BastaBugie n�30 del 16 maggio 2008

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1 STRANO, MA VERO: UN RADICALE COME PORTAVOCE DEL POPOLO DELLE LIBERTÀ

Autore: Dino Boffo - Fonte: fonte non disponibile
2 LA SCHIAVIZZAZIONE DELLA PORNOGRAFIA
Bisogna rompere le catene per liberare donne e bambini
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: fonte non disponibile
3 DISCORSO AI MEMBRI DEL MOVIMENTO PER LA VITA ITALIANO

Autore: Benedetto XVI - Fonte: fonte non disponibile
4 CENTRI SOCIALI ALL'ASSALTO DELLO SPAZIO DEL MOVIMENTO PER LA VITA ALLA FIERA DI PADOVA

Autore: Francesco dal Mas - Fonte: fonte non disponibile
5 CREMAZIONE. UNA PRATICA CHE NON APPARTIENE ALLA TRADIZIONE CRISTIANA

Autore: Maurizio Ceriani - Fonte: fonte non disponibile
6 LA GUARDIA SVIZZERA AL SERVIZIO DEL SUCCESSORE DI PIETRO

Autore: Alberto Carosa - Fonte: fonte non disponibile
7 LE ORIGINI DEL PACIFISMO: CONDANNARE SEMPRE E SOLO L'AMERICA
Le origini (antiamericane) del pacifismo
Autore: Sandro Fontana - Fonte: fonte non disponibile

1 - STRANO, MA VERO: UN RADICALE COME PORTAVOCE DEL POPOLO DELLE LIBERTÀ

Autore: Dino Boffo - Fonte: fonte non disponibile, 13/05/08

E adesso che cosa c’entra Capezzone col partito azzurro?
 Un vasto sbigottito silenzio, un unico applauso di circostanza e molti interrogativi hanno accompagnato ieri l’annuncio della nomina del nuovo portavoce di Forza Italia. Si tratta di Daniele Capezzone, ex deputato della Rosa nel pugno e, per più di cinque anni, segretario radicale impegnatissimo in una lotta senza quartiere contro la legge 40, quella che ha posto fine al far west della fecondazione artificiale. Capezzone è stato scelto dall’appena insediato coordinatore di Fi, Denis Verdini. Il partito azzurro, proprio mentre si avvia a confluire nel Pdl, si ritrova così a mostrare di colpo un volto ( Verdini) e una voce (Capezzone ) inediti, inattesi e – su un piano politicoculturale – spiazzanti. Scelte che, anche alla luce delle ultime analisi sui flussi di voto, appaiono insomma ostentatamente diverse e dissonanti rispetto alle convinzioni di tantissimi elettori, soprattutto cattolici, della prima forza del centrodestra. È davvero strano. E – fino a prova contraria – è allarmante.

Fonte: fonte non disponibile, 13/05/08

2 - LA SCHIAVIZZAZIONE DELLA PORNOGRAFIA
Bisogna rompere le catene per liberare donne e bambini
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: fonte non disponibile, 11/05/08

L’Herald Tribune ha riportato un discorso fatto da John McCain mercoledì, in cui il vincitore delle primarie del Partito repubblicano si è impegnato, qualora diventasse presidente degli Stati Uniti, a combattere strenuamente la pornografia infantile ed il traffico di donne e bambini ridotti alla condizione di schiavi sessuali. In effetti, il Tribune  riferisce che, nel mondo, ottocentomila persone vivono in schiavitù (dati della Cia), spesso appunto come schiavi sessuali.
  Sarebbe molto importante che il nuovo governo del nostro Paese, espressione anche di un partito che, in qualche misura, si richiama ai Repubblicani americani, prendesse esempio da McCain. Ovviamente, la lotta contro queste esecrabili condizioni di tantissimi esseri umani, contro queste persistenti schiavitù, richiede la collaborazione degli Stati, il dispiegamento delle forze di polizia, richiede lo smantellamento delle reti di questo ignobile commercio, ecc. Tuttavia, oltre a reprimere queste vergognose pratiche quando sono in atto, bisognerebbe cercare anche di intervenire alla radice, attraverso un’educazione ed una cultura del rispetto, ma anche, per esempio, limitando il dilagare della pedopornografia (come dice McCain) e anche della pornografia tout court. Non spetta a noi dire i modi di questa limitazione. È però certo che tra le cause – non esclusive, sicuramente remote, ma non per questo ininfluenti – sia degli stupri che continuamente avvengono nel nostro Paese, sia degli abusi sessuali sui bambini, non si può trascurare l’influsso della pornografia. Questi abominevoli delitti hanno diverse radici e non bisogna scagionare i colpevoli dalle loro responsabilità, scaricandole sulla società, attribuendole solo all’influsso di fattori esterni al soggetto. Ma, fatto salvo che l’uomo è libero (casi patologici a parte) e quindi responsabile di ciò che compie, non si deve ignorare l’impatto che, certo a lungo andare, la pornografia produce, almeno su alcuni soggetti, scatenando in loro pulsioni aggressive e predatorie. Ogni giorno siamo continuamente bombardati da immagini in cui la donna è ridotta a oggetto conturbante: dai manifesti pubblicitari alla televisione, dalla free press ai grandi quotidiani, ai siti internet di questi ultimi (per non parlare di altri siti Internet, ovviamente). A proposito: fa specie leggere su certi giornali la deplorazione degli abusi su donne e bambini e trovarvi articoli (spesso con fotografie) o pubblicità che rispondono ad una logica simile: quella, lo ripetiamo, in cui l’essere umano è ridotto a gingillo erotico.
  Talvolta, gli stessi resoconti di questi fatti di cronaca che si leggono sui quotidiani sembrano voler vellicare una certa curiosità morbosa nel lettore. Da non trascurare, poi, l’impatto che questa erotizzazione della società può sortire (per fortuna non necessariamente) sugli immigrati che provengono da Paesi dove la donna non è così tanto, o non è per nulla, data in pasto come oggetto erotico alla società dai media e dalla pubblicità. Forse i soggetti in cui la dilagante pornografia scatena pulsioni aggressive sono pochi o pochissimi. Ma sono ignobili i delitti che la mercificazione della donna, remotamente, causa (fatta salva la libertà, lo ripetiamo), almeno qualche volta, stimolando questi soggetti. Moralismo? Senza riprenderlo alla lettera, si può ricavare dal non certo cattolico Freud che, almeno alcune volte, l’eros diventa thanatos. E se anche fosse moralismo, ben venga, se può evitare anche un solo abuso sulle donne sui bambini.

