BastaBugie n�100 del 14 agosto 2009

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1 HITLER VOLEVA DISTRUGGERE LA CHIESA CATTOLICA, MA NON FECE IN TEMPO: ECCO LE PROVE!

Fonte: messainlatino.it
2 LETTERE ALLA REDAZIONE: LA RINUNCIA AL NUCLEARE, UNA FERITA APERTA

Fonte: Lettera firmata
3 SCOZIA: DIRE MAMMA E PAPA' DIVENTA VIETATO! ...OFFENDE I GAY!?

Fonte: plinder.com
4 REPUBBLICA TIRA IN BALLO LA CHIESA SOLO QUANDO GLI FA COMODO

Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
5 CINA, IL MAGGIOR PRODUTTORE DI GAS SERRA DEL MONDO, STRANAMENTE ALLEATA DEL WWF

Autore: Anna Bono - Fonte: Svipop
6 SE CHI ERA CONTRO L'ABORTO IERI, OGGI RISPETTA LA SCELTA DELLA DONNA, VUOL DIRE CHE È PASSATO DALL'ALTRA PARTE!

Autore: Mario Palmaro - Fonte: "Aborto & 194. Fenomenologia di una legge ingiusta"
7 DOVEROSO ELOGIO DEGLI ITALIANI (CONTRO IL VIZIO DELL'AUTODENIGRAZIONE)

Autore: Vittorio Messori - Fonte: Pensare la storia (Edizioni Sugarco)
8 CONCILIO VATICANO II: CHE COSA È ANDATO STORTO?

Fonte: Cronache Romane
9 CARITAS IN VERITATE: CATTOCOMUNISTI E VERDI FINGONO DI NON CAPIRE

Autore: Antonio Gaspari - Fonte: ragionpolitica.it

1 - HITLER VOLEVA DISTRUGGERE LA CHIESA CATTOLICA, MA NON FECE IN TEMPO: ECCO LE PROVE!

Fonte messainlatino.it, 1 agosto 2009

Dal diario di Joseph Goebbels, ministro dell'Educazione popolare e della Propaganda del III Reich:

-17 dicembre 1939 – Il papa ha parlato a Natale. Discorso pieno di attacchi molto severi e dissimulati contro di noi. Tutte le forza dell’internazionalismo sono contro di noi. Dobbiamo abbatterle.
-11 luglio 1941 – E’ una vergogna dover constatare che il clero cattolico apre moralmente la strada al nemico, con la lettera pastorale letta domenica scorsa in tutte le chiese cattoliche. Come abbiamo potuto constatare finora, il clero tenta una prima avanzata con questa lettera, prima di attendere la nostra reazione e di trarne le conseguenze per l’avvenire [...] E’ in un altro campo che presenteremo il conto al clero cattolico. Noi proibiamo le sue riviste, rifiutiamo le quantità di carta e gli operai necessari alla pubblicazione dei suoi libri e lo priviamo così, poco a poco, di ogni influenza.
-23 luglio 1941 – Dobbiamo capire che la chiesa cattolica costituisce una Internazionale e che al momento critico, sarà sempre contro di noi.
-12 agosto 1941 – Ricevo ogni giorno nuovi documenti che provano che l’ultima lettera pastorale della chiesa cattolica ha avuto effetti praticamente devastanti negli Stati Uniti. Questi traditori dell’Internazionale nera meriterebbero che si facesse rotolare la loro testa davanti ai piedi.
-23 ottobre 1941 – L’SD mi fa rapporto sulla situazione in cui si trova attualmente il pastore Niemöller [internato à Dachau]... Vi si afferma che sta per convertirsi al cattolicesimo. Sarebbe l’ideale; perché, in quel caso, non sarebbe più un pericolo per noi all’interno del protestantesimo e abbiamo in ogni caso talmente tanti oppositori nel clero cattolico che uno di più non conta.
-14 dicembre 1941 – Il clero è antinazionale. Spera nella sconfitta tedesca per poter eliminare il nazional-socialismo [...]. Il Führer fa i più grandi elogi della religiosità giapponese, che si può assimilare al vero spirito nipponico. Peccato che non abbiamo niente di simile. Per tutta la sua concezione e la sua struttura intellettuale, il cristianesimo sarà sempre opposto ad una visione nazionale forte. E’ che la sua stessa essenza è interamente marcata dal giudaismo... In verità il cristianesimo è una dottrina della decadenza. Per un uomo moderno, non merita che disprezzo intellettuale... Il vescovo Galen, di Münster [l’eroico von Galen, nominato poi cardinale e beatificato nel 2005 da Benedetto XVI] ne è un esempio tipico. Il Führer è determinato a far tabula rasa... quando la coppa sarà piena, il fulmine della collera si abbatterà d’improvviso su questi traditori di principi della chiesa [...] La chiesa protestante si sforza, anche lei, di imitare la cattolica. Il vescovo [luterano] Wurm del Wurtemberg, ha l'ambizione di diventare un secondo Galen. Noi ce la caveremo verosimilmente molto più facilmente con in protestanti che con i cattolici [..]. Io non riesco a capire come una persona che pensa in maniera moderna possa, in assoluto, trovare nel cristianesimo una dottrina adatta alla nostra epoca.
-18 dicembre 1941 – I generali più pii sono quelli che riescono meno. Raeder è troppo pio: è per questo che la nostra marina è così malmessa.
-24 maggio 1942 – Il Führer è inesorabilmente determinato ad annientare le chiese cristiane dopo la vittoria. Nel corso dell’inverno scorso, si sono comportate in modo talmente ignominioso e con una tale malignità, hanno colpito alla schiena con una tale viltà e una tale infamia una nazione combattente che viveva la sua ora più tormentosa, le hanno inferto un colpo di pugnale in modo così viscido, che nessuna riconciliazione è più possibile con quelle. Il Führer vede nascere in questo contesto una crisi ideologica di primo piano, comparabile solo alla fine dell’Antichità.

