ELEZIONI AMERICANE 2010: JOHN BOEHNER, CATTOLICO PRO-LIFE DELL'OHIO, SCALZA NANCY PELOSI COME NUOVO SPEAKER (PRESIDENTE) DELLA CAMERA
Finalmente un cattolico degno di questo nome nelle stanze dei bottoni della politica
Autore: Gianni Cardinale - Fonte: Avvenire
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ELEZIONI AMERICANE 2010: I RISULTATI DEI VARI REFERENDUM
No alla marijuana libera (California); no all'applicazione della sharia nei tribunali (Oklahoma); no a una agenzia per interagire con gli Ufo (Colorado)
Autore: Lucia Capuzzi - Fonte: Avvenire
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LO SPOT VIETATO NEGLI USA: VI MOSTRIAMO IL VIDEO CHE SMASCHERA GLI EFFETTI DEVASTANTI DEL DEBITO PUBBLICO DELLE POLITICHE STATALISTE
Se colui che ruba è vestito male, si chiama ladro; se è vestito bene, si chiama governo
Autore: Mauro Meneghini - Fonte: Movimento Libertario
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IL GOVERNO ITALIANO APPROVA LA CANCELLAZIONE DELLA DIFFERENZIAZIONE TRA FIGLI ILLEGITTIMI E FIGLI LEGITTIMI
Tutto ok? No di certo: si pone fine ad una disparità di trattamento, ma se ne crea un'altra, ben più grave (dimenticando quindi il diritto naturale)
Fonte: Corrispondenza Romana
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IN INGHILTERRA SUI CERTIFICATI DI NASCITA AL POSTO DI PADRE E MADRE SI TROVERA' SCRITTO GENITORE
Via libera agli pseudo diritti degli omosessuali (dimenticando i veri diritti dei bambini)
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: Il Sussidiario
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PIO XII: STAVOLTA E' OTTIMA LA FICTION DELLA RAI
Per essere beato la Chiesa è pronta, manca solo la conferma del Cielo
Autore: Vittorio Messori - Fonte: Corriere della Sera
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POCO PRIMA DELLE ELEZIONI BRASILIANE BENEDETTO XVI AVEVA RICORDATO I PRINCIPI NON NEGOZIABILI (MA E' STATA ELETTA LO STESSO L'EREDE POLITICA DI LULA)
In questo senso si può dire che la Chiesa si occupa di politica (e che è obbligata a farlo!)
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur
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PARLIAMO DI SESSO E DI PIACERE
E ormai che ci siamo anche di Paradiso
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
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LO SCANDALO PRINCIPALE DELLA LEGGE SULL'ABORTO NON E' LA PERDITA DI VITE UMANE INNOCENTI MA IL PERVERTIMENTO DELLE COSCIENZE
Anche se il numero degli aborti fosse vicino allo zero, avremmo comunque l'obbligo di combattere le leggi in contrasto con l'ordine morale naturale inscritto nel cuore di ogni uomo
Fonte: Corrispondenza Romana
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LA POSIZIONE DEI CATTOLICI A PROPOSITO DI IMMIGRAZIONE
Intervista a Massimo Introvigne
Autore: Emanuele Pozzolo - Fonte: La Padania
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BENEDETTO XVI PRESIEDE A BARCELLONA LA DEDICAZIONE DELLA SAGRADA FAMILIA, ELEVATA AL RANGO DI BASILICA MINORE
Dopo 128 anni dall'inizio dei lavori dell'architetto Antoni Gaudí, di cui è in corso la causa di beatificazione, viene ufficialmente riconosciuto l'equilibrio fra fede ed arte
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur
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OMELIA PER LA XXXIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 21,5-19)
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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ELEZIONI AMERICANE 2010: JOHN BOEHNER, CATTOLICO PRO-LIFE DELL'OHIO, SCALZA NANCY PELOSI COME NUOVO SPEAKER (PRESIDENTE) DELLA CAMERA
Finalmente un cattolico degno di questo nome nelle stanze dei bottoni della politica
Autore: Gianni Cardinale - Fonte: Avvenire, 4 novembre 2010
John Boehner, 60nne congressman dell’Ohio rieletto per la decima volta nel suo collegio, sarà il primo speaker (presidente) della Camera dei rappresentanti cattolico e repubblicano. Nel recente passato infatti altri quattro cattolici, ma tutti del partito democratico, avevano occupato la terza carica dello Stato federale. E cioè: John W. McCormack (1962-1971), Tip O’Neill (1977-1987), Tom Foley (1989-1995) e Nancy Pelosi, che occupa lo scranno dal 2007 e verrà sostituita da Boehner il prossimo gennaio. Ex allievo della Xavier University dei gesuiti di Cincinnati, secondo di 12 figli, Boenher è considerato un fervente pro-life, tanto che quest’anno è stato insignito dell’Henry J. Hyde Defender of Life Award, promosso dall’associazione Americans United for Life proprio per il suo impegno a impedire il finanziamento pubblico degli aborti. E in questo segna una rottura rispetto alla Pelosi, che per la sua attività parlamentare a favore del diritto d’aborto è stata più volte criticata da alti esponenti della Chiesa cattolica Usa. Il 18 febbraio 2009 dopo che la Pelosi incontrò «brevemente» Benedetto XVI al termine dell’udienza generale, un insolito Comunicato della Sala Stampa vaticana, interamente ripreso dall’Osservatore Romano, puntualizzò che il Papa nel colloquio aveva ricordato che la legge naturale e il costante insegnamento della Chiesa «impongono a tutti i cattolici, e specialmente ai legislatori» di cooperare «per promuovere un ordinamento giuridico giusto, inteso a proteggere la vita umana in ogni suo momento».
Fonte: Avvenire, 4 novembre 2010
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ELEZIONI AMERICANE 2010: I RISULTATI DEI VARI REFERENDUM
No alla marijuana libera (California); no all'applicazione della sharia nei tribunali (Oklahoma); no a una agenzia per interagire con gli Ufo (Colorado)
Autore: Lucia Capuzzi - Fonte: Avvenire, 4 novembre 2010
No alla marijuana libera. Lo hanno deciso i californiani che – col 56 per cento dei voti contrari – hanno bocciato la “Proposition 19”, il più famoso dei 160 referendum locali su cui gli americani sono stati chiamati a esprimersi in corrispondenza delle elezioni di Midterm. Nello Stato, la sostanza è già legalizzata per motivi medici. Il quesito respinto ne proponeva la completa liberalizzazione – sia dell’utilizzo sia della coltivazione –, con tanto di regolari imposte versate all’erario. Contro la mozione si era schierato un ampio fronte bipartisan, formato da tutti i candidati locali – democratici e repubblicani – e dalla stessa Casa Bianca. Alla fine, il progetto è stato bocciato. La sconfitta non ha, però, scoraggiato i promotori che hanno promesso di riprovarci nel 2012. I californiani hanno detto no anche alla “Proposition 23”, sostenuta dai giganti del petrolio. Il referendum voleva abolire i limiti alle emissioni inquinanti fissati nel 2006 su iniziativa del governatore Schwarzenegger. Una reazione – quella dell’ex star di Hollywood – di fronte all’inerzia dell’allora presidente Bush sul problema del riscaldamento globale. Ora che il governatore è debole, la lobby degli industriali è tornata all’attacco. La proposta prevedeva di accantonare le limitazioni fino a quando il tasso di disoccupazione, ora sopra il 12 per cento, non fosse stato ridotto di cinque punti. Le ingenti risorse investite per la campagna, non sono state sufficienti a convincere il 59 per cento dei californiani. Che ha respinto il progetto. Altro “referendum rovente” – stavolta approvato – quello che proponeva di inserire nella Costituzione dell’Oklahoma il divieto per i tribunali di far ricorso alla “sharia” (la legge basata sul Corano). Il 70 per cento degli elettori ha votato sì, con estremo disappunto della comunità islamica locale. Per quest’ultima, non c’era alcuna necessità di vietare qualcosa di cui nessuno aveva mai pensato di avvalersi. Cassata, a Washington, l’idea di una tassa per i “super-ricchi”, sostenuta dal multimi-liardario Bill Gates. Come pure il più assurdo dei quesiti: quello di costituire un’agenzia per interagire con gli Ufo in Colorado. Gli elettori hanno ritenuto che non fosse necessaria.
