BastaBugie n�201 del 15 luglio 2011
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LE ''INDIGNATE'' A SIENA FANNO FLOP: SE NON ORA, QUANDO? ANCHE MAI!
Le solite battaglie femministe: contro la famiglia, sessi indifferenziati, tutti al lavoro allo stesso modo, sempre meno figli e sempre più delegati ad altri, uomini colpevoli di non avere l'utero, ecc.
Autore: Costanza Miriano - Fonte: La Bussola Quotidiana
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APPROVATI I PRIMI ARTICOLI DELLA LEGGE SULLE DAT: NONOSTANTE I BUONI PROPOSITI, PREVALE L'AMBIGUITA'
Ecco alcuni esempi di grave fraintendimento che può derivare dall'approvazione di questa legge
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Bussola Quotidiana
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IN INGHILTERRA CON LA LOTTERIA VINCI UN FIGLIO PRODOTTO IN LABORATORIO
Il premio è un trattamento di fecondazione artificiale del valore di 25.000 sterline e se non andasse a buon fine si può ricorrere all'utero in affitto oppure usufruire degli ovuli di una donatrice
Fonte: Corrispondenza Romana
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SUD SUDAN FINALMENTE UNO STATO LIBERO E INDIPENDENTE DOPO ANNI DI ISLAMIZZAZIONE FORZATA: DOVE ERANO GLI INTELLETTUALI NOSTRANI?
Due milioni di vittime, tre milioni di profughi, migliaia di donne e bambini catturati e venduti come schiavi nel nord islamico del Paese, ma non interessava a nessuno perché erano cristiani
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
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L'EPOPEA DEI CRISTEROS MESSICANI (1926-1929): QUANDO I CATTOLICI SONO COSTRETTI A IMPUGNARE LE ARMI AL GRIDO DI ''VIVA CRISTO RE!''
Eduardo Veràstegui, protagonista di ''Bella'', è tra gli attori dello stupendo film Cristiada, di cui qui potete vedere il trailer
Autore: Oscar Sanguinetti - Fonte: Dizionario del pensiero forte
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ABOLIRE LA LEGGE SULL'ABORTO SI PUO'
In Polonia una proposta di legge di iniziativa popolare chiede l'abolizione totale di ogni possibilità di praticare l'aborto
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Bussola Quotidiana
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QUASI UN SECOLO FA NASCEVA ''L'AVANGUARDIA CATTOLICA''
Quando i cattolici sapevano difendersi: il cardinale Ildefonso Schuster scrisse di suo pugno il Decalogo della milizia
Fonte: Corrispondenza Romana
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HITLER, PREDICATORE TOTALMENTE ANTICATTOLICO
Fin dall'inizio la rivoluzione nichilista hitleriana agì come un polo specularmente opposto rispetto ai valori della Chiesa Cattolica
Autore: Daniele Zappalà - Fonte: Avvenire
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OMELIA XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO A - (Mt 13,24-43)
Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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LE ''INDIGNATE'' A SIENA FANNO FLOP: SE NON ORA, QUANDO? ANCHE MAI!
Le solite battaglie femministe: contro la famiglia, sessi indifferenziati, tutti al lavoro allo stesso modo, sempre meno figli e sempre più delegati ad altri, uomini colpevoli di non avere l'utero, ecc.