Fonte: fonte non disponibile, 11/05/08

3 - DISCORSO AI MEMBRI DEL MOVIMENTO PER LA VITA ITALIANO

Autore: Benedetto XVI - Fonte: fonte non disponibile, 12 maggio 2008

Cari fratelli e sorelle,
con vivo piacere vi accolgo quest’oggi, e a ciascuno di voi rivolgo il mio cordiale saluto. In primo luogo, saluto Mons. Michele Pennisi, Vescovo di Piazza Armerina, e i sacerdoti presenti. Un saluto speciale indirizzo all’Onorevole Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita, e sentitamente lo ringrazio per le gentili parole che mi ha indirizzato a nome vostro. Saluto i membri del Direttivo nazionale e della Giunta esecutiva del Movimento per la vita, i Presidenti dei Centri di aiuto alla vita e i responsabili dei vari servizi, del Progetto Gemma, di Telefono verde, SOS Vita e Telefono rosso. Saluto, inoltre, i rappresentanti dell’Associazione Papa Giovanni XXIII e di alcuni Movimenti per la vita europei. Attraverso di voi, qui presenti, il mio pensiero affettuoso si estende a coloro che, pur non potendo intervenire di persona, sono spiritualmente a noi uniti. Penso specialmente ai tanti volontari che, con abnegazione e generosità, condividono con voi il nobile ideale della promozione e della difesa della vita umana fin dal suo concepimento.
La vostra visita cade a trent’anni da quando in Italia venne legalizzato l’aborto ed è vostra intenzione suggerire una riflessione approfondita sugli effetti umani e sociali che la legge ha prodotto nella comunità civile e cristiana durante questo periodo. Guardando ai passati tre decenni e considerando l’attuale situazione, non si può non riconoscere che difendere la vita umana è diventato oggi praticamente più difficile, perché si è creata una mentalità di progressivo svilimento del suo valore, affidato al giudizio del singolo. Come conseguenza ne è derivato un minor rispetto per la stessa persona umana, valore questo che sta alla base di ogni civile convivenza, al di là della fede che si professa.
Certamente molte e complesse sono le cause che conducono a decisioni dolorose come l’aborto. Se da una parte la Chiesa, fedele al comando del suo Signore, non si stanca di ribadire che il valore sacro dell’esistenza di ogni uomo affonda le sue radici nel disegno del Creatore, dall’altra stimola a promuovere ogni iniziativa a sostegno delle donne e delle famiglie per creare condizioni favorevoli all’accoglienza della vita, e alla tutela dell’istituto della famiglia fondato sul matrimonio tra un uomo e una donna. L’aver permesso di ricorrere all’interruzione della gravidanza, non solo non ha risolto i problemi che affliggono molte donne e non pochi nuclei familiari, ma ha aperto una ulteriore ferita nelle nostre società, già purtroppo gravate da profonde sofferenze.
Tanto impegno, in verità, in questi anni è stato profuso, e da parte non solo della Chiesa, per venire incontro ai bisogni e alle difficoltà delle famiglie. Non possiamo però nasconderci che diversi problemi continuano ad attanagliare la società odierna, impedendo di dare spazio al desiderio di tanti giovani di sposarsi e formare una famiglia per le condizioni sfavorevoli in cui vivono. La mancanza di lavoro sicuro, legislazioni spesso carenti in materia di tutela della maternità, l’impossibilità di assicurare un sostentamento adeguato ai figli, sono alcuni degli impedimenti che sembrano soffocare l’esigenza dell’amore fecondo, mentre aprono le porte a un crescente senso di sfiducia nel futuro. E’ necessario per questo unire gli sforzi perché le diverse Istituzioni pongano di nuovo al centro della loro azione la difesa della vita umana e l’attenzione prioritaria alla famiglia, nel cui alveo la vita nasce e si sviluppa. Occorre aiutare con ogni strumento legislativo la famiglia per facilitare la sua formazione e la sua opera educativa, nel non facile contesto sociale odierno.
Per i cristiani resta sempre aperto, in questo ambito fondamentale della società, un urgente e indispensabile campo di apostolato e di testimonianza evangelica: proteggere la vita con coraggio e amore in tutte le sue fasi. Per questo, cari fratelli e sorelle, domando al Signore di benedire l’azione che, come Centro di Aiuto alla Vita e come Movimento per la Vita, voi svolgete per evitare l’aborto anche in caso di gravidanze difficili, operando nel contempo sul piano dell’educazione, della cultura e del dibattito politico. E’ necessario testimoniare in maniera concreta che il rispetto della vita è la prima giustizia da applicare. Per chi ha il dono della fede questo diventa un imperativo inderogabile, perché il seguace di Cristo è chiamato ad essere sempre più “profeta” di una verità che mai potrà essere eliminata: Dio solo è Signore della vita. Ogni uomo è da Lui conosciuto e amato, voluto e guidato. Qui soltanto sta l’unità più profonda e grande dell’umanità, nel fatto che ogni essere umano realizza l’unico progetto di Dio, ognuno ha origine dalla medesima idea creatrice di Dio. Si comprende pertanto perchè la Bibbia afferma: chi profana l’uomo, profana la proprietà di Dio (cfr Gn 9,5).
Quest’anno ricorre il 60° anniversario della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo il cui merito è stato quello di aver permesso a differenti culture, espressioni giuridiche e modelli istituzionali, di convergere attorno ad un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti. Come ho recentemente ricordato, nella mia visita all’ONU, ai membri delle Nazioni Unite, “i diritti umani debbono essere rispettati quali espressione di giustizia e non semplicemente perché possono essere fatti rispettare mediante la volontà dei legislatori. La promozione dei diritti umani rimane quindi la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza”. Per questo è oltremodo lodevole anche il vostro impegno nell’ambito politico come aiuto e stimolo alle Istituzioni, perché venga dato il giusto riconoscimento alla parola “dignità umana”. La vostra iniziativa presso la Commissione per le Petizioni del Parlamento Europeo, nella quale affermate i valori fondamentali del diritto alla vita fin dal concepimento, della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, del diritto di ogni essere umano concepito a nascere e ad essere educato in una famiglia di genitori, conferma ulteriormente la solidità del vostro impegno e la piena comunione con il Magistero della Chiesa, che da sempre proclama e difende tali valori come “non negoziabili”.
Cari fratelli e sorelle, incontrandovi il 22 maggio del 1998, Giovanni Paolo II vi esortava a perseverare nel vostro impegno di amore e difesa della vita umana, e ricordava che, grazie a voi, tanti bambini potevano sperimentare la gioia del dono inestimabile della vita. Dieci anni dopo, sono io a ringraziarvi per il servizio che avete reso alla Chiesa e alla società. Quante vite umane avete salvato dalla morte! Proseguite su questo cammino e non abbiate paura, perché il sorriso della vita trionfi sulle labbra di tutti i bambini e delle loro mamme. Affido ognuno di voi, e le tante persone che incontrate nei Centri di aiuto alla vita, alla materna protezione della Vergine Maria, Regina della Famiglia, e mentre vi assicuro il mio ricordo nella preghiera, di cuore benedico voi e quanti fanno parte dei Movimenti per la Vita in Italia, in Europa e nel mondo.

