IL CORANO PERMETTE AL MARITO DI PICCHIARE LA MOGLIE
Allah ha onorato le donne istituendo la punizione delle bastonate, che però vanno date secondo regole precise: senza lasciar segni visibili e solo per una buona causa (ad esempio se lei si nega a letto)
Autore: Gian Micalessin - Fonte: Il Giornale
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IL GOVERNO ITALIANO CONTINUA LA POLITICA DELLA CRIMINALIZZAZIONE DELLE PROSTITUTE LASCIANDO TRANQUILLI I LORO UTILIZZATORI
In Svezia invece si puniscono i ''clienti'': in dieci anni le prostitute sono più che dimezzate
Fonte: Corrispondenza Romana
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COME IL PROTAGONISTA DEL FILM ''LO SCAFANDRO E LA FARFALLA'', ERA TOTALMENTE PARALIZZATO, MA POI E' TORNATO ALLE NORMALI ATTIVITA'
Ora è un pensionato di 66 anni, non solo riesce a camminare e parlare, ma si è persino dedicato all’hobby delle corse automobilistiche
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: Cultura Cattolica
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IL FILM ''THE SOCIAL NETWORK'' FA EMERGERE I LIMITI, MA ANCHE LE POTENZIALITA' BUONE DI FACEBOOK (TUTTO DIPENDE DA COME SI USA)
L'amicizia su Facebook non riempie il cuore, può generare compulsione, rende difficili i rapporti veri e il relazionarsi con le persone fisiche
Autore: Annarita Petrino - Fonte: L'Ottimista
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FINALMENTE ON LINE ''LA BUSSOLA QUOTIDIANA'': QUANDO L'INFORMAZIONE SERIA E CONTROCORRENTE SI FA AUTOREVOLE
Qualche ragione per seguire questa bussola
Autore: Vittorio Messori - Fonte: La Bussola Quotidiana
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EBBE IL CORAGGIO DI PRESENTARE AL SUO ESORDIO A SANREMO LA CANZONE ANTI-ABORTO ''IN TE (IL FIGLIO CHE NON VUOI)''
Esce adesso un greatest hits di Nek con inediti: uno è per sua figlia Beatrice, l’altro sulla malattia di suo papà
Autore: Andrea Pedrinelli - Fonte: Avvenire
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IN ITALIA UNA PROPOSTA DI LEGGE PER FERMARE LO SCHIAVISMO NEOPOSTCOMUNISTA CINESE
In Cina ci sono 1400 campi (laogai) dove milioni di persone lavorano 18 ore al giorno per il puro vantaggio economico del regime
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Bussola Quotidiana
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MUSSOLINI E L'ODIO ALLA CHIESA
O preti, non è lontano il tempo in cui cesserete di essere inutili e falsi apostoli di una religione bugiarda
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Il Foglio
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BENEDETTO XVI: SENZA UN RIFERIMENTO MORALE OGGETTIVO PREVALE LA LEGGE DEL PIU' FORTE
Quando i progetti politici contemplano la decriminalizzazione dell’aborto o dell’eutanasia, l’ideale democratico è tradito nei suoi fondamenti
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire
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ULRICH BECK: UN PREDICATORE DEL NULLA
Quelli come lui sono sempre pronti a passare al servizio dei prepotenti e sopraffattori di turno, compresi quelli che usano Dio per spargere morte e terrore
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: iltimone.org
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OMELIA PER LA III DOMENICA DI AVVENTO - ANNO A - (Mt 11,2-11)
Fra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista, ma il più piccolo nel Regno dei Cieli è più grande di lui
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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IL CORANO PERMETTE AL MARITO DI PICCHIARE LA MOGLIE
Allah ha onorato le donne istituendo la punizione delle bastonate, che però vanno date secondo regole precise: senza lasciar segni visibili e solo per una buona causa (ad esempio se lei si nega a letto)
Autore: Gian Micalessin - Fonte: Il Giornale, 23 settembre 2010
Pestatela, ma non sfiguratela. Bastonatela, ma non rompetele le ossa. Ficcatevi in testa queste due regolette e vivrete felici con la vostra signora ed in pace con il Signore. Lei, onorata di tante attenzioni, vi considererà un autentico maschio. Lui, soddisfatto per la vostra fede, vi aprirà la strada per il Paradiso dei sant’uomini. Uomini musulmani ovviamente. Uomini tutti d’un pezzo. Uomini ben diversi da quei rammolliti di cristiani sempre pronti a discutere con la moglie prima ancora di averla randellata a dovere. Non ci credete? Andate su You Tube, regalatevi i tre imperdibili minuti e mezzo d’intervista in cui il predicatore Saad Arafat, ospite della televisione egiziana Al Naas, chiarisce come suonarle alla gentile consorte, quando farlo e perché quello sfogo risulterà sacrosanto sia agli occhi di lei che a quelli di Allah. Incominciamo dalla premessa. Dalla statistica, spiattellata dal presentatore in studio, secondo cui il 90 per cento delle donne britanniche si lamenta per l’eterna indecisione di quelle mammolette dei loro mariti. E il giornalista si chiede perché il mondo continui a riversare «accuse a non finire sui musulmani», perché tutti mettano in croce la santa abitudine di «bastonare le consorti». Per il pio Saad Arafat è come andar a nozze. «Allah istituendo la punizione delle bastonate – spiega serafico - ha voluto rendere un onore e privilegio alle donne». Vi chiedete come le mazzate possano essere un onore? Non siete i soli. Persino quel buon musulmano d’un giornalista nello studio sembra esitare. Ma son tentennamenti degni d’un infedele. Saad Arafat ha già pronta la citazione, il verbo capace di rendere sacra e incontrovertibile ogni spiegazione. «Il Profeta Maometto ha detto: “non colpitele in faccia e non sfiguratele”. Ecco il modo in cui vanno onorate». Per andar d’accordo con il Corano insomma basta far attenzione, colpire con metodo e precisione. Potete riempirla di calci nel sedere, scudisciarla sulla pancia o farle nera la schiena. L’importante è che non si veda. La poveretta il giorno dopo potrà anche camminar piegata in due, ma dovrà esibire una faccia bella e pulita. La regola numero due del pestaggio familiare è altrettanto fondamentale. «Anche