BastaBugie n�33 del 06 giugno 2008

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1 BIOCARBURANTI E FAME DEL MONDO: CHE FARE?
A chi piace la fame?
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: fonte non disponibile
2 CHI CANTA UNA LACRIMA SUL VISO? VINCI 10000 EURO IN TV. MA È UNA TRUFFA!
Stop dall’Antitrust ai finti quiz televisivi: in realtà si tratta di vendite camuffate
Fonte: fonte non disponibile
3 LA MADRE SALVA LE DUE GEMELLINE E LE DUE GEMELLINE SALVANO LA LORO MADRE
La madre incinta ha il cancro: le due gemelline in grembo lo spostano. Michelle Stepney premiata in Inghilterra con il «Women Courage Award»
Autore: Adriana Bazzi - Fonte: fonte non disponibile
4 DIO PUNISCE SOLO NELL'ANTICO TESTAMENTO?
Barcellona muore solo di sete...?
Autore: Simona Verrazzo - Fonte: fonte non disponibile
5 MAGDI ALLAM: UNA CONVERSIONE OLTRE LA LOGICA DELLE CATACOMBE

Autore: Giorgio Paolucci - Fonte: fonte non disponibile
6 UNA SOCIETÀ SEMPRE PIÙ FREDDA FATICA A TROVARE FELICITÀ
La corsa al successo e le relazioni interpersonali
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: fonte non disponibile
7 LA REPUBBLICA, INTERVISTANDO UN TEOLOGO, INSEGNA AL PAPA A FARE IL PAPA
Hans Kung e le riforme della chiesa
Autore: Gianni Cardinale - Fonte: fonte non disponibile
8 SOSTENERE LA FAMIGLIA FONDATA SUL MATRIMONIO TRA UN UOMO E UNA DONNA NON DISCRIMINA NESSUNO
Coppie omosex , la discriminazione che non c’è.
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: fonte non disponibile
9 LA LITURGIA NELLA CHIESA CATTOLICA: TRADIZIONE SENZA CONTESTAZIONE
Il cardinale a capo della Pontificia commissione ''Ecclesia Dei'' spiega perché il Motu proprio di Benedetto XVI è una grande ricchezza spirituale per tutta la Chiesa
Autore: Vittoria Prisciandaro - Fonte: fonte non disponibile

1 - BIOCARBURANTI E FAME DEL MONDO: CHE FARE?
A chi piace la fame?
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: fonte non disponibile, 26-5-2008

C’è davvero un’emergenza fame su scala globale e senza precedenti? Ed è davvero iniziata – come titolava un giornale qualche settimana fa – la “guerra mondiale per il cibo”? Il tam tam mediatico cominciato alla fine di marzo ha indubbiamente fatto intravedere scenari da incubo, con possibili – se non probabili - decine di milioni di morti per fame, e con governi e agenzie umanitarie mobilitate per evitare il peggio.
Sia ben chiaro: guai a sottovalutare la povertà e le condizioni di estrema precarietà in cui vivono ancora tante persone nel mondo; eppure tanto allarmismo fa nascere qualche sospetto, soprattutto quando si leggono la diagnosi e la cura proposta da tante fonti autorevoli. Ad esempio, il sito della britannica BBC, nello speciale appositamente dedicato al problema, afferma che la prima causa della crisi sta nell’aumento della popolazione e nel fatto che il genere umano sta consumando più risorse di quelle effettivamente disponibili. Se questo è il male si può facilmente capire quale sarà la cura: così il rischio che parte dei fondi straordinari raccolti per fronteggiare l’emergenza sia dirottato in programmi per il controllo delle nascite è tutt’altro che remoto.
Per questo è importante capire bene i termini del problema: ciò cui stiamo assistendo in questi mesi è una crisi alimentare dovuta al rincaro dei prezzi dei prodotti agricoli – soprattutto cereali - che si sta registrando negli ultimi due anni. Ovviamente ciò colpisce soprattutto le popolazioni povere che vivono nei grandi centri urbani del Terzo mondo. Ma tale rincaro dei prezzi non ha niente a che vedere con la mancanza di cibo, che invece a livello globale c’è ed è più che sufficiente a sfamare l’attuale popolazione mondiale e anche quella prevista per i prossimi decenni. Insomma questa crisi non ha niente a che vedere con le grandi carestie del XIX secolo o con la gravissima penuria di cibo seguita alla fine della Seconda Guerra mondiale, e neanche con le emergenze fame che negli anni ’60-’70 del XX secolo hanno colpito il Biafra, il Sahel e più in generale l’Africa sub-sahariana.
Basterebbe andare a consultare le statistiche della FAO per verificare che dal 1970 ad oggi la disponibilità di cibo pro-capite è decisamente aumentata in tutto il mondo – anche nei Paesi dell’Africa sub-sahariana - malgrado la popolazione sia quasi raddoppiata, dai poco più di 3 miliardi e mezzo del 1970 agli attuali 6,3 miliardi. Un dato che trova conferma nell’ultimo Rapporto dell’ONU sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio (2007). Qui leggiamo: “A livello mondiale, il numero di persone nei Paesi in via di sviluppo che vivono con meno di un dollaro al giorno è sceso da un miliardo e 250 milioni nel 1990 a 980 milioni nel 2004”; e questo – ripetiamo – malgrado nel frattempo la popolazione sia aumentata di circa un miliardo di persone. Infatti, in termini percentuali il progresso è ancora più evidente: “Nello stesso periodo la proporzione di persone che vivono in estrema povertà è scesa da circa il 33% al 19”. Tanto che lo stesso rapporto afferma che anche “i più poveri stanno diventando un po’ meno poveri in quasi tutte le regioni”.
In tutto questo periodo il prezzo dei prodotti agricoli è rimasto abbastanza stabile, con una leggera tendenza al rialzo valutabile intorno al 3%. Poi, improvvisamente la svolta: dal marzo 2007 al marzo 2008 i prezzi hanno registrato un’impennata: il riso è salito del 74%, il grano del 130%, la soia dell’87% . E’ ovvio che non può essere stato un aumento di circa 70 milioni di persone (più o meno è questo l’incremento annuo della popolazione mondiale) ad aver provocato tale sconquasso. Sarebbe perciò una sciagura se l’attuale crisi alimentare diventasse il pretesto per rilanciare vecchie politiche anti-nataliste che hanno già provocato abbastanza disastri.
Se si vuole evitare che si cancellino in poco tempo i progressi nella lotta alla fame fatti in tanti decenni, si deve perciò intervenire sui veri fattori all’origine della crisi, che sono diversi: le politiche agricole dei Paesi sviluppati, che si basano su un sistema di sussidi e dazi che penalizza i Paesi poveri ma anche la produzione in generale (il caso delle “quote” europee è emblematico); l’aumento del costo dei trasporti; la produttività agricola, che nei Paesi del Terzo mondo è ancora estremamente bassa (e da questo punto di vista un aiuto potrebbe venire dagli Organismi Geneticamente Modificati); le spinte speculative sul mercato dei prodotti agricoli; la riconversione delle colture per produrre i biocarburanti.
Quest’ultimo fattore tra tutti merita un approfondimento perché è qui che si scontrano opposte visioni dello sviluppo.
Anche all’ONU ora si alzano sempre più forti le voci che chiedono una moratoria sui biocarburanti, ovvero sull’uso di mais e barbabietole da zucchero per produrre combustibile per auto. In pratica una quantità sempre crescente di terreni agricoli vengono destinati  a coltivazioni che non hanno scopo alimentare. La distorsione del mercato che ne consegue è evidente. Già nei Paesi industrializzati si sta spendendo dai 13 ai 15 miliardi di dollari l’anno per incentivare tali coltivazioni, al punto che per ogni litro di etanolo che si produce l’Unione Europea versa un dollaro di sussidio pubblico. Il confronto con il costo dei combustibili fossili (che invece sono fonte di introiti per lo Stato) è impietoso e oltretutto per dei risultati più che modesti: la riduzione delle emissioni di gas serra dei biocarburanti (obiettivo della scelta politica) è nell’ordine del 13-18 per cento rispetto ai combustibili fossili.
Già così – dando per vero che dalle nostre emissioni di gas serra dipende il futuro del clima - si può tranquillamente definire una follia la scelta dell’Unione Europea e dei Paesi sviluppati di puntare sui biocarburanti. Ma il fatto è che non è neanche vero l’assunto che sta alla base di queste scelte politiche. Le emissioni di gas serra sono diventate un totem della nostra società, ma non c’è alcuna evidenza scientifica del  legame tra attività umane e cambiamenti climatici, e anzi sono in costante crescita gli scienziati che si oppongono esplicitamente a questa teoria. In ogni caso, scegliere di intervenire su un fattore naturale (riduzione di gas serra) anche a scapito dello sviluppo di intere popolazioni, mette in rilievo la tipica concezione ecologista, che nel migliore dei casi considera l’uomo una variabile naturale fra le tante e nel peggiore lo vede come un pericoloso nemico della natura che va fermato in tutti i modi.
Questo approccio, però, oltre a provocare povertà crescente fra la popolazione umana (come sta accadendo) peggiora anche lo stato della natura.
Bloccare la proliferazione di biocarburanti sarebbe dunque soltanto un primo passo per riaffermare la concezione che pone lo sviluppo integrale dell’uomo come obiettivo vero di ogni politica economica e anche di ogni politica ambientale.