Fonte: fonte non disponibile, 12 maggio 2008

4 - CENTRI SOCIALI ALL'ASSALTO DELLO SPAZIO DEL MOVIMENTO PER LA VITA ALLA FIERA DI PADOVA

Autore: Francesco dal Mas - Fonte: fonte non disponibile, 11/05/08

Insulti, manifesti stracciati e minacce: assalto allo spazio del Movimento per la Vita
Presidente dell’Mpv patavino: le hanno identificate, le denunceremo Il gruppo ha interrotto il suo raid solo dopo l’arrivo della polizia. Il vice Civitas , estremiste devastano lo stand che difende la vita.

 Non bastava l’attentato alla sede del centro per la Vita di Padova, l’8 marzo. Le 'Donne in movimento', che fanno riferimento a Radio Sherwood, l’emittente dei centri sociali, hanno dato l’assalto, in una ventina, ieri pomeriggio allo stand del Movimento per la Vita allestito in Fiera a Padova, nell’ambito del salone dell’economia solidale, Civitas. Hanno strappato dalle pareti i manifesti inneggianti alla vita, bucato i palloncini multicolore, afferrato i libri le riviste ed il materiale informativo e li hanno gettati nei sacchi delle immondizie che si erano portati a casa. Il tutto condito da grida e slogan minacciosi e da un atteggiamento intimidatorio. Dal megafono hanno ripetuto: «Il corpo è nostro, la violenza è vostra». E mentre stavano svolgendo il raid, alcune giovani hanno tenuto disteso, perché lo osservassero i visitatori di 'Civitas ' uno striscione con la scritta: «Meno movimento per la vita, più donne in movimento». Analoga la dicitura su un centinaio di volantini distribuiti al pubblico. L’avvocato Marcello Vinci, vicepreside del Movimento per la vita è stato preso a male parole. L’europarlamentare Iles Braghetto, dell’Udc, che era di passaggio, senza qualificarsi è intervenuto per fermare il furore delle contestatrici. «Ferme parliamone. Non è democratico quanto fate» ha provato a dire, nel tentativo - fallito - di proteggere libri, manifesti e l’altro materiale esposto. Antonio Sambo, coordinatore del salone, è stato costretto ad interrompere il convegno di 'piazza Civitas ' sul diritto d’impresa che si svolgeva a pochi metri di distanza. Tra gli altri stavano parlando Stefano Zamagni dell’Agenzia per le Onlus e Sergio Marelli di Focsiv. «Salite sulla pedana, andate ai microfoni, e dite la vostra, perché questa è la piazza del confronto» ha provato a dire Sambo. Nessuna risposta: le violente hanno continuato ad accusare il Movimento per la Vita di infrangere la legge 194. Come? Violando, a loro dire, i diritti della donna perché in ospedale parlano con quante intendono abortire giungendo, talvolta, a far loro cambiare idea. E ancora: «Il corpo è mio e lo gestisco io». E tra uno slogan e l’altro, tanti insulti.
  Quando è arrivata la polizia, chiamata dagli organizzatori, il gruppo ha concluso la contestazione ed si è allontanato fra gli stand. «Martedì prossimo ci riuniremo e li denunceremo », anticipa Vinci mentre gli agenti identificavano tutte le donne. Altra denuncia era scattata nei loro confronti dopo l’assalto alla sede di via Tre garofani l’8 marzo. «In quell’occasione ci distrussero gli uffici, imbrattando i muri, rovinando i mobili, bloccando gli ingressi con la colla». Lo stand del Movimento per la vita è stato presidiato dai poliziotti per tutto il pomeriggio, fino alla chiusura. La Digos è intervenuta per sequestrare il materiale della spedizione rimasto sul posto. «Continua, purtroppo, l’inaccettabile clima di intimidazione e violenza nei confronti dei volontari che si battono per il diritto alla vita e la sua tutela, dal suo concepimento all’epilogo naturale», commenta Vinci. Solidarietà è stata espressa anche da Edo Patriarca, tra i responsabili di Civitas . «Un atto doppiamente brutto: primo perché colpisce il Movimento che difende la vita, poi perché è avvenuto in un luogo come 'Civitas ' dove si insegna la solidareità e la tolleranza». Solidarietà è stata espressa anche da Ministro del Welfare Maurizio Sacconi. Il rappresentante del governo ha chiesto «tolleranza zero nei confronti di tutte le forme di violenza politica. Deve finire quell’uso ricorrente della forza nella politica che era propria del ’900. Questa è l’ultima espressione di un mondo che non c’è più».

Fonte: fonte non disponibile, 11/05/08

5 - CREMAZIONE. UNA PRATICA CHE NON APPARTIENE ALLA TRADIZIONE CRISTIANA

Autore: Maurizio Ceriani - Fonte: fonte non disponibile, 14 febbraio 2008

Si diffonde anche nei nostri paesi una pratica che pur consentita - a certe condizioni - dalla Chiesa spesso sottintende comunque un rifiuto della morte, che i cristiani non possono avallare.