Autore: Costanza Miriano - Fonte: La Bussola Quotidiana, 11/07/2011
Se non ora quando? Ma soprattutto, perché? Come? Ma che volete? In breve, "ma che state a di'?" Davvero, ho letto con attenzione i resoconti, numerosi e copiosi, della manifestazione che avrebbe dovuto invadere Siena e mettere a fuoco l'Italia (ma non basta andare nella città di santa Caterina per assimilarne la capacità di condottiera e infiammatrice degli animi), e, lo assicuro, non ho capito quale sia il punto. Ho letto gli editoriali di Michela Marzano, li ho fatti i compiti, ho ascoltato una trafila di slogan, luoghi comuni a chili, frasi fatte come se piovesse, ma quale sia la vera richiesta del movimento delle donne, in verità, non l'ho capito. Anzi, assistendo ai resoconti, ho avuto come l'impressione di essere vittima di una lunghissima supercazzola (quello scherzo tipo Amici miei in cui si dicono una serie di parole, la maggior parte dotate di senso, ma abbinate in modo insulso, al fine di non dire assolutamente niente di sensato). Includere, fare rete, organizzarsi, ognuna di noi cerca le altre, per costruire insieme il suo se non ora, quando? Adesso! Ma adesso che? Che vogliono le donne, insomma? Vogliamo l'uguaglianza nella differenza, dice la Marzano. Qualcuno mi può cortesemente fare un esempio? C'è una che dice: "io voglio essere avvocato, e anche mamma". Ora, io capisco la necessità di semplificare e sintetizzare per bucare lo schermo, è anche il mio lavoro, lo so. Ma una proposta concreta io, da casa, non l'ho sentita. Neanche mezza. Idee per permettere a una lavoratrice di fare la mamma non ne ho sentite; solo mamme che vogliono invece lavorare, mi sembra. Non ho sentito qualcuna che invitasse, per esempio, a pretendere una legge che costringa tutte le aziende a dare il part-time, obbligatoriamente, a una mamma che lo chiede. Non ho sentito chiedere aspettative retribuite, per dirne un'altra. La possibilità di stare a casa adesso e di rimanere al lavoro più a lungo visto che una donna a sessanta anni di solito è nel fiore delle capacità, soprattutto se non fa un lavoro fisico. Insomma, strumenti che consentano alle mamme di seguire i figli senza perdere completamente i contatti col mondo del lavoro, e senza essere costrette a vendere una cornea per mantenersi. Infatti quelle donne non rappresentano i veri problemi delle vere donne del vero Paese, di donne che quando lavorano si pongono il problema di come seguire i figli, piuttosto che di come fare carriera. La vita di una donna ha fasi diverse, molto più che quella di un uomo, non c'è femminismo che tenga. La donna si fa carico, non perché sia una vittima del sistema, ma perché è così, le piace, le viene naturale e lo fa bene (la Marzano avrà figli?). Questi sono i nostri problemi veri, e infatti da quel poco che è dato intuire dai giornali, tutti allineati a favore della manifestazione, la due giorni di Siena a occhio e croce è stato un mezzo flop. In pratica, se ho ben capito, le donne si lamentano di non essere uomini. Giulia Bongiorno, per esempio. "Io ho dovuto (dovuto?) fare il primo figlio (primo?) a quarantacinque anni", ha detto arrabbiata a la Repubblica. "Se fossi stata un uomo l'avrei fatto a trenta". Sorvolando sul fatto che per la biologia una donna a trenta anni non è comunque una ragazzina, ci chiediamo: di chi è la colpa? Se una vuole - scelta libera e legittima, ci mancherebbe - investire così tanto sul lavoro, diventare uno degli avvocati più quotati d'Italia, difendere Giulio Andreotti nel processo del secolo, con chi se la vuole prendere se poi i figli li fa ben oltre il limite massimo? Di chi è la colpa? Della cattiveria degli uomini che si ostinano a non avere l'utero? Non si può essere madri presenti e professioniste ai vertici assoluti nazionali. Non è possibile, e non è colpa di nessuno. È colpa di quella bizzarra e stravagante cosa chiamata realtà. Una persona più caritatevole di me saluterebbe con gioia una simile presa di posizione: magari l'onorevole si è accorta che avere un figlio è una cosa meravigliosa oltre ogni aspettativa, e forse, chissà, si potrebbe ravvisare un po' di rammarico nelle sue parole? Magari, parlando di primo figlio, lascia intendere che le piacerebbe, le sarebbe piaciuto, averne altri? Ma per quanto riguarda quelle che non sono le numero uno, di che stiamo parlando? Vorrei sentire piuttosto proposte concrete sulla flessibilità del mondo del lavoro, che sia capace di guardare al risultato, di valorizzare le capacità delle multimamme, perché una che ha fronteggiato pidocchi e vomiti e convulsioni non si smuoverà di un centimetro al presentarsi di quisquilie lavorative. Infatti erano in pochissime. Duemila donne (a lume di naso direi più o meno gli spettatori di una oscura partita di serie D), comunque, hanno catalizzato l'attenzione di tutta l'informazione. Pochissime ma super rappresentate. Forse perché quasi tutti i giornali stanno dalla parte di quelle battaglie: contro la famiglia, sessi indifferenziati, tutti al lavoro allo stesso modo, sempre meno figli e sempre più delegati ad altri. Uomini senza famiglie, sempre più soli, liberi da condizionamenti, autodeterminati. Questa storia l'ho già sentita. È la solita vecchia ribellione al fatto di avere limiti, di essere creature. Non mi pare che abbia mai portato un gran bene all'uomo. Per cui direi: se non ora, quando? Mai, possibilmente.
