BastaBugie n�183 del 11 marzo 2011

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1 CHE COSA STA SUCCEDENDO NELL'AFRICA DEL NORD? LE RIVOLUZIONI POPOLARI E SPONTANEE NON ESISTONO
Un regime crolla quando i suoi vertici sono corrotti e quando esiste una minoranza organizzata in grado di impadronirsi del potere (che in queste terre sono i fondamentalisti musulmani)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana
2 GHEDDAFI, CHI ERA COSTUI? CONSIDERARLO UN MATTO NON AIUTA A CAPIRE LA SITUAZIONE
Nel 1970 espulse dalla Libia 20 mila coloni italiani dopo aver sequestrato tutti i loro beni senza il minimo indennizzo
Autore: Robi Ronza - Fonte: La Bussola Quotidiana
3 PER ORA IN ITALIA L'EUTANASIA E' ANCORA ILLEGALE: ECCO PERCHE' E' UNA FOLLIA APPROVARE IL TESTAMENTO BIOLOGICO
Il presidente del Movimento per la Vita dice: ''Senza la legge avremo 1000 casi come Eluana'' (ma la realtà lo smentisce: in due anni NESSUNO ha seguito l'esempio di Beppino Englaro...)
Autore: Massimo Micaletti - Fonte: Comitato Verità e Vita
4 ARRIVA ALLA CAMERA IL DISEGNO DI LEGGE CALABRO', MA SAREBBE MOLTO MEGLIO NON VOTARE ALCUNA LEGGE
Estesi i soggetti per cui vale il testamento biologico (la sanità diventa sempre meno di competenza dei medici e sempre più degli avvocati e dei giudici)
Fonte: Corrispondenza Romana
5 SARA' PRESTO BEATO, MA A REGGIO EMILIA, NELLA SUA TERRA, NON C'E' POSTO NEMMENO PER UNA VIA A LUI DEDICATA (ANCHE SE CE N'E' UNA PER IL DITTATORE COMUNISTA TITO...)
Il giovane seminarista Rolando Rivi fu sequestrato e brutalmente assassinato il 13 aprile del 1945 dai partigiani comunisti, in odio alla sua fede
Autore: Andrea Zambrano - Fonte: La Bussola Quotidiana
6 IL MIGLIORE AMICO DELL'UOMO? E' LA DONNA!
Il compito in cui noi donne sappiamo davvero essere protagoniste è diventare mamme: noi siamo state create per partorire
Autore: Sabrina Pietrangeli Paluzzi - Fonte: L'Ottimista
7 PAKISTAN: ASSASSINATO SHAHBAZ BHATTI, 43ENNE MINISTRO CATTOLICO CHE HA DIFESO ASIA BIBI
Chi osa difendere i cristiani indifesi come Asia Bibi (la donna condannata a morte con l'accusa pretestuosa di aver offeso il profeta Maometto) finisce crivellato dai colpi
Autore: Luca Miele - Fonte: Avvenire
8 IL MINISTRO BHATTI HA LOTTATO CONTRO LA LEGGE ANTIBLASFEMIA E A FAVORE DELLE SUE VITTIME, PER QUESTO E' STATO UCCISO
''Tornerete in questa chiesa per i miei funerali'', e così è stato
Autore: Stefano Vecchia - Fonte: Avvenire
9 UCCISO SHAHBAZ BHATTI, IL MINISTRO PER LE MINORANZE IN PAKISTAN CHE HA DIFESO ASIA BIBI
''Gesù è il cuore della mia vita e voglio essere un suo vero seguace attraverso le mie azioni, condividendo l'amore di Dio con i poveri, gli oppressi, le vittime, i bisognosi e i sofferenti del Pakistan''
Autore: Marco Impagliazzo - Fonte: Avvenire
10 I CODARDI DELL'EUROPA, CHE RIFUGGE DALLA CONDANNA DELLE INGIUSTIZIE VERSO I CRISTIANI, VERSANO LE LORO LACRIME DI COCCODRILLO
Il ministro degli Esteri Franco Frattini non ha usato il linguaggio felpato della diplomazia nell'esprimere la più ferma condanna per l'uccisione di Shahbaz Bhatti
Autore: Luigi Geninazzi - Fonte: Avvenire
11 OMELIA PER LA I DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO A - (Mt 4,1-11)
Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - CHE COSA STA SUCCEDENDO NELL'AFRICA DEL NORD? LE RIVOLUZIONI POPOLARI E SPONTANEE NON ESISTONO
Un regime crolla quando i suoi vertici sono corrotti e quando esiste una minoranza organizzata in grado di impadronirsi del potere (che in queste terre sono i fondamentalisti musulmani)
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana, 3 Marzo 2011

Che cosa sta succedendo in queste settimane nell'Africa settentrionale? L'analisi geopolitica non può essere mai separata dalla conoscenza storica. E la storia ci dice che la bella e fertile fascia costiera che dall'Egitto attraverso la Cirenaica, la Tripolitania, la Tunisia e l'Algeria giunge fino al Marocco, dopo aver conosciuto il dominio di Cartagine, costituì, sotto l'Impero di Roma, uno dei più fiorenti centri del Cristianesimo.
L'Africa, tra il III e il V secolo, fu la culla della grande letteratura cristiana latina con Tertulliano, Cipriano, Agostino. Berberi di quelle terre furono i Papi Vittore I, Melchiade, Gelasio II e grandi santi come Monica, madre di Agostino, e i martiri Cipriano, Perpetua e Felicita. Si calcola che nel V secolo, metà dei cristiani allora esistenti nel mondo vivevano nell'Africa mediterranea con circa 600 diocesi. I vescovi africani si distinsero per la loro ortodossia, nella lotta contro gli eretici, tanto che san Prospero d'Aquitania poté scrivere: «O Africa, ciò che tu decreti è approvato da Roma e seguito dall'Impero».
Il grande edificio cristiano conobbe un'epoca di decadenza, ben descritta da Saviano di Marsiglia e fu infine distrutto dai Vandali di Genserico, che nel 435, conquistarono Cartagine. Al dominio feroce dei Vandali ariani, successe nel VI secolo, quello dei Bizantini, contro il quale l'episcopato africano continuò a difendere la sua ortodossia, opponendosi alle innovazioni dogmatiche di Giustiniano e di Eraclio. Finché, nella seconda metà del VII secolo, irruppero in Africa settentrionale gli arabi maomettani.
Solo la duplice disfatta subita sotto le mura di Bisanzio (716-717) e a Poitiers (732), ad opera di Carlo Martello, arrestò la marea islamica che si era avventata contro la Cristianità. Tutta l'Africa del Nord, dall'Egitto allo stretto di Gibilterra, cadde nelle mani degli infedeli, che intrapresero la distruzione sistematica di ogni vestigia cristiana. Furono secoli di degrado, in cui l'Africa smarrì la sua civiltà e la sua prosperità commerciale. Solo nel XIX secolo quelle terre trovarono, se non più l'unità spirituale, almeno quella politica, sotto il dominio coloniale delle potenze europee. Poi, dopo le due guerre mondiali del XX secolo, il cosiddetto "processo di decolonizzazione", intrapreso per liberare quei popoli, li consegnò in realtà a satrapi e dittatori corrotti, all'ombra di una influenza crescente dell'islamismo.
Oggi una serie di "Rivoluzioni arabe" scuotono quelle terre. Su un punto tutti gli analisti concordano: nei Paesi nordafricani dopo le "rivoluzioni" del 2011, non tutto sarà come prima. Che cosa cambierà? A questo punto gli osservatori si dividono. Alcuni pensano che sia possibile servirsi strumentalmente degli estremisti religiosi per abbattere i regimi totalitari, nell'illusione di riuscire, poi, ad impedire a questi estremisti di esercitare il potere. Altri ritengono che, per combattere il fondamentalismo, bisogna concedergli la possibilità di andare democraticamente al potere, nell'illusione che la assunzione di responsabilità da parte dei musulmani radicali porti ad una loro de-islamizzazione.
I pessimisti prevedono che l'Islam fondamentalista conquisterà i Paesi del Maghreb e del Machrek; gli ottimisti sono convinti che per questi popoli si apre una nuova era di democrazia; gli incerti, incapaci di prevedere quanto è avvenuto, si confessano ancor meno capaci di prevedere cosa accadrà. Un punto però è fermo. Non c'è bisogno di essere "complottisti" per sapere che le Rivoluzioni popolari e spontanee non esistono. Un regime crolla quando i suoi vertici sono corrotti e quando esiste una minoranza organizzata in grado di impadronirsi del potere. E l'unica minoranza organizzata che opera in queste terre sono oggi i Fratelli Musulmani, sotto diverse denominazioni, dal Fis (Fronte di salvezza islamico) in Algeria, ad Hamas nei territori palestinesi.
Oggi il punto di riferimento dei Fratelli Musulmani non è l'Islam di Khomeini, ma, come ha affermato Ali Belhadj, leader del Fis, in un'intervista al "Corriere della Sera" (20 febbraio 2011), la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, l'autore del trasbordo dalla Turchia filo-occidentale a quella islamista. Il 1 marzo Erdogan ha cancellato una visita ufficiale a Bruxelles per prendere parte alle esequie di Necmettin Erbakan, il padre del fondamentalismo turco di cui è stato pupillo fino al 2001, quando ha fondato il partito Giustizia e Sviluppo.
«Gli europei sono malati... Daremo loro le medicine. Tutta l'Europa diventerà islamica. Conquisteremo Roma», aveva dichiarato Erbakan ad Arnheim, in Germania, nel 1989. In termini non diversi si è recentemente espresso lo sceicco Yusuf al Qaradawi, guida spirituale dei Fratelli Musulmani, in una "fatwa" promulgata nel 2005: «Infine l'Islam governerà e sarà il padrone di tutto il mondo. Uno dei segni della vittoria sarà che Roma verrà conquistata, l'Europa verrà occupata e i cristiani sconfitti». Lo stesso al Qaradawi, dopo trent'anni di esilio è tornato trionfalmente in Egitto per dirigere, il 18 febbraio, la preghiera della "marcia della vittoria" nella piazza Tahir del Cairo, davanti a una folla immensa che acclamava la Rivoluzione araba.
San Pio X affermava che non c'è civiltà, nel mondo al di fuori del Cristianesimo, e che l'allontanamento dei popoli dal Cristianesimo è la misura del declino della civiltà. Questa affermazione è stata confermata dalle vicende storiche e politiche del ventesimo secolo e di quello che si apre. Abbiamo la certezza che fino al giorno in cui la fede cristiana non tornerà a infondere la civiltà nelle terre d'Africa quei popoli non conosceranno pace e benessere, ma costituiranno una fonte di instabilità e di minaccia da cui l'Europa deve guardarsi, senza illudersi nell'avvento di "primavere arabe" che potrebbero preludere, anche per noi, ad un gelido inverno di "dhimmitudine".