Il tema è uno di quelli delicati dove, al di là delle norme e degli orientamenti pastorali, resta sempre un “margine” personale e familiare che sfugge a qualsiasi tentativo di codificazione. Stiamo parlando della cremazione dei cadaveri che si sta sempre più affermando anche in Italia. L’ufficio liturgico della Conferenza Episcopale Italiana ha pubblicato, lo scorso autunno, un sussidio dal titolo “Proclamiamo la tua risurrezione”. Si tratta di uno strumento che vuole essere “sensibilmente attento alle nuove situazioni di morte” e utile “in quelle situazioni non contemplate dal libro liturgico del Rito delle esequie”. Un capitolo intero, il sesto per la precisione, è dedicato al tema della cremazione; vi sono riportate le preghiere sul luogo della cremazione, gli orientamenti pastorali per la celebrazione esequiale dopo la cremazione in presenza dell’urna cineraria e le preghiere per la deposizione dell’urna. Qualche tempo fa il comune di Torino aveva addirittura sponsorizzato una campagna di promozione della cremazione. Era stata affidata ad un annuncio pubblicitario sul quale campeggiava un angelo tutto d’oro, con un’urna cineraria nella destra, e la scritta: “Da oggi a Torino, la cremazione è un servizio a spese del Comune. La cremazione non cancella il ricordo. Non brucia l’anima. Non è peccato. E non prende spazio”. Affermazioni certo non false; resta però il fatto che cremazione e sepoltura non possono stare sullo stesso piano per il credente.
LA NORMATIVA CANONICA E CIVILE
La cremazione dei cadaveri di fatto è un’usanza antichissima che iniziò a decadere proprio con l’avvento del cristianesimo, che preferì l’inumazione ad imitazione della sepoltura di Cristo. Fu reintrodotta in Italia in epoca napoleonica per presunte ragioni igieniche, ma divenne immediatamente uno dei simboli dell’anticlericalismo giacobino e massonico, un segno di avversione nei confronti della Chiesa e di affermazione di una forma di materialismo neoepicureo contro la dottrina cristiana della risurrezione. Fu questo atteggiamento che costrinse la Chiesa a negare le esequie cristiane a quanti avessero scelto la cremazione (codice di diritto canonico del 1917, can. 1240, 5). In seguito, prendendo atto delle mutate circostanze, nel 1963 l’allora Sant’Uffizio concesse il funerale cristiano anche a chi sceglieva di far cremare il proprio cadavere purché fosse chiaro che tale scelta non era fatta contro la fede cristiana. Di conseguenza il codice di diritto canonico del 1983 recepì questo orientamento e lo codificò nella norma che sancisce la negazione delle esequie ecclesiastiche a coloro “che scelsero la cremazione del proprio corpo per ragioni contrarie alla fede cristiana” (n. 1184). Nel 2001 il Parlamento italiano ha promulgato la legge 130 con la quale permette ai familiari di custodire in casa le ceneri dei loro congiunti defunti e ne autorizza anche l’eventuale dispersione negli spazi cimiteriali come in altri spazi legalmente stabiliti.
LA CENSURA DELLA MORTE
Considerata in sé stessa, la cremazione non è contraria a nessuna verità né di ordine naturale né di ordine soprannaturale, e nella fattispecie - a meno che non sia accompagnata da motivazioni ideologiche materialistiche - non contiene l’oggettiva negazione dei dogmi relativi alla risurrezione della carne. Tuttavia va detto con forza che lo scenario culturale entro cui oggi si colloca è quello della “censura” della morte e del morire. La morte è diventata “oscena”, di lei non si deve neppure parlare tra gente per bene, perché rientra nella categoria dell’infamia. E quando ineluttabilmente la morte giunge, va occultata e rimossa, insieme ai suoi simboli millenari. Così abbiamo assistito al progressivo “sbiadimento” dei colori funebri che dal nero, tradizionale tinta del lutto nella cultura cristiana occidentale, sono progressivamente giunti ad un grigino chiaro chiaro, a un fucsia, a un verdolino velato; purtroppo questo fenomeno ha coinvolto anche i colori della liturgia. Si è evoluta e amorfizzata la forma dei carri funebri; il traffico delle nostre città ha messo fine ai cortei e tutto si è chiuso nella sfera del privato, se non addirittura del nascosto. Ora c’è il rischio che questo processo di censura del morire travolga anche le tombe, sostituendole con urnette cinerarie da tenere in casa come soprammobili, passando quindi da una dimensione sociale della morte, che ancora sopravvive attraverso i cimiteri, ad una “gestione” sempre più privatistica e nascosta di questo grande mistero.
LO SPARGIMENTO DELLE CENERI
In questa prospettiva lo spargimento delle ceneri è una scelta che, non solo potrebbe sottintendere motivazioni o mentalità panteistiche o naturalistiche, ma si presenta come l’ultimo atto della diffusa tendenza ad occultare la morte fino ad abolirne anche la memoria. È lampante che il cristiano, per il quale deve essere familiare e sereno il pensiero della morte e la memoria dei defunti, non deve aderire interiormente a tali fenomeni. Anche se non è un testo normativo, il già citato sussidio della Cei precisa che “Avvalersi della facoltà di spargere le ceneri, di conservare l’urna cineraria in un luogo diverso dal cimitero o prassi simili, è comunemente considerato segno di una scelta compiuta per ragioni contrarie alla fede cristiana e pertanto comporta la privazione delle esequie ecclesiastiche”. Emerge da queste parole soprattutto la preoccupazione di non perdere il luogo comune della memoria dei defunti che è la tomba, la sepoltura gravida di affetti intramontabili, di speranze ultraterrene, di atti di fede nella resurrezione. Basterebbe ripercorrere alcune espressioni di quel capolavoro poetico che sono “I Sepolcri” di Foscolo per recuperare tutto il valore umano e cristiano della sepoltura. C’è una “Celeste corrispondenza d’amorosi sensi” – dice il Poeta – per cui “spesso per lei si vive con l’amico estinto e l’estinto con noi” a patto che “serbi un sasso il nome”.
ALTRI FATTORI DA CONSIDERARE
Non bisogna nascondere che la scelta della cremazione spesso è accompagnata anche da considerazioni di carattere economico. Infatti il costo della cremazione - e dell’eventuale dispersione delle ceneri - è nettamente inferiore ai “salassi” che tutti ben conoscono, legati al giro d’affari costruitosi in questi anni sul “caro estinto”. Inoltre molti comuni agevolano questa prassi, accollandosi parte dei costi dell’incenerimento. Anche su questo punto andrebbe operata un’ampia riflessione, accompagnata da coraggiose decisioni, capaci di stroncare il lucro esagerato che circonda funerali, sepolture, tombe e arredi cimiteriali. Basterebbe la scelta antica e cristianissima della sepoltura “in terra”, con tombe segnate soltanto da una croce sobria col nome del defunto.
CONCLUSIONI
Il fatto che la Chiesa permetta la cremazioni, purché non avvengano per motivi contrari alla fede e non siano accompagnati da riti neopagani come lo spargimento o la conservazione a domicilio delle ceneri, non significa un’equiparazione della cremazione alla sepoltura. Va preferita senz’altro la sepoltura, perché in essa riecheggia la genuina tradizione della fede cristiana, ma anche della civiltà e della cultura che da essa sono gemmate. La tradizione cristiana ha sempre attribuito alla sepoltura tutte quelle connotazioni dettate dalla fede per cui la morte non è un dissolvimento totale dell’esistenza. Pur nello sfacelo biologico del corpo nel grembo della terra, la morte è il momento di compimento e di sintesi di tutta la vita, che trova il suo significato più profondo nel mistero dischiuso dal Crocifisso risorto. È in lui che il corpo cadavere assume la sua dignità. Ed è proprio a partire dal rispettoso trattamento riservato alla salma di Gesù e al momento della sua sepoltura che, nel corso della storia, i Cristiani  hanno sviluppato un pietoso trattamento dei morti. Forse l’attrazione che il nostro tempo patisce nei confronti della cremazione è uno dei tanti segni di decadenza della nostra civiltà. Lo aveva intravisto quel grande scrittore cristiano che fu Tolkien. In un passaggio drammatico del suo “Signore degli Anelli”, mette sulle labbra di un personaggio, davanti alla morte, queste parole inquietanti: “Io mi avvio al mio rogo. Al mio rogo! Niente tombe per Denethor e Faramir. Niente tombe! Niente lungo e lento sonno di morte imbalsamati. Noi arderemo come facevano i Re barbari. L’Occidente soccombe!”.