Fonte: Avvenire, 4 novembre 2010
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LO SPOT VIETATO NEGLI USA: VI MOSTRIAMO IL VIDEO CHE SMASCHERA GLI EFFETTI DEVASTANTI DEL DEBITO PUBBLICO DELLE POLITICHE STATALISTE
Se colui che ruba è vestito male, si chiama ladro; se è vestito bene, si chiama governo
Autore: Mauro Meneghini - Fonte: Movimento Libertario, 5 Novembre 2010
Un nuovo spot pubblicitario sul debito pubblico statunitense del gruppo “Cittadini contro il debito pubblico” che le grandi reti televisive ABC, A&E e History Channel si sono rifiutate di trasmettere. Lo spot è un omaggio al film del 1986 “The Deficit Trials” che le reti televisive, anche allora, si rifiutarono di trasmettere. Probabilmente si tratta di argomenti troppo scottanti per queste reti televisive. Ma forse è giunto il momento di raccontare la verità al popolo americano. Nel 1986 il debito pubblico era di 2 bilioni di USD. Oggi ha raggiunto a passi da gigante i 14 bilioni. Il sogno americano si infrange davanti ai nostri occhi, ma le reti televisive, probabilmente, non sono disposte a spiegare al loro pubblico cosa gli sta succedendo. La verità è che sotto nessun aspetto questo filmato si può considerare offensivo. Lo spot è ambientato nell’anno 2030 e il protagonista è un professore cinese che tiene una lezione sui grandi imperi, mentre sullo sfondo scorrono le immagini degli Stati Uniti d’America, spiega ai suoi studenti l’atteggiamento dei grandi imperi: “Hanno tutti compiuto lo stesso errore. Si sono scostati dai loro principi fondanti che li hanno resi grandi. L’America cercò di uscire dalla recessione aumentando le spese e le tasse. Giganteschi “provvedimenti congiunturali”- spese, cambiamenti nel sistema sanitario, la soprafazione alla libera imprenditoria e debiti pressanti” Probabilmente è quello che viene dopo quando il professore dice: “Naturalmente noi possedevamo la maggior parte del loro debito così che ora lavorano per noi”. Ora potete ritenere questa pubblicità offensiva? Qui a seguito lo spot e tirate le vostre conclusioni. Certamente questa pubblicità chiarisce un paio di concetti. Di mese in mese decine di migliaia di posti di lavoro e miliardi di dollari vengono trasferiti in China. Nel 1985 il deficit della bilancia commerciale americana con la China era di 6 milioni di dollari all’anno. Solo in agosto di quest’anno il deficit commerciale americano è stato di oltre 28 miliardi. Il governo cinese ha un avanzo commerciale talmente elevato, nell’ordine di centinaia di miliardi di dollari, che i funzionari governativi americani sono permanentemente in viaggio verso la China per farsi prestare sempre più soldi per permettergli di continuare a vivere oltre le loro possibilità. Ma il debitore prima o poi cade nelle maglie del creditore e gli americani saranno presto nelle mani dei cinesi. Ma non è detto che debba essere per forza così. Non dobbiamo fondere l’economia americana in un’economia unica mondiale, dove si confrontano operai americani con milioni di operai cinesi, che guadagnano meno di 1 dollaro all’ora, e non ha senso metterli in concorrenza. Fabbriche, patrimoni e posti di lavoro abbandonano l’America con incredibile velocità. Dal 2001 sono state chiuse 42.400 fabbriche americane. In America si vive una deindustrializzazione ma il triste è che questo non viene ritenuto un problema dagli americani. Alla fine del 2009 lavoravano meno di 12 milioni di americani nel settore produttivo. L’ultima volta che nell’industria vi erano meno di 12 milioni di occupati era il 1941. Per ogni dollaro, che i cinesi spendono per beni o servizi americani, gli stati Uniti ne spendono 3,9 per beni o servizi cinesi. Dopo questi presupposti non riesco a spiegarmi perché le reti televisive si rifiutino di trasmettere questo filmato. Vogliamo provare a farlo noi?
Per il filmato clicca qui sotto: http://www.youtube.com/watch?v=OTSQozWP-rM
Fonte: Movimento Libertario, 5 Novembre 2010
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IL GOVERNO ITALIANO APPROVA LA CANCELLAZIONE DELLA DIFFERENZIAZIONE TRA FIGLI ILLEGITTIMI E FIGLI LEGITTIMI
Tutto ok? No di certo: si pone fine ad una disparità di trattamento, ma se ne crea un'altra, ben più grave (dimenticando quindi il diritto naturale)
Fonte Corrispondenza Romana, 6/11/2010
Il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge con delega al governo per la revisione della normativa in materia di filiazione. Con tale modifica viene cancellata ogni differenziazione tra figli nati all’interno del matrimonio e figli nati fuori dal matrimonio: in sostanza, tutti i figli acquisiscono il medesimo status giuridico. Inoltre, all’interno del progetto di legge vi sono modifiche sulla potestà dei genitori e viene sancito il diritto del figlio ad essere ascoltato sulle scelte che riguarderanno il suo futuro. Inizialmente, era stato proposto, oltre al diritto ad essere assistito moralmente, anche il diritto ad essere amato, ma il CdM non lo ha ritenuto esigibile dal punto di vista giuridico. Il sottosegretario alle politiche per la famiglia, Giovanardi, ha definito tale provvedimento una svolta epocale, mentre per il ministro per le Pari Opportunità, Carfagna, esso cancella un’odiosa e anacronistica discriminazione. In realtà, la parificazione dei diritti tra figli legittimi e illegittimi non fa altro che assestare un ennesimo colpo alla famiglia fondata sul matrimonio che viene considerata alla pari di una qualsiasi altra forma di relazione (convivenze, unioni di fatto ecc). Inoltre, la giusta discriminazione tra figli nati fuori e dentro il matrimonio mirava a proteggere i minori dalla condotta immorale degli adulti; con tale modifica normativa, invece, vengono incentivati l’adulterio, il concubinaggio ed altre forme illecite di relazione che minano alla base la stabilità dell’unione coniugale (vero ed unico diritto di cui i figli dovrebbero beneficiare) e quindi la stabilità della società stessa. È davvero curioso come i paladini dei “diritti per tutti” ignorino o fingano di ignorare una chiarissima evidenza logica e cioè che è impossibile non discriminare; infatti, nel momento in cui il legislatore si erge a giudice della moralità scalzando le regole universali del diritto naturale a tutela della sana convivenza civile, si pone egli stesso come ente morale di riferimento. In tal modo, egli non fa altro che imporre del tutto arbitrariamente la propria visione dell’esistenza umana, giungendo infine a discriminare coloro i quali ad essa si oppongono. Nel caso in questione, la cancellazione della differenziazione tra figli illegittimi e figli legittimi (fondata sul diritto naturale) pone si fine ad una disparità di trattamento, ma ne crea un’altra, ben più grave e gravida di nefaste conseguenze. Tutte le leggi inique, come ad esempio l’aborto ed il divorzio, sono nate dalla falsa necessità di non imporre dei criteri morali validi per tutti ed hanno finito per seminare morte e infelicità; inoltre, ciò che si voleva evitare (la discriminazione sociale) è stato prodotto in misura maggiore con la distinzione tra cittadini di serie A e cittadini di serie B, in cui quest’ultimi non hanno voce e sono totalmente privi di diritti (solo in Italia quasi 400 bambini ogni giorno vengono assassinati con l’aborto di Stato). In altre parole, la tendenza della società ad appiattire le differenze e ad annullare le diversità produce altre differenze ed altre diversità, ben più gravi delle precedenti. Il problema resta più che mai quello della frattura tra la classe politica del Paese, sensibile alle “mode” culturali più che alla legge naturale e morale, e la popolazione che sperimenta sulla propria pelle le infelici scelte dei propri rappresentanti.
Fonte: Corrispondenza Romana, 6/11/2010
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IN INGHILTERRA SUI CERTIFICATI DI NASCITA AL POSTO DI PADRE E MADRE SI TROVERA' SCRITTO GENITORE
Via libera agli pseudo diritti degli omosessuali (dimenticando i veri diritti dei bambini)
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: Il Sussidiario, Lunedì 27 settembre 2010
Nel 1837, l’anno in cui salì al trono la regina Vittoria, furono introdotte, in tutto il Regno Unito, ferree disposizioni sulla compilazione dei certificati di nascita. Persino il tipo di inchiostro indelebile da utilizzare fu oggetto di specifiche disposizioni. La certezza circa le proprie origini non rivestiva un’importanza solamente giuridica ma anche sociale. Allo Stato spettava il compito di certificare paternità e maternità dei sudditi britannici. Questa centenaria tradizione si è interrotta il 18 aprile 2010 quando per la prima volta in Gran Bretagna un certificato di nascita ha indicato due donne come genitori di una bambina. Si tratta di Natalie Woods, madre biologica di Lily May, e della sua partner omosessuale Elizabeth Knowles, che nella coppia rivestirebbe il ruolo di “padre”, al posto dell’anonimo donatore di sperma che ha consentito la fecondazione. Ovviamente l’evento è stato definito dagli attivisti gay una «tappa fondamentale» nell’evoluzione del concetto di famiglia, non più legato al mero aspetto biologico. Come tutto ciò sia potuto accadere è presto detto. Lo scorso primo aprile è entrata in vigore in Gran Bretagna quella parte della legge sulla fecondazione in vitro e l’embriologia del 2008 che consente il rilascio di certificati di nascita relativi a figli di coppie omosessuali, sostituendo i termini “padre” e “madre” con quello più neutro di “genitore”. Ora, a prescindere da ogni considerazione di carattere morale, ciò che appare sconcertante in questa vicenda, dal punto di vista giuridico, è che le autorità britanniche si prestino a manipolare la realtà, attraverso una certificazione pubblica. Un falso di Stato. Un certificato di nascita, infatti, dovrebbe contenere dati autentici e corrispondenti alla verità circa l’origine biologica, laddove conosciuta, di un determinato individuo e non situazioni derivanti dai desideri o dalle fantasie di presunti genitori. Ciò dovrebbe valere ancora di più in una società dominata da una diffusa cultura genetica che, proprio attraverso la fecondazione in vitro, sembra ossessionata dal desiderio di una discendenza che condivida legami di sangue e DNA. Elisabeth Knowles, in realtà, non ha nessun rapporto biologico con la piccola Lily May, e dichiararla genitore in un certificato di nascita integra semplicemente un falso. Anche se un falso di Stato. In realtà, nel riconoscere i presunti “diritti” delle due donne omosessuali, si sono violati i diritti di un terzo soggetto più debole: la figlia. Oggi la legislazione internazionale e nazionale di molti Paesi riconosce, infatti, il diritto all’identità di un individuo ed alla conoscenza dei propri antefatti biologici. Si può ricordare, in proposito, l’art. 20 della Convenzione europea di Strasburgo sull’adozione dei minori, o gli articoli 7 e 8 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, oppure l’art. 30 della Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale. Proprio quest’ultima disposizione, in particolare, sancisce che le autorità competenti degli Stati contraenti debbano «conservare con cura le informazioni in loro possesso sulle origini del minore, in particolare quelle relative all'identità della madre e del padre ed i dati sui precedenti sanitari del minore e della sua famiglia», e consentire l’accesso a tali informazioni. E’ per questo che in Italia la legge 28 marzo 2001, n. 149, per esempio, garantisce agli adottati «il diritto incondizionato a conoscere le proprie origini biologiche». Lo Stato non può manipolare la realtà confondendo la parentela biologica con la parentela sociale. E un cittadino che avanza il diritto di chiedere informazioni sulle proprie origini biologiche, non può leggere in un atto pubblico la favoletta secondo cui risulta essere nato da due madri o da due padri. Oggi per generare un essere umano sono ancora necessari due gameti: uno femminile ed uno maschile. Questa realtà, per ora, non riescono a modificarla neppure gli ufficiali di Stato Civile di Sua Maestà britannica.