Fonte: Corrispondenza Romana, 3 Marzo 2011

2 - GHEDDAFI, CHI ERA COSTUI? CONSIDERARLO UN MATTO NON AIUTA A CAPIRE LA SITUAZIONE
Nel 1970 espulse dalla Libia 20 mila coloni italiani dopo aver sequestrato tutti i loro beni senza il minimo indennizzo
Autore: Robi Ronza - Fonte: La Bussola Quotidiana, 28-02-2011

Muammar Gheddafi, al cui cruento tramonto stiamo assistendo in questi giorni, è o era al potere da 42 anni: un primato assoluto, tanto più notevole se si considera che egli è sempre rimasto un privato cittadino senza mai assumere alcuna carica istituzionale, forte solo del titolo, che si era dato da sé, di "Guida della Rivoluzione". Non volle nemmeno procedere nella carriera militare conservando sine die il grado di colonnello che ricopriva quando, nel 1969, guidò il colpo di Stato che portò alla caduta del regno di Idris I e alla nascita della Repubblica di Libia "araba, libera e democratica".
Il potere non è qualcosa che nessuno vuole e che perciò resta infine in mano al più sciocco della compagnia. Come è noto si tratta di una merce  richiestissima. Perciò chi conquista il potere e  lo conserva può essere magari anche perfido e squilibrato (si pensi ad esempio a Hitler), ma non è mai stupido. Venendo al caso di Gheddafi,  considerarlo un matto non aiuta né a capire chi sia, né a capire come la Libia può sopravvivergli.
Nei suoi 42 anni di potere Gheddafi  è  riuscito a restare in sella giostrando con abilità sia all'interno del paese che sullo scacchiere internazionale. Andò al potere proponendosi come campione di una "terza via" tra comunismo e capitalismo secondo un programma in cui la dottrina del nazionalismo pan-arabo s'intrecciava con principi di matrice socialista europea.  Ciò gli assicurò per diversi anni la benevolenza dell'Internazionale socialista e più in generale  di quegli ambienti dell'establishment progressista europeo che oggi fanno la parte degli  anti-Gheddafi della prima ora.
Questo gli consentì di espellere dalla Libia nel 1970 nell'arco di due mesi 20 mila coloni italiani, dopo aver sequestrato senza il minimo indennizzo tutti i loro beni, senza grandi mobilitazioni da parte della stampa italiana e senza nemmeno alcuna seria resistenza da parte del governo di Roma dell'epoca. Si ebbe allora l'impressione che si barattasse l'acquiescenza nei confronti di questa espulsione di massa con il tranquillo sviluppo della presenza dell'ENI in Libia. La massima parte di questi coloni erano agricoltori, che coltivavano in Cirenaica poderi loro assegnati dal regime fascista quando ancora la Libia era una colonia italiana. Quindi può darsi che la loro presenza in Libia non fosse più politicamente sostenibile. Resta il fatto che il nostro governo del tempo non solo si lasciò cogliere di sorpresa dall'iniziativa di Gheddafi  ma anche nemmeno tentò  di ottenere che l'esodo avvenisse in modo graduale e che ai coloni si riconoscesse un indennizzo per il valore che il loro lavoro aveva aggiunto a terreni che al momento dell'assegnazione erano o mal coltivati o più spesso incolti.
La vicenda è importante anche ai fini della comprensione dei successivi sviluppi del  regime di Gheddafi. Il colonnello ne ricavò il convincimento che pestando i pugni sul tavolo all'Italia e all'Occidente in genere si poteva far  ingoiare qualunque cosa.
In seguito assunse una posizione sempre più fortemente anti-americana e anti-israeliana fino a sostenere gruppi terroristici. Nell'aprile 1986 il presidente americano Reagan arrivò al punto di ordinare un bombardamento improvviso sulla sua residenza. I bombardieri lanciati da una portaerei in navigazione nel Mediterraneo distrussero l'edificio ma Gheddafi sfuggì all'attentato, a quanto pare perché il presidente del Consiglio italiano del tempo, Bettino Craxi, lo avvisò di quanto stava per accadere ritenendo (molto probabilmente a ragione) che la sua repentina scomparsa avrebbe creato in Libia un vuoto politico che sarebbe stato probabilmente colmato da qualcuno peggiore di lui.
Caduto il muro di Berlino e finita la "Guerra fredda" nel 1991 con la disfatta dell'Unione Sovietica, per Gheddafi e per molti altri personaggi simili a lui viene meno la possibilità di continuare a giostrare giocando sull'antagonismo Usa/Urss.  Il colonnello decide perciò di cambiare politica: cessa ogni sostegno al terrorismo, interviene in alcuni conflitti africani nel ruolo per lui inusitato del pacificatore, e infine dal 2003 in avanti si avvicina apertamente all'Occidente e in primis al nostro Paese, che era restato comunque il principale partner economico della Libia.  Da parte italiana si tratta di un processo che si compie con Berlusconi (per ragionevoli motivi su cui qui non mi soffermo dal momento che già sono stati bene illustrati da Rodolfo Casadei) ma era iniziato con D'Alema, come varrebbe la pena di ricordare a quei leader del PD che ora attaccano l'attuale premier per aver firmato il trattato di Bengasi (30 agosto 2008) e aver  poi invitato Gheddafi in visita di Stato a Roma con gli inevitabili risvolti pittoreschi.
Che cosa fare adesso? Adesso occorre fare di tutto perché la transizione in atto in Libia abbia luogo nel modo meno catastrofico  possibile. Il nostro Paese ha molte carte da giocare al riguardo. Speriamo che le sappia giocare bene.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 28-02-2011

