BastaBugie n�18 del 29 febbraio 2008

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1 DOCUMENTO DEI MEDICI: LA NOTIZIA FALSA E NON RETTIFICATA DA GIORNALI E TELEVISIONI
Sul testo mai votato la sordina dei giornali
Autore: Francesco Ognibene - Fonte:
2 NOI MEDICI SIAMO AMATI PERCHÉ RISPETTIAMO LA VITA
Il giuramento di Ippocrate e le vicende di una professione
Autore: Carlo Bellieni - Fonte:
3 PERCHÉ GIULIANO FERRARA FA LA LISTA PER LA MORATORIA DELL'ABORTO

Autore: Giuliano Ferrara - Fonte:
4 ECCO PERCHÉ I GIORNALI E LE TV EUROPEE TIFANO HILLARY E OBAMA

Fonte:
5 LEGGE ISLAMICA, IN EUROPA E' GIA' UNA REALTA'

Autore: Gianpaolo Barra - Fonte:
6 SOLO LA CHIESA C'È: SEMPRE!
Che stupore scoprire, nella macelleria della cronaca e della storia…
Autore: Antonio Socci - Fonte:
7 LA QUARESIMA SOFT DELL'IDEOLOGIA AMBIENTALISTA
È Quaresima, bevi dal rubinetto
Autore: Michele Brambilla - Fonte:
8 MASCHI E FEMMINE NON SONO UGUALI: PAROLA DI SCIENZIATI

Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte:
9 ADERISCI ANCHE TU ALLA PETIZIONE PER UN FISCO A MISURA DI FAMIGLIA

Fonte: Redazione di BastaBugie

1 - DOCUMENTO DEI MEDICI: LA NOTIZIA FALSA E NON RETTIFICATA DA GIORNALI E TELEVISIONI
Sul testo mai votato la sordina dei giornali
Autore: Francesco Ognibene - Fonte:

Il «Corriere» nemmeno riporta la notizia del colpo di scena nella vicenda del documento su aborto e legge 40 fatto passare per «ufficiale» e invece mai sottoposto al consenso dei medici italiani

Dietrofront? Macché: avanti, marsch! Senza far caso ai fatti, senza mezza ammissione di averla sparata grossa, in qualche caso persino senza pudore. Così è andata sulla stampa nazionale di ieri, che ha messo la sordina al colpo di scena nel «caso Fnomceo» del quale lunedì tutte le agenzie di stampa avevano dato ampiamente notizia. I lettori dei grandi quotidiani hanno quindi saputo di sfuggita – e in alcuni casi nemmeno così – del contropiede di numerosi ordini provinciali dei medici che puntavano compattamente il dito contro la goffa operazione con cui il presidente della Federazione nazionale (la Fnomceo, appunto) Amedeo Bianco aveva tentato sabato di far passare per posizione ufficiale quelli che invece erano solo gli appunti di Antonio Panti (a capo dell’Ordine di Firenze) su aborto, legge 40, Ru486 e grandi prematuri, tutti orientati a una discutibile etica della scelta individuale. Si trattava, invece, di una semplice relazione che con altre 13 i partecipanti al Consiglio nazionale Fnomceo di venerdì e sabato a Roma si erano trovati nella cartella dei lavori come contributi alla discussione sui temi più disparati. Che non ci fosse stato alcun voto su qualsiasi testo – salvo su quello conclusivo generale, che di questioni etiche non faceva menzione.
Avvenire l’aveva segnalato già domenica. Una rivelazione solitaria che aveva però agitato le acque del confronto mediatico al punto da far parlare i giornali di lunedì di un presunto «attacco dei vescovi» contro i medici, accusati di 'falso'. Un’operazione al limite della farsa, gonfiata dai principali organi di stampa, dai Tg e dai Gr senza l’ombra di un dubbio che le cose fossero andate diversamente. Sembra infatti ormai consolidata l’abitudine nelle redazioni di dare per certa la versione proposta da comunicati stampa e fonti che dovrebbero insospettire un occhio professionale appena smaliziato e che invece, proponendo versioni che suonano familiari a una visione ormai tutta conformista delle questioni etiche, vengono rilanciati senza verifica dalle agenzie (prima tra tutte a battere il 'documento' fasullo della Fnomceo l’Ansa alle 12.56 di sabato, un’ora e mezza dopo l’invio del comunicato della Federazione).
Il falso è stato però smascherato definitivamente lunedì dalla spontanea sollevazione degli ordini dei medici della Lombardia, di Roma, Palermo, Bologna, Vercelli, Salerno, Imperia, Savona... nessun testo su aborto e provetta era mai stato votato. Lo stesso Bianco, ormai accerchiato, si difendeva parlando di «errore di ingenuità». Difficilmente si poteva immaginare una smentita più clamorosa di una notizia che aveva campeggiato sulle prime pagine: una novità che autorizzava ad attendersi il racconto della terza puntata di un giallo ormai risolto, anche solo per riequilibrare l’informazione fornita erroneamente ai lettori. Invece poco o niente.
Repubblica, ha parlato ieri di «camici bianchi divisi» quando ormai la verità era chiara a chiunque volesse solo vederla. La Stampa si è accodata («I camici bianchi si spaccano»), come se l’accertamento dei fatti fosse ancora oggetto di discussione. Semplicemente sorprendente il Corriere della Sera che non ha dedicato alla vicenda nemmeno una riga. Eppure la smentita era arrivata dagli ordini della Lombardia, guidati dai medici di Milano. E il Corriere con Milano qualche legame dovrebbe averlo...