Fonte: Il Sussidiario, Lunedì 27 settembre 2010
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PIO XII: STAVOLTA E' OTTIMA LA FICTION DELLA RAI
Per essere beato la Chiesa è pronta, manca solo la conferma del Cielo
Autore: Vittorio Messori - Fonte: Corriere della Sera, 4 novembre 2010
Il testo è stato scritto da don Nicola Bux, stimato docente di liturgia e di teologia, Consultore della Congregazione per il Culto divino e dell’Ufficio per le celebrazioni pontificie. Autore di vari libri, tradotti in molte lingue, in appoggio alla “riforma della riforma liturgica“ auspicata da Joseph Ratzinger quando ancora era cardinale, don Bux è particolarmente vicino a Benedetto XVI. Un testo autorevole, dunque, il suo. Ma autorevolissimo è l’imprimatur ufficiale, concesso dal cardinal Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Mons. Bagnasco ha voluto sottolineare la sua adesione con una autorizzazione manoscritta sotto l’originale del testo. Il quale altro non è che la preghiera -qui pubblicata- per ottenere da Dio la glorificazione, con l’ascesa agli altari, di colui che per ora è “venerabile“: Eugenio Pacelli, papa con il nome di Pio XII. La diffusione del cartoncino è già iniziata ed è curata dal “Comitato Papa Pacelli“, libera associazione di laici che si è proposta una circolazione di massa. Dalla Postulazione per la beatificazione è stato ottenuto un lembo della bianca veste talare del pontefice: su alcune migliaia di copie è così applicata una minuscola reliquia. Il rabbino capo di Roma, l’altro giorno, ha usato parole pesanti, o “ingenerose”, per dirla con il direttore dell’Osservatore romano (“patacca“, “propaganda“, “falsità“) a proposito del film su Pio XII trasmesso dalla Rai. La verità impone di dirlo, con ovvio disagio: chi conosce dall’interno il mondo cattolico sa che tra il “popolo delle parrocchie“, ma anche nella Gerarchia, cresce l’insofferenza per l’ostinazione con cui alcuni settori del mondo ebraico alimentano la leggenda nera su Pacelli, nonostante la miriade di documenti e di testimonianze che la smentiscono. A nulla serve, sembra, ricordare i messaggi di riconoscenza giunti a quel Papa da tutte le comunità israelitiche subito dopo la guerra e l’omaggio universale, a cominciare dai leader di Israele, alla sua morte, nel 1958. Ed è sceso il silenzio sul rabbino capo della Comunità di Roma, Israel Zolli, che nel 1945 chiese il battesimo e volle prendere il nome di Eugenio in segno di riconoscenza per quanto aveva fatto per gli ebrei colui che una sconcertante campagna, iniziata solo negli anni Sessanta, volle presentare come “il papa di Hitler“. Ma non caso parlavamo di “alcuni settori ebraici” soltanto. In effetti, nel 2007, la riunione plenaria della Congregazione per i Santi approvò all’unanimità il decreto sulla “eroicità delle virtù“ di Pacelli, che poteva quindi essere chiamato “venerabile“, l’ultima tappa prima della beatificazione. Ma quel decreto doveva essere approvato e promulgato dal papa. Benedetto XVI ha, nei riguardi di Pacelli non solo venerazione per l’uomo ma anche grandissima stima per il teologo: più volte ha ricordato che, dopo la Bibbia, le encicliche di Pio XII sono i testi più citati dal Vaticano II. Dunque, la sua intenzione era quella di firmare subito il decreto, ma fu avvertito che se lo avesse fatto si sarebbe interrotto il dialogo con Israele. Così, Benedetto XVI ordinò un supplemento di indagine negli archivi, anche se più volte già esplorati: la conclusione fu quella già ben nota. E che, cioè, sul piano storico non era possibile al Papa fare più di quanto avesse fatto (che non era poco: la maggioranza degli ebrei salvatisi in Italia, ma anche in altri Paesi, lo devono alla Chiesa) e qualunque altro atteggiamento avrebbe provocato una catastrofe ancor peggiore. Come avvenne in Olanda, dopo la protesta pubblica dell’episcopato per le deportazioni. Dunque, Benedetto XVI, nel dicembre scorso, ha rotto ogni ulteriore indugio e ha dichiarato “venerabile“ il suo amato predecessore . Ma la decisione è stata presa anche perché decine e decine di rabbini americani, riuniti a convegno, gli inviarono un messaggio con il quale si dissociavano nettamente dalla campagna di diffamazioni condotta da certi confratelli europei. Quei rabbini ricordavano come Pio XII fosse giunto a far rompere il sigillo della clausura dei monasteri per ospitare ebrei, travestiti poi da suore o da frati e muniti di documenti falsi forniti da stamperie ecclesiali. La preghiera per ottenere la beatificazione del Papa, approvata dal Presidente della CEI, è esplicita al proposito: “Ha aperto le braccia di Pietro, senza distinzione, a tutte le vittime dell’immane tragedia della II guerra mondiale”. E: “Con dottrina sicura e mite fermezza, ha guidato la Chiesa attraverso il mare agitato delle ideologie totalitarie“. Ora, però, la parola è a Dio e a nulla serviranno più proteste, sdegni, invettive. La causa di papa Pacelli per la Chiesa è finita: non resta che attendere la conferma divina, l’imprimatur del Cielo sulla convinzione degli uomini che Eugenio Pacelli ha vissuto sino in fondo,”in modo eroico“, le virtù evangeliche. Si attende, cioè, che siano vagliati i casi (uno soprattutto, nella diocesi di Sorrento: una donna incinta guarita da un linfoma maligno), inesplicabili per la scienza e, per la Chiesa, miracoli. Segni, cioè, della potenza di intercessione presso Cristo del candidato a essere venerato sugli altari come "Beato Pio XII".
Preghiera per la glorificazione del venerabile Pio XII, Pontefice Romano
Signore Gesù Cristo, Ti ringraziamo per aver donato alla Chiesa il papa Pio XII, maestro fedele della Tua verità e pastore angelico. Egli, con dottrina sicura e mite fermezza, ha esercitato il supremo ministero apostolico guidando la Tua Chiesa attraverso il mare agitato delle ideologie totalitarie, ha aperto le braccia di Pietro, senza distinzione, a tutte le vittime dell’immane tragedia della II guerra mondiale ammonendo che nulla è perduto con la pace, opera della giustizia; con umiltà e prudenza ha dato rinnovato splendore alla Sacra Liturgia: e ha manifestato la gloria di Maria Santissima proclamandone l’Assunzione al Cielo. Fa’, o Signore, che sul suo esempio impariamo anche noi a difendere la verità, a obbedire con gioia al magistero cattolico e a dilatare gli spazi della nostra carità. Per questo ti supplichiamo, se è per Tua maggior gloria e per il bene delle nostre anime, di glorificare il Tuo servo, il Papa Pio XII. Amen Imprimatur: Angelus Card. Bagnasco
Fonte: Corriere della Sera, 4 novembre 2010
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POCO PRIMA DELLE ELEZIONI BRASILIANE BENEDETTO XVI AVEVA RICORDATO I PRINCIPI NON NEGOZIABILI (MA E' STATA ELETTA LO STESSO L'EREDE POLITICA DI LULA)
In questo senso si può dire che la Chiesa si occupa di politica (e che è obbligata a farlo!)