Fonte: fonte non disponibile, 26-5-2008

2 - CHI CANTA UNA LACRIMA SUL VISO? VINCI 10000 EURO IN TV. MA È UNA TRUFFA!
Stop dall’Antitrust ai finti quiz televisivi: in realtà si tratta di vendite camuffate
Fonte fonte non disponibile, 25/05/08

Giro di vite dell’Antitrust contro i finti quiz televisivi. Con due provvedimenti l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sanzionato non solo gli organizzatori delle televendite camuffate da giochi a premi ma anche le emittenti che hanno venduto loro gli spazi televisivi. I quiz finiti nel mirino dell’Autorità sono “Quiz caliente”, “Quiz on the beach” e “Summerquiz ”, già sospesi con precedenti decisioni dall’Antitrust. Ora, a chiusura delle istruttorie, sono arrivate le multe (complessivamente 426mila euro) che per la prima volta hanno coinvolto anche le televisioni (La 9, Rete Capri, Canale Italia e Telecupole). Nel corso del procedimento, come si legge nei due provvedimenti, l’Antitrust ha anche ascoltato la Federazione radio e televisioni (Frt) che ha espresso la volontà di sensibilizzare le emittenti televisive locali affinché trasmissioni come quelle sanzionate vengano chiaramente identificate per quello che sono, vale a dire televendite, di natura puramente pubblicitaria, e non trasmissioni di intrattenimento con giochi a quiz , inserite nel normale palinsesto televisivo. Dietro i telequiz, mandati in onda addirittura con la scritta «in diretta » per rafforzare l’idea che si trattasse di una trasmissione, si nascondevano infatti televendite che agganciavano gli inconsapevoli telespettatori con telefonate ai numeri a sovrapprezzo 899. Restando in attesa scattava automaticamente l’acquisto di loghi e suonerie. Per attirare il maggior numero di telefonate possibili il quiz proposto, con in palio premi fino a 10mila euro, era facilissimo (del tipo chi canta la canzone “Zingara” o “Una lacrima sul viso”) ma le risposte mandate in onda, risultate preregistrate, erano palesemente sbagliate. Per l’Antitrust in questi casi le emittenti erano pienamente consapevoli che si trattava di semplici telepromozioni «registrate» nonostante i messaggi si presentassero come programmi inseriti nel palinsesto (costantemente diffusi in determinati giorni e fasce orarie) con il meccanismo delle finte telefonate «in diretta». Solo una scritta che scorreva in modo veloce indicava che si trattava di una Televendita. Per “Quiz Caliente” l’Autorità ha condannato la società Chimera, produttrice del quiz con la finalità di vendere loghi e suonerie a una multa di 41.100 euro. Identica sanzione per l’emittente televisiva La 9. Entrambe le società sono state coinvolte anche nel secondo provvedimento dell’Autorità, relativo a “Quiz on the beach” e “Summerquiz ” con una nuova sanzione di pari importo. Identico il meccanismo dell’inganno, con la variante di un quiz relativo ad un semplice calcolo matematico. Per questo secondo caso l’Antitrust ha deciso sanzioni da 41.100 euro ciascuna, anche per la ditta individuale Alias di Greco Antonina, per la società Esperidi s.r.l., per la Television Broadcasting System s.p.a., proprietaria dell’emittente locale «Rete Capri», per la società Canale Italia s.r.l., per la società TeleCupole s.p.a.