Fonte: messainlatino.it, 1 agosto 2009

2 - LETTERE ALLA REDAZIONE: LA RINUNCIA AL NUCLEARE, UNA FERITA APERTA

Fonte Lettera firmata, 3 agosto 2009

Cara redazione di BASTABUGIE,
voglio ringraziarvi per aver inserito l'articolo che parla del nucleare nella vostra rassegna stampa.
Il referendum del 1987 infatti costrinse alla pensione anticipata, al culmine della carriera, anni di studio, sacrifici e viaggi in tutto il modo, il mio babbo, uno dei primi ingegneri italiani che subito dopo la laurea, negli anni '50, si era specializzato in impianti nucleari, e che all'energia atomica, in particolare ai sistemi di sicurezza, aveva dedicato la vita.
Mi ricordo lo sconcerto per questa assurda decisione di bloccare le centrali in Italia, e di fermare persino la ricerca nelle Università italiane che, credimi, erano veramente all'avanguardia nel settore. I nostri ingegneri erano i migliori nel campo, e per questo lavoravano in tutto il mondo.
Tutto questo cambiò la sua vita, si rassegnò all'evidente strumentalizzazione politico-economica che era alla base della infelice scelta, ma fino alla fine ha cercato sempre di convincere ogni suo anche occasionale interlocutore che non ci sarebbe stato futuro nel campo energetico senza il nucleare, e che le cosiddette "energie alternative" erano solo un imbroglio perché mai avrebbero potuto dare le stesse potenti risorse del nucleare.
Ora il problema, per lui che vive nella Gloria di Dio, è evidentemente superato, e forse sorriderà a tutto questo. Ma per noi quaggiù è ancora attuale, e vi ringrazio per aver preso una posizione che per anni è stata perseguitata e ci ha resi molto impopolari. A presto.

DOSSIER "LETTERE ALLA REDAZIONE"
Le risposte del direttore ai lettori

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Fonte: Lettera firmata, 3 agosto 2009

3 - SCOZIA: DIRE MAMMA E PAPA' DIVENTA VIETATO! ...OFFENDE I GAY!?

Fonte plinder.com

Adesso, anche l'atto più naturale é primordiale dell'essere umano, dire "mamma e papà" rischia di diventare tabù e di essere considerato "linguaggio discriminatorio" perché offenderebbe i gay.
Accade oggi in Scozia ...accadrà domani in tutta Europa?
Gli infermieri e gli altri professionisti della sanità dovrebbero evitare di usare i termini "mamma" e "papà" riferendosi alle relazioni familiari, perché queste parole risulterebbero offensive alle coppie omosessuali con bambini. Lo dice una direttiva del Servizio Sanitario Nazionale della Scozia.
Pubblicata in accordo con la leadership di una organizzazione gay Stonewall Scotland, la pubblicazione è intitolata Fair For All - The Wider Challenge: Good LGBT Practice in the NHS. Ne ha scritto ampiamente Americans for Truth l'11 febbraio scorso.
La direttiva richiede "la politica della tolleranza zero per il linguaggio discriminatorio" nella sanità scozzese. E' considerato come linguaggio discriminatorio l'uso delle parole che si adoperano per la famiglia tradizionale composta da padre, madre e figlio, secondo quello che indica il Servizio Sanitario.
"LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) possono e devono avere bambini, l'orientamento sessuale o l'identità di genere non ha nulla a che fare con l'essere buoni genitori o crescere bene un bambino", viene affermato nel libretto.
"Le diverse circostanze possono condurre a una varietà di strutture familiari e di modelli parentali. E' importante sapere questo. Quando parlate con i bambini considerate di usare "genitori", "tutori" o "custodi", al posto di "madre" e "padre"", continua la direttiva.
Seguendo le stesse linee, viene precisato che l'uso delle parole "marito", "moglie" e "matrimonio" non è accettabile, poiché tali termini escludono lesbiche, gay e bisessuali. Invece, gli operatori della sanità potrebbero usare le parole "partners" e "parenti stretti". Ma siccome quest'ultimo termine può ingenerare equivoci, perché si può intendere un legame di sangue, la direttiva dice che è preferibile usare "partner" o "amico intimo" per evitare confusioni.
"Questo permette al paziente di identificare e scegliere chi è importante per loro", giustifica il Servizio Sanitario.
Altra raccomandazione è di assicurare che l'ambiente sanitario deve essere rassicurante per le persone LGBT, mettendo anche poster e riviste gay e lesbiche in esposizione.
"Manifesti con immagini positive di coppie omosessuali, con materiale dello stesso tipo di coppie di sesso opposto, dovrebbero essere mostrate in tutti i reparti", così si suggerisce.
Per assicurare il comfort e la sicurezza delle persone LGBT negli ambienti sanitari, il Servizio Sanitario richiede che nella registrazione dell'identità sessuale non devono essere inclusi solamente i termini "maschio" e "femmina", ma deve essere incluso anche "altro", dove uno può sbizzarrirsi a indicare di quale genere sessuale è.
Nelle linee guida per aumentare la protezione della gente LGBT, la direttiva richiede che tutti i funzionari devono sottoscrivere un impegno a combattere il linguaggio discriminatorio tra i lavoratori.
Naturalmente tutte queste idee strampalate pubblicate nella direttiva sono state pagate con le tasse dei contribuenti...