3 - PER ORA IN ITALIA L'EUTANASIA E' ANCORA ILLEGALE: ECCO PERCHE' E' UNA FOLLIA APPROVARE IL TESTAMENTO BIOLOGICO
Il presidente del Movimento per la Vita dice: ''Senza la legge avremo 1000 casi come Eluana'' (ma la realtà lo smentisce: in due anni NESSUNO ha seguito l'esempio di Beppino Englaro...)
Autore: Massimo Micaletti - Fonte: Comitato Verità e Vita, 4 Marzo 2011

Leggo su Avvenire la replica dell'On.le Carlo Casini al pezzo di Palmaro e Gnocchi sul Foglio, e mi pare francamente di avere a che fare con un clamoroso errore di prospettiva.
Nessuno discute le intenzioni del Presidente del Movimento per la Vita italiano: ma la disamina che egli fa della realtà storico-giuridica del problema testamento biologico in Italia è fondata su basi non condivisibili, per non dire errate.
La chiave di lettura per comprendere da quale punto di vista Carlo Casini valuti la questione è ben sintetizzata dall'assunto per cui secondo Casini la sentenza sul caso Englaro e l'ordinanza di archiviazione per il Dott. Riccio nel caso Welby costituirebbero precedenti tali da immutare il diritto vivente. In altri termini, per Casini quelle due pronunce hanno di fatto sdoganato il testamento biologico (quando non l'eutanasia) nel nostro ordinamento.
Ora, questo assunto è errato nel merito, nel metodo e nella prospettiva.
E' errato nel metodo, poiché nessun giurista potrebbe seriamente affermare che una sola pronuncia della Cassazione, per giunta non resa a Sezioni Unite e vertente su una caso particolarissimo nel merito e nell'iter processuale, possa costituire "giurisprudenza" tale non solo di scardinare tutte le precedenti pronunce della medesima Corte in tema di consenso informato all'atto medico o di omicidio del consenziente ed assistenza al suicidio, ma addirittura di sovvertire e superare due espresse norme del nostro Codice Penale quali sono gli articoli 579 e 580. E se ciò vale per la sentenza Englaro, a maggior ragione vale per l'archiviazione disposta nei confronti del Dottor Riccio o dello staff che ha portato alla morte Eluana, in quanto, come è ben noto, un'ordinanza di archiviazione è provvedimento di spessore ben diverso dalla sentenza ed è resa, per giunta, da un giudice di primo grado ad uno stato assolutamente embrionale del procedimento.
E' errato nel merito, poiché le sentenze Englaro e Riccio non autorizzano assolutamente a ritenere che l'eutanasia o il testamento biologico siano ora leciti nel nostro ordinamento: si tratta infatti, come è noto, di provvedimenti che hanno risolto questioni specifiche, mentre la legge è per sua stessa natura generale ed astratta. Quel che più conta, sono atti assolutamente generici ed indeterminati quanto ai requisiti ed alle condizioni che intendono porre per la liceità dell'intervento omicida. Non si tratta di criticare in sé quelle decisioni – che sono criticabilissime, ma non è questa la sede – ma di rilevare che esse non sono assolutamente in grado di cambiare l'ordinamento vigente. Facciamo un esempio. Nell'enunciare il principio alla base della sentenza Englaro la Corte esordisce con le seguenti parole "Ove il malato giaccia da moltissimi anni...": quanti sono questi "moltissimi anni"? Nel caso Englaro erano quindici: e se ad un altro Giudice ne bastassero cinque? E se un altro ne pretendesse venti? Ancora, la sentenza Englaro prende in considerazione il sondino nasogastrico, ma ben sappiamo che potrebbe formare oggetto delle d.a.t. una infinita serie di trattamenti salvavita, per i quali chiaramente il precedente Englaro non avrebbe alcun valore.
C'è di più. Come Carlo Casini, che è giurista, ben sa, la sentenza Englaro è stata emessa nel 2007 dalla Sezione I della Cassazione, che si occupa di stato delle persone; per contro, la stessa Cassazione, ma alla Sezione III – che si occupa appunto di colpa medica – nella pronuncia n. 23676 del 2008 ha statuito che "il dissenso alle cure mediche, per essere valido ed esonerare così il medico dal potere-dovere di intervenire, deve essere espresso, inequivoco ed attuale: non è sufficiente, dunque, una generica manifestazione di dissenso formulata ex anteed in un momento in cui il paziente non era in pericolo di vita, ma è necessario che il dissenso sia manifestato ex post, ovvero dopo che il paziente sia stato pienamente informato sulla gravità della propria situazione e sui rischi derivanti dal rifiuto delle cure", ribadendo così tutta la propria precedente, costante coerente, sterminata giurisprudenza per cui il consenso (e quindi il dissenso) all'atto medico deve essere attuale, ossia contemporaneo al trattamento, e deve fondarsi sulla piena comprensione ed accettazione del trattamento stesso da parte del paziente.
Come si può affermare quindi che la sentenza Englaro abbia cambiato l'ordinamento?
Di ciò esiste una prova inconfutabile: non sono seguiti altri casi Englaro. Ossia, non è accaduto che dopo la pronuncia della Cassazione altri pazienti abbiano fatto quella fine né soprattutto che altri medici o altri tutori abbiano adito le vie legali per ottenere il medesimo risultato. Questo perché nessun giurista si sentirebbe seriamente di consigliare ad un medico o ad un tutore di distaccare un sondino nasograstrico facendo affidamento sul precedente Englaro.
E' errato, infine, nella prospettiva. Se cadiamo nella trappola – che ha fondamento esclusivamente mediatico, e nessuna base giuridica – di ritenere che il caso Englaro abbia introdotto l'eutanasia nel nostro Paese, noi pro life finiamo in un sol colpo nel cul de sac della logica della limitazione del danno. "Ormai l'eutanasia c'è. Cerchiamo di salvare il salvabile": abbiamo visto dove ci ha condotti questa logica, e lo abbiamo visto con le tragedie della legge 194 sulla legalizzazione dell'aborto e della legge 40 sulla fecondazione artificiale, che nell'anno 2009 ha distrutto 124.703 embrioni umani e che continua a cadere sotto i colpi della Corte Costituzionale. Dopo quelle drammatiche esperienze noi popolo per la Vita, noi giuristi per la Vita, non possiamo più permetterci di aprire falle nella difesa della Vita, soprattutto quando esistono chiare e tassative norme che la Vita tutelano. Non possiamo abboccare ancora una volta.
Né può autorizzarci ad abbassare la guardia la triste constatazione che nell'accademia come nella politica sono pochi coloro che ci sostengono: se abbassiamo la guardia, saranno sempre meno.
Le pronunce Riccio ed Englaro (sia civile che penale) sono solo quel che sono: sentenze ingiuste, errate, criticabili come è criticabile ogni opera dell'ingegno umano. Noi giuristi ne vediamo a decine, ogni anno, di sentenze errate, infondate, a volte addirittura strampalate, che in un mare di sentenze giuste e fondate ci consentono – pensa un po' – di proporre appello e vincerlo, o addirittura ricorso in Cassazione e vincere. L'errore è in germe in ogni sentenza, e chi difende la Vita valendosi del sapere del Diritto non fatica a trovarne a decine, in quegli atti che secondo l'On.le Casini avrebbero cambiato l'ordinamento.
Quindi, converrebbe lasciare a quelle pronunce il peso che hanno: un drammatico peso storico, poiché hanno di fatto autorizzato la morte di un malato inerme; nessun peso giuridico perché non hanno alcun vigore di precedente.
Gli articoli 579 e 580 del Codice Penale sono ancora in piedi, e ben lo sanno coloro che vogliono i malati liberi e morti. Anzi a volte vien da pensare che lo sappiano anche meglio di noi. E' per questo che costoro vogliono una legge a tutti costi: una qualunque, tanto poi ci pensa qualche Giudice d'avanguardia con il solito corredo di teatrino mediatico a farla a pezzi ed a far credere che neppure quei limiti esistano più e che uno può farsi ammazzare quando e come vuole punto e basta.
Né tanto meno siamo chiamati, come indica Carlo Casini a "dare una risposta all'argomento eutanasico di Stefano Rodotà e altri": non facciamoci mettere all'angolo. Sono loro, sono quelli che non la pensano come noi, a dover spiegare come e perché non si applicherebbe ai loro ragionamento l'art. 579 del Codice Penale sull'omicidio del consenziente o l'art. 580 sull'istigazione o l'assistenza al suicidio; sono loro che ci devono spigare come potrebbe la loro distorta interpretazione dell'art. 32 della Costituzione autorizzare un medico a porre in essere un'azione che priva della vita una persona inerme ed incosciente; sono loro che ci devono spiegare che accidenti abbia a che vedere con il consenso e la libertà un modulo a crocette quale è, nella realtà, l'atto con cui si esprimerebbe il dissenso preventivo agli atti medici; sono loro che ci devono spiegare come si potrebbe esprimere un valido dissenso senza avere la conoscenza e la piena comprensione della natura, della invasività, dell'efficacia delle pratiche mediche che si intende rifiutare. E ce ne sarebbero mille altre di cose che Rodotà e compagni dovrebbero spiegarci, prima che tocchi a noi rispondere qualcosa a loro.
Allarghiamo la prospettiva, ma solo incidentalmente, ché non è quello il fulcro di queste riflessioni. Non intendo qui discutere dello strumento del testamento biologico in sé: ci sarebbe tantissimo da dire e tantissimi l'hanno già detto e lo dicono meglio di me.
Casini lamenta che ci si ostini a parlare di "testamento biologico" e non di "dichiarazioni anticipate di trattamento": ecco, dovrebbe chiedersi perché. Perché – guarda un po' – il dibattito sui giornali è sul testamento biologico e non sulle d.a.t.? Perché è questo che deve passare ed è questo che chi non è per la Vita auspica: hai voglia a far distinzioni accademiche, per la pubblica opinione le d.a.t. sono (o devono essere) lo strumento per la morte terapeutica, per la soppressione a fini di pietà.
Ricorderà, Carlo Casini, come si parlava (e si parli tuttora) di "diritto ad abortire", "libertà di aborto" et similia: tutte pretese che la giurisprudenza della Cassazione (in decine di sentenze, non una sola) ha sempre dichiarato essere prive di fondamento giuridico. Eppure ancor oggi la Legge 194 è vissuta come la legge del libero aborto (e del resto quello è).
Insomma, al di là delle migliori intenzioni di ciascuno, non si può vedere una realtà inesistente (l'ordinamento mutato dai casi Englaro e Riccio) e non vedere una realtà chiaramente esperibile, ossia il fatto che qualunque legge nasca sul fine vita sarà intesa, vissuta, interpretata, manipolata come la legge della libera morte.