Fonte: fonte non disponibile, 25/05/08

3 - LA MADRE SALVA LE DUE GEMELLINE E LE DUE GEMELLINE SALVANO LA LORO MADRE
La madre incinta ha il cancro: le due gemelline in grembo lo spostano. Michelle Stepney premiata in Inghilterra con il «Women Courage Award»
Autore: Adriana Bazzi - Fonte: fonte non disponibile, 5 febbraio 2008

Milano - Lei, la mamma, cercava di salvare la vita alle sue bambine non ancora nate, rifiutando un intervento chirurgico e la classica chemioterapia (optando per una forma leggera) che l'avrebbero costretta all'aborto. Loro, le due gemelline, hanno letteralmente «preso a calci» il tumore materno, spostandolo e impedendo che facesse danni a tutte e tre. E sono nate sane e salve alla trentatreesima settimana di gravidanza.
Così Michelle Stepney ha avuto, da parte del Cancer Research britannico, una nomination al Women Courage Award, che vuole premiare chi fa qualcosa di veramente speciale per sé o per gli altri. E questa storia è davvero speciale, quasi incredibile. La donna, 35 anni, di Londra, era rimasta incinta ed era stata successivamente ricoverata in ospedale per un sospetto aborto. Solo allora i medici del Royal Marsden Hospital hanno scoperto che aveva un tumore alla cervice uterina. Michelle Stepney, già mamma di un bambino di cinque anni di nome Jack, ha deciso di accettare soltanto una chemioterapia leggera e nient'altro che avrebbe potuto mettere fine alla gravidanza.
«E' stata una decisione difficile da prendere — ha detto la donna alla Bbc —. Volevo essere sicura che quello che stavo facendo fosse giusto per Jack, ma non volevo fare qualcosa di sbagliato per le bambine». E ha aggiunto: «Sentivo le mie figlie scalciare, ma non potevo certo immaginare che avrebbero "spostato" il tumore». Così Alice e Harriet sono nate con un cesareo: erano senza capelli proprio per gli effetti collaterali dei farmaci chemioterapici, ma oggi stanno bene. Soltanto dopo quattro settimane dal parto, la donna si è sottoposta a un'isterectomia: fortunatamente il tumore non era diffuso ed è stato completamente asportato.

Fonte: fonte non disponibile, 5 febbraio 2008

4 - DIO PUNISCE SOLO NELL'ANTICO TESTAMENTO?
Barcellona muore solo di sete...?
Autore: Simona Verrazzo - Fonte: fonte non disponibile, 15 maggio 2008

La Regione Autonoma della Catalogna si è distinta negli ultimi dieci anni per una proliferazione legislativa volta a costituire un Nuovo Ordine Sociale, in radicale opposizione alle profonde radici cristiane del paese (vedi articolo seguente). Questo Nuovo Ordine Sociale ha nella Torre di Agbar (sigla: Agua de Barcelona), il punto più alto della città di Barcellona, il suo simbolo più eloquente.
La Catalogna si trova ora a dover affrontare una crisi paurosa. A causa della scarsità di piogge che dura da ormai quattro anni un'impressionante siccità sta colpendo la Catalogna e particolarmente la sua capitale Barcellona. A poco sono servite le piogge arrivate con la Pasqua. Entro ottobre non ci sarà più acqua potabile. Lunedì 12 maggio è arrivata dalla città di Tarragona, a 80 km da Barcellona, una nave-cisterna con un carico di 19.000 metri cubici di acqua. Sono previsti, in totale, 63 viaggi mensili che riforniranno Barcellona di 1.660.000 metri cubi d'acqua al mese. L'acqua arriverà anche dalla Francia. Il costo totale del trasporto sarà di 22 milioni di euro al mese. L'apporto della nave cisterna però è poca cosa, in quanto rappresenta soltanto il 6 per cento del consumo dei 5,5 milioni di abitanti della zona metropolitana di Barcellona. Il piano d'emergenza è stato progettato dall'esecutivo spagnolo con la collaborazione del governo della Catalogna, a maggioranza socialista come quello nazionale, e della Aigues de Barcelona, la società che gestisce le risorse idriche nella città e che, guarda caso, ha la sua sede nella Torre di Agbar...
LA TORRE AGBAR
La Torre Agbar dalla caratteristica forma di «supposta» o «proiettile» lanciato verso il cielo, da circa 3 anni è il punto più alto della città di Barcellona con suoi 144 metri di altezza ed è la sede dell'Azienda per la gestione dell'Acqua "Aigues de Barcelona". "Agbar" evoca sonorità arabeggianti, invece significa più semplicemente Agua de Barcelona. La Torre infatti doveva evocare l'acqua che sgorga... ma neanche tre anni dopo la sua inaugurazione Barcellona e la Catalogna devono affrontare una paurosa mancanza di acqua. Una volta c'era la Torre di Babele oggi c'è quella di Agbar.
Intanto il suo ideatore l'architetto francese Jean Nouvel ha vinto il Premio Pritzker 2008, massimo riconoscimento nel campo dell'architettura e il prossimo 2 giugno si appresta a riceverlo con tutta solennità a Washington. Nouvel partecipa al progetto per il World Trade Center, ma visto la sorte toccata a Barcellona forse a quelli di New York converrà pensarci bene...