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur, 29 ottobre 2010
A tre giorni dal turno di ballottaggio nelle elezioni brasiliane – una tornata elettorale dove l’aborto è diventato tema di acceso scontro – Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i vescovi del Brasile della regione Nordeste V in visita ad Limina e ha tenuto un discorso che la stampa brasiliana ha subito interpretato come indicazione di «linee guida per le elezioni». L’espressione può essere discussa, ma non c’è dubbio che il Papa abbia ribadito il suo Magistero in materia di principi non negoziabili e diritto dei vescovi d’intervenire anche in materia politica quando questi principi sono in gioco. Il discorso prende così posto come una pietra miliare del pontificato in materia di rapporti tra religione e politica. Ricordiamo che secondo un costante insegnamento di Benedetto XVI i principi non negoziabili sono quelli che attengono alla vita umana dal concepimento alla morte naturale, alla famiglia e alla libertà di educazione. Altri principi, pure importanti e certo da non ignorare, non fanno però parte di questo patrimonio essenziale dei «principi non negoziabili», espressione che per Benedetto XVI ha un senso tecnico e non può essere impiegata a caso. Non è lecito sostenere programmi che includono l’aborto, l’eutanasia o il riconoscimento di forme di matrimonio diverse dall’unione di un uomo e di una donna con il pretesto che tali programmi sono apprezzabili sul piano economico o sociale. Benedetto XVI ha ricordato con parole molto forti il «valore assoluto di quei precetti morali negativi che dichiarano moralmente inaccettabile la scelta di una determinata azione intrinsecamente cattiva e incompatibile con la dignità della persona; tale scelta non può essere riscattata dalla bontà di nessun fine, intenzione, conseguenza o circostanza. Pertanto, sarebbe totalmente falsa e illusoria qualsiasi difesa dei diritti umani politici, economici e sociali che non comprendesse l’energica difesa del diritto alla vita dal concepimento fino alla morte naturale (cfr. Christifideles laici, n. 38)» (Benedetto XVI 2010). Se qualche forza politica chiede il voto ai cattolici in nome di una sua presunta difesa dei poveri e dei deboli, il Papa le chiede «nel quadro dell’impegno a favore dei più deboli e dei più indifesi, chi è più inerme di un nascituro o di un malato in stato vegetativo o terminale?» (ibid.), concludendo che «quando i progetti politici contemplano, in modo aperto o velato, la decriminalizzazione dell’aborto o dell’eutanasia, l’ideale democratico – che è solo veramente tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana – è tradito nei suoi fondamenti (cfr. Evangelium vitae, n. 74)» (ibid.). Non è lecito sostenere forze politiche favorevoli all’aborto e all’eutanasia con il pretesto che i loro programmi sono a favore dei poveri. Ma – secondo un’obiezione corrente – fornendo indicazioni politiche così chiare la Chiesa non si sta ingerendo nella vita politica da cui dovrebbe rimanere fuori? Certo, ricorda il Papa, «il dovere immediato di lavorare per un ordine sociale giusto è proprio dei fedeli laici che, come cittadini liberi e responsabili, s’impegnano a contribuire alla retta configurazione della vita sociale, nel rispetto della sua legittima autonomia e dell’ordine morale naturale (cfr. Deus caritas est, n. 29)» (ibid.). E tuttavia anche i vescovi hanno un dovere politico «mediato» (ibid.), «in quanto vi compete contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali […]. Quando […] i diritti fondamentali della persona o la salvezza delle anime lo esigono, i pastori hanno il grave dovere di emettere un giudizio morale, persino in materia politica (cfr. Gaudium et spes, n. 76)» (ibid.). Da una parte, dunque, c’è non solo un diritto ma un «grave dovere» dei vescovi di emettere giudizi morali in campo politico. Dall’altra, non c’è nessuna indebita ingerenza perché il Papa e i vescovi non parlano anzitutto in nome della fede ma della ragione. Il divieto dell’aborto non deriva solo dal Vangelo ma anzitutto dalla retta ragione e dal diritto naturale che, in quanto accessibile alla ragione, s’impone a tutti gli uomini, siano cattolici, protestanti, buddhisti o atei. Ma non è neppure vero che la fede non c’entri nulla con la politica. La ragione in teoria è in grado di discernere la legge naturale anche senza la fede. Ma, come ha spiegato il Papa nel suo viaggio in Gran Bretagna, esplicitamente richiamato in questo discorso sul Brasile, a causa del peccato originale e oggi anche di un’immensa pressione culturale e mediatica in favore del relativismo, diventa sempre più difficile per la ragione discernere le verità naturali senza l’aiuto della fede. Così oggi di fatto «politica e fede s’incontrano. La fede ha, senza dubbio, la natura specifica di incontro con il Dio vivo che apre nuovi orizzonti ben al di là dell’ambito proprio della ragione. “Senza il correttivo fornito dalla religione, infatti, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana” (Viaggio apostolico nel Regno Unito, Incontro con le autorità civili, 17-IX- 2010)» (ibid.). C’è di più. Questo ruolo pubblico della religione come «correttivo» per la ragione – e per la ragione politica – per essere efficace dev’essere anche riconosciuto attraverso gesti e simboli pubblici, così come nella scuola e nell’educazione anche pubblica. «Una società può essere costruita solo rispettando, promuovendo e insegnando instancabilmente la natura trascendente della persona umana. Così Dio deve trovare “un posto anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica” (Caritas in veritate, n. 56). Per questo, amati Fratelli, unisco la mia voce alla vostra in un vivo appello a favore dell’educazione religiosa, e più concretamente dell’insegnamento confessionale e diversificato della religione, nella scuola pubblica statale» (ibid.). «Desidero anche ricordare – aggiunge il Papa – che la presenza di simboli religiosi nella vita pubblica è allo stesso tempo memoria della trascendenza dell’uomo e garanzia del suo rispetto. Essi hanno un valore particolare nel caso del Brasile, dove la religione cattolica è parte integrante della sua storia. Come non pensare in questo momento all’immagine di Gesù Cristo con le braccia tese sulla baia di Guanabara […]?» (ibid.). Contro chi vuole togliere i crocefissi dalle aule scolastiche e dai luoghi pubblici – non solo in Brasile – il Papa ricorda che, perché la fede possa svolgere il suo ruolo indispensabile di «correttivo» per la ragione ferita dal peccato e aggredita dalla dittatura del relativismo, è indispensabile che i simboli pubblici della fede siano mantenuti e onorati. È quella che la Chiesa ha storicamente chiamato proclamazione della regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo.
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PARLIAMO DI SESSO E DI PIACERE
E ormai che ci siamo anche di Paradiso
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 7 novembre 2010
“Che bello! E’ il teletrasporto!”. Così esclamò mio figlio, dodicenne, appassionato di tecnologie, fantascienza, computer, effetti speciali (va matto per il 3D). Ma espresse quella sua meraviglia dopo avermi sentito parlare non di tecnologia, bensì di San Tommaso d’Aquino che stavo leggendo per un mio libro su Giovanni Paolo II. Precisamente stavo chiacchierando con amici delle pagine in cui Tommaso illustra come saremo dopo la resurrezione dei corpi. Dicevo che avranno “sottilità e agilità”, cioè, pur essendo effettivamente di carne, non saranno più sottoposti ai limiti di tempo e di spazio come oggi, ma saranno sotto il perfetto dominio dallo spirito, dell’anima, della mente (e per questo saranno immortali). Quindi – fra l’altro –potremo spostarci semplicemente col pensiero, superando qualsiasi barriera fisica o distanza (come riferiscono i vangeli di Gesù dopo la sua resurrezione). Che la nostra futura “agilità” sia la realizzazione dell’odierno sogno (scientifico e fantascientifico) del teletrasporto – come dice mio figlio – non ci avevo pensato, ma è divertente da considerare. In fondo i fenomeni di bilocazione che sono testimoniati nella vita di alcuni santi, come padre Pio, sono albori del giorno della gloria. RIVELAZIONE La questione dei “corpi gloriosi” è in effetti assai poco conosciuta e anche assai poco spiegata dalla Chiesa. Sembra quasi “un tema teologico congelato” come ha scritto il filosofo Giorgio Agamben. Invece è straordinariamente affascinante e opportunamente il numero appena uscito di “Civiltà Cattolica” gli dedica un saggio di padre Mario Imperatori, il quale critica l’unilaterale predicazione della sola salvezza dell’anima, da parte dei cristiani, sottolineando la necessità di annunciare (più giustamente e completamente) la resurrezione dei corpi. La mentalità dei credenti è ancora molto gravata e inquinata dall’antico dualismo platonico che contrappone anima e corpo. Ma questo è l’opposto del cristianesimo, ha spiegato il grande Tommaso d’Aquino, che “in senso espressamente antispiritualista” fonda la teologia sulla Scrittura anziché su Platone. Il cristianesimo infatti non annuncia che esiste Dio, ma che Dio si è fatto carne, che è per noi morto e risorto nella sua stessa carne. Ecco perché in queste pagine di Tommaso, riproposte dalla rivista dei gesuiti, non c’è nulla della