quando la sta colpendo il marito non deve mai insultarla, mai maledirla perché – illustra quel sant’uomo d’un Saad Arafat - non la batte per farle del male, ma per regalarle disciplina». Come con gli asini insomma. Ci discutereste mentre gli raddrizzate la schiena a forza di scudisciate? Certo che no. Con la mogliettina va allo stesso modo. Cambiano solo le precauzioni. Ad un asino potete dargliele dove volete e quante volete. Alla consorte è meglio di no. «Mi raccomando non potete mai andar oltre i dieci colpi e non potete nemmeno rompergli le ossa, spaccargli i denti, insultarla o ficcarle le dita negli occhi», chiarisce il premuroso Arafat. Anche perché «esiste un’etichetta persino per le percosse...Se il marito bastona la moglie per renderla più disciplinata dovrà sempre ricordarsi di non calcar troppo la mano e di colpirla dal petto in giù... queste son le uniche botte che onorano le donne». Donna onorata mezza salvata verrebbe da pensare, ma il galateo delle busse benedette dal Profeta non finisce qui. Ci sono anche i ragguagli sugli strumenti da usare. Sarà meglio conciarla a pugni e schiaffi o sarà meglio usare un bel bastone nodoso? Davanti alla domanda dall’intervistatore il buon Arafat si dichiara fermo ed irremovibile. «Quando si colpisce non di deve mai colpire troppo duro e soprattutto non si devono lasciar segni». La cosa migliore, spiega, «è colpirla con un corto bastone... i colpi devono arrivare sul corpo e non devono mai arrivare uno di seguito all’altro». Per educare al meglio la mogliettina è meglio dunque picchiarla con metodo, lentamente, centellinando uno dopo l’altro i dieci colpi concessi. E ovviamente farlo per una santa ragione. Se non vi ha aperto il frigo per offrirvi qualcosa da bere, se non vi ha fatto trovare la cena in tavola le bastonate son eccessive. Se invece non vi vuole più, fa la neghittosa e si rifiuta di soddisfarvi a letto allora ecco la sacrosanta occasione per educarla e onorarla. «In un caso come questo cosa - sostiene Arafat - un marito non ha scelta. Lui la vuole e lei si rifiuta... lui la chiama e lei si nega... potrebbe riprenderla e minacciarla, ma quei metodi van bene quando ci sono di mezzo il mangiare o il bere. Quando arriviamo a cose di cui il marito non può far a meno allora le botte sono concesse». Alla fine insomma la regola è semplice: la moglie onorata è quella prima bastonata e poi violentata.
Nota di BastaBugie: ecco l'interessante video a cui si accenna nell'articolo
https://www.youtube.com/watch?v=MxF4RdwZOnk
Fonte: Il Giornale, 23 settembre 2010
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IL GOVERNO ITALIANO CONTINUA LA POLITICA DELLA CRIMINALIZZAZIONE DELLE PROSTITUTE LASCIANDO TRANQUILLI I LORO UTILIZZATORI
In Svezia invece si puniscono i ''clienti'': in dieci anni le prostitute sono più che dimezzate
Fonte Corrispondenza Romana, 20/11/2010
Il Consiglio dei Ministri riunitosi il 5 novembre scorso, fra gli altri, ha approvato un decreto legge, proposto dal presidente Silvio Berlusconi e dal ministro dell’interno Roberto Maroni, contenente diverse disposizioni in materia di sicurezza. Al fine di proseguire nel percorso avviato a partire dalla prima riunione dei ministri tenutasi a Napoli il 23 maggio 2008, l’intervento volto a rafforzare l’ordine pubblico del governo di centro-destra è completato da un disegno di legge, approvato su proposta del ministro Maroni che, fra l’altro, prevede la possibilità di applicare le misure di prevenzione (per esempio il foglio di via) anche a chi esercita la prostituzione violando le ordinanze dei sindaci (cfr. comunicato stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 5 novembre 2010, http://www.governo.it/). Pur se apprezzabile negli intenti, il provvedimento continua però a seguire la linea, consueta nella politica italiana, di criminalizzare le prostitute lasciando tranquilli i loro utilizzatori. Anche se ispirata da presupposti femministici discutibili, la scelta opposta seguita da più di 10 anni dal Governo svedese, di dichiarare cioè punibile il cliente e di considerare la donna come vittima, non solo sembra aver raggiunto risultati apprezzabili, ma pare anche più confacente alle modalità reali del “fenomeno”. Nel nostro Paese infatti, come in quello nordeuropeo, sono molto rare le donne che fanno della prostituzione una “libera scelta”, a causa del dilagare del trafficking, cioè del trasporto forzato di migliaia di africane, asiatiche e di ragazze dell’Est Europa prigioniere della tratta. La legge svedese del 2000, quindi, proibisce «l’acquisto di prestazioni sessuali», punendo anche penalmente chi compra sesso ma non chi lo offre, che viene considerato invece vittima da proteggere e aiutare (è questo l’effetto che opera in senso esclusivistico, derivante dal pregiudizio femministico sopra accennato). Su iniziativa dell’attuale governo conservatore di Fredrik Reinfeldt (la sua coalizione Alleanza per la Svezia ha vinto le elezioni legislative nel settembre 2006), all’inizio di quest’anno diversi giornalisti sono stati invitati a Stoccolma per illustrare loro i risultati di 10 anni di legge anti-prostituzione: meretrici calate in Svezia a circa un migliaio contro le circa 3 mila del 2000; prostituzione in strada praticamente scomparsa; denunciati 18 mila clienti e condannati 900 (a sei mesi di carcere o più spesso ad una multa pari a 50 giorni di stipendio); consenso alla legge di oltre il 70% della popolazione. Altro rilevante effetto, ignorato dai nostri media ma confermato da varie indagini e intercettazioni telefoniche, è che «Gli uomini dei racket evitano sempre più di lavorare dove la prostituzione è osteggiata» (Chiara Valentini, “In genere it”, 26 febbraio 2010). Da diversi anni il modello svedese è imitato con successo in Norvegia, Islanda e Finlandia ed allora, invece che insabbiarlo, come è avvenuto dal settembre 2008, da quando cioè è stato approvato dal Consiglio dei Ministri, non sarebbe il caso di riprendere emendandolo nel senso sopra esposto, il disegno di legge Carfagna Misure contro la prostituzione?