Fonte: Comitato Verità e Vita, 4 Marzo 2011

4 - ARRIVA ALLA CAMERA IL DISEGNO DI LEGGE CALABRO', MA SAREBBE MOLTO MEGLIO NON VOTARE ALCUNA LEGGE
Estesi i soggetti per cui vale il testamento biologico (la sanità diventa sempre meno di competenza dei medici e sempre più degli avvocati e dei giudici)
Fonte Corrispondenza Romana, 3 Marzo 2011

Il confronto sul Testamento biologico e sul disegno di legge Calabrò che introduce "Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento" si fa sempre più serrato. Il testo, approvato dal Senato nel marzo 2009, arriverà in aula a Montecitorio il 7 marzo dopo essere stato sottoposto all'esame delle commissioni parlamentari.
L'on. Alfredo Mantovano si è mostrato preoccupato sulle modifiche introdotte al testo del Senato dalla commissione Affari sociali della Camera. «Sono tre, in particolare, le novità che provocano preoccupazione:
a) quella che ha introdotto la vincolatività del "testamento biologico". In base a essa, se il medico curante non intende determinare la morte del paziente, il fiduciario può rivolgersi a un collegio medico, il cui parere diventa vincolante. Il compito del collegio non sarà tanto quello di fornire lumi al medico che vuol salvare il paziente, ma di interpretare la volontà espressa nel "testamento": quindi, se tale volontà è orientata alla morte, di scegliere il miglior modo per adempierla. E poiché sorgeranno contrasti, la sanità sarà materia sempre meno di competenza dei medici e sempre più di competenza degli avvocati e dei giudici. Infatti, è ovvio che contro le decisioni del collegio il fiduciario, e forse anche il medico, potranno ricorrere al giudice. E intanto del malato che si fa? Chi lo cura e come? È evidente il pericolo della "deresponsabilizzazione del sanitario", all'insegna del principio delle "carte a posto";
b) l'estensione dei soggetti destinatari del "testamento": non più, come dal testo del Senato, quello dei soggetti in "stato vegetativo persistente", bensì quello dei soggetti in condizione di "incapacità permanente". Nell'accettazione lata di incapacità permanente si collocano gli ammalati di Alzheimer e gli affetti da demenza senile. Ma in stato di incapacità permanente si trova pure chi versa nei primi stadi del coma: essi sfuggono a una valutazione di temporaneità della incapacità; ma quante persone escono dal coma e ritrovano una condizione di vita normale?
c) l'idratazione e l'alimentazione che possono essere sospese quanto "risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari". È una puntualizzazione inutile: in simili situazioni nessun medico si accanisce a iniettare sostanze che non giovano più. E tuttavia l'esperienza insegna la pericolosità delle proposizioni inutili, in quanto mettono l'esegeta capzioso nelle condizioni di poter sostenere che "se il legislatore lo ha scritto, qualcosa dovrà pur significare!"» ("Il Foglio", 25 febbraio 2011).
Tra coloro che hanno espresso la loro contrarietà verso la legge c'è il prof. Angelo Fiori, emerito di Medicina legale all'università del Sacro Cuore, per anni direttore con mons. Elio Sgreccia della rivista di bioetica "Medicina e morale", che ha dichiarato: «Personalmente ritengo che a questo punto sarebbe molto meglio non votare alcuna legge. Sono convinto che la strada ottimale sia affidarsi ai medici che in certi frangenti così delicati si mostrano in gran parte ragionevoli e coscienti. Tanto più che, a mio avviso, al Testamento biologico ricorrerebbero pochi cittadini, così com'è accaduto con la donazione degli organi. Peraltro l'approvazione di una legge non farebbe che rendere più profonda la spaccatura tra medici favorevoli all'eutanasia e quelli che non lo sono» ("Corriere della Sera", 28 febbraio 2011).

Fonte: Corrispondenza Romana, 3 Marzo 2011

5 - SARA' PRESTO BEATO, MA A REGGIO EMILIA, NELLA SUA TERRA, NON C'E' POSTO NEMMENO PER UNA VIA A LUI DEDICATA (ANCHE SE CE N'E' UNA PER IL DITTATORE COMUNISTA TITO...)
Il giovane seminarista Rolando Rivi fu sequestrato e brutalmente assassinato il 13 aprile del 1945 dai partigiani comunisti, in odio alla sua fede
Autore: Andrea Zambrano - Fonte: La Bussola Quotidiana, 26-01-2011