Fonte: plinder.com

4 - REPUBBLICA TIRA IN BALLO LA CHIESA SOLO QUANDO GLI FA COMODO

Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 30 Luglio 2009

E’ in corso un assedio da parte di Repubblica alla Chiesa. Proponendosi come pii e austeri custodi della morale sessuale cattolica, i censori   di Ezio Mauro ed Eugenio Scalfari, paladini della più rigorosa castità, anche ieri hanno “sparato” un editoriale di Adriano Prosperi (specializzato in sgangherati attacchi anticlericali) per inventarsi, nientemeno, una “Chiesa che punta il dito sulla moralità del premier”. Come loro vorrebbero.
E’ da qualche settimana infatti che va avanti questo bombardamento sulle gerarchie episcopali per ottenere da loro “una chiara parola di condanna dell’immonda spazzatura che dalla vita privata del presidente del Consiglio trabocca sul paese”. Per ora Repubblica ha ottenuto solo qualche strillo isolato, perlopiù di personalità politicizzate. Così ora cerca di amplificare e piegare alle proprie pretese qualche garbata nota di richiamo alla morale pubblica apparsa su Avvenire.
Naturalmente Repubblica ha tutto il diritto di fare la sua battaglia politica contro Berlusconi e sui fatti che gli addebitano, ma cosa c’entra la Chiesa? E cosa c’entrano loro con la Chiesa? Questo strattonamento alla Chiesa, sebbene ridicolo (perché proviene dal giornale che di solito, sulle questioni di interesse generale, pretende di zittire i vescovi in nome della laicità), va compreso bene da noi cattolici.
Infatti è molto più di un tentativo di strumentalizzazione politica della Chiesa. E’ molto più di un tentativo di trasformare i vescovi in camerieri della lobby di Repubblica per la condanna dell’odiato Berlusconi. E’ un attacco alla dottrina cattolica stessa sul tema più delicato, quello del peccato e della grazia, che è al cuore della storia cristiana.
In parole povere, da duemila anni la Chiesa, seguendo il comportamento e il  comandamento di Gesù, condanna con nettezza e decisione il peccato, ma, a braccia spalancate, chiama a sé e accoglie il peccatore e fa festa per il suo ritorno. Ora Repubblica vuole spazzar via quanto Gesù ha comandato per esigere la condanna del peccatore (uno solo: Berlusconi) e l’accoglienza del peccato.
Sì, perché Repubblica è sempre stata tra gli alfieri ideologici della cosiddetta rivoluzione sessuale, della secolarizzazione dei costumi, è sempre stato il giornale che più pesantemente ha bombardato contro l’insegnamento morale della Chiesa in materia sessuale e sulle questioni limitrofe del divorzio, dell’omosessualità, dell’aborto, della contraccezione, dei sacramenti ai divorziati. Vi risulta che Repubblica, Mauro, Scalfari e compagnia abbiano mai fatto una battaglia pubblica – sul piano morale e culturale – contro la “rivoluzione sessuale”, contro l’adulterio, contro i rapporti prematrimoniali, contro il divorzio, l’aborto e la pillola? Vi risulta che abbiano mai fatto analoghe crociate per la fedeltà coniugale, per la castità, per la riscoperta della verginità?
A me no. Potrò sbagliarmi, ma non ho mai visto Scalfari e Mauro tenere conferenze di elogio per la Humanae vitae o per Santa Maria Goretti davanti a una platea di femministe (eppure quella ragazzina è una vera eroina del nostro tempo assatanato). La lobby dell’Espresso e di Repubblica è – per definizione – la portabandiera della rivoluzione radicale e “libertaria” e ha sempre coperto di sarcasmi o attacchi i pochi anticonformisti che vivevano una cultura controcorrente, che resistevano ai comandi del “nuovo potere” e gustavano una diversa percezione della vita. Ricordo quanti irridenti articoli sono toccati a noi giovani ciellini che – negli anni del sesso mordi e fuggi – imparammo, per grazia, da don Giussani a guardare le nostre ragazze con uno sguardo diverso: poetico e non da assatanati consumatori finali.
Il salotto Espresso-Repubblica ha sempre vantato come proprio merito storico quella laicizzazione che ha portato all’Italia “del divorzio e dell’aborto”, all’Italia del sesso disinvolto, all’Italia “emancipata” dal Vaticano e dalla sua “morale repressiva”. Ora si vorrebbe sapere dunque con quale criterio e quale faccia, proprio quella lobby non solo si metta a dar lezione di “morale repressiva” alla Chiesa, ma soprattutto pretenda che la Chiesa condanni il peccatore, anzi “un” peccatore, uno solo, per nome e cognome, oltretutto assolvendo il peccato. Perché non risulta che Mauro, Scalfari e compagnia chiedano la condanna dell’adulterio e del “sesso laico”, chiedono solo la condanna del loro Nemico. Insomma pretenderebbero una morale sessuale “ad personam” (dopo aver criticato le “leggi ad personam”), che valga esclusivamente per Berlusconi e non per loro o per tutti noi.
Non solo. I salotti dell’Espresso e di Repubblica, da decenni, esaltano Giovanni XXIII (un papa Roncalli che trasformano a proprio uso e consumo) perché nella “Pacem in terris” ha insegnato a distinguere tra l’errore e l’errante, tra un’ideologia sbagliata (da condannare) e gli uomini concreti con cui dialogare. Siccome in quel caso egli parlava dei comunisti a lorsignori va benone. Se invece la stessa logica si applica a Berlusconi deve essere rifiutata.
Peraltro costoro non sanno che quella distinzione fra errore ed errante che viene attribuita a papa Roncalli come se egli avesse portato una novità nella Chiesa, è in realtà una citazione che papa Giovanni fece di Pio XII, proprio di un suo testo sul comunismo (vedi Andrea Tornielli, Pio XII, pp. 496-497). Sì, quella distinzione fra ideologia comunista e uomini concreti che vi aderiscono appartiene al papa più detestato dal mondo progressista. Ed è un principio che da sempre appartiene alla Chiesa: lo si trova già nel discorso di Paolo III di inaugurazione del Concilio di Trento.
La bistrattata Chiesa, a cui oggi Repubblica imputa – incredibilmente – di essere troppo lassista sulle questioni di morale sessuale, in realtà, senza trattare nessuno da “pubblico peccatore” (perché “pubblicani e prostitute vi precedono nel Regno dei cieli”), da sempre continua – come da comandamento divino – a condannare tutti i peccati, commessi da tutti, a mostrarne la triste degradazione, a lamentare la mercificazione dell’uomo e della donna, ma ad accogliere ogni peccatore ed esortarlo a gustare la bellezza del perdono del Padre e la sua pace.
Se lorsignori si fossero degnati di ascoltarla, anziché di irriderla, si sarebbero accorti che la Chiesa, ben prima di loro e ben più profondamente, da anni – almeno dalla Humanae vitae – richiama accoratamente tutti gli uomini sul rischio di disumanizzazione della rivoluzione sessuale. Fra i pochissimi anticonformisti che applaudirono la condanna della pillola – fatta da Paolo VI – come “morte dell’amore” ci fu quel grande intellettuale ebreo della Scuola di Francoforte che era Max Horkheimer. Ripeto: Horkheimer, non Scalfari o altre editorialisti di Repubblica. Gli eventi hanno mostrato quanto profetica fu la Chiesa, quanti guasti (nelle famiglie, nella vita sociale) e quanti drammi ha prodotto quella “rivoluzione” (a cui possiamo ascrivere anche l’insorgere di nuove terribili malattie sessualmente trasmesse che hanno fatto stragi, oltre alla tragedia planetaria dell’aborto).
Non c’è una seria riflessione critica, al di fuori della Chiesa, sul mondo che quella rivoluzione ha prodotto. A Repubblica si accorgono dell’“immoralità dei costumi” (o della sessuomania dilagante) solo se c’è da infilzare Berlusconi, perché tutti gli altri giorni dell’anno essa viene da loro chiamata laicità, progresso e libertà.  
Del resto a Repubblica dicono sempre di preferire i protestanti alla Chiesa cattolica (“noi giornalisti di un certo tipo protestante”, scrisse un giorno Scalfari). Perciò i vescovi italiani possono rispondere alle seccanti pressioni di quel giornale con una stupenda battuta del “cattolico” Oscar Wilde: “La Chiesa cattolica è soltanto per i santi e per i peccatori. Per le persone rispettabili va benissimo quella anglicana”. Dunque Mauro provi a chiedere un anatema contro Berlusconi alla Chiesa anglicana. Se la trova, perché si è quasi estinta.