paura del corpo e della sessualità che a volte ha connotato certi ambienti religiosi, più platonici che cristiani. C’è invece in Tommaso la straordinaria esaltazione del corpo e della sessualità umana. IL SENSO DEL SESSO Visto il gran parlare (ossessivo e malato) che si fa di sesso e di corpi, su giornali e tv, vista la tracimazione della questione sessuale nel dibattito pubblico e anche nelle vite private, è veramente interessante leggere queste pagine per sondare fino in fondo che senso abbia il misterioso intrico dei nostri corpi, questa oscura sete di infinito che rende febbrile la carne, questo spasmodico desiderio del piacere che è al tempo stesso un modo per esorcizzare l’invecchiamento e la morte e una ricerca inconsapevole dell’estasi. Come lo è la droga, che fornisce un’illusione di estasi “liberando” dai limiti e i dolori del corpo. Noi infatti come sentiamo il corpo? Oscilliamo tra due estremi: da un lato è percepito come una fonte di piacere che diventa perfino ossessiva, totalizzante. Dall’altra come un limite doloroso, una prigione da cui sfuggire e – in fondo – la fuga rappresentata dalle droghe o dall’alcol, pur diversissima, persegue lo stesso obiettivo cercato dalle religioni orientali. Invece san Tommaso indica nella rivelazione cristiana la via (l’unica via) della felicità del corpo e dell’anima. Contemporaneamente. Quella felicità piena che sembrerebbe impossibile, quel piacere – anche dei sensi – che non finirà mai. Ma andiamo con ordine, seguendo le interessanti pagine della rivista dei gesuiti. Tommaso d’Aquino anzitutto mostra che nello stato originario, la sessualità di Adamo ed Eva – diversamente dalla nostra – era sottoposta alla ragione “il cui ruolo non era affatto quello di reprimere il piacere dei sensi che, al contrario, ne sarebbe risultato addirittura maggiorato”. Si può fare un paragone per capirci: una persona in condizioni normali, di sobrietà, può gustare e godere di un ottimo vino molto più di un ubriaco che neanche si accorge più della qualità di ciò che beve. Nel primo caso il piacere è maggiorato, nel secondo caso il consumo è compulsivo, malato e fa star male. E’ questa la conseguenza del peccato originale che ha sottratto il corpo al dominio dell’anima (e l’ha esposto fra l’altro alla malattia e alla morte). Tommaso afferma peraltro che nell’uomo “l’anima è l’unica forma del corpo” e ciò significa che niente di quel che l’uomo fa è puramente animale, puramente biologico. Né il mangiare e bere, né l’accoppiamento sessuale. Diversamente dall’animale, che semplicemente esaudisce un bisogno fisico, l’uomo ha dentro una domanda, una mancanza esistenziale, un desiderio di infinito che spiega perché è sempre insoddisfatto e perché nessun “consumo”, nessun possesso, lo appaghi. La sua è una “fame” assai superiore al bisogno biologico. Infatti nasce dalla testa. Tommaso trae un’ulteriore conseguenza dalla sua affermazione: la separazione di corpo e anima è “contro natura”. E la loro riunione, con la resurrezione finale, farà sì che godremo molto di più il piacere del Paradiso o soffriremo molto di più le pene dell’inferno, perché percepiremo il piacere o la sofferenza con tutti i nostri cinque sensi. IL SOMMO PIACERE Per questo – come scrive san Paolo – il nostro stesso corpo geme nell’attesa della piena redenzione, o del “sommo piacere”, come dice Dante. Infatti parteciperemo con il corpo stesso alla vita di Dio. E’ quello che la teologia ortodossa chiama “divinizzazione”. I padri della Chiesa ripetono: “Dio si è fatto uomo affinché l’uomo diventasse Dio”. Un destino dunque che – per grazia – è superiore addirittura a quello degli angeli. I risorti saranno sempre fisicamente maschi e femmine, infatti Tommaso nega la presunta supremazia del maschio e – diversamente da quanto crede Aristotele – afferma che la donna non è affatto un uomo mancato, ma è opera di Dio pari all’uomo e la diversità dei loro corpi appartiene al disegno della creazione. Anzi è un riflesso di quell’unità nella distinzione che connota le persone divine della Trinità. Quindi la bellezza femminile, come pure la bellezza maschile, saranno parte della beatitudine eterna. Nei beati ci sarà un vero e proprio “splendore corporale”. Una bellezza tanto maggiore quanto più luminosa è l’anima. Essi potranno vedere la divinità, cioè godere del “Sommo bene”, nei suoi effetti corporali “soprattutto nel corpo di Cristo, poi nel corpo dei beati e finalmente in tutti gli altri corpi”. Questa “profonda associazione del corpo umano all’eterna beatitudine” è la sua inimmaginabile esaltazione. I risorti, maschi o femmine – dice Tommaso – “si serviranno dei sensi per godere di quelle cose che non ripugnano allo stato di in corruzione”. INIMMAGINABILE BEATITUDINE Se qualcuno si poneva la domanda sul Paradiso e sul piacere sessuale, come lo conosciamo quaggiù sulla terra, avrà già trovato la risposta. Ma – per chiarire meglio – la rivista gesuita riporta una fulminante pagina del filosofo ebreo-francese (e convertito) Hadjadj: “Tramite il sesso vogliamo essere sconvolti dall’anima. I genitali erano soltanto il mezzo difettoso di questa penetrazione dell’altro fino all’impenetrabile. Con la risurrezione, a partire da un’anima che la visione beatifica di Dio fa ricadere sul corpo, è l’intera carne che possiede la penetrabilità fisica dell’altro sesso e l’impenetrabilità spirituale dello sguardo (…). Inutile quindi unire le parti basse. L’intensità dell’amplesso e l’altezza della parola si sposeranno con questi corpi profondi all’infinito. Le carni potranno unirsi senza riserve in un bacio di pace, che sarà altresì un inno lacerante al Salvatore”. E’ il Paradiso.
Fonte: Libero, 7 novembre 2010
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LO SCANDALO PRINCIPALE DELLA LEGGE SULL'ABORTO NON E' LA PERDITA DI VITE UMANE INNOCENTI MA IL PERVERTIMENTO DELLE COSCIENZE
Anche se il numero degli aborti fosse vicino allo zero, avremmo comunque l'obbligo di combattere le leggi in contrasto con l'ordine morale naturale inscritto nel cuore di ogni uomo
Fonte Corrispondenza Romana, 28/8/2010
L’annuale rapporto del ministero della Salute sul numero degli aborti in Italia dovrebbe suscitare rinnovati sentimenti di sdegno e di ribellione, soprattutto in chi è impegnato nella nobile causa della difesa della vita umana innocente. Circa 116.000 omicidi legalizzati nel 2009 ed un numero imprecisato di vittime causate dagli abortivi chimici e dalla cosiddetta contraccezione d’urgenza. Gli aborti diminuiscono (di circa il 3%, pare, rispetto al dato dell’anno precedente) e la situazione italiana è decisamente in controtendenza rispetto agli altri Paesi europei dove vigono legislazioni simili. La relazione del ministero della Salute mette in luce alcuni interessanti aspetti: sembra emergere l’infondatezza della tesi delle difficoltà economiche come causa principale del ricorso all’aborto (ciò non è di poco conto considerato che il sostegno economico alle madri in difficoltà è la forma di intervento più utilizzata e sponsorizzata dai centri di aiuto alla vita sparsi nel territorio nonché dalla maggior parte delle forze politiche presenti in Parlamento); infatti, circa la metà degli interventi abortivi riguarda donne coniugate e con occupazione lavorativa, mentre oltre il 45% donne senza altri figli da mantenere. Curiosamente, il differente panorama della situazione italiana rispetto agli altri Paesi industrializzati viene considerato un chiaro segnale del fatto che l’aborto, almeno in Italia, non è mezzo per il controllo delle nascite. Tale relazione di causalità è in realtà una contraddizione in termini dal momento che ogni aborto volontario è espressione diretta della volontà di impedire la nascita di un essere umano. Non si capirebbe, altrimenti, il “primum movens” di una legge che è stata promulgata proprio per consentire tale possibilità di scelta. Tuttavia, quel che ci preme denunciare è la predominanza di una mentalità “orizzontalista”, in cui il dato naturale tende a prevalere su quello soprannaturale. Lo scandalo principale di una legge come la 194 non è la perdita di vite umane innocenti ma il pervertimento delle coscienze da essa direttamente provocato, conducendo una moltitudine di anime (soprattutto giovani) a non discernere più il bene dal male, il lecito dall’illecito. Occorre ribadire il concetto che anche qualora, per assurdo, il numero degli aborti scendesse fino ad arrivare vicino allo zero, avremmo comunque l’obbligo di combattere e di denunciare l’intrinseca iniquità di leggi civili in chiaro contrasto con l’ordine morale naturale voluto da Dio ed inscritto nel cuore di ogni uomo.
Fonte: Corrispondenza Romana, 28/8/2010
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LA POSIZIONE DEI CATTOLICI A PROPOSITO DI IMMIGRAZIONE
Intervista a Massimo Introvigne
Autore: Emanuele Pozzolo - Fonte: La Padania, 25 agosto 2010
PROFESSOR INTROVIGNE IN QUESTI GIORNI SI È FATTO UN GRAN PARLARE DELLA POSIZIONE DEI CATTOLICI A PROPOSITO DELL’IMMIGRAZIONE: CI AIUTI A FARE UN PO’ DI CHIAREZZA, QUAL È LA POSIZIONE UFFICIALE DELLA CHIESA CATTOLICA SU QUESTO PUNTO? Nell’enciclica Caritas in veritate, Benedetto XVI fissa tre principi fondamentali relativi alla questione dell’immigrazione, che – sottolinea – è «di gestione complessa», comporta «sfide drammatiche» e non tollera soluzioni sbrigative.