Per la Chiesa Cattolica sarà presto beato, ma nella sua terra non c'è posto nemmeno per una via. L'ennesima dimostrazione che nessuno è profeta in patria arriva in questi giorni da Reggio Emilia. I gruppi consiliari di Pdl e Lega hanno presentato una mozione per intitolare una strada al giovane seminarista Rolando Rivi, sequestrato e brutalmente assassinato il 13 aprile del 1945 dai partigiani comunisti, in odio alla sua fede. La risposta del consiglio comunale è stata negativa e cassa, almeno per il momento, il tentativo di riconoscere ad un vero martire della fede, uno spazio adeguato in cui istituzioni e cittadini possano riconoscere un testimone che ha pagato con il sacrifico della vita la sua fedeltà al Vangelo.
La vicenda di Rivi si inquadra nella terribile stagione della guerra civile che nel dopoguerra ha conosciuto i suoi strascichi più efferati con l'uccisione di molti innocenti, tra cui anche preti, colpevoli, per dirla con Giampaolo Pansa, di stare dalla parte sbagliata. Quella giusta, ampiamente osannata dai libri di storia era quella comunista, che grazie al controllo della gran parte delle formazioni partigiane ha operato in un quadro di vendette sommarie che di fatto ha insanguinato quel territorio che va sotto il nome di Triangolo della morte. La storia di Rivi però è significativa perché quel giovane seminarista, innamorato di Gesù, che viveva sulle colline di San Valentino, sopra Castellarano, non aveva mai fatto politica attiva.
Aveva soltanto 14 anni quando alcuni partigiani comunisti lo prelevarono per portarlo in montagna, dove, dopo essere stato torturato e seviziato, lo uccisero abbandonando il suo corpo e lasciandolo insepolto. Un gesto esemplare, un monito di quella che doveva essere la futura società comunista, una società senza Dio nella quale i principali nemici, una volta eliminati tutti i fascisti, dovevano essere i cristiani e i loro sacerdoti.
Quella di Rivi è la storia di un martire della fede, che prega per i suoi aguzzini sul punto di morte, implorando per loro misericordia, ma è anche la storia di una devozione popolare silenziosa, che è cresciuta negli anni nonostante l'oblio nel quale la sua vicenda era stata tenuta per tanti anni.
La sua venerazione è arrivata in molte parti del mondo e passa dalla Cina agli Stati Uniti, attraverso un passa parola, di cui la Chiesa non ha potuto che riconoscere i frutti più genuini. C'è chi racconta guarigioni miracolose attraverso la sua intercessione, chi ha abbracciato la fede dopo aver conosciuto la sua figura, così genuina e limpida per amore per Cristo.
Oggi, dopo la chiusura della positio diocesana e la proclamazione di Rivi a Venerabile, la Congregazione per le Cause dei Santi sta portando a termine l'ultimo passaggio che lo separa dagli altari. Come confermato recentemente dal prefetto emerito per della Congregazione per le cause dei Santi, il cardinal Josè Saraiva Martins, «Rivi in un certo senso è già santo perché è nel martirio la dimostrazione della sua spiritualità incarnata». Evidentemente a Reggio questo non basta per riconoscergli un luogo pubblico. La richiesta di intitolazione nasceva dall'esigenza di cancellare l'attuale via "Tito", dopo che il consiglio comunale aveva inaugurato una via ai martiri delle foibe.
Secondo il Pdl e la Lega le due vie erano in contrasto l'una con l'altra. «Come si fa a onorare sia le vittime che, contemporaneamente, i carnefici?», si erano chiesti i consiglieri. Così hanno proposto di cancellare la via per il tiranno jugoslavo e sostituirla con quella dedicata al giovane seminarista. Ma il Pd si è messo di mezzo e, con la motivazione che "Tito è stato comunque un grande statista", ha bocciato la proposta, derubricando la discussione su Rivi ad un futuro non meglio precisato. Intanto il tiranno resterà dov'è e il martire sarà ancora pubblicamente ignorato.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 26-01-2011

6 - IL MIGLIORE AMICO DELL'UOMO? E' LA DONNA!
Il compito in cui noi donne sappiamo davvero essere protagoniste è diventare mamme: noi siamo state create per partorire
Autore: Sabrina Pietrangeli Paluzzi - Fonte: L'Ottimista, 2 Marzo 2011

Voglio contribuire con il mio articolo, ad un augurio speciale alle donne. E voglio farlo nel modo più naturale, parlando cioè del dono della maternità.  In una società dove il massimo dell'espressione della libertà di una donna consiste tristemente nel potere di uccidere il proprio figlio attraverso l'aborto, credo che il massimo della nostra libertà, tanto da sfiorare quasi l'onnipotenza, sia invece il potere che abbiamo di generare la vita. Un dono dal quale l'uomo non è escluso, ed a questo c'è un perché... La donna ha da sempre il compito di prendere, moltiplicare e restituire quanto l'uomo le affida. È un principio naturale, che nella Genesi si mostra con grande evidenza. Perché la donna è stata creata come "aiuto per l'uomo", semplicemente. Perché allora andare a rivendicare la nostra utilità come non fosse già un dato acquisito? L'uomo non è completo senza di noi, non riesce a realizzare la sua visione, senza di noi. Non può esprimere il suo potenziale, senza di noi. Ecco perché si usa dire che "dietro a un grande uomo, c'è sempre una grande donna". È talmente semplice da risultare disarmante, e coloro che, con tutto il rispetto, hanno bisogno di gridare con aggressività questo primato, dimostrano semplicemente di non essere consce del proprio valore.
Nulla ci toglierà questo, ma è bello anche riconoscere il valore dell'uomo. Tra l'uomo e la donna c'è un'amicizia naturale che nasce dalla consapevolezza di essere indispensabili l'uno all'altra. Se questa amicizia si è tramutata in competizione, qualcuno deve aver perso di vista quale sia il proprio ruolo. O la donna ha deciso che non vuole essere donna, o semplicemente è costretta a sostituire il maschio, poiché il maschio ha smesso di fare quanto deve.
All'uomo va il mio personale grazie, perché è per merito suo se una donna può generare figli (...).
Ed il mio contributo voglio esprimerlo intervistando chi, ogni giorno, affianca le donne nel mestiere più antico del mondo, che non è quello a cui si fa riferimento attraverso il "lavoro di strada" che svilisce la donna e la rende merce per uomini che del loro valore e del loro ruolo non hanno ancora capito niente, ma quello per cui le donne sanno davvero essere protagoniste: diventare mamme.
Ascoltiamo allora, dalla voce di Federica Branchesi, giovane e talentuosa ostetrica della Regione Marche, come viene vissuto questo evento meraviglioso e misterioso che è quello di dare la vita.
FEDERICA, TU SEI GIOVANE MA HAI GIÀ TANTA ESPERIENZA. MA LA TUA PRIMA VOLTA, IL PRIMO PARTO NATURALE A CUI HAI ASSISTITO, COME L'HAI VISSUTO?
"È stata un'emozione unica, che c'è ancora anche se con una consapevolezza diversa... Ero sorpresa, stupita, attenta a tutto quello che accadeva in quell'ambiente per me così nuovo".
OGGI SEMBRA CHE PARTORIRE NON SIA PIÙ NATURALE COME UNA VOLTA. ANNI FA I FIGLI ARRIVAVANO UNO DIETRO L'ALTRO, OGGI INVECE SE NE FANNO POCHI, L'ASPETTATIVA È CRESCIUTA AL PUNTO DA TRAMUTARSI IN ANSIA, E QUESTO SI RIPERCUOTE ANCHE SULLE CAPACITÀ DELLA DONNA DI VIVERE IL DOLORE DEL TRAVAGLIO. PERCHÉ OGNI DONNA LO SENTE IN MODO DIVERSO?
"Il dolore del parto genera paura in tutte le donne, anche in quelle che hanno già partorito! Sicuramente è influenzato dalla nostra "cultura di donne moderne", che se da una parte hanno acquistato tanto, dall'altra hanno perso la consapevolezza delle capacità del proprio corpo. Noi siamo state create per partorire, ogni donna è capace di mettere al mondo il proprio cucciolo. Ognuna di noi ha una soglia del dolore, ma non dobbiamo dimenticare che nel travaglio ci sono degli alleati prodotti dal nostro corpo che ci aiutano a percorrere questo fantastico viaggio fino al parto: gli ormoni, in particolar modo le endorfine, oppiacei naturali che si producono nelle pause tra una contrazione e l'altra, generando una sorta di "intorpidimento naturale" che permette alla donna di rilassarsi e recuperare forze per affrontare la contrazione successiva. In tutto questo vissuto, non dobbiamo dimenticare il fattore culturale, l'aver accettato o meno la gravidanza, le persone vicine, ed anche l'età, visto che le giovani si avvicinano al parto con meno paura delle donne più mature".
TU NON SEI ANCORA MAMMA: HAI PAURA PER QUELLO CHE VIVRAI?
"Non più di qualunque altra donna che non lo abbia mai provato. Penso a quel giorno come ad un'esperienza bella e indimenticabile. Il mio sogno è di poter partorire a casa assistita da una mia collega. Vorrei che tutto andasse per il meglio e che mio figlio abbia una buona nascita, perché come noi ostetriche ripetiamo sempre: "una buona nascita, è un buon inizio!".
CREDI CHE, NEL TUO MESTIERE, MANCHI QUALCOSA DAL PUNTO DI VISTA ASSISTENZIALE CHE PUÒ ESSERE INTEGRATO O MIGLIORATO?
"Sicuramente la situazione dell'ostetricia in Italia non è delle migliori, c'è ancora un eccessivo e non sempre giustificato tasso di tagli cesarei, una grande medicalizzazione dell'evento nascita: la gravidanza a volte viene trattata come fosse una malattia! Tutto questo genera ansia e preoccupazione: dovremmo tornare alle origini per ricordarci le nostre capacità di donne". (...)