Fonte: Corrispondenza Romana, 20/11/2010
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COME IL PROTAGONISTA DEL FILM ''LO SCAFANDRO E LA FARFALLA'', ERA TOTALMENTE PARALIZZATO, MA POI E' TORNATO ALLE NORMALI ATTIVITA'
Ora è un pensionato di 66 anni, non solo riesce a camminare e parlare, ma si è persino dedicato all’hobby delle corse automobilistiche
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: Cultura Cattolica, 9 ottobre 2010
La Provvidenza, o il caso per chi non crede, si è incaricata di dare un altro duro colpo ai sostenitori del suicidio assistito in Gran Bretagna. Lo ha fatto attraverso la vicenda della guarigione di Graham Miles, affetto dalla sindrome neurologica chiamata “locked-in” (imprigionato dentro), che lo ha paralizzato dalla testa ai piedi, costringendolo in quella condizione che i giudici della prima sezione civile della Corte d’Appello di Milano avrebbero considerato «vita non degna di essere vissuta», in quanto priva di una «pienezza di facoltà motorie e psichiche» (decreto 9 luglio 2008 sul caso Englaro). Miles, che ora è un pensionato di 66 anni, non solo riesce a camminare e parlare, ma si è persino dedicato all’hobby delle corse automobilistiche al volante della sua Jaguard E-type. La storia di quest'uomo merita di essere raccontata. Graham Miles, ingegnere nel settore energetico, viveva a Sanderstead, nel Surrey, con la moglie Brenda ed i figli Claire e Richard. Una splendida famiglia ed un'ottima professione. E' però il suo disordinato stile di vita – fumo eccessivo e stress da lavoro – a tradirlo, all'età di quarantanove anni. La sera del 2 dicembre 1993, durante il viaggio di ritorno a casa dall’ufficio, viene gravemente colpito da un ictus cerebrale che determinerà la paralisi totale del suo corpo, ad eccezione degli occhi. Trascorre sei mesi al Mayday University Hospital di Croydon, e sei mesi in una struttura riabilitativa, prima di essere mandato a casa. La diagnosi è di quelle che non lasciano scampo: paralisi totale irreversibile. Al punto che Miles percepisce di essere «left to die», lasciato morire dallo staff medico. Il racconto di quell’esperienza è davvero drammatico. «All’inizio», spiega Miles, «il problema era riuscire a respirare, perché sebbene i muscoli involontari come il cuore ed i polmoni funzionassero, la paralisi del petto ostacolava la respirazione». Solo il suo ostinato desiderio di vivere è riuscito a fargli superare quell’incubo. Poi, il miracolo. Sbalordendo prima di tutto gli stessi medici, Graham Miles ha clamorosamente smentito la sicurezza degli specialisti che lo davano senza speranza, la stessa sicurezza sulla presunta irreversibilità, dimostrata dai giudici milanesi nel caso della povera Eluana Englaro. Colpisce, in realtà, il fatto che nonostante siano diversi e abbastanza frequenti i casi di guarigione dalla “locked-in syndrome” (mi viene in mente anche il caso di Kerry Pink reso noto agli inizi di agosto), i media preferiscano non parlarne. La spinta ideologica pro-eutanasia, e gli interessi economici che la sostengono, è ancora troppo forte. Graham Miles, tra l’altro, era affetto dalla stessa identica sindrome che colpì il giornalista francese Jean-Dominique Bauby, autore nel 1997 delle celebri memorie intitolate Lo scafandro e la farlalla, da cui è stato tratto l’omonimo film di Julian Schnabel, premiato al festival di Cannes nel 2007. Il caso di Graham Miles (...) mi ha fatto venire in mente la domanda posta da mons. Giussani nella sua opera Il Senso Religioso: «Non è più vero e grande amare l’Infinito, che bestemmiare la vita, il destino?». Graham Miles ci ha dato la risposta a quest’interrogativo. E ha anche dimostrato che i miracoli possono sempre accadere.
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IL FILM ''THE SOCIAL NETWORK'' FA EMERGERE I LIMITI, MA ANCHE LE POTENZIALITA' BUONE DI FACEBOOK (TUTTO DIPENDE DA COME SI USA)
L'amicizia su Facebook non riempie il cuore, può generare compulsione, rende difficili i rapporti veri e il relazionarsi con le persone fisiche
Autore: Annarita Petrino - Fonte: L'Ottimista, 24 Novembre 2010
Facebook: il social network per eccellenza, quello con l’iniziale maiuscola, quello che ha superato concorrenti del calibro di myspace e friendster e che al momento vanta solo pallide imitazioni... Perché ha qualcosa in più di tutti gli altri messi insieme. E quale sia questa marcia in più, lo spiega perfettamente il film The Social Network, nelle sale in questi giorni. La pellicola, diretta da David Fincher, sceneggiata da Aaron Sorkin - che ha adattato per il grande schermo il libro di Ben Mezrich Miliardari per caso - L'invenzione di Facebook: una storia di soldi, sesso, genio e tradimento (Sperling & Kupfer) - narra la storia di Mark Zuckerberg, il giovane “genio del web” che ha di fatto ideato e realizzato Facebook. The Facebook, come veniva chiamato all’inizio della grande avventura, non è stato creato per nobili scopi, ma per dare ai giovani universitari la possibilità di rintracciare le ragazze conosciute durante le feste e rimediare qualche avventura sentimentale. Dall’idea originale lo sviluppo del progetto è andato contro ogni possibile immaginazione dei primi utenti e persino dello stesso ideatore, che ha avuto il merito di mettere in contatto milioni di persone in tutto il mondo con un solo click attraverso uno strumento potentissimo, lo stesso che ha saputo incatenare una buona parte di questi milioni agli schermi del loro pc, cellulare o iphone. L’icona della situazione di molti di questi utenti, probabilmente, è quella dell’ultima scena del film in cui Mark siede da solo davanti al suo pc, chiede l’amicizia alla sua ex fidanzata e comincia a fare continui refresh per controllare se l’amicizia è stata accettata. È un’immagine, quest’ultima, di profonda solitudine, ma anche di compulsione nel ricercare in rete un rapporto, che in qualche modo soddisfi il naturale desiderio di socialità e relazionalità insito nel cuore dell’uomo. Tutto questo iniziò diversi anni fa - prima ancora che una realtà come quella di Facebook potesse anche solo essere immaginata - con il lancio della rete, delle chat line e delle “stanze” (virtuali si intende...) in cui poter parlare. Ci fu poi un’evoluzione delle “stanze” in luoghi come My Space, appunto, e blog vari dove poter condividere con gli utenti della rete le proprie passioni, foto, video e informazioni varie su di sé. E ora siamo arrivati a Facebook, dove l’amicizia compulsiva viene scatenata dalla voglia irrefrenabile di cercare “vecchi” amici, o comunque di poter accedere a quelle informazioni di profilo e alla bacheca, non pienamente visibili se non a chi è “amico” di