NUOVO ORDINE SOCIALE IN CATALOGNA
In questi ultimi anni, la Regione Autonoma di Catalogna si è distinta per una politica dichiaratamente anti-famiglia, anti-vita e anti-cristiana:
- nel 1998 il Parlamento della Catalogna approva la prima legge sulle unioni omosessuali in Spagna, è l'unica che non vieta espressamente il ricorso alla fecondazione assistita alle coppie omosessuali. Questo significa che in Catalogna due lesbiche possono ricorrere alla inseminazione artificiale attraverso le strutture pubbliche;
- agosto 2004: il Municipio di Barcellona, per la prima volta in tutto il mondo, proclama che i cittadini, se vogliono, possono andare completamente nudi per le strade. Il sindaco afferma: "non vogliamo incentivare che la gente vada nuda per strada, ma semplicemente constatare un diritto";
- dal 2005 le coppie omosessuali possono adottare minori;
- ottobre 2006 scoppia lo scandalo delle cliniche abortiste di Barcellona, dove vengono effettuati aborti anche negli ultimi mesi di gestazione;
- ottobre 2006: la Catalogna ha aperto ufficialmente il dibattito sull'eutanasia. "Dovrebbero essere depenalizzati l'eutanasia e il suicidio assistito e stabiliti dei protocolli medici per la loro realizzazione", questa è la raccomandazione del Comitato Consultivo di Bioetica del Governo Catalano. Marina Geli, consigliera de Salud della Generalitat, ha assicurato che il processo di depenalizzazione dell'eutanasia proseguirà nei successivi quattro anni;
- dal 1 ottobre 2007 è possibile richiedere gratuitamente in farmacia, senza ricetta medica, la pillola cosiddetta "del giorno dopo", di cui fanno ampio uso le giovani e le adolescenti;
- gennaio 2007: la Generalitat di Catalogna (ovvero il sistema amministrativo-istituzionale per il governo autonomo della comunità autonoma della Catalogna) pubblica un manuale per battezzare, celebrare matrimoni e funerali con rito prettamente laico: il Manual de Ceremonial Civil. Il Manuale, ovviamente, critica la Chiesa e polemizza sul concetto di Dio;
- nel febbraio 2008 è stata approvata la "Legge dei Centri di Culto" che i giuristi cattolici hanno denunciato perché attenta alla libertà di culto, perché potrebbe portare, per esempio, alla proibizione di celebrare la Messa e di riunirsi per parlare di religione senza l'autorizzazione municipale;
- dall'aprile 2008 la Generalitat prepara una norma per dare piu' protezione giuridica ai medici che praticano l'interruzione di gravidanza oltre le 22 settimane fissate dalla legge spagnola, in caso d'accertamento tardivo di malformazione del feto. Essi potranno accedere al terzo requisito, quello che consente l'interruzione di gravidanza senza un termine quando ci sia un rischio grave per la salute fisica o psichica della madre.

Fonte: fonte non disponibile, 15 maggio 2008

5 - MAGDI ALLAM: UNA CONVERSIONE OLTRE LA LOGICA DELLE CATACOMBE

Autore: Giorgio Paolucci - Fonte: fonte non disponibile, 21/05/08

Quando Magdi Allam scrive un libro, fa sempre rumore. L’ha fatto con i numerosi saggi sul terrorismo islamico e le infiltrazioni dell’islam radicale in Italia, così come con la sua coraggiosa e provoca- toria dichiarazione di amicizia per lo Stato e il popolo d’Israele. Adesso è la volta di qualcosa che entra nelle pieghe dell’anima: in Grazie Gesù (Mondadori, pagine 192, euro 18) racconta la sua conversione dall’islam al cristianesimo, coronata nel battesimo ricevuto da Benedetto XVI il 22 aprile scorso.
  Come di consueto, non usa parole edulcorate e toni morbidi, va dritto con radicalità a quello che a suo giudizio è il cuore del problema: «Ho dovuto prendere atto che, al di là della contingenza che attualmente registra il sopravvento del fenomeno degli estremisti e del terrorismo islamico a livello mondiale, la radice del male è insita in un islam che è fisiologicamente violento e storicamente conflittuale ». E al tempo stesso denuncia la malattia mortale dell’Occidente, quel relativismo cognitivo ed etico che gli ha fatto dimenticare i principi di libertà e sacralità della vita che lo fondano. Fino ad autocensurarsi per paura della reazione dell’establishment musulmano.
  Al taglio netto con la tradizione in cui Allam è stato educato, si accompagna la scoperta e l’adesione a una nuova dimensione che è insieme valoriale ed esistenziale. Il suo primo incontro col cristianesimo risale all’infanzia, alla frequentazione delle scuole comboniane e salesiane al Cairo, e assume nel tempo i connotati di una domanda, di una provocazione interiore che si fa strada nel cuore e nella mente. La conversione non arriva come un colpo di fulmine conseguente a un evento traumatico, gioioso o triste che sia, non è una mera adesione razionale scaturita dalla lettura di testi sacri o da un confronto intellettuale.
  Viene presentata come il frutto maturo di un percorso fatto di conoscenza delle fonti, ma soprattutto di incontri umani, di amicizie con testimoni della fede cattolica, religiosi e laici, che hanno lasciato il segno, riaperto la domanda sul significato dell’esistenza e fatto intravedere la risposta. Fino all’incontro con Benedetto XVI nella basilica di San Pietro, dal quale riceve, durante la veglia pasquale, battesimo, comunione e cresima. Alle parole pronunciate in quell’occasione dal Pontefice, che rappresentano il fil rouge del libro, fanno da contrappunto le pagine dedicate alla contestazione teorica e pratica dell’islam e alla parallela scoperta di un cristianesimo fondato sul connubio tra fede e ragione, di cui il Papa viene considerato il più lucido alfiere.
  Molte sono state le voci critiche che si sono levate, anche in ambienti cattolici, nei confronti dell’enfasi mediatica data alla conversione di Magdi Cristiano Allam. Critiche che, colpendo il diretto interessato, inevitabilmente si indirizzano anche verso colui che (certamente a ragion veduta) ha deciso di battezzarlo in una sede e in una circostanza tanto «pubbliche». È evidente che un gesto così eclatante assume il sapore di una rottura con la logica delle catacombe a cui sono costretti migliaia di «cristiani venuti dall’islam» che hanno scelto una nuova vita e rischiano di perderla, spesso costretti a vivere in clandestinità e a dissimulare la loro nuova fede per timore di rappresaglie da parte di chi li considera apostati della vera religione.
  È un segnale forte anche dentro la Chiesa, perché riafferma in maniera inequivocabile che Gesù è una proposta per tutti e che il rispetto per ogni tradizione religiosa non può rappresentare un freno o un alibi all’evangelizzazione   erga omnes. Ancora: è una sfida in nome di quella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo di cui quest’anno si celebra – spesso retoricamente – il 60° anniversario. È un’iniezione di coraggio per chi è costretto a vivere nell’ombra, a tenere sotto il moggio la fiammella che dovrebbe ardere alla vista di tutti, senza che questo sia interpretato come una provocazione.
 Ed è, last but not least, un messaggio lanciato al mondo islamico dove i molti che anelano a una vera libertà fondata sulla sacralità della persona devono fare i conti con un potere religioso e politico che usa il Corano per la propria legittimazione. La radicale presa di distanza di Allam dalla religione islamica si accompagna così alla convinzione che «si possa e si debba dialogare con tutti i musulmani che condividono, senza se e senza ma, i diritti fondamentali della persona e perseguono il traguardo di una comune civiltà dell’uomo ».
"Per cinquantasei anni ho percepito me stesso come musulmano e, intorno a me, gli altri mi hanno individuato come un musulmano. A cinquantasei anni sono rinato da cristiano azzerando l'identità islamica, che ho consapevolmente e volutamente rinnegato. Dentro e fuori di me tutto cambierà. Nulla sarà più come prima...... Io sono un ex musulmano che ora, da cattolico, intende essere testimone di una verità storica e promotore del riscatto di valori e di un'identità senza cui l'Occidente, che affonda le sue radici nella fede e nella cultura giudaico-cristiana, non potrà affrancarsi e confrontarsi costruttivamente anche con i musulmani. Pur prendendo radicalmente e definitivamente le distanze dall'islam in quanto religione, sono assolutamente convinto che si possa e si debba dialogare con tutti i musulmani che, in partenza, condividono, senza se e senza ma, i diritti fondamentali della persona e perseguono il traguardo di una comune civiltà dell'uomo."
tratto da:
GRAZIE GESÙ di Magdi Cristiano Allam - Mondadori - 2008 - pp. 204 - € 18