Fonte: L'Ottimista, 2 Marzo 2011

7 - PAKISTAN: ASSASSINATO SHAHBAZ BHATTI, 43ENNE MINISTRO CATTOLICO CHE HA DIFESO ASIA BIBI
Chi osa difendere i cristiani indifesi come Asia Bibi (la donna condannata a morte con l'accusa pretestuosa di aver offeso il profeta Maometto) finisce crivellato dai colpi
Autore: Luca Miele - Fonte: Avvenire, 3-3-2011

Chi tocca la legge antiblasfemia muore. Chi osa difendere i cristiani – indifesi come Asia Bibi, la donna condannata a morte con l'accusa pretestuosa di aver offeso il profeta Maometto – in un Paese sempre più esposto al rigurgito fondamentalista, finisce crivellato dai colpi. È accaduto il 4 gennaio a Islamabad, quando a cadere fu Salman Taseer, il governatore del Punjab. È accaduto ancora ieri e ancora a Islamabad. Sotto i colpi dei fondamentalisti è finito il ministro pachistano per gli Affari delle minoranze Shahbaz Bhatti, l'uomo che da tempo si batteva strenuamente per la libertà religiosa, il politico da poco riconfermato nel governo guidato dal premier Gilani ma lasciato da solo a combattere la sua battaglia per la libertà religiosa. E consapevole che la sua sorte era già segnata. In un'intervista dello scorso 14 febbraio a TV2000, aveva detto di aver ricevuto minacce di morte da parte degli integralisti per le sue parole sulla legge antiblasfemia. «Il mio impegno resta lo stesso per la causa della libertà religiosa, in difesa delle aspirazioni dei cristiani e delle altre minoranze, per combattere contro gli abusi della legge sulla blasfemia, per ottenere giustizia per Asia Bibi», aveva assicurato.
L'auto di Bhatti, 43 anni, unico ministro cristiano designato dal presidente Asif Ali Zardari, è stata raggiunta da almeno 20 proiettili. Inutili gli sforzi dei medici per salvargli la vita. Il capo della polizia della capitale, Wajid Durrani, ha fatto sapere che il commando era formato «da tre o quattro persone avvolte in scialli che a bordo di un veicolo bianco hanno intercettato l'auto di servizio del ministro». Il ministro era appena uscito dall'abitazione di sua madre. Viaggiava con l'auto di servizio. Non blindata. E senza scorta. La polizia ha però respinto le accuse di «buchi» nella sicurezza del ministro. Sul posto dell'omicidio sono stati rinvenuti volantini firmati dal Tehrik-i-Taliban Punjab, coalizione di movimenti collegati con i taleban afghani.
Immediata anche la rivendicazione. Sajjad Mohmand, uno dei portavoce dei taleban, con una telefonata alla stampa si è attribuito la "paternità" dell'omicidio con il quale si è voluto «punire un ministro blasfemo». Chi ha agito lo ha fatto a colpo sicuro. Come ha scritto Syed Saleem Shahzad su AsiaTimes, l'omicidio è stato attentamente pianificato. I militanti conoscevano la zona, conoscevano i movimenti del ministro, hanno seminato la zona di opuscoli pubblicati in anticipo. E sono riusciti a entrare e uscire indisturbati da quella che dovrebbe essere una zona di massima sorveglianza della capitale. Smascherando la fragilità (voluta?) degli apparati di sicurezza pachistani. «I taleban hanno dimostrato ancora una volta di poter colpire qualsiasi bersaglio. In qualunque momento».
Tutti sapevano in Pakistan che Shahbaz Bhatti era nel mirino dei fondamentalisti. Il ministro aveva "collezionato" una serie di minacce. L'ultima – resa nota dallo stesso politico – era arrivata solo il mese scorso: «I taleban hanno detto che mi decapiteranno e che mi sarà riservato lo stesso trattamento toccato al governatore Taseer». Secondo Nelson Azeem, uno dei due cristiani che ancora siedono nel Parlamento pachistano, «Bhatti aveva denunciato la sua mancanza di sicurezza con molti colleghi parlamentari. Ha fatto conoscere queste preoccupazioni al primo ministro e al presidente, ma non hanno fatto nulla a riguardo». (...)

ECCO IL TESTAMENTO
"La mia battaglia continuerà, nonostante le difficoltà e le minacce che ho ricevuto. Il mio unico scopo è difendere i diritti fondamentali, la libertà religiosa e la vita stessa dei cristiani e delle altre minoranze religiose. Sono pronto a ogni sacrificio per questa missione, che assolvo con lo spirito di un servo di Dio. Ora vi è ancora molto lavoro da fare, dobbiamo affrontare sfide molto serie come quella sulla blasfemia. Cercherò di testimoniare, nel mio impegno, la fede in Gesù Cristo"
Shahbaz Bhatti, 12 febbraio 2011

Fonte: Avvenire, 3-3-2011

8 - IL MINISTRO BHATTI HA LOTTATO CONTRO LA LEGGE ANTIBLASFEMIA E A FAVORE DELLE SUE VITTIME, PER QUESTO E' STATO UCCISO
''Tornerete in questa chiesa per i miei funerali'', e così è stato
Autore: Stefano Vecchia - Fonte: Avvenire, 3-3-2011

«Avevo concelebrato ai funerali del padre non più di due mesi fa. In quell'occasione Shahbaz aveva profetizzato che sarebbe ritornato in quella stessa chiesa per i suoi funerali. Era sotto tiro e lo sapeva, tuttavia aveva da tempo rinunciato a cedere alla paura e alle intimidazioni».
Padre Bonnie Mendes, già segretario esecutivo della Commissione nazionale Giustizia e Pace pachistana, è coordinatore regionale di Caritas-Asia. Amico di famiglia di Shahbaz Bhatti e originario dello stesso villaggio, ha condiviso con Avvenire le sue impressioni subito dopo l'assassinio.

CHE COSA RICORDA CON PIÙ IMMEDIATEZZA DI SHAHBAZ BHATTI?

La sua onestà intellettuale e, negli ultimi tempi, il suo coraggio. Era stato spinto alla guida del ministero da Benazir Bhutto, poco prima del suo assassinio nel dicembre 2007 e confermato successivamente. Non era una carica a cui avesse mai aspirato, ma l'ha accettata con la coscienza che fosse l'unica barriera istituzionale allo strapotere di un certo islamismo e, ancor più, di radicate consuetudini di prevaricazione e sfruttamento. La sua carriera, più che politica, era sempre stata di attivismo per i diritti dei cristiani e di tutte le minoranze. Non ci serviva un martire, ma certamente Shahbaz non sarà dimenticato.

BHATTI HA LOTTATO CONTRO GLI ABUSI DELLA LEGGE ANTIBLASFEMIA E A FAVORE DELLE SUE VITTIME, PER QUESTO È STATO UCCISO. CHE COSA RENDE QUESTA LEGGE «INATTACCABILE »?

La sua vaghezza, il crescente radicalismo e gli interessi di pochi. Nel 1992, l'allora arcivescovo di Lahore, monsignor Trindade, definì la legge «la più ingiusta in vigore», pensando alla sua arbitrarietà, alla sua mancanza di vera ragione. Noi, come cristiani, ci siamo sempre opposti alla sua stessa esistenza. Quanta gente è morta per essa: comuni cittadini di questo Paese, attivisti, leader religiosi, politici, perfino un poeta. Il fatto è che la legge, in forme parzialmente diverse, è sempre esistita, fino dai tempi della colonizzazione britannica, ma per lunghi periodi non fu nemmeno applicata.

CHE COSA L'HA RESA UNO STRUMENTO DI PERSECUZIONE?