quella persona. L’accettazione dell’amicizia, comunque, non riempie il cuore, genera solo altra compulsione, rende difficili i rapporti veri e il relazionarsi con le persone fisiche. Non a caso il film dipinge l’ideatore di Facebook, come una persona estremamente sola che non ha un solo vero amico nel mondo reale. La patologia, dunque, prende piede fino a riempire gli studi psichiatrici di gente ormai incapace di disconnettere il cervello da quel mondo virtuale, fino ad arrivare alle notizie più drammatiche, come quella rimbalzata di recente in rete, la storia di Alexandra V. Tobias, una donna americana di 22 anni, che si è dichiarata colpevole di omicidio di secondo grado per aver ucciso suo figlio, di soli tre mesi. Era arrabbiata perché il bambino continuava a piangere, disturbandola mentre lei stava giocando a FarmVille, uno dei giochi della Zynga più popolari di Facebook. La causa di queste patologie o di queste azioni non sembra stare nei giochi o nel social network in sé, quanto nella debolezza della mente umana, ormai sempre più incapace di gestirsi da sola. Insomma non possiamo incolpare Mark Zuckerberg, per avere usato la sua genialità per mettere a punto uno strumento potentissimo che, come una bomba atomica, ha colpito milioni di persone con svariati effetti. Oltre agli aspetti negativi, infatti, è innegabile che l’avvento di Facebook ha radicalmente cambiato il modo di connettersi alla rete e di interagire. Anche se le amicizie sono virtuali, tra queste possiamo trovare tanti amici che si è avuto modo di incontrare veramente e magari di rintracciare dopo tanto tempo. La possibilità di sentirsi, nonostante la distanza e le diverse strade lungo le quali la vita ci conduce, permette di consolidare qualcosa di vero e autentico. Non è da escludere nemmeno l’eventualità che possa nascere un’amicizia vera e autentica direttamente sulla rete, tra persone che non hanno la reale possibilità di incontrarsi. A loro Facebook permette quella condivisione di foto, ricordi, pensieri e passioni, tipica di una chiacchierata tra amici. L’aggiornamento delle notizie in tempo reale da parte degli utenti, rende Facebook più veloce di qualsiasi mezzo di comunicazione di massa e, allo stesso tempo, permette una veicolazione di quelle idee che sono legate al libero pensiero, proprio perché sono gli utenti e non i mass media a metterle in rete. Questa libertà di espressione diviene, quindi, un’arma potentissima in un mondo dove la circolazione delle idee sta lentamente, ma inesorabilmente tornando alle catene di un tempo. In quei Paesi dove essa non è mai stata liberata, come l’Iran e la Cina, infatti, Facebook è stato censurato. I numerosissimi gruppi di discussione sono diventati le nuove “piazze”, questa volta virtuale nei cui angoli si riuniscono le persone con gli stessi interessi, per stimolare quella creatività e quello spirito di iniziativa che è dono inestimabile di ogni persona. Come tutti i mass media anche Facebook mette delle grosse responsabilità sulle spalle di chi lo usa. La circolazione delle idee è un’arma a doppio taglio e chiunque intenda farlo, farebbe bene prima a fare appello alla sua coscienza.
Fonte: L'Ottimista, 24 Novembre 2010
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FINALMENTE ON LINE ''LA BUSSOLA QUOTIDIANA'': QUANDO L'INFORMAZIONE SERIA E CONTROCORRENTE SI FA AUTOREVOLE
Qualche ragione per seguire questa bussola
Autore: Vittorio Messori - Fonte: La Bussola Quotidiana, 8 dicembre 2010
Oggi l’informazione corre sul filo dei minuti e si gioca in gran parte sul Web. La carta stampata, alla quale resto affezionato e che mi ha accompagnato per tutta la vita, è in fase di evidente declino. Per questo è importante prestare attenzione a questa piccola ma significativa iniziativa che sta per prendere il largo: la Bussola quotidiana. Un giornale online, fatto da un gruppo di giornalisti cattolici che vogliono proporre uno sguardo cattolico sulle notizie quotidiane Con il lavoro che ho raccolto nei quattro volumi del mio «Vivaio» ho cercato di riempire quello che consideravo un vuoto drammatico: la mancanza di una prospettiva cattolica sulla cronaca e sulla storia, la mancanza di quella Katholische Weltanschauung, quella visione del mondo cattolica. Oggi il pensiero cattolico sembra talvolta ridotto a un certo moralismo o a una blanda denuncia della disumanità dell’attuale società, ma sempre dentro lo schema ideologico egemone nel mondo, e purtroppo talvolta anche nel cattolicesimo Siamo consapevoli che la fede non è un accessorio, non è un optional, non è qualcosa di staccato dalla vita né dal pensiero. Dunque, cercare di dare una lettura della storia e della cronaca, cercare di offrire un giudizio che parte dallo sguardo di fede, riscoprire una visione evangelica degli avvenimenti è un contributo che ha a che fare direttamente con il nostro compito di comunicatori. Non vogliamo aggiungere un’ideologia – magari cattolica – alle altre già esistenti. Non vogliamo trasformare la fede in ideologia o in uno schema intellettuale, perché significherebbe semplicemente uccidere il cristianesimo. Il cristianesimo è una vita, una Persona, un incontro. Dunque la visione cattolica non significa giudicare la società e il mondo di oggi a partire da uno schema ideologico, ma a partire da uno spirito, che è quello dell’umanità, quello dell’incontro. Ciò che manca spesso al cattolicesimo dei nostri giorni è la maggiore delle virtù cristiane, quella della prudenza. Bisogna imparare a giudicare la realtà a partire da un sincero, sano realismo. Ciò significa non guardare al mondo con gli occhiali rosa del buonismo, o credere che si possa cambiare la realtà con l’utopia studiata a tavolino di chi pensa che si possa raggiungere il mondo perfetto intervenendo sulle strutture e mai su se stessi. Il cristiano sa che l’umanità, la nostra umanità è ferita dal peccato originale. Le utopie non fanno i conti con questa realtà del peccato. Questa consapevolezza e questo realismo, se non portano all’ottimismo, non sfociano nemmeno nel pessimismo: dobbiamo fare ciò che possiamo, agire nella storia a partire dal cambiamento di noi stessi. Il compito della Bussola, questa piccola-grande iniziativa che sta per prendere il largo, è quello di proporre questo sguardo sulla cronaca quotidiana, cercando magari di contrastare in tempo reale la nascita o la riproposizione di leggende nere che riguardano la nostra fede. Con una logica che non può ridursi soltanto a quella della reazione e del contro-canto, ma che passerà anche attraverso la proposta di quelle tante notizie delle quali nessuno parla. Speriamo di avervi a bordo in questo viaggio che inizia l’8 dicembre...