Fonte: fonte non disponibile, 14 febbraio 2008

6 - LA GUARDIA SVIZZERA AL SERVIZIO DEL SUCCESSORE DI PIETRO

Autore: Alberto Carosa - Fonte: fonte non disponibile, 5 Maggio 2008

Una storia di grande eroismo. Il 6 maggio 1527 è passato alla storia non solo come l'inizio dell'infame Sacco di Roma, ma anche come il giorno del primo autentico "battesimo di fuoco" per il corpo di Guardie Svizzere Pontificie che aveva cominciato a servire il Papa e il Papato un paio di decenni prima. Quel giorno i soldati svizzeri difendevano San Pietro guidati dal comandante Kaspar Röist. Le orde dei lanzichenecchi non rispettarono il luogo santo e sferrarono con veemenza il loro attacco. Le Guardie Svizzere Pontificie caddero eroicamente con il loro Comandante. Dell'intero corpo, costituito da 189 soldati, se ne salvarono solo 42, quelli che erano di servizio quel giorno nel Palazzo Apostolico col compito di scortare Papa Clemente VII al sicuro in Castel S. Angelo.

IN DIFESA DEL PAPA DURANTE IL SACCO DI ROMA
Dal "battesimo del fuoco" al "battesimo del sangue": L'eroismo delle Guardie Svizzere Pontificie.

Il 6 maggio 1527 è passato alla storia non solo come l'inizio dell'infame Sacco di Roma, ma anche come il giorno del primo autentico "battesimo di fuoco" per il corpo di guardie svizzere pontificie che aveva cominciato a servire il Papa e il Papato un paio di decenni prima.
Ma perché reclutare soldati proprio dalla Svizzera? Perché storicamente gli svizzeri sono famosi per le loro capacità in due particolari mestieri: fare orologi e fare la guerra. I mercenari svizzeri si mettono in luce particolarmente nel XV secolo, dedicandosi per lungo tempo all'attività militare mercenaria quale sbocco alla loro povertà.
La loro forza d'animo, nobili sentimenti e proverbiale spirito di fedeltà ne faceva dei combattenti ritenuti invincibili. Le loro formazioni semplici e primitive in quadrati massicci, che richiamavano la testuggine romana, armati di picche, si opponevano come istrici dai lunghi aculei agli attacchi della cavalleria, segnandone l'inizio del declino come arma decisiva.
Tutte queste doti e in particolare lo spirito di fedeltà, rispetto alle altre truppe mercenarie del tempo, trovarono piena conferma, se pur ce ne fosse stato bisogno, quel giorno, che era cominciato con l'assalto mattutino alle mura vaticane di Borgo tra il Gianicolo e il Vaticano, da parte delle truppe imperiali di Carlo V al comando del duca Carlo di Borbone.
ROMA ATTACCATA
Ma come si era giunti a questo assalto alla Città eterna? L'ordine era venuto dallo stesso Imperatore Carlo V, che in tal modo volle punire il Papa Clemente VII per il voltafaccia con cui aveva aderito alla Lega Santa di Cognac, alleandosi al Re di Francia, Francesco I di Valois (a sua volta alleato con i turchi), in funzione anti-imperiale. Papa Clemente temeva infatti, che le mire espansionistiche del sovrano asburgico mettessero a rischio la stessa esistenza dello Stato Pontificio come entità territoriale.
Il Conestabile di Borbone e la sua orda selvaggia, in gran parte lanzichenecchi tedeschi protestanti già sotto il comando del generale Giorgio von Frundsberg (costretto ad abbandonare il campo anzitempo per motivi di salute), dovevano prendere la città in fretta, per evitare di essere intrappolati a loro volta dall'esercito della Lega, che avrebbe potuto tagliargli la via della ritirata.
Poiché forse l'assalto non procedeva secondo i tempi previsti, il Borbone decise di andare a spronare personalmente i suoi soldati che si disponevano a scalare le mura alla Porta del Torrione. Ma mettere tanto zelo in un'impresa del genere non fu una buona idea: una palla d' archibugio (che poi Benvenuto Cellini si vantò d' aver tirato) lo colpì a morte.
Dopo un attimo di sbandamento, gli assalti ripresero più furiosi di prima e i mercenari spagnoli (6000 effettivi, il reparto più consistente dopo i lanzichenecchi) sfondarono la Porta del Torrione, mentre i lanzichenecchi dilagavano per Borgo S. Spirito e S. Pietro. La Guardia Svizzera, compatta ai piedi dell'obelisco che allora si trovava vicino al Campo Santo Teutonico, e le poche truppe romane resistettero eroicamente.
UN GLORIOSO MARTIRIO
Dopo l'eccidio di tutti i soldati di guardia, mentre per il corridoio il Papa si metteva al sicuro, gli svizzeri ancora resistevano, difendendo S. Pietro. Alla loro testa era il comandante Kaspar Röist. Le orde non rispettarono il luogo santo e feroce si riaccese la mischia. Tutti caddero fino all'ultimo e con essi la consorte del comandante Röist, mutilata prima delle braccia, poi uccisa sul cadavere del marito. Dell'intero corpo, 189 svizzeri, se ne salvarono solo 42, quelli che erano di servizio quel giorno nel palazzo apostolico e quindi col compito di scortare il Papa al sicuro in Castel S. Angelo.
Infatti il loro supremo sacrificio non fu vano, perché guadagnarono il tempo sufficiente al Papa per mettersi in salvo attraverso il "Passetto", un corridoio segreto costruito da Alessandro VI sul muro che collegava il Vaticano con Castel Sant'Angelo.