PUÒ ILLUSTRARCI IN SINTESI QUESTI TRE PRINCIPI? Il primo principio è l’affermazione dei «diritti delle persone e delle famiglie emigrate». Una volta che è arrivato nel Paese di destinazione, il migrante deve vedersi riconosciuti i «diritti fondamentali inalienabili» e dev’essere sempre trattato come una persona, mai «come una merce». Il secondo principio è che si devono ugualmente salvaguardare i diritti «delle società di approdo degli stessi emigrati»: diritti non solo alla sicurezza ma anche alla difesa della propria integrità nazionale e della propria identità. Il terzo principio riguarda i diritti delle società di partenza degli emigrati, che si deve porre attenzione a non svuotare di risorse e di energie, sottraendo loro con l’emigrazione persone che sarebbero utili e necessarie nel Paese di origine. Va sempre posta attenzione al «miglioramento delle situazioni di vita delle persone concrete di una certa regione, affinché possano assolvere a quei doveri che attualmente l’indigenza non consente loro di onorare»: anzitutto dove sono nate, e senza essere costrette o indotte all’emigrazione.
QUALI SONO GLI ATTEGGIAMENTI CHE MAGGIORMENTE CONTRASTANO CON QUESTO ORIENTAMENTO? Questi principi sono violati da due distinti atteggiamenti e ideologie. Il primo principio è negato dalla xenofobia cioè dalla convinzione che l’altro, lo straniero è per definizione inferiore a chi abita da sempre il Paese di approdo dell’emigrazione e può essere quindi discriminato in quanto straniero. Il secondo e il terzo principio sono violati dall’immigrazionismo – l’espressione è stata coniata dal politologo francese Pierre-André Taguieff e ripresa dal giornalista statunitense Christopher Caldwell – cioè dall’ideologia secondo cui l’immigrazione è sempre e comunque un fenomeno eticamente e culturalmente buono ed economicamente vantaggioso, e negare che lo sia è di per sé manifestazione di xenofobia e di razzismo.
PARE CHE QUEST’IDEOLOGIA IMMIGRAZIONISTA STIA FACENDO PROSELITI, NON CREDE? Senza dubbio. A differenza della xenofobia, l’immigrazionismo è sostenuto da argomenti di notevole impegno intellettuale. Non sarebbe dunque giustificata nell’esame del problema una par condicio nel criticare le due deviazioni – xenofobia e immigrazionismo – dai principi che la dottrina sociale fissa in tema d’immigrazione. Dal punto di vista intellettuale l’immigrazionismo è più insidioso, rischia di essere più persuasivo e dunque richiede una confutazione più articolata. Raramente la xenofobia è sostenuta da una elaborazione culturale, se non si vuole considerare tale il ritorno a vecchie teorie della razza da parte di qualche gruppuscolo neo-nazista. La xenofobia si combatte, come notava Papa Giovanni Paolo II nel Messaggio per la 89a Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2003 - e come ha ribadito recentemente Benedetto XVI, di cui peraltro consiglio di leggere sempre i testi integrali sul sito della Santa Sede e non i riassunti tendenziosi su certi quotidiani – con il richiamo alla figura naturale e cristiana della persona creata, voluta e amata da Dio qualunque siano la sua etnia, la sua lingua e la sua nazionalità. Ci sono però dei «professionisti dell’anti-razzismo» che manipolano pericolosamente la lotta alla xenofobia sfruttandola per diffondere il relativismo culturale, cioè l’idea che tutte le culture sono uguali e che non esistono culture migliori o peggiori di altre. Questo «eclettismo culturale», che rischia di diffondersi anche a causa della globalizzazione che fa incontrare più spesso e più rapidamente le culture tra loro, sostiene – spiega la Caritas in veritate – che le culture sono «sostanzialmente equivalenti». Questa è un’opinione molto diffusa, ma è pure il cuore stesso del relativismo, che la Chiesa non può accettare.
QUINDI È CRISTIANAMENTE LECITO SOSTENERE CHE NON TUTTE LE CULTURE HANNO LO STESSO VALORE? Le culture non sono affatto tutte dello stesso valore. Vanno giudicate alla luce della loro capacità di servire il bene comune e i veri diritti della persona, che non tutte le culture rispettano nello stesso modo. Una cultura fondata sulla poligamia e una fondata sul matrimonio monogamico non sono «equivalenti». Alla luce non solo della religione ma anzitutto del diritto naturale, che s’impone a tutti sulla base della ragione, la poligamia è sbagliata e la monogamia è giusta. Sono affermazioni poco «politicamente corrette», ma che vanno assolutamente mantenute se si vogliono difendere i diritti della verità ed evitare di promuovere il relativismo.
OGGI STIAMO APRENDO LE PORTE DELLE NOSTRE PATRIE EUROPEE A MILIONI DI PERSONE CHE APPARTENGONO A CULTURE RADICALMENTE DIVERSE DALLA NOSTRA E TALUNI POLITICI PARLANO ADDIRITTURA DI CONCESSIONE VELOCE DELLA CITTADINANZA A QUESTI MIGRANTI. LEI CHE NE PENSA? Accogliere grandi quantità d’immigrati, si dice, è un imperativo morale. Lo affermano politici di sinistra e talora di destra, e anche ecclesiastici. Si afferma che questo è il contributo moralmente obbligatorio dell’Unione Europea – anche come penitenza per i peccati del colonialismo – per risolvere i problemi della fame del mondo e del sottosviluppo. Ma, a prescindere dal fatto che presentare il colonialismo come soltanto dannoso e malvagio è piuttosto unilaterale e storicamente discutibile, non c’è nessuna prova convincente che sia meno costoso per l’Europa e più proficuo per il Terzo Mondo trasferire da noi milioni d’immigrati extra-comunitari piuttosto che destinare le stesse risorse ad aiutarli nei loro Paesi d’origine. Ci sono anzi fondati indizi del contrario. Chi afferma che molti immigrati sono ottimi candidati alla cittadinanza ci racconta spesso quanti geni dell’informatica, ottime infermiere e bravi medici vengono dai Paesi del Terzo Mondo. Ma non riflette sul costo etico costituito dal fatto che così facendo si sottraggono ai Paesi d’origine proprio quelle élite che sarebbero loro indispensabili per uscire dal sottosviluppo. L’infermiera ugandese che viene in Italia è sottratta all’Uganda, dove servirebbe come il pane per combattere le epidemie.
UN ALTRO ARGOMENTO MOLTO UTILIZZATO DAGLI “IMMIGRAZIONISTI” È IL DIRITTO D’ASILO … Sì, è un argomento etico molto usato anche in Italia quello che si riferisce al diritto d’asilo. Tuttavia questo diritto è di rado definito in modo rigoroso, e talora è ridotto a una semplice farsa. Chiunque non si trovi bene in un Paese non democratico o sia vittima di gravi sperequazioni economiche avrebbe diritto a chiedere asilo politico: insomma, la stragrande maggioranza degli abitanti del Terzo Mondo avrebbe questo diritto.
OLTRE ALL’ARGOMENTAZIONE SUL DIRITTO D’ASILO ORAMI È LUOGO COMUNE RITENERE L’IMMIGRAZIONE ASSOLUTAMENTE DOVEROSA PERCHÉ SI DICE CHE GLI IMMIGRATI FANNO QUEI LAVORI CHE GLI ITALIANI NON FANNO PIÙ. E’ VERO? I «lavori che nessun europeo vuole» sono spesso «lavori che nessun europeo vuole se il salario non è attraente». Esistono pochissimi lavori che gli europei si rifiutano di fare «qualunque sia il salario». La verità è un’altra: ci sono datori di lavoro che preferiscono impiegare per certi lavori gli immigrati, i quali costano meno. Questo altera e distorce il mercato del lavoro, e viola i diritti dei cittadini disoccupati che si vedono passare davanti immigrati disposti a lavorare a basso costo. Si assiste al paradosso per cui in alcuni Paesi, mentre aumenta la disoccupazione, aumenta contemporaneamente anche l’immigrazione. Per amore di equità, si deve peraltro riconoscere che non tutto in questo argomento degli immigrazionisti è falso. Ci sono settori dove effettivamente senza gli immigrati i problemi almeno a breve termine sembrano di difficile soluzione: il caso delle badanti in Italia sembra, qui, pertinente. Ma l’esempio può essere occasione di distinguere fra immigrati extra-comunitari e intra-comunitari. Su cinquecento milioni di residenti nell’Unione Europea, come accennato, cinquanta milioni sono immigrati. Ma di questi circa venti milioni sono abitanti di un Paese dell’Unione che si sono spostati in un altro. Benché, come sanno gli italiani, questi spostamenti non siano privi di problemi, l’immigrazione intra-comunitaria è di norma più facile da assorbire di quella extra-comunitaria per ragioni giuridiche e anche culturali. Dopo tutto, ci sono molte badanti romene e poche marocchine, cinesi o tunisine.
MOLTI SOSTENGONO CHE SONO GLI IMMIGRATI CHE OGGI STANNO PAGANDO, CON I LORO CONTRIBUTI, LE PENSIONI DEGLI ITALIANI. E’ UNA TESI SOLIDA? Le cose non stanno proprio così. Ancora una volta ci si propone una fotografia, mentre per capire abbiamo bisogno di un film. Sarà forse una novità per qualche immigrazionista, ma dovrà farsene una ragione: anche gli immigrati invecchiano e un giorno diventeranno pensionati. In Italia l’immigrazione è un fenomeno relativamente recente e gli emigrati pensionati sono pochi. Ma sono destinati fatalmente ad aumentare. Gli immigrati inoltre di solito hanno lavori poco remunerati, dunque pagano contributi relativamente bassi. Inoltre, fin da subito, sia loro sia i loro figli hanno come chiunque problemi di salute di cui la previdenza sociale si deve fare carico. Una soluzione a tal proposito, per la verità, ci sarebbe, e qualcuno – non in Italia – l’ha anche seriamente sostenuta, senza neppure farsi dare del nazista: considerare gli immigrati «lavoratori ospiti» e rimandarli a casa quando hanno finito di lavorare, far pagare i contributi oggi ma non versare alcuna pensione domani. La soluzione provocherebbe tensioni tali da non potere essere presa davvero in considerazione da nessuno. E manderebbe anche alla rovina qualunque argomento etico degli immigrazionisti.
