imparare a fare della nostra vita un dono totale; imitandolo riusciamo a renderci disponibili, non tanto a dare qualcosa di ciò che possediamo, bensì noi stessi. L’intero Vangelo non si riassume forse nell’unico comandamento della carità? La pratica quaresimale dell’elemosina diviene pertanto un mezzo per approfondire la nostra vocazione cristiana. Quando gratuitamente offre se stesso, il cristiano testimonia che non è la ricchezza materiale a dettare le leggi dell’esistenza, ma l’amore. Ciò che dà valore all’elemosina è dunque l’amore, che ispira forme diverse di dono, secondo le possibilità e le condizioni di ciascuno.
6. Cari fratelli e sorelle, la Quaresima ci invita ad “allenarci” spiritualmente, anche mediante la pratica dell’elemosina, per crescere nella carità e riconoscere nei poveri Cristo stesso. Negli Atti degli Apostoli si racconta che l’apostolo Pietro allo storpio che chiedeva l’elemosina alla porta del tempio disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina” (At 3,6). Con l’elemosina regaliamo qualcosa di materiale, segno del dono più grande che possiamo offrire agli altri con l’annuncio e la testimonianza di Cristo, nel Cui nome c’è la vita vera. Questo periodo sia pertanto caratterizzato da uno sforzo personale e comunitario di adesione a Cristo per essere testimoni del suo amore. Maria, Madre e Serva fedele del Signore, aiuti i credenti a condurre il “combattimento spirituale” della Quaresima armati della preghiera, del digiuno e della pratica dell’elemosina, per giungere alle celebrazioni delle Feste pasquali rinnovati nello spirito. Con questi voti imparto volentieri a tutti l’Apostolica Benedizione.


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