Quando il generale Zia Ul Haq prese il potere, esautorando il presidente Zulfikar Ali Bhutto, nel 1985 decise che l'islamizzazione fosse la carta su cui puntare per garantirgli il potere. Per questo, perseguì l'introduzione di una serie di provvedimenti di ispirazione religiosa che all'inizio passarono quasi inosservati tra le pieghe della legge marziale, come pure l'impossibilità di fatto del Parlamento di abrogarle. Oggi la situazione conseguente all'uso di queste leggi, che non riguardano solo i reati di blasfemia, ma molti aspetti della vita è preoccupante. Non solo per le minoranze, perché in gioco è l'esistenza stessa del Pakistan. Oggi è la forza di pochi che sta distruggendo il paese. Guardiamo al Punjab, dove si assiste a un continuo uso strumentale della legge. Qui i pregiudizi sono sempre stati molto alti e nemmeno collegati a ragioni di rivalità economica. Una tradizione aberrante di dominio, che usa ora la carta religiosa.

COME SI PRESENTA LA SITUAZIONE PER I CRISTIANI DOPO L'UCCISIONE DEL MINISTRO BHATTI?

I rischi sono quelli di Shahbaz, ma le modalità in cui potremo agire dovranno essere più prudenti. Insieme, la sua morte è una chiamata ad agire. Ad esempio occorre dove possibile che spazi, fondi, idee e gruppi della nostra comunità cattolica siano messi a disposizione di gruppi che possono avere un ruolo nel migliorare il paese. Non penso solo agli adulti, ma ancor più ai giovani e anche a bambini. È nelle nostre scuole, nelle nostre università che nascono i pregiudizi. Occorre anche allearsi, perché noi cristiani, se isolati all'interno e all'esterno del paese, da soli non potremo fare molto.

Fonte: Avvenire, 3-3-2011

9 - UCCISO SHAHBAZ BHATTI, IL MINISTRO PER LE MINORANZE IN PAKISTAN CHE HA DIFESO ASIA BIBI
''Gesù è il cuore della mia vita e voglio essere un suo vero seguace attraverso le mie azioni, condividendo l'amore di Dio con i poveri, gli oppressi, le vittime, i bisognosi e i sofferenti del Pakistan''
Autore: Marco Impagliazzo - Fonte: Avvenire, 3-3-2011

Il ministro per le Minoranze del governo pachistano, il cattolico Shahbaz Bhatti, è stato barbaramente ucciso a Islamabad mentre si recava al lavoro senza scorta. Dopo la recente crisi di governo, Bhatti era stato confermato con il rango di ministro federale, nonostante una drastica riduzione del numero dei ministri. Era divenuto una figura nota internazionalmente per la sua battaglia per la riforma della legge sulla blasfemia. Nata per difendere la religione in Pakistan, tale legge si è spesso trasformata in uno strumento di denuncia e di persecuzione verso le minoranze, particolarmente i cristiani. Essi rappresentano il 2 per cento dei pachistani. Bhatti era uno di loro, che aveva deciso di spendere la sua vita per la libertà religiosa e per costruire una società del vivere insieme nonostante le differenze di pensiero o di etnia.
Nato il 9 settembre 1968 a Lahore, da parlamentare diventò ministro per le Minoranze affermando di voler combattere per «l'uguaglianza di tutti gli uomini, la giustizia sociale, la libertà religiosa, e per sollevare le minoranze religiose». E aveva aggiunto: «Voglio mandare un messaggio di speranza alla gente che vive nella rabbia, nella delusione e nella disperazione; Gesù è il cuore della mia vita e voglio essere un suo vero seguace attraverso le mie azioni, condividendo l'amore di Dio con i poveri, gli oppressi, le vittime, i bisognosi e i sofferenti del Pakistan». Una delle sue prime battaglie è stata, fin dal 1985, quella contro la legge sulla blasfemia. Sin da ragazzo ha organizzato incontri e studi sulla Parola di Dio.
Il ministro Bhatti era un'espressione bella, coraggiosa e indifesa di quella minoranza cristiana pachistana le cui difficoltà, oggi sono sotto gli occhi del mondo, derivano anche da una storia complessa e sofferta.
I primi nuclei di cristiani iniziarono a svilupparsi alla fine dell'Ottocento, sostenuti dall'opera infaticabile di missionari olandesi, irlandesi, italiani che, assieme alla predicazione del Vangelo, volevano migliorare le condizioni di vita dei contadini, praticamente schiavi alla mercé di grandi proprietari terrieri. Ai margini della società indiana si trovavano coloro che non rientravano nelle caste, destinati ai lavori più degradanti e senza alcuna speranza di riscatto. Proprio tra costoro l'annuncio della buona notizia ricevette l'accoglienza maggiore. La preoccupazione della Chiesa fu allora quella di aiutarli con scuole e piccoli terreni da coltivare in proprio.
L'impero britannico, paradossalmente, fu il primo oppositore di questo processo, poiché andava ad intaccare lo statu quo. I senza-terra e i fuori-casta indù dovevano rimanere tali. Nacquero comunque 53 villaggi in cui i cristiani potevano vivere insieme, accedere all'educazione e iniziare almeno a disporre di strumenti basilari per poter coltivare le terre. I due terzi di questi villaggi dai nomi evocativi (Mariamabad, Francisabad, Yohannabad) sorsero e si svilupparono prima dell'indipendenza del Pakistan. Altre famiglie vivevano sparse nelle regioni del Punjab e del Sindh. Nel frattempo, protestanti e cattolici crearono una rete preziosa di scuole e ospedali. Tali istituzioni sono aperte a tutti, tanto che numerosi esponenti dell'élite musulmana del Paese hanno studiato in licei o università gestite dai religiosi. Eppure, la piccola minoranza autoctona cristiana deve affrontare quotidianamente discriminazioni, gesti di piccole o grandi prepotenze. Gli attacchi contro i cristiani si verificano da anni in maniera improvvisa. Dopo l'11 settembre si sono intensificati sulla base della falsa semplificazione tra cristiani e Occidente. Basta paventare l'accusa di blasfemia contro il Corano, e prima ancora che un qualsiasi tribunale civile o religioso possa documentarne la fondatezza, i cristiani sono sotto accusa da parte di mani invisibili che si scagliano contro di essi. Non di rado dietro queste accuse si nascondono gelosie o interessi economici, per appropriarsi con la prepotenza o il ricatto di terreni, beni o denaro dalle famiglie incriminate.
Al di là della violenza aperta, poi, nella vita quotidiana talvolta i cristiani incappano in discriminazioni nello studio o sul posto di lavoro. Molti cristiani professano la loro fede in un'esistenza davvero precaria e insicura, segnata non solo dalla povertà ma anche dalla persecuzione. La Messa domenicale è l'espressione gioiosa e pubblica di questa minoranza. Vi partecipa una folla variopinta di adulti, giovani e bambini, che non si lascia intimidire dalle minacce e si aggrappa alla preghiera come ad un'ancora di salvezza. Si tratta di una Chiesa giovane e vivace, all'interno della quale vivono movimenti ecclesiali laicali, che professa la sua fede con dignità e coraggio. Di questa Chiesa era figlio Shahbaz Bhatti.

DOSSIER "CRISTIANI IN PAKISTAN"
Asia Bibi, Shahbaz Bhatti, ecc.

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Fonte: Avvenire, 3-3-2011

10 - I CODARDI DELL'EUROPA, CHE RIFUGGE DALLA CONDANNA DELLE INGIUSTIZIE VERSO I CRISTIANI, VERSANO LE LORO LACRIME DI COCCODRILLO
Il ministro degli Esteri Franco Frattini non ha usato il linguaggio felpato della diplomazia nell'esprimere la più ferma condanna per l'uccisione di Shahbaz Bhatti
Autore: Luigi Geninazzi - Fonte: Avvenire, 4-3-2011

«Adesso i codardi di quell'Europa che rifugge dalla condanna del fondamentalismo religioso verseranno le loro lacrime di coccodrillo, alleati di quei codardi che in Pakistan conoscono solo il sangue degli attentati».

Non ha usato il linguaggio felpato della diplomazia il ministro degli Esteri, Franco Frattini, nell'esprimere la più ferma condanna per l'uccisione di Shahbaz Bhatti. «Un simbolo della libertà religiosa che ha pagato con la vita», lo definisce il titolare della Farnesina, che conosceva personalmente il collega pachistano.

SIGNOR MINISTRO, A CHI SI RIFERISCE QUANDO PARLA DI CODARDI DELL'EUROPA?