UNO DEI PROBLEMI PIÙ DELICATI RIGUARDA L’IMMIGRAZIONE ISLAMICA: È DAVVERO PENSABILE UNA CONVIVENZA PACIFICA, NELL’EUROPA DI DOMANI, TRA GLI OCCIDENTALI E GLI ISLAMICI? Ogni tanto qualcuno lo dice esplicitamente: siamo laici, e dobbiamo affrontare il problema immigrazione senza tenere conto della religione, di cui potrà occuparsi al massimo la Chiesa. Ma si tratta di una sciocchezza. Anche il più ateo degli osservatori non può non riconoscere che la religione esiste e ha delle conseguenze sociali. Se a Torino, come avviene periodicamente, migliaia di peruviani portano in processione le loro statue della Madonna la gente applaude e i giornalisti manifestano una benevola curiosità. Se migliaia di musulmani occupano il suolo pubblico con le loro stuoie e magari mescolano alla preghiera invettive contro gli Stati Uniti e l’Occidente la gente e i media si spaventano. Denunciare queste reazioni come xenofobe non risolve il problema. Certamente – anche tra gli immigrati – ci sono molti islam, e alcuni sono meno lontani dai valori prevalenti in Europa di altri. Ma se da questa premessa – corretta – si arriva alla conclusione che non esistono caratteristiche specifiche dell’islam si cade nel più completo relativismo, forse di moda in un contesto culturale postmoderno, ma privo di senso. Esistono gli islam ma esiste anche l’islam. Che è difficile assimilare alla cultura europea su punti fondamentali che riguardano i rapporti fra fede e ragione, fra religione e violenza, fra maggioranze e minoranze religiose, fra uomini e donne. Certo, processi di assimilazione d’immigrati islamici, singoli e gruppi, non sono impossibili. Ma in verità nessuna civiltà nella storia è riuscita a fronteggiare senza esserne distrutta l’arrivo in così poco tempo di così tante persone portatrici di una cultura e di una religione sia radicalmente diverse sia forti. Diverso era il caso dei barbari, che portavano in Europa una cultura debole; o degli irlandesi emigrati nel XIX secolo negli Stati Uniti il cui cattolicesimo era diverso dal protestantesimo maggioritario in America: ma non così radicalmente diverso com’è l’islam rispetto all’ethos europeo contemporaneo.
Fonte: La Padania, 25 agosto 2010
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BENEDETTO XVI PRESIEDE A BARCELLONA LA DEDICAZIONE DELLA SAGRADA FAMILIA, ELEVATA AL RANGO DI BASILICA MINORE
Dopo 128 anni dall'inizio dei lavori dell'architetto Antoni Gaudí, di cui è in corso la causa di beatificazione, viene ufficialmente riconosciuto l'equilibrio fra fede ed arte
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur, 8 novembre 2010
Se c’è un tema principale del Magistero di Benedetto XVI, è quello dell’equilibrio necessario fra fede e ragione: «Voi sapete che io insisto molto sulla relazione tra fede e ragione». Fede e ragione, secondo l’immagine tante volte richiamata da Benedetto XVI con cui si apre l’enciclica Fides et ratio del venerabile Giovanni Paolo II «sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità» (Giovanni Paolo II 1998, incipit). Senza l’equilibrio tra le due ali l’aereo non può decollare, ma si schianta. In Spagna Benedetto XVI ci dice qualche cosa di più. L’equilibrio fra fede e ragione richiede pure – anzi, è – l’equilibrio tra fede e bellezza, «tra fede e arte». Il passaggio dev’essere seguito nella sua logica, filosoficamente rigorosa. Chi dice ragione, dice verità. Se non è capace di conoscere la verità e non si lascia misurare dalla verità, la ragione non è vera ragione. Ora, la verità non si può separare dalla bellezza. «La verità, scopo, meta della ragione, si esprime nella bellezza e diventa se stessa nella bellezza, si prova come verità. Quindi dove c’è la verità deve nascere la bellezza, dove l’essere umano si realizza in modo corretto, buono, si esprime nella bellezza. La relazione tra verità e bellezza è inscindibile» (ibid.). Non solo la bellezza in genere ma anche la specifica bellezza dell’arte è inseparabile dalla verità, e in particolare dalla verità di cui è custode la Chiesa. «Nella Chiesa, dall’inizio, anche nella grande modestia e povertà del tempo delle persecuzioni, l’arte, la pittura, l’esprimersi della salvezza di Dio nelle immagini del mondo, il canto, e poi anche l’edificio, tutto questo è costitutivo per la Chiesa e rimane costitutivo per sempre. Così la Chiesa è stata madre delle arti per secoli e secoli: il grande tesoro dell’arte occidentale – sia musica, sia architettura, sia pittura – è nato dalla fede all’interno della Chiesa. Oggi c’è un certo “dissenso”, ma questo fa male sia all’arte, sia alla fede: l’arte che perdesse la radice della trascendenza, non andrebbe più verso Dio, sarebbe un’arte dimezzata, perderebbe la radice viva» (ibid.). Questo è evidente per l’arte dei secoli della fede. Ma che dire dell’arte di oggi? Secondo il Papa – per così dire (l’espressione è mia, non di Benedetto XVI) – non dobbiamo regalare l’arte di oggi al secolarismo laicista. «Una fede che avesse l’arte solo nel passato, non sarebbe più fede nel presente; ed oggi deve esprimersi di nuovo come verità, che è sempre presente. Perciò il dialogo o l’incontro, direi l’insieme, tra arte e fede è inscritto nella più profonda essenza della fede; dobbiamo fare di tutto perché anche oggi la fede si esprima in autentica arte […] nella continuità e nella novità, e […] l’arte non perda il contatto con la fede» (ibid.). «Fare di tutto»… Ma, a fronte dell’enorme distanza che intercorre fra l’arte moderna e la fede, questa impresa ha qualche speranza di successo? Sì, risponde il Papa, e la prova è precisamente il servo di Dio Antoni Gaudí. «Geniale architetto», «la cui fiaccola della fede arse fino al termine della sua vita, vissuta con dignità e austerità assoluta», in «quella meraviglia che è la chiesa della Sacra Famiglia», «miracolo architettonico» e «ambiente santo di incantevole bellezza» (ibid.) – le espressioni di Benedetto XVI, come si vede, sono piuttosto impegnative –, Gaudí costruì le sue opere come «frecce che indicano l’assoluto della luce e di colui che è la Luce, l’Altezza e la Bellezza medesime» (ibid.). Gaudì non è un puro imitatore dell’arte cristiana tradizionale, ma si pone in «continuità» con questa reinterpretandola nel contesto contemporaneo. sintesi tra continuità e novità, tradizione e creatività. «Gaudí ha avuto questo coraggio di inserirsi nella grande tradizione delle cattedrali, di osare di nuovo, nel suo secolo – con una visione totalmente nuova – questa realtà: la cattedrale luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo, in una grande solennità; e questo coraggio di rimanere nella tradizione, ma con un creatività nuova, che rinnova la tradizione e dimostra così l’unità della storia e il progresso della storia» (ibid.). Ma che cos’è, in fondo, l’originalità, se non il senso dell’origine, cioè di Dio? «Gaudí, con la sua opera, ci mostra che Dio è la vera misura dell’uomo, che il segreto della vera originalità consiste, come egli diceva, nel tornare all’origine che è Dio. Lui stesso, aprendo in questo modo il suo spirito a Dio, è stato capace di creare in questa città [Barcellona] uno spazio di bellezza, di fede e di speranza, che conduce l’uomo all’incontro con colui che è la verità e la bellezza stessa. Così l’architetto esprimeva i suoi sentimenti: “Una chiesa [è] l’unica cosa degna di rappresentare il sentire di un popolo, poiché la religione è la cosa più elevata nell’uomo”».