Fonte: fonte non disponibile, 21/05/08

6 - UNA SOCIETÀ SEMPRE PIÙ FREDDA FATICA A TROVARE FELICITÀ
La corsa al successo e le relazioni interpersonali
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: fonte non disponibile, 18/05/08

Diversi interessanti studi economicosociologici (come quelli, per fare solo qualche esempio italiano, di studiosi come Bruni, Donati, Porta, Stanca e Zamagni) si sono di recente concentrati sull’importanza capitale per l’uomo dei 'beni relazionali', come il reciproco riconoscimento e rispetto tra le persone, l’amicizia, l’amore, ecc. Sempre più spesso gli economisti si interrogano sul cosiddetto 'paradosso della felicità', per cui si registra che, nelle nostre società, mentre il reddito medio procapite e la qualità della vita aumentano, invece il livello medio di felicità diminuisce o comunque non aumenta affatto.
  Infatti, i beni più preziosi sono quelli relazionali, dunque non è un caso che esistano dei bene-stanti (ricchi di beni materiali) che non li coltivano e perciò sono infelici; mentre alcuni indigenti, che invece li coltivano, sono più felici.
  L’impegno per accrescere il reddito e la produttività, quando danneggia o impedisce le relazioni interpersonali (togliendoci il tempo per coltivarle, rendendoci affaticati e stressati, ecc.), ci rende infelici.
  Stefano Bartolini (Università di Siena), ha da poco sintetizzato sul sito benecomune.net due ricerche (condotte insieme a Ennio Bilancini e Francesco Pugno), svolte su dati americani, ed ha mostrato anche empiricamente la molto probabile correlazione tra la felicità umana e la qualità delle relazioni interpersonali. Negli ultimi trent’anni negli Usa il reddito procapite è aumentato costantemente in modo rilevante, ma la felicità media è diminuita. Infatti, inizialmente la crescita del reddito ha fatto salire anche il tasso di felicità, ma questo incremento è stato annullato da tre fattori. Primo: l’aumento anche del reddito altrui non consente ad un soggetto di cambiare la propria posizione sociale. Secondo: è vero che questa crescita del reddito ha migliorato il benessere materiale, ma non ha reso più felice l’americano medio, perché è diminuita la fiducia nelle istituzioni. Terzo, e soprattutto: in questo periodo sono peggiorate le sue relazioni intersoggettive, è diventato più povero di rapporti interpersonali.
  Certo, il peggioramento della qualità delle relazioni dipende da diverse cause. Bartolini ne individua una rilevante nell’aumento delle ore lavorate dagli americani, che sottrae ai rapporti interpersonali tempo ed energie (chi si esaurisce sul lavoro intrattiene facilmente poche o cattive relazioni). Inoltre, tra le cause principali del deterioramento delle relazioni, gli studi che stiamo riferendo individuano la crisi del matrimonio.
  Perciò ci forniscono delle indicazioni molto importanti, non solo dal punto di vista personale, ma anche politico-sociale: 'dovremmo adottare una grande cautela nell’intraprendere politiche finalizzate ad una crescita economica ottenuta pagando il prezzo del degrado relazionale'. Il caso americano mostra come l’aumento di felicità legato alla prosperità economica possa essere dissipato e soverchiato 'se gli individui divengono sempre più diffidenti, più opportunisti, meno solidali, più soli, [se] hanno relazioni intime più difficili ed instabili'. Un ottimo motivo (insieme a tanti altri) per promuovere politiche di sostegno alla famiglia ed al matrimonio, che è il fondamento della società - come diceva, per esempio, già Aristotele - e dove si forgiano relazioni molto significative e gratificanti. Fondamento che (aggiungiamo noi, dati alla mano), nonostante la crisi, è più stabile delle altre forme di relazione.

 

Fonte: fonte non disponibile, 18/05/08

7 - LA REPUBBLICA, INTERVISTANDO UN TEOLOGO, INSEGNA AL PAPA A FARE IL PAPA
Hans Kung e le riforme della chiesa
Autore: Gianni Cardinale - Fonte: fonte non disponibile, 23/05/08