Fonte: La Bussola Quotidiana, 8 dicembre 2010
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EBBE IL CORAGGIO DI PRESENTARE AL SUO ESORDIO A SANREMO LA CANZONE ANTI-ABORTO ''IN TE (IL FIGLIO CHE NON VUOI)''
Esce adesso un greatest hits di Nek con inediti: uno è per sua figlia Beatrice, l’altro sulla malattia di suo papà
Autore: Andrea Pedrinelli - Fonte: Avvenire, 11 novembre 2010
«Non posso non ringraziare hit come Laura non c’è: mi hanno cambiato la vita. Però è capitato che il successo mi abbia impedito di cogliere attimi importanti o stare vicino a chi amo. E oggi vorrei sottolineare anche in musica che la vita è un’altra cosa». Non usa giri di parole, Nek, nel presentare il nucleo vero della sua doppia antologia E da qui-Greatest hits, 30 successi, tre inediti e tre brani live in uscita il 16 in Italia (la versione su iTunes avrà in più altri live ed extra) e poi in Svizzera, Germania, Belgio, Portogallo, Spagna, Messico e Sudamerica. E il nucleo di questo cd-bilancio, «a vent’anni da quando iniziai a spendere la gioventù in sacrifici per far musica», non è in Laura non c’è né negli 8 milioni di dischi venduti nel mondo. Il nucleo è invece nel primo degli inediti, E da qui: dove si celebra la nascita della figlia (cui è dedicata anche È con te) ma si ricorda pure la malattia del padre. «Ho accettato un’antologia non solo per ragionare su nuovi inediti con calma, ma anche per godermi Beatrice: e non perdere momenti che nessuno mi ridarebbe. Però ho capito molto pure nei sei mesi che papà ha passato in ospedale per una malattia grave. Ho compreso a quante cose futili diamo spazio e quante cose ben più importanti non vediamo. Volevo cantarlo». Così che, inseguendo un futuro «più sostanza e meno facciata, compresi show senza computer», Nek finisce anche per segnalare altri brani, di ieri, realmente decisivi per lui. In te contro l’aborto («La rifarei subito»), Nella stanza 26 sulla prostituzione («Fu un flop commerciale, ma la musica non è solo cantare d’amore»), Se non ami ispirata alla lettera di San Paolo ai Corinzi. «Forse è questa la mia canzone-simbolo. Scritta da credente ma su urgenze di tutti: amare e accorgersi degli altri. E vorrei continuare a dire cose così, come ad aiutare associazioni tipo la Comunità Papa Giovanni XXIII di don Benzi o l’Onlus Nuovi Orizzonti (centri d’ascolto, formazione e accoglienza per persone disagiate, nda). Anche queste cose, del resto, mi hanno cambiato la vita».
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IN ITALIA UNA PROPOSTA DI LEGGE PER FERMARE LO SCHIAVISMO NEOPOSTCOMUNISTA CINESE
In Cina ci sono 1400 campi (laogai) dove milioni di persone lavorano 18 ore al giorno per il puro vantaggio economico del regime
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Bussola Quotidiana, 2 dicembre 2010
Lo sanno i cittadini italiani che quando acquistano certe merci a buon mercato alimentano il lavoro schiavistico praticato nella Cina neopostcomunista e lo sfruttamento disumano di manodopera clandestinamente attiva nel nostro Paese? Lo sanno che scegliendo certa apparente convenienza condannano al lavori forzati milioni d’innocenti, relegano a una vita subumana un numero enorme di disperati e favoriscono una mafia pericolosissima? Lo sanno che così facendo pagano di tasca propria l’unico esempio storico di perestrojka riuscita, cioè la sopravvivenza per camouflage e frode di un regime liberticida che altrimenti la storia avrebbe spazzato da tempo? E che usando così i propri sacrosanti e sudati denari aiutano i falsari a beffare il “made in Italy”, insomma si tirano la zappa sui piedi? Evidentemente no; o, al massimo, in buonafede, non ci pensano. Ma, si sa, la buona fede non basta. Soprattutto non impedisce l’ingiustizia. Per aiutare gl’italiani a ricuperare la memoria, ma anzitutto a trasformare la buonafede in azione virtuosa, c’è ora nel parlamento italiano una proposta di legge unica al mondo. Chiede il divieto di produzione, importazione e commercio di merci prodotte mediante manodopera forzata e in schiavitù. L’iniziativa, cristallinamente bipartisan e trasversale, è dei deputati Alessandro Pagano, Ugo Sposetti, Silvano Moffa, Marco Calgaro, Pietro Laffranco, Luca Volontè, Gabriele Cimadoro, Gabriele Toccafondi, Massimo Polledri, Renato Farina, Daniela Sbrollini, Giuseppe Francesco Marinello, Angelo Compagnon e Alessandro Montagnoli. Domattina alle 11,30 viene presentata nella Sala Stampa della Camera dei deputati assieme al noto dissidente Harry Wu [nella foto], 19 anni di lavoro forzato in Cina, direttore esecutivo della Laogai Research Foundation di Washington la quale ha offerto la propria expertise per la redazione del testo di legge attraverso il suo ramo italiano (www.laogai.it), diretto da Toni Brandi. La Cina mantiene oggi sul proprio territorio una rete vastissima di almeno 1400 campi dove milioni di persone vengono quotidianamente costrette a lavorare anche fino a 18 ore al giorno per il puro vantaggio economico del regime e di numerose imprese sia cinesi sia internazionali che lì investono indisturbate. Per contro, la Cina applica, contravvenendo agli accordi raggiunti in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio, forti dazi sulle importazioni, come nel caso del settore automobilistico e del comparto agro-alimentare. In Cina non esiste diritto di proprietà, ma un sistema rigidamente controllato e centralizzato. Non vi è né la certezza del diritto, né quella morale pre-economica che regola la libertà del mercato, né una “società civile” d’intercapedine fra i singoli e lo Stato che possa nutrire il circolo virtuoso dell’intrapresa, dell’investimento, del rischio d’impresa. C’è solo lo Stato, che tutto sorveglia, e che coincide con il governo e con il partito unico. Niente competizione, concorrenza, gara alla produzione di servizi e prodotti migliori: solo contraffazione e mal produzione schiavistica. E in più ci sono le partecipazioni governative, gl’incentivi statali, le sovvenzioni partitiche, le agevolazioni fiscali, i bassi tassi d’interesse e l’uso gratuito di terreni per le imprese che esportano in spregio a ogni regola morale ed economica. Nel giugno 2008 la Laogai Research Foundation individuò 314 laogai fornitori accreditati e presenti nei database della Dun & Bradstreet Corporation, uno dei maggiori provider internazionali d’informazioni per il credito riguardanti aziende e società. Un secondo rapporto della Fondazione, relativo a una indagine condotta fra il 6 e il 22 ottobre 2009 su 28 grandi siti di commercio internazionale in almeno 10 Paesi, identifica 120 imprese di laogai. Poi ci sono cosucce come quelle, raccapriccianti, documentate in due dossier pubblicati dalla Fondazione grazie all’editore Guerini di Milano, Traffici di morte. Il commercio degli organi dei condannati a morte (a cura di Brandi e di Maria Vittoria Cattanìa, 2008) e La strage degli innocenti. La politica del figlio unico in Cina (trad. it. a cura di Brandi e Francesca Romana Puggelli, Guerini, 2009). Aborto coatto dopo il primo figlio, vessazioni per madri e famiglie che contravvengono alla “legge”, persino… cucina e consumo alimentare dei feti uccisi…. Quindi esecuzioni capitali “politiche” a migliaia ogni anno, sempre in numero congruo alla richiesta di organi umani per trapianto.