A suggello del loro supremo sacrificio, equivalente a un vero e proprio martirio, i 147 svizzeri si coprirono di eterna gloria cadendo eroicamente proprio sui gradini dell'altare maggiore di S. Pietro, quasi a simboleggiare l'unione dell'offerta del loro sangue a quella che Nostro Signore rinnova in maniera incruenta in ogni celebrazione della Santa Messa.
ROMA IN MANO AI BARBARI PROTESTANTI
Attraverso Ponte Sisto, poi, i lanzichenecchi e gli altri mercenari al seguito si riversarono sulla città, e per otto giorni diedero libero sfogo a ogni sopruso e efferatezze possibili e immaginabili: omicidi, torture, stupri, rapine, sequestri di persona a scopo di estorsione, saccheggi, devastazioni, incendi, accanendosi particolarmente nello sfregio di luoghi e oggetti sacri e nelle offese a quanti vestissero un abito religioso.
La violenza fu tale che appena qualche giorno dopo, il 10 maggio, l'estensore di una relazione alla Repubblica veneta scriveva: «L'inferno è nulla in confronto colla vista che Roma adesso presenta». I morti pare siano stati dodicimila nei primissimi tempi, cui vanno aggiunte le svariate centinaia, se non migliaia, di altre vittime della peste che scoppiò quasi contemporaneamente, vuoi a causa dei molti cadaveri insepolti e mangiati dai cani, vuoi per le condizioni e le abitudini promiscue della soldataglia (che ne fu a sua volta ampiamente decimata).
Il valore complessivo del bottino si sarebbe poi aggirato - secondo le stime dello stesso Clemente VII - intorno alla cifra esorbitante di dieci milioni di ducati d'oro.
Ma ingenti furono anche - sul piano più prettamente culturale - i danni subiti dagli archivi e dalle biblioteche, dai tesori delle chiese e dalle raccolte d'arte; furono profanate perfino le tombe dei Papi, compresa quella di Giulio II, per rubare il loro contenuto.
Oltre al danno irreparabile della distruzione di reliquie, andò perduto anche un tesoro d'arte inestimabile, ossia la maggior parte dell'oreficeria artigiana di chiesa. Ad ulteriore sfregio, i lanzichenecchi adibirono san Pietro a stalla per i loro cavalli.
Non c'è da meravigliarsi troppo di tutto questo perché l'esercito imperiale, e in particolare i lanzichenecchi, erano animati da uno spirito di crociata antipapista, anche se erano al soldo di un monarca cattolico; infatti il Frundsberg non aveva fatto mistero di voler prendere Roma per impiccare il Papa e i suoi cardinali.
"VIVAT LUTHERUS PONTIFEX"
Non mancarono poi quanti interpretarono gli avvenimenti come un segno dell'ira di Dio per le divisioni dei cristiani a seguito della rivoluzione protestante. Davanti a Castel Sant'Angelo, sotto gli occhi del Papa, fu poi imbastita una parodia di processione religiosa, con la quale si chiedeva che Clemente cedesse a Lutero vele e remi della "Navicella" di Pietro.
Allora la soldataglia gridò: "Vivat Lutherus pontifex". Per sfregio, il nome di Lutero fu inciso con la punta d'una spada sull' affresco La Disputa del Santissimo Sacramento nelle Stanze di Raffaello, mentre un altro graffito inneggiava a Carlo V Imperatore.
Conciso e esatto il giudizio del priore dei canonici di S. Agostino emesso allora: «Mali fuere Germani, pejores Itali, Hispani vero pessimi»: i tedeschi furono cattivi, peggiori gli italiani, pessimi gli spagnoli.
Ad accrescere la ferocia dei vincitori contribuì forse anche il mancato pagamento della "cinquina", ossia il soldo che a quei tempi veniva pagato ogni cinque giorni. Quando però il comandante delle truppe non disponeva di danaro sufficiente, autorizzava il cosiddetto "sacco" della città, che in genere non durava più di una giornata. Nel caso specifico, la soldataglia era rimasta senza paga, senza comandante e senza ordini, e poté quindi più facilmente abbandonarsi ad un saccheggio così sfrenato e prolungato.
UN MERITO CHE NON SI DIMENTICA
La notizia del Sacco di Roma commosse l'intera Europa ed ebbe grande impatto emotivo e vasta eco presso i contemporanei, tanto che ne rimane traccia in un'articolata pubblicistica. Lo stesso Carlo V ne rimase indignato e fece sospendere le feste indette in Spagna per la nascita del figlio Filippo, fece fare preghiere per la liberazione del Pontefice (come se non fosse suo prigioniero) e scrisse al Re d'Inghilterra e agli altri principi che le violenze erano state commesse contro la sua volontà.
La soppressione della Guardia Svizzera, sostituita da una compagnia di 200 lanzichenecchi, fu tra le condizioni imposte a Clemente VII per la resa, ma egli ottenne che gli svizzeri sopravvissuti fossero inclusi nel nuovo corpo. Però solo dodici accettarono, mentre gli altri non vollero avere niente a che fare con gli odiati mercenari tedeschi.
La Guardia Svizzera fu reintegrata nella pienezza dei suoi compiti da Paolo III il 3 febbraio 1548, quando un contingente di 225 confederati tornò a servire il Papa su base permanente.
E se oggi la Guardia Svizzera è ancora al suo posto dopo le riforme seguite al Concilio Vaticano II, che hanno portato invece all'abolizione di altri corpi armati vaticani, lo si deve anche al ricordo indelebile dell'eroico sacrificio dei suoi 147 membri cinque secoli fa, luminoso esempio di spirito cavalleresco e fedeltà incrollabile al servizio del Papa e del Papato fino alle ultime conseguenze.