2 - NOI MEDICI SIAMO AMATI PERCHÉ RISPETTIAMO LA VITA
Il giuramento di Ippocrate e le vicende di una professione
Autore: Carlo Bellieni - Fonte:

È interessante parlare con Robert De Jong, neurochirurgo olandese, come mi è accaduto di fare ieri al termine della sua lezione all’assemblea della Pontificia Accademia pro Vita nella quale con candore ha smontato punto per punto il famigerato «Protocollo di Groningen» che teorizza e giustifica l’eutanasia pediatrica.
  De Jong aveva già pubblicato le sue critiche in un’importante rivista medica, spiegando – da esperto qual è – come non sia vero che i bambini con spina bifida avvertano dolori insopportabili, che siano destinati a un’esistenza senza prospettive, o che sperimentino una scarsa qualità della vita.
  Tutto falso.
  Eppure è a questi malati che il Protocollo primariamente si applica. De Jong non è cristiano: è semplicemente realista. Dice : «Mi batto perché rispetto la vita. E la verità». E lui i bimbi con spina bifida li conosce bene, perché li cura. Ciò in cui crede lo specialista olandese è proprio quello che ognuno vorrebbe da noi medici. La gente si attende, ad esempio, che non ci facciamo prendere dall’idea postmoderna per la quale, se si profilano condizioni di salute non perfette, è lecito proporre un’uscita d’emergenza dalla vita; vuole che profondiamo uno sforzo continuo per essere accanto a ciascuno, per salvare vite, per trovare nuovi rimedi; non vuole l’accanimento: teme piuttosto l’abbandono.
  Sembra invece che la classe medica si stia specializzando in discorsi vani su chi far vivere e chi lasciar morire, oppure sull’epoca in cui si può abortire. Come ricordava di recente il famoso pediatra Avroy Fanaroff, si tratta di una visione 'necrologica' delle problematiche etiche. Lo diceva con riferimento alle riflessioni che di solito si fanno sull’etica in neonatologia, nelle quali parlare di «decisione etica» equivale a intendere automaticamente «sospensione delle cure». Ma non è difficile cogliere il peso di una visione tanto ristretta dell’etica medica in tutti i dibattiti pubblici, dentro e fuori gli ambienti clinici.
  Tutto questo alla gente non piace. Eppure sembra quasi essercisi assuefatta, forse perché sui giornali viene fatto risuonare sempre lo spauracchio dell’accanimento terapeutico e si valorizzano poco gli sforzi di chi fa ricerca seriamente, delle famiglie che curano i malati terminali, della professione infermieristica.
  Ma un simile riduzionismo etico non piace neanche a noi medici, che vorremmo far bene il nostro dovere ed essere aiutati a curare. È un problema di portata tale che recentemente il «Journal of the American Medical Association» gli ha dedicato il proprio editoriale con un titolo eloquente: «Perché i medici sono infelici?». Di fronte a deragliamenti quali quelli cui abbiamo assistito nei giorni scorsi non si tratta di invocare obiettivi utopistici ma semplicemente di ricordarci dell’antico giuramento di Ippocrate, centrato sul dovere del medico di curare, sulla sua dignità e su quella del malato. Troppa burocrazia oggi ci impedisce di riappropriarcene dentro ospedali diventati più simili ad aziende, con malati trasformati in 'utenza' e medici divenuti 'operatori sanitari'. La professione rischia di soccombere nel confronto con mansionari e decreti, budget e orari. E finisce col parlare troppo di come morire, o come non far nascere.
  Allora è forse giunto il momento perché noi medici reclamiamo che sui giornali si smetta di parlare solo di una medicina «restitutiva» (che vede cioè la mancata guarigione completa come un fallimento) e che si riporti in evidenza quella «abilitativa», il cui scopo è dare al paziente – durante il percorso terapeutico e anche quando se ne vede l’incurabilità – la possibilità di essere se stesso, di non sentirsi ridotto da 'persona' a 'malattia'. È una prospettiva culturale che ancora non si scorge. Ma è questo che vogliamo da chi guida le scelte dei medici in Italia.


3 - PERCHÉ GIULIANO FERRARA FA LA LISTA PER LA MORATORIA DELL'ABORTO

Autore: Giuliano Ferrara - Fonte:

Niente di clamoroso, niente di strano. Una lista elettorale contro l’aborto, una lista di scopo, non vuol dire quello che non vuol dire, non è una «discesa in campo» per fare politica nel senso più ovvio del termine e non è un grido per punire legalmente le donne in gravidanza od obbligarle a partorire. Queste sono deformazioni barbariche e violente. Ma allora che cos’è? Molto semplice rispondere. Un gruppo di persone si mette insieme, spende i suoi soldi e il suo tempo, impegna parte della sua vita per dire una cosa che ha un peso civile almeno eguale alla mancanza del ponte di Messina e all’invadenza fiscale. Che cosa? Che 1 miliardo di aborti in trent’anni sono troppi, che 50 milioni di aborti l’anno sono troppi per questo mondo. Che la pretesa eugenetica di selezionare la vita scegliendo chi debba vivere, invece di curare tutti, cambia la natura della civiltà umana, e in peggio, molto in peggio. Che bisogna stabilire il diritto alla vita «dal concepimento alla morte naturale» nella Carta delle Nazioni Unite, perché decine di milioni di madri sono state costrette in Asia ad abortire, o incentivate a farlo dalle politiche pubbliche delle tirannie là dominanti, e decine di milioni di bambine nasciture sono state uccise solo perché di sesso femminile. La conseguenza è quella tratta da Joseph Ratzinger in una sua vecchia conferenza di teologo: «L’amore e il buonumore sono stati dichiarati eretici». Nel momento in cui la vita nascente viene considerata un pericolo, una malattia da «curare» con l’uccisione del malato, un omicidio perfetto che lo esclude da tutto il suo futuro possibile, noi non scegliamo la libertà e l’autodeterminazione della donna: scegliamo di programmare la nostra infelicità. Punto. Una lista elettorale può occuparsi del bene e del male e della loro lotta vecchia quanto il mondo? C’è il rischio dell’integralismo o, addirittura, del fanatismo? Voltarsi dall’altra parte quando sia in ballo la vita negata è sicuramente un atto di cinismo volgare, ma è vero che prendere di petto una questione che entra nelle vite personali fa correre dei rischi. Come si evitano? Dipende da quello che si sente, che si pensa, che si dice. Se tu affermi: voglio obbligarti a partorire, sei un fanatico. Se aggiungi: voglio punirti penalmente perché rifiuti la maternità, sei un fanatico. Ma se tu dici, come la lista per la vita e contro l’aborto dice: voglio che la donna incinta sia un «soggetto sociale privilegiato», voglio che sia libera di non abortire per ragioni materiali, di solitudine anche psicologica e morale, voglio che la cultura del mio tempo non la inganni e non le proponga la soluzione comoda dell’aborto come un mezzo di contraccezione moralmente indifferente, allora non sei né un fanatico né un cinico, sei un essere umano razionale. Uno che vuole dare il suo piccolo contributo a restaurare amore e buonumore nel tempo in cui gli tocca vivere. Sono un giornalista che ha passione politica. Guadagnavo bene e vivevo molto tranquillo come anchorman di una piccola tv. Non avrei mai pensato di fare quel che faccio adesso: candidarmi con una lista contro l’aborto, candidarmi a fare il ministro della Salute nel mio Paese, diventando il bersaglio di una campagna di odio civile che le mie idee non meritano. Se lo faccio è perché credo che molta gente è esausta, affaticata dal vuoto che la circonda e che le entra nell’animo. Non sono un frate, sono pieno di peccato e di piccole colpe specifiche, non ho nemmeno la grazia della fede cristiana o di altra fede. Se perdo, continuo in altre forme. Se continuo senza rischiare di perdere, perdo. Il mio amico Silvio Berlusconi ha detto che lui sta faticando per mettere insieme 18 liste, e io ne faccio un’altra. Non è un’altra lista, Cavaliere, è un’altra cosa.


4 - ECCO PERCHÉ I GIORNALI E LE TV EUROPEE TIFANO HILLARY E OBAMA

articolo non firmato

Mentre in campo repubblicano il senatore John McCain prende il largo e si avvicina sempre di più alla nomination, il sostanziale pareggio fra Hillary Clinton e Barack Obama lascia la contenda democratica ancora in suspense. Forse è il momento di sollevare un aspetto della loro vita non messo solitamente in luce dai media italiani: la connessione col rivoluzionario Saul Alinsky.
Saul David Alinsky nacque in Chicago nel 1909. Di temperamento ribelle, militò nel Partito Comunista per molti anni, servendo anche come fund-raiser per le Brigate Internazionali durante la guerra civile spagnola. Presto, però, egli si rese conto che la rivoluzione comunista negli Stati Uniti non aveva la benché minima possibilità di successo. Iniziò allora a teorizzare una “rivoluzione populista” che, sull’onda dello slogan “il potere al popolo”, suscitasse una miriade di piccole rivoluzioni a livello locale, col trasferimento del potere dalle istituzioni alle Peoples’ Organizations create da lui. Queste organizzazioni metterebbero in pratica la democrazia diretta e l’autogestione comunitaria, arrivando quindi direttamente alla meta ambita da Marx e Engels. La massa critica di tutte le piccole rivoluzioni locali porterebbe alla rivoluzione nazionale.

Le sue idee sono contenute, fondamentalmente, in due libri: Reveille for Radicals (1946) e Rules for Radicals (1971), dedicato a « Satana, il primo rivoluzionario della storia ». Esiste anche una lunga intervista a Playboy (aprile 1972), nella quale sviluppa il suo pensiero.

Per attuare la sua rivoluzione, Alinsky fondò nel 1940 la Industrial Areas Foundation (IAF), dove vengono addestrate successive leve di community organizers, che poi vanno in giro costituendo peoples’ organizations e provocando conflitti. Per “far arrabbiare il popolo”, e quindi gettarlo nella mischia, Alinsky utilizzava metodi di coscientizzazione molto simili a quelli sviluppati dal pedagogo comunista brasiliano Paulo Freire e largamente utilizzati dalle “comunità ecclesiali di base” ispirate dalla teologia della liberazione. Questa affinità, sia nella meta che nei metodi, fra le peoples’ organizations e le comunità ecclesiali di base portò Alinsky a capire l’importanza d’una alleanza strategica con la sinistra religiosa, fino ad oggi la spina dorsale della sua rete sovversiva. Alinsky morì in modo fulminante nel 1972.