Fonte: La Bussola Quotidiana, 2 dicembre 2010
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MUSSOLINI E L'ODIO ALLA CHIESA
O preti, non è lontano il tempo in cui cesserete di essere inutili e falsi apostoli di una religione bugiarda
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Il Foglio, 25 novembre 2010
Siamo agli inizi del Novecento, e un giovane maestro incomincia la sua carriera politica di passioni rapide e cangianti, e di inenarrabili odi. Suo padre, Alessandro, è un ruvido uomo di sinistra che vede nel socialismo “la scienza e l’excelsior che illumina il mondo”, “il libero amore che subentra al contratto legale”. Scrive: “o preti, non è lontano il tempo in cui cesserete di essere inutili e falsi apostoli di una religione bugiarda e in cui, lasciando al passato la menzogna e l’oscurantismo, abbraccerete la verità e la ragione, e getterete la tonaca alla fiamma purificatrice del progresso”. Anche il figlio di Alessandro è un amante del socialismo, del progresso, della “ragione”, contro l’oscurantismo dei credenti. Egli, nei suoi viaggi lontano dalla patria romagnola, arriva a Trento nel 1908, chiamato dal partito socialista locale, e subito viene onorato come grande oratore, “versato soprattutto in anticlericalismo”. Qui, nella città del Concilio, scaglia i suoi strali contro l’ “idra clericale”, in nome della “Redenzione umana”. Non crede in Dio, ma nell’avvenire dell’umanità, radioso e splendente. Occorre solo eliminare i nemici, gli avversari, coloro che si oppongono al trionfo del bene, all’ “internazionalismo”, all’ “anti-religiosismo”, all’ “affratellamento dei popoli”. Questi nemici sono la Chiesa, il militarismo, il “morbus sacer” del nazionalismo, l’ “Austria guerrafondaia”, guidata da un sovrano ridicolmente cattolico, e i militaristi germanici. Declama, a testa alta: “I milioni che dovrebbero destinarsi al popolo, a sollevare il popolo, sono invece inghiottiti dall’esercito. Il militarismo! Ecco la mostruosa piovra dai mille viscidi tentacoli che succhiano senza tregua il sangue e le migliori energie del popolo”. Per il giovane rivoluzionario a succhiare il sangue del popolo italiano c’è anche la Chiesa, “grande cadavere”, “lupa cruenta”, “covo di intolleranza”, e i suoi preti, “pipistrelli”, “sanguisughe”, “pallide ombre del medioevo”, “sudici cani rognosi”, che vogliono mantenere il popolo nell’ignoranza. Le vicende di Galilei e di Giordano Bruno, scrive sempre con vigore il nostro giornalista, sono lì a dimostrare chi sono i nemici della ragione e del progresso. Eppure, prosegue, oggi Marx ci ha finalmente aperto gli occhi, ci ha rivelato che Dio non esiste, e con lui Darwin, che ha dato un grosso colpo alle teorie della Bibbia, tanto che “nessun altra dottrina ha avuto portata maggiore di quella del grande naturalista inglese”. Mentre scrive, il giovane rivoluzionario si concede qualche scappatella, con donne che poi abbandona senza tanti scrupoli. “E’ vero che a Losanna – scrive - ebbi relazione con una divorziata, ma così per la carne, non per l’anima”. E mentre frequenta svariate signore, e percorre i corridoi dei bordelli, scrive articoli intitolati “Meno figli, meno schiavi!” e definisce l’amore “una grandissima cosa: ma non è poi solo e non è tutto. E’ un mezzo per conservare la specie”, un artificio della natura solo per mantenere se stessa, come ogni buona dottrina materialista insegna. Queste esperienze e queste convinzioni, non gli impediscono di spiegare ai suoi lettori che i sacerdoti sono sempre degli sporcaccioni, e come loro le suore. Esse, in particolare, sono il bersaglio preferito della pubblicistica socialista, cui il nostro appartiene: si racconta che nei “reclusori” le suore abbiano sempre tresche orrende con le detenute, e che siano delle crudeli violentatrici. Nel romanzo Orkinzia, degli stessi anni, le “suore infami” fanno violenza “su fanciullette ignude, incatenate, con le braccia dietro la schiena”. I preti, poi, sono orride creature che passano “ributtanti malattie veneree” ai bambini, come “porci in veste talare che pullulano ogni giorno nelle cronache dei giornali come funghi schifosi ammorbanti l’umanità coi loro fetori”. Per dimostrarlo il nostro racconta appena può, colorandoli il più possibile, gli atti immorali di qualche sacerdote, di qualche suora, di qualche catechista. “Lo so, aggiunge, che questo fa ciccare i ciarlatani neri, ma ne dovranno inghiottire molti altri di questi che sono per loro rospi vivi che guazzano nelle cloache massime e minime”. La verità, continua infine il nostro, è “che certi voti di castità non possono essere mantenuti senza forzare la natura umana”, che, come si è già detto, è solo animalità ed istinto. Così i preti sono degli ipocriti, perché proclamano una morale disumana, ma la tradiscono di continuo: anche andando a caccia, e cioè “uccidendo tante piccole esistenze create da Dio, se dobbiamo por fede alla Genesi”, e violando il sacro “pacifismo”. Oltre ad articoli di giornale, il nostro scrive anche un romanzo, “Claudia Particella, l’amante del cardinale”, infarcito di violenze e turpitudini, adattissimi alla polemica anticlericale, e prende le difese degli ebrei, ingiustamente “martoriati e suppliziati”, ovviamente dalla Chiesa. Ma chi è questo socialista difensore della purezza, della pace, della tolleranza, di Marx e Darwin, della scienza e del progresso, i cui pregiudizi e le cui calunnie sono ancor oggi condivisi da non pochi giornalisti ed intellettuali alla moda, esattamente un secolo dopo? Per chi non lo avesse riconosciuto, il suo nome è Benito Mussolini.