Fonte: Libero, 30 Luglio 2009

5 - CINA, IL MAGGIOR PRODUTTORE DI GAS SERRA DEL MONDO, STRANAMENTE ALLEATA DEL WWF

Autore: Anna Bono - Fonte: Svipop, 9-6-2009

Se c’è un ambito in cui la Cina non è un modello è quello del rispetto della natura. E' noto che il 70% dei suoi fiumi e dei suoi laghi sono inquinati da liquami dispersi senza trattamenti depuranti e da rifiuti industriali al punto che in molti casi le loro acque non possono essere usate neanche più per l'irrigazione. Le falde sotterranee del 90% delle città non forniscono più acqua potabile e oltre 300 milioni di agricoltori bevono acqua contaminata da fluoro, arsenico, solfato di sodio e altri elementi nocivi.
Ma i reati ambientali di cui la Cina è responsabile sono addirittura di portata planetaria se è vero che persino in California quasi un terzo dell’inquinamento atmosferico si deve ormai alle emissioni cinesi.
Malgrado abbia firmato il Protocollo di Kyoto nel 1998 e lo abbia ratificato nel 2002, Pechino è anche il maggior produttore di gas serra del mondo, avendo superato nel 2006 gli Stati Uniti. Le sue emissioni di anidride carbonica sono aumentate per anni di pari passo con la crescita del PIL e, secondo la Banca Mondiale, ogni anno smog e inquinamento uccidono circa 750.000 cinesi.
La Cina sarebbe quindi anche il primo responsabile del riscaldamento globale, se tale fenomeno si stesse davvero verificando e se le attività umane ne fossero realmente la causa determinante, come continuano a sostenere gli studiosi che collaborano con l’IPCC, il Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici delle Nazioni Unite. È una fortuna che ciò non sia vero, almeno stando alle affermazioni di un numero crescente di scienziati, perché è difficile immaginare che Pechino sia disposta a rivedere drasticamente le proprie strategie di sviluppo per la salvaguardia dell’ambiente.
Ma del riscaldamento globale l’economia cinese si potrebbe piuttosto avvantaggiare se il prossimo dicembre, a Copenhagen, il mondo, chiamato a decidere il dopo Protocollo di Kyoto, desse credito all’origine antropica delle variazioni climatiche e soprattutto decidesse di accettare la richiesta cinese di gravare di onerosissime misure anti riscaldamento globale i paesi industrializzati. Il 21 maggio Pechino ha infatti proposto, attraverso la propria Commissione Nazionale per lo sviluppo e le riforme, che questi ultimi a Copenhagen riconoscano “la loro responsabilità storica di aver introdotto nell’atmosfera sostanze inquinanti senza freni”, si impegnino a modificare “radicalmente il loro stile di vita divenuto ormai insostenibile” e garantiscano “obiettivi quantificati per ridurre drasticamente le emissioni”. In sostanza si vuole che riducano le emissioni di gas serra almeno del 40% rispetto ai livelli raggiunti nel 1990 e devolvano dallo 0,5 all’1% del loro Prodotto interno lordo alle altre nazioni per dotarle di nuove tecnologie e aiutarle a ridurre a loro volta le emissioni inquinanti e a far fronte al surriscaldamento del pianeta.
Pare che la proposta cinese trovi d’accordo India, Brasile e Africa. Inoltre ha un alleato influente nel Wwf, come è emerso nel corso della prima Conferenza Mondiale sullo Stato degli Oceani svoltasi a Manado, Isola di Sulawesi, Indonesia, dove anche il Wwf ha avanzato esattamente le stesse richieste dopo aver presentato ai 1.800 delegati convenuti a Manado da tutto il mondo i risultati di una ricerca secondo cui, se i paesi di più antica industrializzazione non accetteranno le richieste formulate, le barriere coralline subiranno alterazioni tali da compromettere la sopravvivenza del 76% delle specie di coralli e del 35% delle specie di pesci che vivono nel sistema delle barriere coralline, privando dei mezzi di sussistenza oltre 100 milioni di persone.
Sembra proprio che si tenti di fare della conferenza di Copenhagen la versione in chiave ambientalista di quella di Durban per i diritti umani: tutte le colpe all’Occidente, risarcimenti astronomici per rimediare, ammissione di aver creato un modello di sviluppo folle che porterà alla rovina del pianeta e dell’umanità...il tutto all’insegna di un’inedita convergenza dei movimenti ecocatastrofisti con il paese che invece dovrebbe essere il primo bersaglio delle loro campagne in difesa della natura.

Fonte: Svipop, 9-6-2009

6 - SE CHI ERA CONTRO L'ABORTO IERI, OGGI RISPETTA LA SCELTA DELLA DONNA, VUOL DIRE CHE È PASSATO DALL'ALTRA PARTE!

Autore: Mario Palmaro - Fonte: "Aborto & 194. Fenomenologia di una legge ingiusta", (Edizioni Sugarco), 2008, pp. 52- 58