IL SEGRETO DEL SERVO DI DIO ANTONI GAUDÍ Benedetto XVI va oltre, e si chiede quale fosse il segreto del servo di Dio Antoni Gaudí, il cuore del pensiero di un genio cristiano che pure ha scritto molto poco. La risposta è che «Gaudí voleva questo trinomio: libro della Natura, libro della Scrittura, libro della Liturgia. E questa sintesi proprio oggi è di grande importanza. Nella liturgia, la Scrittura diventa presente, diventa realtà oggi: non è più una Scrittura di duemila anni fa, ma va celebrata, realizzata. E nella celebrazione della Scrittura parla la creazione, parla il creato e trova la sua vera risposta, perché, come ci dice san Paolo, la creatura soffre, e, invece di essere distrutta, disprezzata, aspetta i figli di Dio, cioè quelli che la vedono nella luce di Dio. E così – penso – questa sintesi tra senso del creato, Scrittura e adorazione è proprio un messaggio molto importante per l’oggi». Sul tema dei tre libri – della natura, della Sacra Scrittura e della liturgia – da leggere insieme e da assumere come ispirazione dell’opera d’arte, Benedetto XVI torna in occasione della dedicazione della Sagrada Família. In questo suo capolavoro, afferma il Papa, «Gaudí volle unire l’ispirazione che gli veniva dai tre grandi libri dei quali si nutriva come uomo, come credente e come architetto: il libro della natura, il libro della Sacra Scrittura e il libro della Liturgia. Così unì la realtà del mondo e la storia della salvezza, come ci è narrata nella Bibbia e resa presente nella Liturgia». In modo per nulla casuale, il servo di Dio giocò sulla relazione fra l’interno e l’esterno della Sagrada Família, che concepiva come una «lode a Dio fatta di pietra» e una Biblia pauperum attraverso la quale «voleva portare il Vangelo a tutto il popolo» (ibid.). Così dunque «introdusse dentro l’edificio sacro pietre, alberi e vita umana, affinché tutta la creazione convergesse nella lode divina, ma, allo stesso tempo, portò fuori i “retabli”, per porre davanti agli uomini il mistero di Dio rivelato nella nascita, passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo». Inoltre «concepì i tre portici all’esterno come una catechesi su Gesù Cristo, come un grande rosario, che è la preghiera dei semplici, dove si possono contemplare i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi di Nostro Signore». Opera complessa e completa, la Sagrada Família non è solo una chiesa. Il progetto di Gaudí comprendeva anche una scuola. «In collaborazione con il parroco, [il servo di Dio] don Gil Parés [1888-1936, fucilato in odio alla fede durante la guerra civile], disegnò e finanziò con i propri risparmi la creazione di una scuola per i figli dei muratori e per i bambini delle famiglie più umili del quartiere, allora un sobborgo emarginato di Barcellona» (ibid.). Così, la costruzione della pure incompiuta Sagrada Família non fu un’opera d’arte fine a se stessa. Gaudí «collaborò in maniera geniale all’edificazione di una coscienza umana ancorata nel mondo, aperta a Dio, illuminata e santificata da Cristo. E realizzò ciò che oggi è uno dei compiti più importanti: superare la scissione tra coscienza umana e coscienza cristiana, tra esistenza in questo mondo temporale e apertura alla vita eterna, tra la bellezza delle cose e Dio come Bellezza. Antoni Gaudí non realizzò tutto questo con parole, ma con pietre, linee, superfici e vertici. In realtà, la bellezza è la grande necessità dell’uomo; è la radice dalla quale sorgono il tronco della nostra pace e i frutti della nostra speranza. La bellezza è anche rivelatrice di Dio perché, come Lui, l’opera bella è pura gratuità, invita alla libertà e strappa dall’egoismo».
PERCHÉ «SAGRADA FAMÍLIA»? La scelta della Sacra Famiglia come titolare della chiesa di cui Gaudí iniziò la costruzione non fu casuale. Gaudí e i suoi committenti – «l’iniziativa della costruzione di questa chiesa si deve all’Associazione degli Amici di san Giuseppe» (ibid.) – scelsero «una devozione tipica dell’Ottocento: san Giuseppe, la Sacra Famiglia di Nazareth, il mistero di Nazareth». Dunque, «questo edificio sacro, fin dalle sue origini, è strettamente legato alla figura di san Giuseppe. Mi ha commosso specialmente – afferma il Papa – la sicurezza con la quale Gaudí, di fronte alle innumerevoli difficoltà che dovette affrontare, esclamava pieno di fiducia nella divina Provvidenza: “San Giuseppe completerà il tempio”. Per questo ora non è privo di significato il fatto che sia un Papa il cui nome di battesimo è Giuseppe a dedicarlo». Il clima culturale in cui nasce il progetto deve molto a un santo, «san José Manyanet [y Vives, 1833-1901]», il quale «diffuse tra il popolo catalano» (ibid.) «la devozione alla Sacra Famiglia di Nazaret» (ibid.). Si potrebbe pensare che si tratti di una devozione ottocentesca, ben poco di attualità oggi. Ma è piuttosto il contrario. A fronte dell’attacco laicista alla famiglia «proprio questa devozione di ieri, si potrebbe dire, è di grandissima attualità, perché il problema della famiglia, del rinnovamento della famiglia come cellula fondamentale della società, è il grande tema di oggi e ci indica dove possiamo andare sia nella costruzione della società sia nella unità tra fede e vita, tra religione e società. Famiglia è il tema fondamentale che si esprime qui, dicendo che Dio stesso si è fatto figlio in una famiglia e ci chiama a costruire e vivere la famiglia». Certo, rispetto al tempo del servo di Dio Gaudí, grandi progressi tecnologici hanno risolto tutta una serie di problemi «tecnici» e anche «sociali» (ibid.). Ma noi «non possiamo accontentarci di questi progressi. Con essi devono essere sempre presenti i progressi morali, come l’attenzione, la protezione e l’aiuto alla famiglia, poiché l’amore generoso e indissolubile di un uomo e una donna è il quadro efficace e il fondamento della vita umana nella sua gestazione, nella sua nascita, nella sua crescita e nel suo termine naturale. Solo laddove esistono l’amore e la fedeltà, nasce e perdura la vera libertà» (ibid.). Per questo, la dedicazione di una chiesa costruita da un architetto santo e intitolato alla Sacra Famiglia è un gesto profetico nella Spagna di oggi.
Fonte: Cesnur, 8 novembre 2010
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OMELIA PER LA XXXIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 21,5-19)
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 14 novembre 2010)
Parlando della futura distruzione del Tempio di Gerusalemme, Gesù ammaestra i suoi Discepoli sulla fine del mondo che ci sarà alla fine dei tempi. La distruzione del Tempio è presa come il simbolo della fine dei tempi. I Discepoli domandarono a Gesù due cose: quando avverrà tutto questo e quali saranno i segni che accompagneranno questi avvenimenti. Notiamo subito che Gesù non risponde alla prima domanda e questo appositamente. Egli vuole che i suoi Discepoli siano sempre pronti e che perseverino nella fede, nella speranza e nella carità. Risponde solamente alla seconda domanda, annunciando che questi avvenimenti saranno accompagnati da grandi sconvolgimenti, da sofferenze e da segni grandi nel cielo; da terremoti, carestie, pestilenze e da inganni di persone che si spacceranno come inviate da Dio. Soprattutto, Egli parla di persecuzioni. La persecuzione è l’ultima e la più grande delle Beatitudini evangeliche che ci procura una grande gloria in Paradiso. Il cristiano non deve temerla. Anche se vi si troverà coinvolto, egli sa che non sarà mai solo, che il Signore gli sarà vicino in quel momento supremo. Gesù dice: «Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (Lc 21,16-18). Sembrano parole d’altri tempi, impossibili nella nostra epoca di democrazia e libertà. Purtroppo sono parole molto attuali, oggi più che mai. Basti pensare a quanti non cristiani devono addirittura fuggire dai loro paesi per poter ricevere il Battesimo, dovendo temere della vita persino dai loro stessi genitori. Gesù ci insegna a non temere: «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (Lc 21,19). La perseveranza è la grazia più grande per la quale dobbiamo pregare sempre. Bisogna perseverare ogni giorno ed essere trovati in Grazia di Dio al momento della nostra morte. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori si domandava quale fosse il modo più efficace per ottenere il dono della perseveranza. Egli enumerava ad uno ad uno tutti i segni che uno può avere di essere fedele sino alla fine e vedeva che tutti erano difettosi in qualche cosa. Egli insegnava che se anche uno compisse grandi miracoli non potrebbe ritenersi al sicuro; anche se praticasse le virtù per lunghi anni non potrebbe essere certo di continuare così per tutta la vita: si potrebbe insinuare un segreto orgoglio nel suo cuore così da perdere tutto. Purtroppo, casi simili si sono verificati tante volte. Ma allora, qual è il segno più certo di perseveranza? Sant’Alfonso afferma chiaramente che tale segno è la preghiera continua: chi prega certamente si salva. Poi il Santo si turba nuovamente e si domanda: «Ma sarò sicuro di pregare sino alla fine dei miei giorni?». A questo nuovo timore, egli si getta nella braccia della Madonna e le dice: «Madre amatissima, dammi il pensiero e la voglia di pregarti sempre!». Il ricorso continuo alla Vergine Maria era la conclusione pratica di tutta la teologia di questo grande Santo, per questo motivo egli recitava molto spesso il Rosario. Quando arrivato alla vecchiaia non si ricordava più se aveva già recitato i suoi Rosari, domandava al frate che lo accudiva se lo avesse già fatto. Il frate gli diceva scherzosamente: «Padre, vorrei avere la metà di tutte le Corone che ha recitato in più quest’oggi!». Allora sant’Alfonso si faceva serio e diceva: «Fratello, non scherzare, non sai che dal Rosario dipende la mia salvezza eterna?». Ecco dunque il segreto per ottenere nel modo più facile il dono della perseveranza: pregare spesso il Rosario della Vergine Maria. Ella lo ha sempre domandato ovunque è apparsa. «Se lo ha sempre chiesto, non ti sembra che ci sia un motivo importante?» – domandava San Pio da Pietrelcina. E per questo anche Padre Pio recitava di continuo il Rosario. Impariamo da questi Santi e ricorriamo continuamente anche noi alla Madonna: in questo modo otterremo facilmente il dono della perseveranza.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 14 novembre 2010)
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