 

Fonte: fonte non disponibile, 5 Maggio 2008

7 - LE ORIGINI DEL PACIFISMO: CONDANNARE SEMPRE E SOLO L'AMERICA
Le origini (antiamericane) del pacifismo
Autore: Sandro Fontana - Fonte: fonte non disponibile, Marzo 2008

Nel 1950 in Europa, sopratutto in Italia e Francia, dove il partito comunista è più forte, prende il via una capillare e ossessiva campagna di propaganda pacifista il cui intento era dividere gli Usa dagli alleati, indebolire la Nato  e dissimulare la corsa sovietica agli armamenti 
Per capire l’origine e la natura del pacifismo, che ha sempre avuto un ruolo decisivo nella storia politica italiana ed europea dal 1945 ad oggi, è necessario partire da due eventi che ne hanno determinato la nascita. Il primo riguarda la sconfitta dei partiti comunisti nei Paesi occidentali; quando come in Italia vennero in un primo tempo estromessi dal governo (maggio 1947) e poi clamorosamente battuti alle elezioni politiche (18 aprile 1948).
Il secondo evento riguarda la stipula dell’alleanza militare nordatlantica, cioè della Nato, che venne sottoscritta il 4 aprile 1949 da ben dodici Paesi e cioè: Belgio Danimarca, Francia, Gran Bretagna Islanda, Italia, Canada, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Usa; ai quali si unirono successivamente anche la Grecia, la Turchia, la Repubblica Federale Tedesca e la Spagna.
Questi due eventi provocarono nell’Unione Sovietica e nei partiti comunisti occidentali una sorta di psicosi da isolamento e da accerchiamento che li costrinse a trasformare i propri militanti in «Partigiani della pace» e a contrastare con ogni mezzo le politiche dei governi democratici cercando di raccogliere i più vasti consensi presso popolazioni che ancora portavano sulla pelle i segni della terribile guerra appena terminata. Nella diffusione capillare dell' ideologia pacifista in ogni Paese ebbe un ruolo determinante il Partito comunista italiano:  e ciò non solo perché si rivelò fin dal 1946 il più grande partito comunista occidentale, ma anche perché era guidato da un uomo come Togliatti che per la sua abilità e spregiudicatezza Stalin aveva sempre utilizzato e valorizzato per la diffusione mondiale del comunismo.
Ma il 1949 non è stato soltanto l'anno della nascita della Nato. È anche l'anno in cui l'Urss riuscì finalmente a sperimentare la sua prima bomba atomica, la quale per la propaganda comunista divenne subito un'«arma di pace», cioè capace di rompere il monopolio anglosassone e di agire come deterrente nei confronti dei disegni dei guerrafondai occidentali. Ma il 1949 è anche l'anno nel quale Mao proclama a Pechino la Repubblica Popolare Cinese, con cui Stalin si affretta a stabilire una solida alleanza politica e militare trentennale.
Questi eventi - da un lato la bomba atomica sovietica e dall'altro l'avvento della Cina di Mao - di fatto venivano a capovolgere a vantaggio di Stalin la situazione internazionale e consentivano a quest'ultimo di sferrare su scala planetaria l'offensiva pacifista per cercare di incrinare la tenuta politica dei governi europei solidali con gli Stati Uniti d'America. In concreto, Stalin ebbe la sensazione di poter realizzare in quegli anni un disegno egemonico e imperialistico che aveva coltivato fin dal 1937, quando cioè affermava con grande convinzione: «Gli zar hanno fatto molte cose cattive. Hanno rapinato e soggiogato il popolo. Hanno condotto guerre e si sono impadroniti di territori nell'interesse dei grandi proprietari fondiari. Ma una cosa buona l'hanno fatta: hanno creato uno Stato enorme, sino alla penisola Kamjatka in estremo Oriente. Noi abbiamo ricevuto in eredità questo Stato. E per la prima volta noi, bolscevichi, abbiamo reso coeso e rafforzato questo Stato come Stato unitario e indivisibile, non nell'interesse dei grandi proprietari e dei capitalisti, bensì a vantaggio dei lavoratori, di tutti i popoli che costituiscono questo Stato». Con l'avvento della Cina di Mao, l'antico disegno euro-asiatico di Stalin appariva perciò a portata di mano: si trattava ora solo di disarticolare, con abilità e destrezza, tutte le società occidentali che s'erano alleate con gli Usa.
LA GRANDE OFFENSIVA
In questo quadro internazionale, mentre venivano accelerati i preparativi per l'invasione della Corea del Sud da parte del regime nord-comunista di Kim II Sung, venne predisposta e lanciata nei primi mesi del 1950 quella che, per intensità e durata, può essere considerata la più grande offensiva pacifista nel corso della guerra fredda. La decisione di lanciare a livello mondiale una campagna capillare di interdizione della bomba atomica, venne presa a Mosca nel Politburò del 17 gennaio 1950 al fine di promuovere le necessarie «Misure per un ulteriore sviluppo del movimento dei Partigiani della pace». L'organizzazione di un Congresso mondiale dei Partigiani della pace, che si tenne a Stoccolma dal 15 al 19 marzo 1950, venne di fatto affidata al Partito comunista francese, cioè a Maurice Thorez, che indicò alla presidenza del Congresso il fisico nucleare filocomunista Frédéric Joliot-Curie, premio Nobel nel 1935. Il quale fece approvare dal Congresso un appello contro il ricorso alla bomba atomica «come arma di intimidazione e di sterminio di massa». Nell’appello, che doveva essere diffuso e sottoscritto nelle società occidentali, si auspicava anche un rigoroso controllo internazionale che assicurasse il rispetto di questa indicazione, nonché la condanna del governo che per primo avesse utilizzato quest’arma come «criminale di guerra» e come responsabile di «crimini contro l’umanità».
Da quel momento in tutti i Paesi europei, e in particolare in Italia e in Francia dove operavano i più forti partiti comunisti dell’Occidente, prendeva il via un’azione capillare, continuativa e ossessiva di propaganda pacifista sotto la guida mondiale di Stalin e all’insegna della doppiezza e della menzogna. E ciò, non solo perché, mentre veniva promossa la propaganda pacifista, proseguiva la rincorsa agli armamenti da parte dell’Urss cui venivano allora attribuite da politici come Emilio Lussu 170 divisioni di fanteria, 35 divisioni motocorazzate e 60 divisioni di artiglieria; non solo perché nel frattempo veniva invasa la Corea del Sud contro le truppe delle Nazioni Unite e con il «soccorso» di oltre 300 mila volontari cinesi al fine di dimostrare come la maggiore potenza militare del mondo non fosse invincibile; non solo perché, mentre i Paesi europei erano impegnati nella ricostruzione post-bellica e venivano investiti da una crescita industriale senza precedenti, la propaganda comunista puntava tutto, contro ogni evidenza, sulla «crisi europea», cioè sul fallimento della ripresa economica e della ricostruzione post-bellica; ma soprattutto perché la propaganda pacifista, che in Italia faceva capo all'Ufficio Nazionale Organizzazione guidato da Pietro Secchia, veniva svolta non dalle cellule o dalle sezioni del partito ma a nome dei «Partigiani della Pace» per impedire all'opinione pubblica di identificare il Pci con il movimento pacifista.
Intervenendo nel Comitato centrale del 12-14 aprile 1950, Togliatti sosteneva infatti, a proposito dell'Europa, che «se non fossero intervenute dal di fuori delle forze reazionarie a mantenere in vita il regime di Franco, il regime di De Gasperi e di Salazar, il regime clericale austriaco, il regime di Bidault in Francia e così via, in questa Europa occidentale esisterebbe già un'altra situazione politica e sociale». Secondo il segretario del Pci il blocco elettorale del 18 aprile 1948 non era altro che «un dispositivo politico e sociale di preparazione a un ritorno alla reazione aperta, cioè al fascismo; e di preparazione di un nuovo conflitto internazionale, cioè alla guerra». Di fronte a uomini come Gedda e a giornalisti come Missiroli, Lupinacci e Ansaldo, Togliatti riusciva a diventare persino triviale manifestando tutto il proprio disgusto nel vedere «galleggiare nelle acque torbide della politica italiana questi rifiuti della fogna fascista». Per Togliatti il nuovo obiettivo della propaganda comunista doveva essere la disintegrazione del blocco politico e sociale raccolto intorno a De Gasperi e all'alleanza con gli Usa.