Fonte: La Bussola Quotidiana, 11/07/2011
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APPROVATI I PRIMI ARTICOLI DELLA LEGGE SULLE DAT: NONOSTANTE I BUONI PROPOSITI, PREVALE L'AMBIGUITA'
Ecco alcuni esempi di grave fraintendimento che può derivare dall'approvazione di questa legge
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Bussola Quotidiana, 11-07-2011
Articolo dopo articolo la legge sulle cosiddette Dichiarazioni anticipate di trattamento sta rompendo il guscio ed inizia ad emettere i primi pigolii giuridici. Dopo l'approvazione degli articoli 1 e 2, ieri Paola Binetti e Lucio Barani hanno proposto due emendamenti che hanno modificato l'art. 3 del testo in esame alla Camera. La correzione più sostanziale riguarda la possibilità per l'estensore delle Dat, nel caso in cui in futuro versasse in stato di incoscienza, di indicare solo i trattamenti sanitari a cui vuole essere sottoposto e non più, come invece indicava il testo precedente, anche i trattamenti a cui non vuole essere sottoposto. In sintesi potremo indicare nelle DAT che, qualora ci trovassimo in stato di incapacità di intendere e volere, vogliamo ricevere alcuni trattamenti, ma non potremo più scrivere che rifiutiamo altri trattamenti. Sebbene si tratti di un passo avanti rispetto alla versione precedente, almeno dal punto di vista teorico, rimane una problematicità di fondo. Per verificare la validità di questa modifica infatti è bene vedere se è efficace, cioè se gli effetti previsti sulla carta poi si concretizzano in modo identico anche nei fatti. Proviamo ad esemplificare. Il sig. Rossi scrive nelle Dat che in caso di perdita di coscienza vuole i trattamenti A, B e C. Tra questi tre non figura la rianimazione. Il Sig. Rossi dopo qualche tempo ha un arresto cardiocircolatorio e non viene rianimato perché espressamente non aveva indicato la rianimazione. In termini giuridici è silenzio diniego: se voleva quel trattamento lo avrebbe scritto, non inserirlo nelle DAT significa rifiutarlo. Non vogliamo dire che tutti i medici e giudici (in caso di vertenza) potrebbero interpretare in tal modo questo nuovo articolo 3, ma chi lo facesse potrebbe trovare una legittimazione giuridica nell'istituto del silenzio diniego. Vero è che tale istituto ha le sue radici teoriche in ambito amministrativo e non può valere per i diritti personalissimi, ma l'esperienza ci insegna che gli ideologici della dolce morte non vanno tanto per il sottile quando si tratta di sostenere le proprie tesi. Vero è poi che qualcuno farebbe notare che l'art. 2 al comma 9 prevede che il consenso – scritto o non scritto – non è rilevante al verificarsi "di un evento acuto", e un infarto è sicuramente un evento acuto. Però, anche in questo caso, chi ci dice che qualche zelante giudice non potrebbe affermare che vale di più ciò che c'è scritto – o non scritto in questo caso – nelle DAT rispetto a ciò che prevede in modo generale e astratto una norma. Carta canta, verrebbe da dire. In termini giuridici potrebbe trattarsi cioè di una scriminante. Proponiamo un secondo esempio. Il sig. Rossi facendosi beffe di quello che prevede il nuovo art. 3 decide di scrivere nero su bianco che comunque non vuole la rianimazione. Per il fatto che esiste una norma che vieta nelle Dat il rifiuto di trattamenti sanitari, il rifiuto del sig. Rossi sarebbe da considerarsi inesistente? No. Per aver questo risultato chi ha proposto gli emendamenti avrebbe dovuto aggiungere l'espressione tamquam non esset, cioè "come se questo rifiuto non fosse mai esistito". Altrimenti sempre un zelantissimo azzecagarbugli forense potrebbe trovare il modo di assegnare al rifiuto del sig. Rossi qualche valore giuridico. Cosa ci insegna questo nuovo episodio della saga sulla legge sul cosiddetto fine-vita? Che la materia è troppo delicata e complicata per essere maneggiata dalle ruvide mani del diritto che per sua natura tratta i casi generali e guarda al futuro. In merito alle generalità dei casi appare evidente che sono troppe le casistiche tra loro diversissime che dovrebbero confluire, nell'intenzione dei promotori del Ddl, sotto l'ombrello disciplinato da questo disegno di legge. E qualche fattispecie, anzi, più di una scappa anche alla previsione normativa più sicura e attenta che possa esistere. In merito