Dopo essere diventata presidente dei Giovani Repubblicani nel Wellesley College, Hillary Rodham Clin-ton cominciò a scivolare a sinistra, fino a diventare una nota attivista nel campus. Volendo imparare nuove tattiche, nel 1968 andò a Chicago per incontrare Saul Alinsky. Dopo tre ore di conversazione, il vecchio rivoluzionario gli rivolse un’offerta di lavoro come community organizer. Pur condividendo gli obiettivi, Hillary la respinse perché « pensavo che il sistema si poteva cambiare dall’interno ». Il suo approccio era anche più intellettuale ed elitista.

Affascinata comunque dal personaggio, la giovane attivista fece la sua tesi di laurea su “Un’analisi del modello Alinsky”. Pur criticandone alcuni aspetti, Hillary assimilò come propria la struttura portante del pensiero di Alinsky riguardo alla soluzione dei problemi sociali. Negli anni successivi, collaborò diverse volte con la IAF. In due occasioni fece addirittura da testimonial per la Washington Interfaith Network, affiliata alla IAF. Nel 1993 Hillary dichiarò al “Washington Post”: «Io penso che, fondamentalmente, Alinsky aveva ragione » nel suo approccio ai problemi sociali. Le esigenze della sua immagine politica, però, specie durante la presidenza del marito, la costrinsero a prenderne le distanze. La Casa Bianca giunse a chiedere a Wellesley College di sigillare la tesi di laurea della First Lady.

Nel 1985, la Industrial Areas Foundation fece un’offerta di lavoro a Barack Hussein Obama, allora ventitreenne, studente alla Columbia University. Si trattava di arruolarlo per organizzare i neri del South Side. A differenza di Hillary diciassette anni prima, Obama accettò con entusiasmo, anche perché stava cercando disperatamente lavoro.

Barack Obama seguì un corso di addestramento come community organizer, passando poi a lavorare per il Developing Communities Project, collegato al Calumet Community Religious Conference, tutte e due foggiati dalla IAF. Un suo istruttore, Gerald Kellmen, lo descriveva come “fortemente idealista, un sognatore”. Un altro istruttore, Mike Kruglik, lo riteneva “un maestro dell’agitazione”. Per ben quattro anni, Obama si adoperò per avviare diverse iniziative popolari fra i neri, contattando politici, uomini di Chiesa e leader locali.

Lo stesso Obama guarda indietro con riconoscenza: « Gli anni come community organizer mi diedero la miglior educazione della mia vita ».

Alla stregua di Hillary, anche lui scelse di entrare in politica per cambiare il sistema dall’interno. Andò ad Harvard per studiare Giurisprudenza, tornando poi alla sua città come professore di Diritto costituzionale. Candidato nel 1995 al Senato di Illinois, egli venne eletto con ampio appoggio popolare. I commentatori concordano che la sua formazione come community organizer è la chiave del suo successo. Nei dibattiti pubblici con Hillary, secondo Kyle-Anne Shriver, «non sorprende che il jujitsu dialettico di Obama, tutto imparato da Alinsky, riesca a polverizzare una donna che, dopo aver meramente intervistato Alinsky, passò il resto della sua vita lavorando per grandi aziende in palazzi di lusso».

Può sorprendere che la sinistra populista lo guardi con tanta speranza?


5 - LEGGE ISLAMICA, IN EUROPA E' GIA' UNA REALTA'

Autore: Gianpaolo Barra - Fonte:

Tutti ricordano certamente la polemica di alcuni giorni fa innescata da uno sconsiderato intervento del primate della Chiesa anglicana, l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, che giudicava inevitabile l’introduzione nell’ordinamento britannico degli elementi di diritto civile della Shari'a, ovvero la legge islamica. E’ stato il segnale inequivocabile della resa culturale, ancora più inquietante se si considera che viene proprio dalla patria che dell’imposizione del proprio sistema giuridico (basti pensare alle colonie) ha fatto un tratto distintivo della sua civiltà. Tutt’oggi il sistema legale ereditato dal Regno Unito è un vanto per molti Paesi che pur da decenni sono indipendenti.

Ovvia perciò la reazione scandalizzata: governo e politici sia di maggioranza che di opposizione si sono affrettati a censurare le parole dell’arcivescovo anglicano e anche nel resto d’Europa i commenti ufficiali sono stati decisamente negativi. La cosa a molti ha fatto pensare che in fondo in Europa c’è ancora una maggioranza solida che ha le idee chiare sul rapporto con gli immigrati provenienti da diverse culture e con gli islamici in particolare.
 
Se però andiamo oltre le dichiarazioni di facciata  e ci prendiamo la briga di guardare alla realtà scopriamo con costernazione che l’arcivescovo Williams non ha fatto altro che dire apertamente ciò che da anni politici e giudici stanno facendo in silenzio. Restiamo in Gran Bretagna: il governo si è stracciato le vesti per le dichiarazioni di Williams, eppure pochi giorni prima il ministro degli Interni Jacqui Smith aveva imposto ai propri funzionari di usare l’espressione “assassini criminali” invece di “estremisti islamici” o “fondamentalisti jihadisti” nel caso di atti di terrorismo. Addirittura la stessa Smith in gennaio aveva definito “anti-islamico” il terrorismo dei gruppi che lo giustificano con il Corano, e in ogni caso pochi mesi prima  il premier Gordon Brown aveva proibito ai suoi ministri di usare il termine musulmano correlato al terrorismo. La Smith ha spiegato che “non c’è nulla di islamico nel desiderio di terrorizzare e di pianificare stragi, dolori  e lutti”, per cui coloro che lo fanno mettono in cattiva luce l’islam. Ora aspettiamo che il governo britannico, suggeriva un editorialista, ridefinisca come “anti-tedesca” l’attività della Luftwaffe che nella seconda guerra mondiale portò morte e distruzione a Londra: “Non c’è niente di tedesco - ha aggiunto in modo ironico - nel desiderio di terrorizzare  e invadere, e anzi è un’attività in contrasto con  i valori fondamentali dei tedeschi che notoriamente sono quelli di sedersi nei giardini a mangiare salsicce e bere birra”. Si apre un nuovo filone di revisionismo che farà felici molti storici.