Fonte: Il Foglio, 25 novembre 2010
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BENEDETTO XVI: SENZA UN RIFERIMENTO MORALE OGGETTIVO PREVALE LA LEGGE DEL PIU' FORTE
Quando i progetti politici contemplano la decriminalizzazione dell’aborto o dell’eutanasia, l’ideale democratico è tradito nei suoi fondamenti
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire, 4 novembre 2010
Nel suo discorso di giovedì scorso ad alcuni vescovi brasiliani, il Papa ha toccato il tema del rapporto tra democrazia, aborto ed eutanasia: «Quando i progetti politici contemplano […] la decriminalizzazione dell’aborto o dell’eutanasia, l’ideale democratico – che è solo veramente tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana – è tradito nei suoi fondamenti». Il Papa ha cioè criticato la riduzione della democrazia a mero meccanismo di regolazione degli interessi che delibera solo secondo il rispetto di alcune procedure, specialmente quella del rispetto della volontà della maggioranza. Così, senza farvi riferimento esplicito, Benedetto XVI ha richiamato la necessità di ancorare la legge civile alla legge naturale (ovviamente pensata in modo corretto e non in certe sue indifendibili teorizzazioni), cioè quell’insieme di principi etici immutabili che non dipendono da alcuna dottrina religiosa (anche se vi possono trovare sintonia), perché sono accessibili con la ragione. Riecheggiando l’enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II (ma senza bisogno di essere credenti per convenire con le sue tesi, che sono già laicamente valide) si può in effetti notare che la democrazia, come sistema in cui si decide a maggioranza, non può essere mitizzata fino a considerarla un bene assoluto e un antidoto al male. Essa è un modo di regolare i rapporti tra gli uomini e, come tale, uno strumento, non la fonte del bene. La sua moralità non è automatica, bensì scaturisce dalla qualità morale dei finibeni che persegue e dei mezzi di cui si serve per perseguirli. Ma se questi fini-beni non sono oggettivi e perciò protetti dalla legge naturale, bensì decisi di volta in volta dalla maggioranza, l’ordinamento democratico risulta essere un mero meccanismo di regolazione empirica dei diversi interessi. Ora, tale regolazione è senza dubbio apprezzabile ai fini della pace sociale; ma senza un riferimento morale oggettivo e previo a qualsivoglia decisione della maggioranza, se non esistono alcuni beni-valori non negoziabili (per esempio la dignità inviolabile dell’essere umano che, per esempio, non dev’essere manipolato) il rischio è quello di una mera apparenza di democrazia. Infatti, anche nei sistemi politici partecipativi la soddisfazione degli interessi, di fatto, avviene spesso a vantaggio dei più forti, cioè quei soggetti che sono maggiormente capaci di manovrare non soltanto le leve del potere, ma anche l’opinione pubblica e la formazione del consenso. Quando si produce tale situazione, la democrazia diventa solo apparente: in realtà quelli che comandano e decidono sono pochi, in realtà è in vigore un’oligarchia. Una democrazia senza riferimenti valoriali oggettivi può anche cadere nel «dispotismo della maggioranza», icasticamente messo in luce dal filosofo Tocqueville: se una democrazia decide solo secondo il principio (importante ma insufficiente) per cui è giusto ciò che viene scelto dalla maggioranza, quest’ultima può decidere di sterminare il singolo e/o la minoranza senza che la si possa biasimare. E se il principio fondamentale di una democrazia afferma che ogni singolo uomo è uguale agli altri, deve contare quanto gli altri e non deve essere discriminato, la depenalizzazione di aborto ed eutanasia costituisce un tradimento gravissimo di questo principio, perché discrimina e addirittura uccide i più deboli e più indifesi: infatti, come ha detto il Papa, «chi è più inerme di un nascituro o di un malato in stato vegetativo o terminale?».
Fonte: Avvenire, 4 novembre 2010
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ULRICH BECK: UN PREDICATORE DEL NULLA
Quelli come lui sono sempre pronti a passare al servizio dei prepotenti e sopraffattori di turno, compresi quelli che usano Dio per spargere morte e terrore
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: iltimone.org, 19-11-2010
“Chi è costui”, si chiederanno in molti. Anche noi, nella nostra ignoranza, ce lo siamo chiesti leggendo la sua dotta lezione sulle religioni che si è meritata oggi, 19 novembre, la prima pagina de “la Stampa”. Girando su internet abbiamo quindi scoperto quanto è vasta la nostra ignoranza, visto che Ulrich Beck viene accreditato come un importante sociologo tedesco, autore di tanti e fondamentali studi su modernità e globalizzazione. Infatti, proprio del “rischio di Dio” nella società globalizzata parla dalle colonne del giornale torinese. Pur tralasciando diverse affermazioni senza fondamento – tipo l’attribuzione a un non meglio specificato Paolo della “trasformazione del cristianesimo da una setta ebraica a forza religiosa globale” - Beck dice un paio di cosette che vale la pena riprendere. Anzitutto che le religioni se da una parte annullano i confini “che separano le persone, i gruppi, le società e le culture” (sono, in altre parole, universali) dall’altra creano una nuova divisione, che si capisce essere anche più pericolosa: quella tra credenti e non credenti, e tra “credenti della vera fede e credenti nella fede sbagliata”. Questo sarebbe anche il grave rischio che corriamo oggi, dice Beck, che “il fallimento della secolarizzazione porti a un nuovo secolo buio. La religione uccide”. Ora, già qui si capisce che Beck ha più scritto che studiato, perché l’universalismo, ovvero l’abbattimento dei muri – “non c’è più né giudeo né greco…” - è specifico solo del cristianesimo. Non c’è alcuna religione, al di fuori del cristianesimo, che affermi una cosa del genere. Ed è questo il principale motivo delle persecuzioni a cui i cristiani sono sottoposti in ogni parte del mondo: questa tenace ostinazione a considerare ogni persona sacra e inviolabile, perché “fatta a immagine e somiglianza di Dio”. Una ostinazione “sovversiva”, capace di far saltare gli equilibri di potere all’interno di ogni società, che sulla divisione e sul dominio si basa. Accade così nell’India delle caste, nell’Africa delle tribù e anche nell’Occidente laicista. Quando poi Beck afferma che “la religione uccide” – ma il sociologo “cuor di leone” sembra che si riferisca solo al cristianesimo – forse dovrebbe andarsi a