Penso a coloro sempre molto attenti al politically correct, fino al punto di non utilizzare mai, in un documento ufficiale, le parole 'cristiani perseguitati'. La ritengo una codardia politica che oggi, di fronte ad un nuovo martire, è ancor più scandalosa.

CHE RICORDO HA DEL MINISTRO BHATTI?

Era una persona coraggiosa, che ho conosciuto in un momento particolarmente difficile per la vita del suo Paese. Lo incontrai a Roma lo scorso settembre e poi lo rividi a novembre ad Islamabad, quando eravamo tutti in ansia per la condanna a morte che pende sul capo di Asia Bibi. Nel suo ufficio, piccolo e modesto, mi presentò i leader delle varie minoranze religiose, non solo di quella cristiana cui apparteneva. E mi fece una confidenza che adesso posso svelare.

DI COSA SI TRATTAVA?

Mi disse che i suoi avversari stavano cercando di togliere i fondi al ministero per le Minoranze religiose, un modo per ridurlo all'insignificanza e, quindi, alla chiusura. E mi chiese d'aiutarlo a far conoscere il suo lavoro nella comunità internazionale. Solo così avrebbe potuto salvare il suo ministero.

NEL COMUNICATO EMESSO DALLA FARNESINA SUBITO DOPO L'UCCISIONE DEL MINISTRO BHATTI, SI CHIEDE ALLE AUTORITÀ PACHISTANE DI FAR LUCE SULL'ASSASSINIO E DI CONFERMARE L'IMPEGNO A DIFENDERE LA MINORANZA CRISTIANA. FINORA UN IMPEGNO ABBASTANZA SCARSO, NON CREDE?

Il fatto che il presidente pachistano Zardari avesse riconfermato Bhatti nel recente rimpasto di governo è stato un segnale importante. Adesso deve compiere un passo in più, andando fino in fondo nel perseguire i responsabili di un delitto così atroce.

LA LEGGE SULLA BLASFEMIA NON È STATA CAMBIATA...

Lo stesso ministro Bhatti era consapevole che questa legge, nella situazione politica interna, non si può abrogare. Lui proponeva delle modifiche che ne impedissero un'applicazione arbitraria ed assurda. La comunità internazionale deve continuare a fare pressioni perché la legge sulla blasfemia non sia più un'arma di ricatto nei confronti delle minoranze, uno strumento per condannare a morte i cristiani come Asia Bibi. Nel suo caso la condanna è stata congelata, ma noi chiediamo la sua definitiva assoluzione.

L'UNIONE EUROPEA HA FINALMENTE ADOTTATO UN TESTO IN DIFESA DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA NEL MONDO, MA NEL DOCUMENTO NON SI FA ALCUN CENNO A MISURE CONCRETE NEI CONFRONTI DI QUEI PAESI DOVE LE MINORANZE RELIGIOSE SONO PERSEGUITATE...

Non c'è stato quel coraggio politico. Abbiamo però chiesto all'Alto Rappresentante della politica estera della Ue, la signora Ashton, di riferire quanto prima al Consiglio su un piano d'azione a tutela della libertà religiosa. Ed io sarò molto attento alla sua relazione. L'Europa può e deve fare di più. Come abbiamo fatto per Sakineh e per Asia Bibi, io credo che la foto di Shahbaz Bhatti dovrebbe campeggiare sulla facciata di qualche palazzo delle nostre istituzioni, a ricordare una grande battaglia di libertà con i suoi eroi ed i suoi martiri. (...)

Fonte: Avvenire, 4-3-2011

11 - OMELIA PER LA I DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO A - (Mt 4,1-11)
Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 13 marzo 2011)

Oggi è la prima Domenica di Quaresima e il Vangelo ci ricorda una realtà tante volte dimenticata, la verità che riguarda l'esistenza del diavolo e del fatto che il diavolo fa di tutto per rovinarci e, per questo, ci tenta in tanti modi.
Nel corso di questi ultimi decenni, molti sono stati quelli che hanno messo in dubbio l'esistenza del demonio, pensando che essa fosse solo un modo per esprimere la presenza del male. Il diavolo esiste, eccome, e il Vangelo ne parla in diverse occasioni. Il diavolo era stato creato buono da Dio ed era l'angelo più perfetto. Il suo nome era lucifero, che tradotto, significa "portatore di luce". Per orgoglio, si ribellò a Dio e trascinò in questa caduta una moltitudine di angeli che sono detti "demoni".
Per invidia contro l'uomo, il diavolo e tutti gli altri spiriti decaduti non cessano di tentare l'uomo per trascinarlo nella stessa caduta. Per tentarci, il diavolo studia quello che è il nostro lato debole e fa leva su quello per condurci alla perdizione. Dio permette queste tentazioni perché, superata la prova, noi possiamo avere un merito maggiore e una corona di gloria più bella. Santo non è colui che non ha tentazioni – cosa impossibile – ma chi riesce a superarle.
Il demonio ha tentato persino Gesù. Parlando di queste tentazioni, bisogna dire subito che ci sono due tipi di tentazioni. Ci sono quelle che provengono dall'esterno di noi (come quelle che vengono direttamente dal demonio) e quelle che vengono da dentro di noi (quelle che vengono dalla nostra concupiscenza, ovvero dalla nostra inclinazione al male). Quelle di Gesù, chiaramente, erano solo del primo tipo, per il fatto che Lui è la santità stessa e non può avere nessuna inclinazione al male. Il demonio tentò Gesù, e Gesù riuscì facilmente ad opporsi a tali tentazioni. Gesù continua a vincere sul demonio tentatore; e noi, se rimarremo uniti a Gesù, riporteremo vittoria su tutte le tentazioni.
Nella prima tentazione, il demonio disse a Gesù: «Se tu sei il figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pane» (Mt 4,3). Gesù rispose: «Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). Anche noi veniamo tentati molte volte di preoccuparci per le cose materiali. Gesù ci insegna a cercare innanzitutto il Regno di Dio e tutto il resto, ovvero tutto ciò che ci serve, ci sarà dato in sovrappiù. Il segreto per sperimentare la Provvidenza di Dio è quello di mettere le esigenze di Dio al primo posto. Se noi penseremo a Lui, Lui penserà a noi.
Nella seconda tentazione, il demonio disse al Signore di buttarsi giù dal punto più alto del tempio; gli angeli certamente lo avrebbero soccorso (cf Mt 4,5-6). Gesù rispose: «Non metterai alla prova il Signore Dio tuo» (Mt 4,7). È questa la tentazione di avere Dio a nostro capriccio che faccia sempre la nostra volontà. Quando preghiamo il "Padre nostro", diciamo: «Sia fatta la tua volontà» e non viceversa. Purtroppo, tante volte, scambiamo per Volontà di Dio ciò che passa per la nostra testa, e ci scandalizziamo poi se non veniamo esauditi. Questa tentazione è diffusa più di quanto possiamo immaginare, anche tra cristiani che si dicono ferventi.
Con la terza tentazione, il demonio sarebbe stato disposto a dare tutto a Gesù, tutti i regni del mondo e la loro gloria, se Gesù lo avesse adorato (cf Mt 4,8-9). Gesù rispose: «Vattene, satana! Sta scritto infatti: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto"» (Mt 4,10). È questa la tentazione di idolatria, la tentazione di mettere qualcosa al di sopra o anche alla pari di Dio. Tante volte cadiamo in questo peccato, quando idolatriamo il piacere, il benessere, il denaro e li mettiamo al primo posto nella nostra vita. Chiaramente, è un peccato contro il primo Comandamento.
Dobbiamo dunque difenderci. Ci difenderemo con il lavoro e la preghiera. Il lavoro ci consentirà di fuggire l'ozio che è il padre di tutti i vizi. E la preghiera ci inonderà di grazia. Proponiamoci dei piccoli impegni: quello di trascorrere maggiore tempo davanti al Tabernacolo e quello di recitare con fervore il Rosario. Cresciamo in queste forme di preghiera, allora riusciremo a mettere sempre in fuga il demonio tentatore. Si racconta che San Pio da Pietrelcina chiamava "arma" la Corona del Rosario e insegnava che il demonio teme questa preghiera più di tutte le altre.
Il Rosario è una autentica arma contro le tentazioni. "Adoperiamolo" ogni giorno.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 13 marzo 2011)

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