Ieri il teologo svizzero Hans Küng ha fatto conoscere, tramite una lunga intervista su 'Repubblica', la sua delusione nei confronti dell’attuale pontefice che, tra l’altro, non avrebbe fatto le riforme necessarie per la Chiesa . Ma è proprio così? Benedetto XVI appena insediato sul soglio di Pietro ha riformato le cerimonie di beatificazione e canonizzazione, nel senso che le prime vengono ora celebrate nelle diocesi di appartenenza dei nuovi beati e da un cardinale demandato all’incarico dal Papa (di norma dal prefetto del cardinale dell’apposito dicastero pontificio), mentre le seconde rimangono riservate al Papa.
  Questa piccola ma significativa riforma implica una maggiore valorizzazione delle Chiese locali, rende più evidente che l’infallibilità pontificia non riguarda le beatificazioni, ma - secondo l’opinione teologica prevalente - le sole canonizzazioni, e - perché no - evita anche tentazioni di natura affaristica. Un altro punto in cui il Papa ha impresso una marcia in più è stato nel contrasto del fenomeno degli abusi sessuali da parte di persone consacrate. E i bene informati sanno come in questa linea particolarmente intransigente il Papa abbia dovuto superare le obiezioni 'garantiste' che pure non erano mancate nella Curia romana. A proposito della quale poi, in tre anni di pontificato papa Ratzinger ha cambiato i vertici della Segreteria di Stato, 4 prefetti e 4 segretari (su 9) di Congregazione, 4 presidenti (su 11) dei Pontifici Consigli. E lo ha fatto senza privilegiare, come avveniva in passato, personalità provenienti dalla carriera diplomatica (e questo dovrebbe essere particolarmente apprezzato dai pensatori alla Küng…), e garantendo una pluralità di sensibilità (tanto che in Curia oggi si possono contare figli spirituali del cardinal Siri, ma anche di padre Turoldo…). Certo non c’è stata quella riforma complessiva della Curia romana che qualcuno, soprattutto i media e non si sa con quanto fondamento reale, si aspettava. Ma forse papa Benedetto XVI non ha puntato molto il suo pontificato su massive 'riforme istituzionali', in fondo c’erano già state con Paolo VI e Giovanni Paolo II, ma sulla trasmissione dell’essenziale dei contenuti della fede cristiana attraverso i documenti solenni come le encicliche sulla carità e sulla speranza, informali come il libro su «Gesù di Nazaret », senza contare le catechesi del mercoledì e le omelie più solenni (anche se forse gli interventi più efficaci del Papa sono stati quelli in cui sollecitato dalle domande di giovani, seminaristi o sacerdoti, ha risposto 'a braccio'). Benedetto XVI poi ha reintrodotto la regola obbligatoria dei due terzi per l’elezione del Papa e ha innovato i regolamenti del Sinodo introducendo il dibattito. E ha proseguito il dialogo ecumenico e quello interreligioso, sempre avendo l’ermeneutica della continuità come griglia interpretativa del Concilio Vaticano. In questo senso ha emesso il 'motu proprio' che ha liberalizzato l’uso del messale pre-conciliare, ma allo stesso tempo ha detto chiaramente ai lefebvriani che sulla questione della libertà religiosa e del dialogo ecumenico e religioso, appunto, non si torna indietro. Certo, Benedetto XVI non ha fatto le riforme che piacerebbero a Küng e a chi la pensa come lui: ad esempio non ha abolito il celibato sacerdotale, non ha cambiato la dottrina morale cattolica tradizionale espressa dall’«Humanae vitae», e neanche le norme che regolano le nomine dei vescovi. Ma è difficile pensare che i cardinali che hanno eletto, rapidamente e per i cattolici - con l’assistenza dello Spirito Santo, Ratzinger, pensassero che queste riforme fossero necessarie per la Chiesa . È lecito poi dubitare che siano avvertite come tali dalla stragrande maggioranza dei fedeli che partecipano abitualmente alla santa messa o dei fedeli che conservano un legame, seppur flebile, con la Chiesa in cui sono stati battezzati. E soprattutto, è proprio sicuro Küng che queste riforme siano proprio quello che il buon Gesù vuole dalla Sua Chiesa ?

Fonte: fonte non disponibile, 23/05/08

8 - SOSTENERE LA FAMIGLIA FONDATA SUL MATRIMONIO TRA UN UOMO E UNA DONNA NON DISCRIMINA NESSUNO
Coppie omosex , la discriminazione che non c’è.
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: fonte non disponibile, 23/05/08

«Una coppia omosessuale non è tutelata dallo Stato, sebbene paghi le tasse»: è una delle tante reazioni alla decisione del ministro Carfagna di non concedere il patrocinio del Governo al Gay Pride che si terrà prossimamente. In altri termini, ciò che (alcuni) rivendicano è l’istituzione per gli omosessuali del matrimonio o di forme di simil matrimonio (come i Pacs francesi o i defunti Dico e Cus italiani, proposti nella scorsa legislatura). La mancanza di questi istituti costituirebbe una discriminazione.
  Bisogna però replicare che una cosa sono i diritti del singolo in quanto tale, un’altra cosa i diritti delle coppie in quanto coppie.
  Al primo tipo di diritti appartengono il diritto alla vita, alla libertà, alla proprietà, alla sicurezza, quello di espressione, di associazione, di intrapresa, quello di voto, ecc. Questo primo tipo di diritti deve essere tassativamente garantito dallo Stato ad ogni persona, senza alcuna esclusione.
  Quindi sia agli omosessuali, sia ai non omosessuali, senza la minima distinzione.
 Al secondo tipo di diritti appartengono, per esempio, il diritto alla pensione di reversibilità, l’accesso alle case popolari, la possibilità di ereditare, ecc.
  Ora, perché lo Stato concede alle coppie sposate questi diritti? La ragione è semplice: si tratta di realizzare una minima compensazione al contributo che le coppie sposate forniscono alla società.
  E qual è il primo e principale contributo al bene comune di una società? Esso consiste nella procreazione-cura dei figli, senza cui una società si estingue, e nell’educazione dei nuovi esseri umani, senza cui la società rischia l’hobbesiana guerra di tutti contro tutti. In altri termini, la protezione giuridica di un rapporto di coppia non scaturisce dal vissuto soggettivo dei membri della coppia stessa, ma è legata al suo valore sociale. Se dunque lo Stato concedesse alle coppie omosessuali gli stessi (o quasi) diritti dei coniugi, realizzerebbe un atto a senso unico: concederebbe a queste coppie dei benefici, senza la contropartita che invece riceve dai coniugi, che sarebbero i veri discriminati se venisse istituito il matrimonio omosessuale.
  Peraltro, come Avvenire ha spiegato per mesi, buona parte dei diritti rivendicati da coppie conviventi e omosessuali è già garantita dal nostro ordinamento: per esempio, ognuno può fare testamento nei riguardi di chiunque, limitatamente alla quota disponibile; così come chiunque può subentrare nel contratto di locazione, purché abbia anche egli stipulato il contratto stesso con il proprietario e comunque la giurisprudenza ha stabilito che il convivente abbia diritto al subentro; similmente, ognuno può decidere da chi farsi venire a trovare in ospedale (se qualche medico e/o infermiere lo impedisce, il problema non è legislativo, ma legato ad una prevaricazione particolare, che richiede un intervento sul caso concreto), ecc. Le eventuali lacune si possono colmare di nuovo a livello privatistico, istituendo dei diritti dei singoli, non delle coppie. E, come si vede, questi (brevi) ragionamenti sono puramente laici.