rileggere qualcosa della storia del XX secolo, dei milioni di morti provocati dall’ateismo – dichiarato o implicito – del comunismo e del nazismo. In secondo luogo Beck dice come si dovrebbero comportare le religioni e come risolvere dal punto di vista globale queste divisioni che le religioni portano. Come, in altre parole, farle cooperare per risolvere i problemi dell’umanità secondo la logica dell’etica globale tanto cara a certe agenzie dell’ONU. Afferma dunque il sociologo tedesco: “In che misura la verità possa essere sostituita dalla pace è una domanda cruciale per la sopravvivenza dell’umanità”. In altre parole: per avere la pace si dovrebbe rinunciare alla verità. Ma la rinuncia alla verità, ovvero la menzogna, è la radice della violenza e della sopraffazione. Lo possiamo constatare semplicemente anche nella vita quotidiana: rinunciare alla verità, legittima il prepotente e il violento in nome del quieto vivere. Beck - che è tedesco - se studiasse la storia saprebbe anche che la rinuncia alla verità da parte di tanti paesi europei, nel 1938, diede il via libera alle folli mire del regime nazista e a quella grande tragedia che è stata la Seconda guerra mondiale. E in questi giorni la rinuncia alla verità davanti alla prepotenza della Cina sta gettando nel ridicolo i paesi occidentali e l’istituzione che ha deciso di assegnare il Nobel per la pace a un dissidente cinese. Caro professor Beck, la vera violenza e il vero rischio per il nostro mondo globalizzato, nasce dai tanti predicatori del nulla come lei, che sono sempre pronti a passare al servizio dei prepotenti e sopraffattori di turno, compresi quelli che usano Dio per spargere morte e terrore in tutto il mondo.
Fonte: iltimone.org, 19-11-2010
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OMELIA PER LA III DOMENICA DI AVVENTO - ANNO A - (Mt 11,2-11)
Fra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista, ma il più piccolo nel Regno dei Cieli è più grande di lui
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 12 dicembre 2010)
La terza Domenica d’Avvento è detta anche “Domenica della gioia”. È detta così perché il Natale è ormai vicino e la Liturgia ci invita a prepararci con rinnovata esultanza a questo mirabile evento. Il Vangelo di oggi ci presenta un episodio un po’ difficile da comprendere. Giovanni Battista è in carcere per aver ripreso apertamente Erode Antipa a motivo della sua scandalosa relazione con Erodiade. Egli già in precedenza aveva indicato ai suoi discepoli che Gesù era il Messia atteso dalle genti, Colui che toglie il peccato del mondo (cf Gv 1,29-34; Mt 3,11-12). Dal carcere ove ora si trova, il Battista manda i suoi discepoli a domandare se Egli è veramente il Messia. Come mai li manda, dopo aver in precedenza chiaramente riconosciuto in Gesù il Messia? A questa domanda sono state date diverse risposte dagli studiosi della Sacra Scrittura. La risposta più convincente sembra essere la seguente: non era tanto il Battista ad avere dubbi in proposito, ma i suoi discepoli. Essi si attendevano un Messia diverso, un Messia austero e vigoroso che avesse sferzato con forza i peccatori recalcitranti. Non si attendevano di certo un Messia mite e misericordioso. Per questo motivo, il santo Precursore li manda da Gesù affinché si rendano conto che devono seguire il Maestro di Nazareth e non più lui, ormai condannato a morire. La domanda dei discepoli è la seguente: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,3). «Colui che deve venire» è un’espressione tipica dell’Antico Testamento e indica il Messia promesso da Dio. Gesù risponde loro rimandandoli a quanto essi “ascoltano” e “vedono”. In poche parole, rispondono le opere stesse compiute da Gesù. I Profeti, infatti, parlavano dei segni che avrebbero accompagnato il Messia: «Si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto» (Is 35,5-6). Ecco allora che Gesù risponde ai discepoli del Battista in questo modo: «Andate a riferire a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Mt 11,4-5). Le parole di Gesù si concludono con questa frase: «E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo» (Mt 11,6). Queste parole significano che sono beati quelli che non trovano nel comportamento umile e misericordioso di Gesù un ostacolo a credere in Lui e ad accettare di divenire suoi discepoli, rinunciando a sogni e a speranze troppo umane. Molti, infatti, erano quelli che si attendevano un Messia ben diverso, un Messia umanamente vittorioso. Come ho detto prima, anche i discepoli del Battista si aspettavano un Messia austero e severo, un Messia che avesse rimproverato aspramente tutti i peccatori. Per questo motivo, san Giovanni Battista, al termine della sua esistenza terrena, invia i suoi discepoli da Gesù, affinché comprendano la sua lezione di misericordia e il suo appello alla conversione. Il discorso di Gesù termina con un elogio nei riguardi del Precursore. Egli dice che il Battista è più che un profeta (cf Mt 11,9). Con queste parole, Gesù vuole indicare che Giovanni è proprio il messaggero inviato da Dio a preparare la strada al Messia. Infine Gesù dice: «In verità io vi dico: fra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11,11). Ciò significa che Giovanni è come il confine tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Egli è il vertice dell’Antico ed arriva alle soglie del Nuovo. Quindi, egli è il più grande dei Profeti, ma non possiede ancora la pienezza della Rivelazione, per cui noi, alla luce del Vangelo, conosciamo di Dio molto più di lui. Ciò significano le parole: «Ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui». Veniamo ora a noi. Domandiamoci cosa ci attendiamo da Gesù. Molti ebrei si attendevano un liberatore politico; i discepoli del Battista aspettavano un Messia severo e austero; e noi? Ognuno lo vorrebbe a sua immagine e somiglianza, ma pochi sono quelli disposti ad accoglierlo per quello che è veramente. Tutti lo vogliono, ma come vogliono loro. Il messaggio di questa terza Domenica penso possa essere proprio questo: accogliere Gesù per quello che è e per quello che insegna, e non per quello che noi vorremmo; fare nostro il suo modo di pensare, di parlare e di agire. Tutto questo lo otterremo solo pregando molto e meditando assiduamente il suo Santo Vangelo, ove impariamo la sua Sapienza. Solo in questo modo potremo essere autenticamente felici.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 12 dicembre 2010)
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