Il dibattito sull’aborto ha subito in questi anni una singolare evoluzione.  Da tempo un po’ di tempo la discussione si sta polarizzando fra due posizioni di questo tenore:
a.    da una parte, gli antichi sostenitori della “sacralità” della legge 194 e del diritto della donna a fare ciò che vuole del suo corpo (e di ciò che in esso è contenuto, foss’anche un figlio);
b.    dall’altro lato, coloro che vogliono provare a criticare questo presunto principio giuridico e culturale, ma senza però mettere in discussione, anche solo lontanamente, il fatto che l’aborto debba essere legalizzato in un Paese civile.
Ora, non sfuggirà ai lettori più attenti che non è questo, e non lo era soprattutto negli Anni Settanta, il vero fronte della discussione. Che cosa manca? Manca una voce che sia disposta a ripetere – al prezzo dell’incomprensione e perfino del dileggio pubblico – che l’aborto è la soppressione di un essere umano innocente, e che quindi in uno stato civile la legge dovrebbe considerare illecita questa condotta, sanzionandola nella maniera insieme più seria e più umana.
Come si vede, questa posizione si contrappone frontalmente alla legge vigente in Italia, che è  intrinsecamente iniqua e non soltanto “imperfetta e male applicata”. Ma questa posizione conserva il pregio della chiarezza e della coerenza logica. Non è infatti possibile dichiararsi fautori del diritto alla vita del nascituro, se contemporaneamente si ritiene accettabile che egli possa essere soppresso a certe condizioni e in certi casi, come quando ad esempio è ammalato o semplicemente indesiderato.
Questa lettura del dibattito attuale sull’aborto è purtroppo confermata da dichiarazioni  come queste: “Sentiamo la necessità di creare le condizioni nella società per ricorrere all’aborto solo come ultima istanza, che da eccezione sta diventando la regola per molte donne. Una serie di dati raccolti negli ultimi anni dimostrano come la legge 194 non sia sbagliata, ma in molti casi solo disattesa o valutata in modo banale da alcuni medici.”
Ora, una frase del genere potrebbe essere giudicata interessante sulla bocca di un leader storico del fronte abortista, oppure nel discorso di una antica femminista, oggi macerata dal dubbio. Ma è molto grave se, al contrario, questo modo di vedere le cose diventa – come sta diventando – il punto di vista di persone che si dovrebbero battere contro la legalizzazione dell’aborto. Dichiarare che la legge 194 “non è sbagliata” è purtroppo il sintomo di uno sbandamento grave che mortifica la discussione e rende ancora più remota la possibilità di una pur piccola revisione in senso restrittivo delle norme vigenti.
Intendiamoci: qui nessuno è così sprovveduto da non sapere che oggi come oggi non sussistono nel Paese – nelle piazze e nelle aule parlamentari –  i numeri per un ribaltamento della 194. Ma questo sano realismo politico non può mortificare e addirittura stravolgere l’identità dei movimenti pro life, che hanno nel loro dna la proclamazione della inaccettabilità, non solo morale ma anche giuridica, di ogni aborto procurato.
Ma torniamo a osservare meglio le due visioni che oggi si fronteggiano nella discussione sull’aborto:
a.    da una parte, troviamo coloro che da sempre sono i fautori della legalizzazione dell’aborto, che ovviamente difendono la 194 come hanno fatto in tutti questi anni. Gli argomenti sono i soliti: garantire l’autodeterminazione della donna; combattere l’aborto clandestino; socializzare l’aborto; aiutare la donna; far diminuire gli aborti. La legge viene definita intoccabile e necessaria.
b.    dall’altra, ecco coloro che a suo tempo si opposero alla legalizzazione, ma che – molto meno ovviamente -  oggi sostengono la necessità di applicare la legge 194 integralmente. La tesi è che nella 194 vi siano aspetti positivi mai attuati. La legge non è messa in discussione, ma al massimo si sostiene le “serva fare un tagliando”: come si trattasse di una buona automobile, solo un po’ vecchiotta, che richiede una certa manutenzione per riprendere sicura il suo cammino. In qualche caso, però, ci si spinge a definire la legge 194 “una buona legge, una fra le migliori al mondo nel suo genere”.
Il risultato di questa situazione è paradossale: sia gli abortisti che gli antiabortisti sembrano convergere sulla medesima posizione pratica. E cioè: la legge 194 è un elemento indiscutibile del paesaggio, e non vale nemmeno la pena di metterla in discussione. Così, nel dibattito viene completamente a mancare qualsiasi voce che denunci la legge in vigore come “intrinsecamente ingiusta”, e che proclami la necessità di battersi, per quanto possibile, per la sua abrogazione o almeno per la sua reformatio in mejus. E’ più che ragionevole chiedersi quali siano le cause di questa incredibile deriva del dibattito italiano sull’aborto legale.
Una delle cause di questa situazione è certamente rappresentata dal grave stato confusionale oggi diffuso intorno al concetto di abortismo. Si lascia intendere che l’abortista sia una persona che promuove l’aborto, lo giudica positivamente, ne auspica la diffusione, o lo osserva quanto meno con indifferenza. Si tratta di una raffigurazione distorta e caricaturale: tutto il fronte abortista degli anni Settanta, ad eccezione dei Radicali e di pochi altri, sosteneva questa tesi: “noi siamo contro l’aborto, che è una sconfitta della donna e della società. Solo che dobbiamo regolamentarlo per sconfiggere l’aborto clandestino”. L’abortismo è essenzialmente questa cosa: affermare che la donna possa liberamente decidere – sotto il mantello della legge statale – se abortire o non abortire. Qualunque sia l’ampiezza di questa facoltà – dai futili motivi, al caso di pericolo per la salute della donna – siamo pur sempre nell’ambito del pensiero abortista. Cioè: di una gravissima ingiustizia non solo morale ma innanzitutto giuridica. Dire – come alcuni fanno – che l’aborto è una brutta cosa, ma che bisogna poi lascir decidere alla donna il da farsi – significa essere irrimediabilmente su posizioni abortiste. Negli Stati Uniti non a caso gli abortisti si chiamano “pro choice”, in contrapposizione ai “pro-life”, che sono intrinsecamente contro la libera scelta. Di uccidere.
In questo clima di totale confusione prendono piede alcune tesi compromissorie che, sostenute con le migliori intenzioni, rendono ancora più fitta la nebbia nella testa di molti cattolici e pro-life. L’idea è quella di contrastare l’aborto nei fatti, senza contrastare alla radice il principio abortista.  Ecco alcuni esempi:
a.    Garantire alla donna la libertà effettiva di tenersi il figlio. L’aborto è sì una questione da affidare alla scelta della donna, ma la società  non deve lasciare sola la donna stessa: deve offrirle tutto il supporto economico e psicologico necessario per far sì che, se ella lo desidera, si possa tenere il figlio. Una sorta di “abortismo gentile”.
b.    Preferenza per la vita. L’aborto è sì una questione da affidare alla scelta della donna, ma lo Stato deve promuovere nelle sue strutture (e con l’aiuto del volontariato) la preferibilità della nascita all’aborto. E’ un notevole passo avanti rispetto alla legge 194 – che non dichiara in alcuna parte questa preferenza – ma è pur sempre una prospettiva abortista: la vita di un innocente è arbitrariamente nelle mani di un altro.
c.    Rinuncia alla sanzionabilità dell’aborto. Occorre contrastare l’aborto, ma non si può più proibirlo né tanto meno prevedere delle sanzioni. Qui è comprensibile il desiderio di evitare alla donna il carcere, che infatti può essere sostituito con pene alternative o anche meramente simboliche. Ma togliere ogni sanzione significa eliminare la fattispecie aborto dal diritto penale: ed è esattamente ciò che ha fatto l’abortismo negli anni Settanta.
Questo clima genera effetti perversi, che proviamo a riassumere schematicamente:
a.    Una spaventosa confusione dottrinale; a molti non è più chiaro quale sia “la linea del Piave” che consenta di distinguere una legge giusta da una ingiusta in materia di aborto. Esistono solo “leggi migliori” o “peggiori”, secondo un frasario significativamente proporzionalista e cinicamente pragmatico.
b.    acquiescenza alle leggi esistenti; tutto ciò che è ormai legge dello Stato, e che gode di un consenso diffuso nella società, deve essere accettato così com’è. Anzi: bisogna evitare di denunciare la sua ingiustizia per ragioni “strategiche”. Di più: bisogna cambiare il nostro sguardo,  modificando il giudizio originario, e vedere in ciò che un tempo chiamavamo iniquo addirittura i segni del buono e del giusto. Una posizione che mette insieme questa sorta di “indulto etico” per ciò che ormai è legge dello Stato (divorzio, contraccezione, aborto chirurgico, fecondazione artificiale omologa) a una notevole combattività contro ciò che ancora non è diventato legge e prassi civile: aborto chimico, testamento biologico, eutanasia, sperimentazione sugli embrioni, fecondazione artificiale eterologa, legalizzazione delle coppie di fatto.
c.    arruolamento di personalità abortiste all’interno del fronte pro life: questa duttilità sui principi permette di imbarcare nell’equipaggio anche quegli intellettuali che sono e rimangono abortisti, o divorzisti, ma che hanno l’indubbio merito di vivere un certo travaglio personale. E che volentieri si alleano per combattere contro le nuove minacce non ancora legalizzate. Intellettuali che dicono: l’aborto legale ci vuole, non si può metterlo in discussione; ma l’aborto con la RU486 mi ripugna, non lo voglio. A questi intellettuali il mondo pro life sta in alcuni casi offrendo posizioni di rilievo, ruoli di editorialisti stabili, compiti di speaker in manifestazioni pubbliche. Risultato: molti nel mondo pro life non sono più nemmeno in grado – pur in perfetta buona fede – di riconoscere in che cosa consista un pensiero di stampo abortista.
d.    peggioramento nell’atteggiamento della classe politica: l’uomo politico si alimenta inevitabilmente di consenso, è il prodotto della sensibilità comune in una certa società; se il dibattito culturale sull’aborto non contempla più una critica frontale alla legge 194, è poi assurdo pretendere che in sede politica qualcuno superi “a destra” le istanze della cosiddetta società civile.
e.    spostamento del “focus” del dibattito; di fronte al tentativo di legalizzare la pillola RU486 non si dirà più, innanzitutto, che essa è omicida perché uccide un figlio; ma che essa non va autorizzata “perché è pericolosa per la donna”. Affermazione che contiene una verità e che va certamente diffusa; ma affermazione che, da sola, si colloca pienamente sul crinale dell’abortismo. Allo stesso modo, l’enfasi nelle battaglie sui diritti dell’embrione (ad esempio contro il suo uso nella ricerca scientifica) si prestano a evitare di parlare della legge sull’aborto e della sua iniquità.
f.    messa in fuori gioco di chi contesta apertamente le leggi abortiste; coloro che restano fedeli alla più autentica tradizione pro life, proclamando la verità tutta intera su divorzio, aborto, contraccezione, vengono marginalizzati a accusati di essere “fuori dalla realtà”.
Non ci si rende conto che l’esito di questo “finto” dibattito – abortisti e antiaboristi che “difendono” la legge 194 -  nella migliore delle ipotesi porta solo al consolidarsi della situazione e al raggiungimento di un punto di equilibrio perfetto dell’abortismo: da un lato, l’accettazione nel sentire comune del diritto di aborto per legge; dall’altro lato, il contenimento del numero degli aborti (e magari perfino la loro riduzione) grazie al lavoro del volontariato cattolico, che si fa carico delle difficoltà delle donne incinte in ristrettezze economiche e sociali. E’ la quadratura del cerchio abortista: rendere fisiologico l’aborto legale, in una nuova, inedita, alleanza con il solidarismo cattolico.
Ricordo che una ventina d’anni fa – doveva essere proprio il 1988 – durante un talk show televisivo un uomo politico cattolico (che oggi è ancora sulla cresta dell’onda) si sentì rivolgere dal conduttore – si trattava di Gianfranco Funari – questa precisa domanda: “Onorevole, ma lei è ancora contrario alla legge sul divorzio del 1970?” E il politico rispose: “Credo che quella legge ormai sia stata assorbita bene dal popolo italiano”. Quella risposta mi parve rivelatrice. C’è un tragico processo che le leggi ingiuste innescano nella società e nella testa della gente, cattolici inclusi: digerire, assimilare, assorbire poco alla volta l’ingiustizia, in un primo tempo dicendo che sì, è una cosa sbagliata, ma che ormai non c’è più la possibilità di eliminarla; dopo qualche anno, il giudizio politico - “non abbiamo la forza per eliminare quella legge” – si trasforma in un giudizio morale e filosofico-giuridico: “quella legge tutto sommato non è poi così cattiva, anzi è buona”. Un atteggiamento che ricorda quella volpe che, nella celebre favola di Esopo, non riuscendo a raggiungere l’uva perché troppo in alto, se ne va dicendo: “non era ancora matura”. E’ accaduto con il divorzio. E’ già avvenuto con la fecondazione artificiale omologa (che viene ormai praticata in alcuni ospedali cattolici). Ora tocca all’aborto legalizzato. Ma non è ancora detta l’ultima parola: la verità, per quanto sostenuta da un piccolo numero di persone, non muore.