Fonte: fonte non disponibile, 23/05/08

9 - LA LITURGIA NELLA CHIESA CATTOLICA: TRADIZIONE SENZA CONTESTAZIONE
Il cardinale a capo della Pontificia commissione ''Ecclesia Dei'' spiega perché il Motu proprio di Benedetto XVI è una grande ricchezza spirituale per tutta la Chiesa
Autore: Vittoria Prisciandaro - Fonte: fonte non disponibile, maggio 2008

Sua Eminenza è soddisfatto. Il telefono dell’ufficio a piano terra, nel palazzo dell’ex sant’Uffizio, vive una nuova vita. E sulle scrivanie si accumula corrispondenza da tutto il mondo. Dopo la promulgazione del Motu proprio, la Pontificia commissione "Ecclesia Dei" è infatti diventata un anello importante nell’organigramma vaticano. «Adesso ho il doppio del lavoro che avevo alla Congregazione del clero», confida il cardinale Dario Castrillon Hoyos, colombiano, 79 anni, sostenitore caloroso del ritorno a casa dei lefebvriani e dal 2000 presidente della Commissione. Nata per gestire i rapporti con la Fraternità San Pio X e i gruppi che gravitano nella galassia tradizionalista, oggi "Ecclesia Dei" è diventata un interlocutore inevitabile di diocesi e parrocchie per le controversie relative all’applicazione del rito straordinario.
Eminenza, a pochi mesi dalla promulgazione del Motu proprio, quale bilancio trae?
«Con il Motu proprio il Papa ha voluto donare a tutti una rinnovata opportunità di usufruire dell’enorme ricchezza spirituale, religiosa e culturale presente nella liturgia del rito gregoriano. Il Motu proprio nasce come tesoro offerto a tutti, non in primo luogo per venire incontro a lamentale e richieste di qualcuno. Non pochi di quelli che prima non erano coinvolti in questa forma straordinaria del rito romano ora ne manifestano una grande stima. Tra i fedeli distinguerei tre gruppi: coloro che sono vincolati in forma quasi organica con la Fraternità San Pio X; quelli della Fraternità San Pietro e, infine, il gruppo più importante e numeroso, formato da persone affezionate alla cultura religiosa di tutti i tempi, che oggi scoprono l’intensità spirituale del rito antico e, tra questi, numerosi giovani. In questi mesi sono nate nuove associazioni di persone appartenenti a quest’ultimo gruppo».
A proposito della ricchezza, alcuni liturgisti sottolineano il fatto che il rito straordinario non offre la ricchezza biblica introdotta dal novus ordo...
«Costoro non hanno letto il Motu proprio, perché il Papa afferma che le due forme si devono arricchire mutuamente. Ed è evidente che tale ricchezza liturgica non va sprecata. Nel novus ordo con gli anni si legge praticamente tutta la Bibbia, e questa è una ricchezza che non si oppone, ma va integrata nel rito straordinario».
Un’altra obiezione è sul pericolo che celebrazioni separate e diverse possano creare comunità separate...
«È una molteplicità che arricchisce, è una più ampia libertà culturale che il Papa introduce in una forma audace. Del resto nelle parrocchie ci sono molte differenze nelle celebrazioni, e non voglio parlare degli abusi, perché non sono gli abusi la ragione principale del Motu proprio».
Il suo segretario, monsignor Camille Perl, ha annunciato che a breve ci sarà un documento di chiarimento sul Motu proprio. Quando uscirà?
«È stato il cardinale Bertone ad annunciarlo, e ha il diritto a farlo. Ma io, che sono un servitore del Papa, lo annuncerò solo quando lo dirà il Papa. La nostra Commissione ha riferito al Pontefice che da ogni parte del mondo arrivano tante domande, moltissime giustificate, altre dovute a mancanza di conoscenza. Il Santo Padre, e solo lui, dirà se conviene fare un tale documento e quando».
Quali sono le domande che vi sono arrivate e che meriterebbero una risposta?
«La prima riguarda il latino, perché – dicono – celebrare in una lingua che non si conosce non è conveniente. Purtroppo i seminaristi, ma anche alcuni sacerdoti, non lo hanno studiato e quindi per loro è difficile celebrare nella forma straordinaria. Per farlo dovrebbero almeno conoscere il canone della Messa, la parte della consacrazione. Noi in "Ecclesia Dei" ci stiamo attrezzando e stiamo preparando incontri, corsi e comunicazione informatica per una profonda conoscenza della liturgia anteriore. Alcuni corsi già sono attivi in Francia, Germania, in Brasile, in America centrale e negli Stati Uniti. A Toledo, in Spagna, per esempio, si sta valutando se conviene fare un seminario extra per la preparazione al rito straordinario o dare corsi speciali nel seminario della diocesi. In generale si nota un interesse di ritorno per il latino nel mondo accademico. È stato triste in questi anni constatare l’abbandono non solo della lingua, ma anche di certi contenuti teologici collegati alla precisione semantica della lingua latina».
Altro problema è la carenza di preti...
«Se in una diocesi mancano sacerdoti e solo tre o quattro fedeli chiedono il rito straordinario, è una cosa di buon senso pensare che sia difficile soddisfare questa domanda. Però, poiché l’intenzione, la mens, del Papa è concedere questo tesoro per il bene della Chiesa, laddove non ci sono sacerdoti la cosa migliore sarebbe offrire una celebrazione secondo il rito straordinario in una delle Messe domenicali parrocchiali. Sarebbe una Messa per tutti, e tutti, anche le giovani generazioni, usufruirebbero della ricchezza del rito straordinario, per esempio di quei momenti di contemplazione che nel novus ordo sono spariti».
Quindi lei sostiene che, se pure non c’è un gruppo consistente e stabile, in futuro si pensa di offrire una delle Messe domenicali nel rito straordinario?
«Riterrei di sì. D’altra parte questa possibilità era già stata approvata all’unanimità nel 1986 da una commissione cardinalizia nella quale era presente anche il cardinale Ratzinger, ma allora non era diventata operativa. Adesso sarei sicuro che potrebbe realizzarsi».
Un altro punto da chiarire è la definizione di "gruppo stabile e consistente". Cosa si intende esattamente?