Ma in Gran Bretagna si è andati già ben oltre la ridefinizione dei concetti, e l’applicazione della legge islamica è già una realtà: il governo ha infatti deciso di riconoscere i matrimoni poligami, se contratti in Paesi dove sono legali (Nigeria, Pakistan, India). Lo ha fatto emendando la legge che regola l’esenzione dalle tasse in fatto di eredità: prima soltanto una moglie era la legittima erede del marito defunto, oggi più mogli possono ereditare esentasse. Allo stesso modo il ministero del Lavoro ha iniziato a concedere sostegni finanziari agli harem sotto forma di sussidi come indennità di disoccupazione e assegni integrativi per inquilini non abbienti.

Non è solo un problema britannico: anche in Italia abbiamo visto sentenze che si rifanno all’ideologia “multiculturalista” (compresa la giustificazione della violenza sulle donne) e decisioni politiche dello stesso segno (emblematico il caso della scuola islamica di Milano). Altrove il ministro della Giustizia olandese ha detto che “se due terzi della popolazione olandese domani si pronunciasse a favore dell’introduzione della Shari’a, allora ciò dovrebbe essere possibile”. Un giudice tedesco, invece, ha fatto riferimento al Corano in una causa di divorzio. E così via.

C’è poco da rallegrarsi dunque delle reazioni verbali alle dichiarazioni dell’arcivescovo Williams. Lui potrebbe essere costretto a dimettersi, ma non per ciò che lui vorrebbe fare, piuttosto per aver ingenuamente rivelato ciò che tutti stanno già facendo.


6 - SOLO LA CHIESA C'È: SEMPRE!
Che stupore scoprire, nella macelleria della cronaca e della storia…
Autore: Antonio Socci - Fonte:

Un nuovo “orgoglio cattolico”? Se ne sente parlare qua e là sui giornali. E di conseguenza prende vigore un nuovo anticlericalismo. Ma non c’è orgoglio. Semmai stupore e commozione. Guardiamo i santi che hanno toccato il cuore della nostra generazione: Karol Wojtyla, padre Pio, Madre Teresa, don Giussani, padre Kolbe, il cardinal Van Thuan, fratel Ettore.
Troviamo nel loro sguardo solo una sconfinata passione e compassione per tutti gli esseri umani. La Chiesa è questo. E’ strana. Vede tutto, pur avendo la luce negli occhi. O forse per questo. 
 
L’Onu e tanti altri organismi denunciano i drammi del mondo, ma la Chiesa è già lì, silenziosa, a prendersi cura delle vittime. Solo la Chiesa c’è sempre a caricarsi sulle spalle i più infelici. E solo la Chiesa riesce a guardare in faccia tutto l’orrore del mondo (senza censurare niente).

In questi giorni un convegno delle Nazioni Unite ha rivelato che le mafie internazionali hanno impiantato un nuovo businnes che supera i 32 miliardi di dollari (quasi raggiunge quello della droga): è il commercio di esseri umani. Circa 27 milioni di schiavi, soprattutto donne e bambini, usati come oggetti di consumo non più solo nei paesi del Terzo Mondo: almeno 600 mila persone sarebbero vendute ogni anno in Europa. E quasi la metà viene schiavizzato sui marciapiedi delle nostre città. Alla luce del sole. C’è poi un commercio più sanguinario. Si può “ordinare” un rene o un fegato o un cuore o un occhio. Che viene “prelevato” nei paesi del terzo mondo, da un poveretto, talora provocando la morte del donatore-vittima (e resta il giallo dei bambini che spariscono a centinaia). Un rene viene rubato o pagato al massimo 2 mila dollari, mentre viene rivenduto a 40 mila.

E’ un orrore, gestito dalle mafie internazionali, dalle dimensioni spaventose. L’ha tradotto in numeri – a Vienna, in questi giorni – l’Unigift, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa del traffico mondiale di esseri umani. Si è scoperto che dei 66 mila trapianti di rene effettuati nel mondo l’anno scorso, circa il 10 per cento sarebbero illegali. Ma la cifra dovrebbe essere molto più alta perché in tanti paesi questo turpe mercato non è illegale. In Cina – secondo dati dell’Organizzazione mondiale della sanità riferiti ieri da Avvenire – nel 2006 sarebbero stati effettuati 11 mila trapianti con organi espiantati da condannati a morte (8 mila trapianti di rene, 3 mila di fegato e 200 di cuore).

Queste finestre sull’orrore normalmente non vengono aperte. Non si vuol vedere, non si vuol sapere in che mondo viviamo. Meglio intontirsi facendosi abbacinare da ore di televisione dell’irrealtà. Del resto la geografia dell’orrore, col quale conviviamo spensieratamente, è molto più vasta.