COME HITLER, ANZI PEGGIO
Non deve perciò sorprendere se per conseguire questo risultato il Pci, nelle numerose scuole di partito a sostegno della propaganda pacifista, paragonava gli americani, che avevano liberato con enormi sacrifici l'Europa da Hitler, agli stessi nazisti: «L'America», veniva affermato, «si comporta come Hitler e peggio di Hitler. Considera gli altri popoli come razza inferiore. Adopera la violenza in Corea come Hitler in Polonia. Così quelli che ieri servirono Hitler credendo che il compito della Germania fosse quello di salvare le nazioni europee, oggi non fanno altro che trasferire all'America questo compito, con l'identico risultato di ieri».
Ma poiché anche la doppiezza non poteva essere spinta oltre certi limiti, per non diventare controproducente, persino Togliatti fu costretto in due precise occasioni a gettare la maschera. La prima si verificò quando sembrava possibile ottenere anche la firma di Giuseppe Saragat in calce all'appello di Stoccolma. In quella occasione si sviluppò ai vertici del Pci — cioè nella direzione del 24-25 maggio 1950 — un dibattito serrato che venne alla fine risolto dall'intervento conclusivo di Togliatti, il quale fu costretto a sostenere come lo scopo della campagna pacifista non fosse tanto quello di conseguire la pace, quanto di contrapporre al blocco degasperiano un più vasto e minaccioso blocco antiamericano.
«La nostra mobilitazione», disse allora Togliatti nel respingere la firma di Saragat, «non è soltanto pacifista e umanitaria, ma antimperialista e antiamericana, né bisogna fare scomparire questo suo carattere». Con queste sue parole il capo del Pci fece capire che bisognava attenersi rigidamente alla linea indicata da Mosca, cioè a una posizione contraria al riformismo socialdemocratico, che veniva considerato da Stalin una riedizione aggiornata del socialfascismo. L'altra circostanza, sempre legata alla megalomania imperialistica di Stalin, discendeva per Togliatti dalla necessità di prendere le distanze da certo «pacifismo astratto» che rischiava di essere rivolto anche contro la continua crescita degli investimenti sovietici nel settore militare-industriale. Non a caso proprio in quei mesi la stampa di partito metteva in guardia i militanti contro un concetto «ideologicamente nocivo» di «pacifismo indiscriminato», che non avrebbe consentito al Pci di coinvolgere le «masse grigie e dubbiose» che andavano sottratte all'egemonia centrista della Dc.
Insomma, per ammissione dello stesso Togliatti, veniva sottolineato il carattere strumentale e ambiguo della vasta campagna pacifista e antiamericana che venne intrapresa nel 1950 dal Pci. Il quale riuscì a raccogliere circa 17 milioni di firme in calce all'appello di Stoccolma e a ottenere in ogni angolo del Paese l'adesione di prestigiose personalità del mondo cattolico (come Igino Giordani e Giovanni Gronchi, allora Presidente della Camera), del mondo della cultura (come Norberto Bobbio, Ludovico Geymonat, Ada Gobetti e Franco Antonicelli), dell'arte (come Felice Casorati e P. Barzizza direttore dell'orchestra della Rai), dell'industria (come Vittorio Valletta presidente della Fiat e l'ing. Bertolone presidente della Riv-Officine) e così via.
Certo, tutte quelle firme (che erano più del doppio degli otto milioni di voti raccolti il 18 aprile dal «Fronte del Popolo») andavano ridimensionate anche perché, per esplicita ammissione dello stesso Pietro Secchia, in molti casi vennero raccolte più adesioni dalle stesse persone. Sta di fatto che, secondo le stime del Pci, il risultato finale della campagna pacifista corrispondeva all'85,1% dell'obiettivo fissato all'inizio della mobilitazione, al 34,1% del totale degli italiani e al 205% dei voti ottenuti dalle sinistre il 18 aprile.
Come si vede siamo in presenza di un successo enorme e sorprendente: il quale, se da un lato testimoniava il desiderio di pace diffuso in una società uscita stremata e ferita da una guerra che, dalla Sicilia alle Alpi, aveva attraversato e martoriato l'intero territorio nazionale, dimostrava dall'altro la notevole capacità di penetrazione propagandistica e di coinvolgimento politico del Pci presso ogni realtà sociale, civile e culturale italiana. Si trattava di un successo che naturalmente venne subito sfruttato da Togliatti il quale, intervenendo il 18 luglio 1950, a una riunione di partito a Roma, sosteneva, senza rinunciare alla doppiezza, che il Pci poteva disporre di un esercito di 30 mila funzionari e militanti che si sentivano pronti a dare battaglia e che «saprebbero come affrontare un nuovo periodo di lotta clandestina, sfruttando le esperienze del passato e aggiungendovi la recente preparazione».
UNA RICERCA IMPONENTE
Come si può notare, il periodo di storia italiana che va dal 1949 al 1954 rappresenta una pagina della nostra vicenda nazionale che non può essere assolutamente ignorata anche perché essa ha finito col provocare una sorta di mutazione antropologica nel cittadino medio italiano: il quale da allora ogniqualvolta avverte che la pace è in pericolo nel mondo è portato a manifestare irriducibili sentimenti pacifisti purtroppo sovente imbevuti di spirito antiamericano.
Per nostra fortuna l’intero periodo è stato oggetto negli ultimi anni di una ricerca imponente e meticolosa da parte di un giovane studioso, Andrea Guiso, che insegna storia contemporanea alla Sapienza di Roma e che è allievo di Gaetano Quagliariello. Nella sua opera (La colomba e la spada, Rubettino Ed., Soveria Mannelli 2007, pp. 686 euro 38), egli non solo ha esaminato i dibattiti parlamentari  dedicati al tema della pace, non solo ha consultato i documenti approvati a livello locale e nazionale  dai maggiori partiti di massa come la Dc e il Pci, ma ha anche esplorato  gli archivi delle prefetture e delle questure che allora potevano  disporre di confidenti riservati presso i vari partiti e avevano il compito di seguire l’azione di penetrazione capillare del Pci presso tutte le pieghe e tutte le articolazioni sociali e civili della società italiana.
Andrea Guiso nella sua avvincente e dettagliata ricerca ha esaminato anche tutta la stampa periodica dedicata all’informazione dei militanti comunisti (come il Quaderno dell’attivista) e ha consultato una notevole mole di documenti sulle attività delle più importanti Federazioni provinciali del Pci (come quelle di Bologna, di Torino, di Milano e di Roma): il tutto collegando puntualmente l’evoluzione nazionale del Pci agli sviluppi e alle direttive dell’Urss e del Kominform sulla base dei documenti resi accessibili agli studiosi dopo il crollo dell’impero sovietico. Il risultato di questa importante e imponente ricerca è un volume di 670 pagine, il quale deve soprattutto aiutarci a capire quali pericoli mortali, in quegli anni cruciali, avrebbe corso la nostra libertà se la sua difesa non fosse stata affidata a un pugno di uomini liberi e forti come i vari De Gasperi, Scelba, Einaudi, Saragat e La Malfa.

Fonte: fonte non disponibile, Marzo 2008

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