Fonte: "Aborto & 194. Fenomenologia di una legge ingiusta", (Edizioni Sugarco), 2008, pp. 52- 58

7 - DOVEROSO ELOGIO DEGLI ITALIANI (CONTRO IL VIZIO DELL'AUTODENIGRAZIONE)

Autore: Vittorio Messori - Fonte: Pensare la storia (Edizioni Sugarco)

Non per virtù, ma per amore di vita tranquilla, per timore di altre responsabilità oltre a quelle, già pesanti, della scrittura, sempre ho evitato di sedermi su sgabelli o poltrone di potere e di autorità, in quel mio piccolo campo che è la carta stampata, di libri e giornali. (Manzoni, su quel don Ferrante cui va un poco della mia simpatia: «Non gli piaceva né obbedire né comandare»).
Eppure, talvolta mi diverto a far liste di «reati» cui, ne avessi per assurdo il potere, legherei sanzioni almeno pecuniarie. Una di quelle multe andrebbe a quei miei colleghi che  indulgessero       all'abitudine -che è solo italiana- dell'autodiffamazione nazionale. Cadrebbero sotto la mannaia le parole di cui ogni giorno grondano i "media", oltre che i bar: «all'italiana», per indicare cosa approssimativa se non truffaldina; «non c'è niente da fare, tanto siamo in Italia»; «solo in Italia può succedere che...»; "et similia". E le mie sanzioni scatterebbero non solo per amore dell'Italia (che pure non mi è per niente estraneo: tra le colpe più gravi del fascismo c'è l'averci derubati della possibilità di pronunciare senza sensi di colpa quel bel nome di 'patria', terra dei padri, che uno come il papa, che non ha i nostri complessi da Ventennio nazionalista, usa con libertà). Non comunque -almeno, non innanzitutto- per amore dell'Italia; ma di quell'altra patria i cui confini sono quelli stessi del mondo e che chiamiamo Chiesa.
E' infatti cosa inoppugnabile: la polemica antitaliana è in realtà Polemica anticattolica nasce con Lutero e diventa poi -dilagando alla grande sino ai nostri giorni- uno dei capisaldi della propaganda protestante. E, al suo seguito e sul suo esempio, di ogni propaganda anticlericale, illuminista, massonica; e chi più ne ha più ne metta. Il cattolico è, con sprezzo, il «papista»; ma il papa -che è l'Anticristo per la teologia dei «riformatori» ed è l'Oscurantista, il Repressore per ogni «progressista»-, il papa è quasi sempre italiano, sta comunque a Roma; e l'Italia, di cui è Primate, è la sua superdiocesi, da cui viene la maggioranza dei santi, dei fondatori, dei teologi. Denigrare cultura e costumi italiani, così profondamente forgiati dal cattolicesimo, diffamare questo Paese che da sempre dà il nerbo della classe dirigente della Chiesa, vuol dire polemizzare con il cattolicesimo.
Non si tratta, ripeto, di ipotesi, ma di realtà benissimo documentate: sino ai primi decenni del Cinquecento, il nostro prestigio è altissimo e senza discussioni, in Europa. «Italiano» è sinonimo di colto, di civile, di ammirevole (e ammirato fu anche il giovane Lutero, fraticello ancora timorato che, andando a Roma, disse di essere passato di meraviglia in meraviglia, strabiliato persino dalla efficienza degli ospedali...). Sino all'esplodere della furibonda propaganda di quel tedesco e degli altri riformatori contro «la Bestia romana», in nessuna lingua troverete mai espressioni come «all'italiana» in senso negativo. Al contrario!
E' una diffamazione che ha fatto fortuna, sino al punto di convincere gli stessi diffamati. Scorrete i giornali di ogni tendenza e avrete quotidiana conferma che l'autodiffamazione nazionale (praticata, senza eccezioni né limiti, da quasi tutti, per una volta unanimi) sempre si accompagna all'esplicita o almeno implicita nostalgia di una Riforma mancata, al complesso di inferiorità verso una mitica Europa nordica e di tradizione protestante, considerata come modello cui tendere. «Un Calvino, uno Zwingli, un Cromwell: ecco ciò che è mancato all'Italia per diventare un Paese civile»: questo il "leit-motiv" della pubblicistica laicista, sulle orme dei suoi "maîtres-à-penser". Per restare al solo nostro secolo, un Croce, un Gobetti, un Gramsci, un Einaudi, un Mussolini stesso: tutti convinti che le nostre magagne fossero senza confronti nel mondo e derivassero tutte dal cattolicesimo, castratore e corruttore di popoli. E di quel popolo soprattutto che, il papa, ha la sventura di avercelo in casa.
Non ho nulla, è chiaro, contro il protestantesimo (anche se, pur fraternamente ossequiandolo, lo lascio volentieri ad altri; né sono affatto convinto che si identifichi con termini come «civile», «moderno», «progressista» e via magnificando). Ma neanche mi piace cadere nella trappola di un anticattolicesimo superficiale quando non faziosamente interessato.
Ecco perché ci andrei con mano pesante con chi in quella trappola ci si ficca volontariamente e, se credente, non si accorge del trucco che vi sta dietro. Paghi la multa e si renda conto che c'è un motivo preciso se gli italiani - e, si badi bene, essi soli, nel mondo, a conferma che c'è qui qualcosa che va ben al di là di difetti oggettivi - hanno fatto dell'autodiffamazione e della sfiducia in se stessi in quanto popolo lo sport nazionale.

Fonte: Pensare la storia (Edizioni Sugarco)

8 - CONCILIO VATICANO II: CHE COSA È ANDATO STORTO?