Ci sono pure 850 milioni di persone che vivono al limite della sopravvivenza. E 30 mila esseri umani che ogni giorno muoiono di fame. Con i tantissimi bambini che muoiono nel Terzo Mondo per cause banali come la dissenteria e il morbillo che da noi si curano con pochi spiccioli. Negli ultimi 50 anni ammonterebbe a mezzo miliardo il totale degli creature umane morte per fame. In Corea del Nord, a causa del regime comunista, ne sono morti a milioni in pochi mesi senza che i mass media e i governi se ne curassero molto. Davanti al mare di vittime del comunismo, all’orrore di tirannie di questo genere (oggi comuniste o islamiche), dove i diritti umani vengono quotidianamente calpestati, le nostre classi dirigenti appaiono assolutamente impari. Balbettanti. Spesso cinicamente indifferenti o affaccendati in traffici commerciali. E gli intellettuali? Hegel spiegava che la storia è una macelleria. Prendeva atto. Spesso gli intellettuali hanno portato pure il loro contributo a ideologie macellaie. C’è infine nel mondo l’orrore rappresentato dai 50 milioni di aborti l’anno contabilizzati dall’Oms (negli ultimi 30 anni più di 1 miliardo di vite innocenti spazzate via). Un genocidio censurato di bimbi e di donne. Oltretutto in Cina si tratta di aborto obbligatorio che spesso viene accompagnato da inusitate violenze sulle mamme che si rifiutano. Ma non se ne parla. Si elude.

Marcel Proust nel Temps retrouvé notava: “Da tempo non si rendevano più conto di ciò che poteva avere di morale o di immorale la vita che conducevano, perché era quella del loro ambiente. La nostra epoca senza dubbio, per chi ne leggerà la storia tra duemila anni, sembrerà immergere certe coscienze tenere e pure in un ambiente vitale che apparirà allora come mostruosamente pernicioso e dove esse si trovavano a loro agio”. La tragedia resta incompresa. Neanche l’enormità dei numeri sembra essere colta. Perché – come diceva il cinico Stalin – dieci morti sono una tragedia, cento morti un orrore e un milione di morti solo una statistica. Del resto tutto è organizzato da noi per distrarre dall’orrore, per evitare lo sguardo della Medusa che potrebbe impietrirti.

Solo la Chiesa non distoglie lo sguardo e vede tutto. Solo la Chiesa c’è. Sempre. Dappertutto. Come può. Pietosa, eroica, inerme, spesso con poveri mezzi, ma con un amore senza confini. C’è da venti secoli, a chinarsi su tutte le miserie del mondo. L’unica luce nelle tenebre del mondo. C’è oggi in ognuno di questi inferni. Non come crocerossina della storia (non è un’agenzia umanitaria). Ma perché è il misterioso Corpo di Gesù nei secoli. E’ lui il Buon Samaritano che si china su quell’uomo riverso per terra, mezzo morto. E’ Gesù che lo soccorre, lo cura, se lo mette sulle spalle, lo porta al sicuro e paga per lui.

La tragedia più grande è proprio non accorgersi di questo Dio presente, misericordioso, che è venuto per noi. E questa cecità provoca la tragedia davvero universale, quella di chi soffre nell’anima, perché è la nostra condizione umana che è ammalata e derelitta in sé. Bisognosa dell’unico Medico che sa guarirla. Ma quello di cui tutti – anche laici, agnostici o atei – devono accorgersi è almeno lo spettacolo che, in tutto il mondo, i cristiani sono oggi “per gli uomini e per gli angeli”. Come fece, nelle tenebre del paganesimo nazista e della Seconda guerra mondiale, il grande scienziato esule Albert Einstein, che scrisse su “Time Magazine” nel dicembre 1940: “Essendo un amante della libertà, quando avvenne la rivoluzione in Germania (il nazismo, nda) guardai con fiducia alle università sapendo che queste si erano sempre vantate della loro devozione alla causa della verità. Ma le università vennero zittite. Allora guardai ai grandi editori dei quotidiani che in ardenti editoriali proclamavano il loro amore per la libertà. Ma anche loro, come le università, vennero ridotti al silenzio, soffocati nell’arco di poche settimane. Soltanto la Chiesa si oppose pienamente alla campagna di Hitler mirante a sopprimere la verità. Non avevo mai avuto in precedenza un interesse particolare per la Chiesa, ma ora sento verso di essa una grande ammirazione, poiché la Chiesa sola ha avuto il coraggio e la perseveranza di difendere la verità intellettuale e la libertà morale. Devo dunque confessare: ciò che un tempo disprezzavo, ora io lodo incondizionatamente”.

Sigmund Freud in due lettere al figlio del 1938 espresse sentimenti analoghi. Di solito oggi non si ha questa lealtà. Se non raramente. Domina una sorda ostilità. Un odio pregiudiziale. Non si perdona alla Chiesa neanche la più piccola imperfezione degli uomini di Chiesa. Non si ammette che essi abbiano i difetti dei figli di questo mondo. Il mondo pretende dai cristiani tutta la perfezione che esso non ha. E così, involontariamente, rende il più grande omaggio alla Chiesa. Perché svela che solo lei non è cosa di questo mondo e le si può chiedere la perfezione, l’amore totale e assoluto. Che noi cristiani non abbiamo, ma che ha Lui, Gesù di Nazaret.