«È una questione di buon senso: perché fare un problema se le persone che chiedono il rito vengono da parrocchie diverse? Se si riuniscono e insieme chiedono una Messa, diventano gruppo stabile, anche se prima non si conoscevano. Anche il numero è una questione di buona volontà. In alcune parrocchie, specialmente di campagna, nei giorni feriali le persone che partecipano alla Messa ordinaria sono tre o quattro e lo stesso avviene in non poche case religiose. Perché se quelle stesse tre persone chiedono la Messa antica sarebbe pastoralmente necessario rifiutarla?».
Quindi il futuro documento dovrebbe essere più accogliente delle richieste dei pochi?
«Sì, ma bisogna intenderlo non come qualcosa che va a scapito degli altri, della maggioranza, ma per il loro arricchimento e sempre evitando ogni pur minima forma di contrapposizione».
C’è poi il problema dei sacramenti: penso al rito dell’Ordinazione o a quello della Cresima, che fa riferimento a un codice di diritto canonico diverso e usa formule diverse...
«Certamente a prima vista ci sono alcuni problemi con riguardo all’Ordine sacro, alla Cresima e anche concernenti alla diversità di calendario. Quanto all’Ordine sacro nella forma antica c’erano la tonsura, gli ordini minori e il suddiaconato. Questa forma è ancora in uso e continuerà a esserlo negli Istituti vincolati stabilmente al rito antico, come la Fraternità San Pietro, la Fraternità San Pio X e altri Istituti. Sulla Cresima, prima ancora del Motu proprio, la Congregazione per la dottrina della fede aveva già chiarito che non c’è un conflitto tra le due formule, dato che anche la formula nuova come l’antica godono di validità e lo stesso si dica per gli altri sacramenti dove la formula è diversa. Con riguardo ai calendari che non sempre coincidono, si presentano effettivamente dei problemi come nel caso delle feste dei patroni di una parrocchia, dei santuari, di congregazioni e istituti religiosi, ecc. Con prudenza e buon senso si faranno gli accomodamenti necessari e anche di questo si occupa la Pontificia commissione "Ecclesia Dei"».
Che tempi prevede per la riconciliazione con la Fraternità San Pio X?
«Ci sono segnali positivi, c’è un dialogo non interrotto. Ancora qualche giorno fa ho scritto una nuova lettera a monsignor Fellay, superiore della Fraternità, come risposta a una sua precedente. Oltre agli incontri e alla corrispondenza, ci sentiamo anche al telefono. Ritengo viabile la riconciliazione con la Fraternità San Pio X perché, come spesso abbiamo detto a "Ecclesia Dei", non si tratta di un vero scisma ma di una situazione anomala nata dopo l’"azione scismatica" di monsignor Lefebvre nel conferire l’episcopato senza mandato pontificio, anzi contro la volontà espressa del Papa. Nel mio cuore ho la grande fiducia che il Santo Padre riuscirà a ricucire il tessuto della Chiesa con l’arrivo di questi fratelli alla piena comunione. Rimarranno sempre alcune differenze, come sempre abbiamo avuto nella storia della Chiesa».
Ma con i lefevbriani c’è anche un problema di accettazione del dialogo ecumenico...
«Sì, in effetti ci sono difficoltà con l’interpretazione di testi del Concilio al riguardo e con alcune concrete prassi ecumeniche, ma nessun vescovo della Fraternità di San Pio X dirà che non bisogna cercare l’unità dei cristiani».
Dopo il Motu proprio qualcuno della Fraternità San Pio X è tornato in comunione con la Chiesa di Roma?
«Sì, e altri hanno volontà di farlo. Ma io ho la speranza che venga l’intero gruppo, non vorrei che si dividessero. Se però arriva il singolo e dice che vuole fare subito l’unità con il Papa, lo si deve accettare. Il Motu proprio ha fatto avvicinare anche altre persone. Per esempio, il 28 marzo scorso, ho ricevuto la lettera di un vescovo non cattolico, che ha deciso di entrare nella Chiesa cattolica con altri vescovi e preti che celebrano la Messa tridentina».
I nuovi poteri di "Ecclesia Dei" non entrano in conflitto con il ministero dei vescovi?
«Il Papa, che ha l’autorità su tutta la Chiesa, su ognuno dei fedeli e dei vescovi, ha stabilito le nuove norme nel Motu proprio, e la Pontificia commissione è solo uno strumento al servizio del Vicario di Cristo perché venga realizzata la sua decisione. "Ecclesia Dei" è attenta all’applicazione del Motu proprio in fraterna armonia, comprensione e collaborazione con i vescovi. Sono da evitare attitudini di contrasto con i pastori da parte di persone, gruppi o istituzioni a motivo del Motu proprio. Certamente i pastori, in obbedienza al Papa, avranno comprensione per quei fedeli che hanno un amore speciale per la tradizione liturgica. Con i vescovi che si sono messi in contatto con noi ho trovato sempre comprensione».
Nell’introduzione alla ristampa del Compendio di Liturgia pratica di Trimeloni, lei scrive che il Papa si avvale della Pontificia commissione "Ecclesia Dei" perché nella diversità delle forme cultuali possa risplendere la ricchezza dei tesori di fede e spiritualità della Sposa di Cristo. In cosa consiste la differenza tra la liturgia di Giovanni XXIII e quella riformata da Paolo VI?
«Papa Giovanni ha incorporato anche la liturgia nel suo desiderio di dialogo della Chiesa con la cultura contemporanea. Paolo VI ha dato organicità alle riforme nate da questo desiderio. Lo Spirito Santo, che sempre accompagna la Chiesa, ispira i cambiamenti necessari in ogni momento della storia, senza rottura violenta del processo di perfezionamento che Egli stesso ha ispirato nel decorso storico. Benedetto XVI, con questo Motu proprio, accomuna le ricchezze dei due momenti del processo, sanando anche, così, il disagio di quanti hanno creduto che nel campo liturgico c’era stata una rottura inaccettabile».
Dopo la riformulazione della preghiera del Venerdì Santo si è detto che si tornava indietro di 40 anni nel dialogo ebraico-cristiano. Si aspettava queste critiche?
«Non è cosa buona pregare per i nostri fratelli figli di Abramo? Abramo è padre della fede, ma in una catena salvifica nella quale si aspetta il Messia. E il Messia è arrivato. Negli Atti degli apostoli leggiamo che, in un giorno, si sono convertiti 5 mila ebrei. Non contesto la preghiera del novus ordo, ma considero perfetta quella attuale del rito straordinario. E prego volentieri per la conversione dei miei tanti amici ebrei, perché credo veramente che Gesù è figlio di Dio e il Salvatore di tutti».

Fonte: fonte non disponibile, maggio 2008

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