Fonte Cronache Romane, 30 Luglio 2009

In attesa che si compiano i 50 anni dall’apertura del Concilio, ciò che avverrà a Dio piacendo nel 2012, si nota una tendenza sempre più forte, coincidente con l’epoca iniziata con l’elezione di Benedetto XVI nel 2005, a riparlare dell’eredità conciliare e a ripensarla, stavolta però senza nessun a priori e con la volontà di evitare ogni vana apologetica.
La crisi morale contemporanea, per esempio nella vecchia Europa, laddove l’evangelizzazione è antica di quasi 2 millenni ed ebbe frutti incommensurabili di fede, di pietà e di cultura, è troppo forte per essere negata, sottaciuta o persino contrabbandata per un “nuovo umanesimo” di cui dovremmo rallegrarci. L’operazione invero fu tentata, sull’onda dell’aggiornamento conciliare, dai profeti “cattolici” della secolarizzazione, ma oggi, con il collasso della civiltà cui stiamo assistendo, sono davvero pochi i cantori della Nuova Pentecoste imminente!
Ateismo di massa, immoralità dilagante, perdita del senso del peccato, distruzione della famiglia naturale e cristiana, legalizzazione del crimine dell’aborto, “matrimonio” tra persone dello stesso sesso, rifiuto dello Stato confessionale cattolico (che resiste però a Malta e nel Principato di Monaco) in nome del liberalismo solennemente e ripetutamente condannato dalla Chiesa (nel Sillabo per es.), parificazione delle religioni e delle morali, “conversione” di migliaia di cattolici all’Islam, pornografia, satanismo, pedofilia… Che lo stato presente dell’umanità sia collegato alla perdita della fede da parte dei più è ovvio e ribadito costantemente da Benedetto XVI; che la perdita della fede sia derivata dal Concilio, o dal para-Concilio, o dallo “Spirito” del Concilio, o dalle riforme attuate dopo il Concilio (come la riforma liturgica), o dalla cattiva applicazione e ricezione del Concilio è ciò di cui tanti autori si stanno interessando.
Tra questi Ralph McInerny, nato a Minneapolis 80 anni fa, che in un libretto appena tradotto e pubblicato in italiano (Vaticano II. Che cosa è andato storto ?, Fede e Cultura, 2009, 11 euro) non entra nella disputa circa il dettato conciliare e le sue eventuali lacune e carenze, ma si limita a constatare “il declino della Chiesa dopo il Concilio” (p. 14). Secondo l’autore il dramma post-conciliare sta tutto nella disobbedienza dei fedeli e soprattutto dei teologi all’autorità del Vicario di Cristo, manifestatasi in modo emblematico nel rifiuto dell’Humanae vitae di Paolo VI (1968).
L’analisi è giusta ma forse incompleta. Ci si potrebbe e ci si dovrebbe chiedere infatti, per tentare una soluzione storica all’immane dramma, la ragione di questa improvvisa e articolata disaffezione e ostilità della base verso il vertice, in una istituzione gerarchica come la Chiesa, la quale, tra l’altro, solo pochi anni prima, poniamo sotto Pio XII (+ 1958), rifletteva un tutt’altro spirito. Che cosa era cambiato col Vaticano II e perché?
Più che una riflessione di natura dottrinale, l’autore, filosofo e romanziere molto apprezzato negli Stati Uniti, si concentra sulla prassi e sul governo della Chiesa, tema importante e più facile da capire.
Se buona parte dei teologi e non rari vescovi rifiutarono apertamente l’enciclica di Papa Montini, il problema, dice McInerny, non riguarda più una specifica dottrina come quella sulla contraccezione, ma si sposta sulla natura e sulla autorità della Chiesa: chi la detiene il Pontefice Romano o i teologi più al passo coi tempi?
Amerio battezzò questo penoso processo come la «dislocazione dell’autorità didattica» dai vescovi ai teologi e ed esso fece seguito, immediatamente, il Vaticano II.

Fonte: Cronache Romane, 30 Luglio 2009

9 - CARITAS IN VERITATE: CATTOCOMUNISTI E VERDI FINGONO DI NON CAPIRE

Autore: Antonio Gaspari - Fonte: ragionpolitica.it, 21 luglio 2009

L'enciclica Caritas in veritate è straordinaria per innovazione e progresso nel dibattito economico. Supera il dilemma tra mercato e Stato, cancella le ideologie contrarie allo sviluppo, ristabilisce la centralità della persona e della famiglia nel progresso delle nazioni e propone una rivoluzione sociale passando dalla solidarietà alla fraternità. Tutte le grandi novità dell'enciclica sono state accolte da un insolito quanto significativo silenzio da parte di cattocomunisti, post-comunisti, verdi, associazioni ecologiste e radicali. Silenti anche i sostenitori delle teorie maltusiane come Giovanni Sartori. Si tratta di un silenzio assordante, vista la chiarezza con cui il Benedetto XVI affronta le questioni centrali del dibattito economico e sociale.
A fronte dei tanti commenti, alcuni di prammatica, altri confusi, alcuni precisi e pronti a cogliere le sfide della Caritas in veritate, è necessario ribadire alcuni dei punti fondamentali dell'enciclica. La Caritas in veritate, cancella tutte le ideologie anti-sviluppo, spiegando in dettaglio che l'avanzamento umano e integrale è vocazione ed è parte del disegno di Dio (n. 14, 16, 17, 18, 29 e 30). Tutta la retorica sullo sviluppo che inquina, sulla necessità della decrescita, sulle teorie di Vandana Shiva e di autori come Serge Latouche, che anche la stampa cattolica ospita da decenni, è stata spazzata via.
Il secondo punto fondamentale e chiave per comprendere il senso dell'enciclica sta nella spiegazione che le politiche anti-vita e le ideologie relativistiche che l'hanno accompagnate sono le cause principale della crisi. Politiche e ideologie che hanno prodotto un disastro sociale misurabile in almeno un miliardo di giovani in meno (le Nazioni Unite calcolano che avvengono almeno 45 milioni di aborti legali ogni anno negli ultimi 25 anni). Questo significa una riduzione radicale di tutti i progetti di sviluppo ed aumento conseguente dei costi, soprattutto per quanto riguarda le tasse, il sistema sanitario, del welfare e pensionistico. L'idea di supplire all'inverno demografico incrementando l'immigrazione sta penalizzando i paesi in via di sviluppo e creando notevoli problemi di integrazione. L'enciclica ribadisce in maniera forte e chiara che non ci può essere sviluppo economico e sociale senza crescita demografica e sostegno alla famiglia naturale. In particolare, si spiega che tutto l'approccio allo sviluppo deve ripartire da una concezione antropologica che metta la persona e la famiglia al centro di ogni priorità (n. 15, 28, 44).
Un altro punto su cui l'enciclica è innovativa riguarda la questione ambientale. Nessun documento del magistero aveva mai denunciato in maniera così esplicita l'ideologia verde che ha tentato di cancellare il Creatore e di ridurre l'umanità ad un valore inferiore a quello di flora e fauna. Le parole utilizzate dalla Caritas in veritate sono chiarissime nel respingere l'ambientalismo e nel promuovere l'ecologia umana. Anche in questo caso si sottolinea che non ci sarà difesa dell'ambiente se non si salvaguarda la persona umana e la sua famiglia (n.48, 49, 50).
Decisivo anche il passaggio in cui l'enciclica supera il concetto buonista della generica solidarietà e indica la fraternità come approccio guida per realizzare la rivoluzione sociale necessaria per riportare lo sviluppo nel mondo. Per Benedetto XVI il concetto buonista di solidarietà è troppo limitativo e non impegna integralmente la comunità umana e la Chiesa nel prendersi cura dell'altro. La fraternità intesa come carità nella verità significa amare l'umanità esprimendo un amore gratuito, che significa dare prima ancora di ricevere. (n. 11, 13, 19, 20, 36, 73). In questo contesto l'enciclica è esplicita nel richiedere la conversione dei cuori di ognuno.
Infine, stupisce oltremodo vedere che, nonostante i continui appelli al voto cattolico, nel dibattito programmatico del Partito Democratico, nessuno – ma proprio nessuno - abbia fatto riferimento all'enciclica sociale di Papa Benedetto XVI.

Fonte: ragionpolitica.it, 21 luglio 2009

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