7 - LA QUARESIMA SOFT DELL'IDEOLOGIA AMBIENTALISTA
È Quaresima, bevi dal rubinetto
Autore: Michele Brambilla - Fonte:

Ieri - eccezion fatta per la diocesi di Milano, che segue un rito tutto suo - è cominciata la Quaresima. Non sappiamo quanti italiani ne siano al corrente: probabilmente pochi, e di quei pochi molti sono stati informati non dalla parrocchia, che non frequentano più, ma dalla scuola, che ha comunicato ai figli i giorni buoni per la settimana bianca. Non sappiamo neppure quanti, di quella minoranza informata, abbiano rispettato il tradizionale digiuno del mercoledì delle ceneri: ma non è difficile ipotizzare che in questo caso i pochi diventino pochissimi. Certe cose non si usano più. I cattolici praticanti sono ormai, sempre di più, un piccolo gregge.
Va detto però che pure per chi si ostina a far parte del gregge non deve essere sempre facile capire in cosa consistano la Quaresima, la penitenza, il digiuno. La confusione è in agguato quando il gregge incontra pastori che presentano il cristianesimo - più che come l’annuncio di un Dio che si fa uomo, muore e risorge - come un manuale di buone maniere.
L’ultima è di un tale don Gianni Fazzini, il quale a nome del «Centro Studi stili di vita» della diocesi di Venezia (centro studi del quale è direttore) sabato prossimo presenterà, a Mestre, la proposta per la Quaresima: astenersi dall’acqua minerale e bere in sua vece quella del rubinetto. Anche questa è una forma di digiuno, per carità; e c’è pure una conseguenza nobilissima: finanziare, con il denaro risparmiato, un progetto umanitario in Tailandia. Sono le motivazioni che lasciano un po’ perplessi: «Non è affatto vero - ha detto don Fazzini - che l’acqua minerale che viene da Roma faccia meglio dell’acqua del nostro rubinetto». Una scelta di digiuno o di salutismo? Ma c’è dell’altro. Leggiamo sul Gazzettino di Venezia che «l’indicazione di fare a meno dell’acqua minerale si prefigge, allo stesso tempo, lo scopo di ridurre la quantità di vetro e plastica da recuperare, favorendo così lo smaltimento dei rifiuti in tempi di emergenza o rischio di emergenza».
Va detto che i cristiani delle altre confessioni si sentono proporre, per la Quaresima, idee ancora più bizzarre. La Chiesa anglicana, ad esempio. Il vescovo di Londra, Richard Chartres, e quello di Liverpool, James Jones, hanno lanciato il «digiuno di carbonio» per rispondere alla «necessità urgente di ridurre le emissioni che danneggiano il pianeta». Quindi niente rinunce a cibo o bevande: i due vescovi hanno stilato una nota in cui sono elencati quaranta «gesti virtuosi» da mettere in pratica ciascuno ogni singolo giorno della Quaresima. Ad esempio. Quando si fa la spesa, non usare le buste di plastica del supermercato. Fare a meno della lavastoviglie. Sbrinare il frigo. Ispezionare la casa alla ricerca di spifferi che comportino sprechi di energia. Evitare di usare l’automobile. Chiudere bene i rubinetti dell’acqua calda. Far andare la lavatrice a 30 gradi invece che a 40. È invece valida per tutta la Quaresima l’esortazione a «togliere una lampadina dalla stanza più vissuta» per ridurre il consumo di energia.
Ci fermiamo qui, anche perché il lettore può pensare che lo stiamo pigliando per i fondelli. Invece è tutto vero: sono punti scritti in un documento dei vescovi per la Quaresima. E sono lì, nella loro tragica comicità involontaria, a testimoniare come si rendano grotteschi gli uomini di Chiesa quando invece di parlare di Gesù Cristo e di vita eterna si mettono a inseguire l’ultima moda (o meglio la penultima, perché spesso sono pure indietro di un giro. Ricordate i teologi della liberazione? Furono gli ultimi a credere nel sole dell’avvenire. E i nostri cattocomunisti? Gli ultimi a difendere il nome «partito comunista» e la falce e martello nel simbolo).
Lo stupidario del cristianesimo ecologista non si limita purtroppo alla Chiesa anglicana o a casi isolati della nostra: nel diario in uso di gran parte delle scuole cattoliche si legge tra l’altro che gli uomini devono fare mea culpa perché, essendo in troppi, tolgono spazio agli uccelli; e la Conferenza episcopale della Campania se n’è appena uscita con un documento in cui si annunciano «specifici itinerari formativi e catechetici» per lo smaltimento della monnezza.
Non è che non sia giusto richiamare al rispetto dell’ambiente e al risparmio energetico. È giustissimo. Però non c’entra niente con il digiuno quaresimale, che come ha ricordato ieri Benedetto XVI ha tutt’altra finalità: quella di «ritrovare se stessi e distaccarsi dai beni materiali», capire che «la ricchezza non ci dà la felicità» e che «solo l’amicizia con Dio può regalarci la vera gioia». Solo in una prospettiva di fede la rinuncia a cibo o ad altri beni ha un senso. Altrimenti, non si capisce perché uno debba rinunciare ai pizzoccheri e allo Sforzato, alla fiorentina e al Chianti. E poi per spiegare che non bisogna inquinare non c’è bisogno di Gesù Cristo: basta un Pecoraro Scanio.


8 - MASCHI E FEMMINE NON SONO UGUALI: PAROLA DI SCIENZIATI

Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte:

 «Ognuno deve scegliere la propria identità psicologica».
 Lo sostiene la teoria del gender (genere), secondo cui l’identità psicologica maschile o femminile non è legata al sesso con cui nasciamo biologicamente: ognuno di noi dovrebbe scegliere se vivere come uomo o donna, prescindendo dai suoi organi sessuali.
  Anzi, i generi da scegliere sarebbero 5 (maschile, femminile, omosessuale, bisessuale e transgender) e l’abituale corrispondenza tra l’identità biologica maschile/femminile e quella psicologica dipenderebbe dal plagio dell’educazione ricevuta. Si tratta di una visione sempre più diffusa (per fare solo un esempio, in Belgio viene insegnata nelle scuole), che Benedetto XVI ha criticato sabato scorso.
  Ora, se l’ideologia del gender fosse vera, basterebbe educare in modo assolutamente identico i bambini e le bambine e lasciar loro scegliere quale identità preferiscono. Ebbene, un simile modello educativo è stato applicato e ha smentito l’ideologia di gender. All’inizio del ’900 fu attuato in alcuni kibbutz israeliani un esperimento: un significativo numero di bambini e bambine venne educato in modo perfettamente identico e gli stessi sperimentatori ammisero il proprio fallimento. Infatti, a dispetto degli sforzi degli sperimentatori, i maschi sceglievano di occuparsi di macchine, compiti dirigenziali ed altre tipiche attività maschili, mentre le femmine erano inclini verso l’abbigliamento, la cosmesi, i lavori di assistenza ed altre attività e mansioni femminili (cfr. M.  Spiro, 'Gender and culture: kibbutz women revisited', Schocken Books, New York 1980).
  Il fallimento dell’esperimento dipende da questo fatto: mentre l’omosessualità non è genetica (su ciò rinviamo a 'è famiglia' del 9.03.2007, cfr. Avvenire on line), viceversa l’identità (anche psicologica) maschile o femminile è geneticamente determinata. Infatti, tutte le cellule dell’uomo (che contengono i cromosomi XY) differiscono da quelle della donna (il cui equivalente è XX): è una che è presente in tutte le cellule del nostro corpo. «Anche da un punto di vista endocrino, è scientificamente dimostrato come l’azione degli ormoni sia fondamentale per lo sviluppo intrauterino ed extrauterino degli esseri umani: gli ormoni determinano lo sviluppo sessuato e influiscono sul sistema nervoso centrale, agendo sul cervello […] anche i pensieri ed i sentimenti sono sessuati. Alcuni studi psicometrici hanno dimostrato l’esistenza di talune differenze, statisticamente significative, per quel che riguarda le abilità cognitive degli uomini e delle donne: in tal modo, si potrebbe affermare che esiste una eterogeneità tra i sessi nell’ambito dell’organizzazione cerebrale di alcune attività […]. Si può pertanto affermare, su basi empiriche e scientifiche, che la differenza sessuale esiste, non è frutto di una costruzione artificiale sociale o una fittizia creazione culturale» (Laura Palazzani, 'Dalla differenza alla indifferenza sessuale', I quaderni di scienza & vita, n. 2, 2007, p. 34)


9 - ADERISCI ANCHE TU ALLA PETIZIONE PER UN FISCO A MISURA DI FAMIGLIA

Fonte Redazione di BastaBugie

Nel sistema tributario italiano, informato al criterio della progressività, il trattamento fiscale della famiglia è regressivo: spesso, cioè, paga di più chi ha meno reddito.
L'affermazione e' provocatoria ma vera.

Nella famiglia monoreddito, infatti, il famigliare contribuente, mentre e' giustamente tenuto al mantenimento e all'assistenza del coniuge, nonché al mantenimento dei figli, alla loro educazione e istruzione, non potendo dedurre dal proprio reddito complessivo i costi sostenuti per i propri familiari e potendo usufruire soltanto di detrazioni per i familiari a carico forfetarie e del tutto inadeguate ai costi reali, paga le imposte su un reddito imponibile superiore a quello effettivo.
Senza contare le imposte già pagate sui consumi degli stessi famigliari.

Per reagire a questa situazione di ingiustizia il Forum delle Associazioni familiari ha organizzato una raccolta di firme per chiedere un sistema di deduzioni dal reddito pari al reale costo di mantenimento di ogni soggetto a carico, sulla base di dati che specialisti e studiosi hanno da tempo identificato.
Questo sistema, semplice e di immediata applicazione, mantiene intatta la progressività del prelievo ed e' migliorativo dell'attuale e poco trasparente sistema di detrazioni.
Nella petizione si tiene conto anche di coloro che, a causa di redditi troppo bassi, non potrebbero fruire delle deduzioni dal reddito. In tali casi la soluzione proposta e' un'imposta negativa, cioè un credito che queste persone potranno vantare verso l'erario.
In prospettiva, nel quadro di una futura, complessiva riforma del sistema fiscale, si valuta anche l'introduzione di strumenti, quale il quoziente familiare, che considerino, tra i soggetti passivi dell'imposizione, accanto al singolo contribuente, anche il nucleo familiare.
L'iniziativa e' stata sottoscritta da molte realtà associative.

BASTABUGIE ha aderito all'iniziativa del Forum delle Associazioni familiari, condividendone pienamente le finalità e riconoscendosi nei presupposti: la sovranità della famiglia, il riconoscimento dei suoi diritti proprietari, il principio di sussidiarietà.
Su questi presupposti si fonda una seria speranza di rinascita dell'Italia.

Fonte: Redazione di BastaBugie

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