poi alla capacità predittiva che deve avere un testo normativo questa caratteristica cozza con la fisiologia delle Dat. Come spesso giustamente si appunta le Dichiarazioni anticipate decidono ora per il futuro, un futuro che è impossibile da prevedere nei minimi dettagli, quei dettagli che fanno la differenza tra la vita e la morte, quei dettagli che sono il pane quotidiano dei medici, che vanno analizzati e soppesati nel momento presente, tra specialista e paziente guardandosi negli occhi. Le Dat, e le leggi che vogliono disciplinare questo documento, non potranno mai avere la forza di incarnarsi perfettamente nel contingente fatto di quadri clinici pieni di nuances particolarissime, di terapie forse sperimentali e imprevedibili al momento dell'estensione delle Dat, di combinazioni tra farmaci la cui efficacia in quel determinato paziente potrà verificarsi solo dopo la terapia (pensate alla chemioterapia), di situazioni psicologiche inaspettate, di incontri professionali anche fortuiti che accendono la speranza. Le leggi e le Dat non sono fatti di lacrime e attese, di delusioni e gioie, tutte situazioni al contorno che influiscono se non determinano il consenso o il rifiuto di alcune terapie, tutti stati emotivi e psicologici che nascono e vivono nell'hic et nunc (qui ed ora) e che non possono essere previsti e vissuti in pienezza su un bianco pezzo di carta bollata. Insomma la discussione intorno a questi nuovi emendamenti è la prova provata che la vita è ben più grande di qualsiasi norma giuridica.
Fonte: La Bussola Quotidiana, 11-07-2011
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IN INGHILTERRA CON LA LOTTERIA VINCI UN FIGLIO PRODOTTO IN LABORATORIO
Il premio è un trattamento di fecondazione artificiale del valore di 25.000 sterline e se non andasse a buon fine si può ricorrere all'utero in affitto oppure usufruire degli ovuli di una donatrice
Fonte Corrispondenza Romana, 09/07/2011
In Inghilterra, dal prossimo 30 luglio sarà possibile acquistare un biglietto della lotteria e vincere un trattamento di fecondazione assistita nelle migliori cliniche specializzate pari ad un valore di 25.000 sterline. La lotteria non sarà riservata alle sole coppie eterosessuali ma anche ai single, agli anziani, agli omosessuali o a chiunque desideri avere un figlio; la vincita del premio è girabile ad amici e conoscenti e se il trattamento di fecondazione artificiale non dovesse andare a buon fine sarà possibile ricorrere all'utero in affitto oppure usufruire degli ovuli di una donatrice ("Il quotidiano italiano", 6 luglio 2011). La "stravagante" iniziativa ha suscitato tante polemiche, molte delle quali hanno avuto come oggetto la dubbia liceità morale di trasformare la maternità in una lotteria. Il punto ci sembra però un altro. Il figlio, da dono di Dio è divenuto merce di scambio, oggetto della soddisfazione di malsani e torbidi desideri; la pratica della fecondazione assistita, oltre ad essere disumana e contraria alla legge naturale, provoca la morte di un numero altissimo di embrioni umani viste le scarse probabilità di successo della tecnica di inseminazione artificiale. Inoltre l'essere umano innocente che nasce in laboratorio a seguito alla strage programmata dei suoi fratelli viene affidato a chiunque sia in possesso di un biglietto vincente della lotteria, sia egli un invertito o un pedofilo! Sarebbe tuttavia un errore rubricare tale squallida iniziativa come uno dei tanti eccessi della società contemporanea; in realtà essa è l'espressione di una precisa strategia antiumana che, tra le altre aberrazioni, pone l'uomo sullo stesso livello dell'animale: se l'essere umano non è il vertice della Creazione ma solamente il frutto di una evoluzione cieca e casuale che ha prodotto, oltre all'uomo, una miriade di altre specie viventi, è una inevitabile conseguenza teorizzare la pari dignità di tutte le creature presenti sulla terra. Nulla di strano, dunque, secondo la logica del mondo, che un gioco della lotteria abbia come premio un piccolo essere umano piuttosto che un cucciolo di cane o un criceto. Se poi l'iniziativa ha come obiettivo dichiarato di andare incontro ai desideri di chi, per qualunque motivo, non può o non è in grado di avere dei figli in modo naturale il cerchio si chiude e la perversione morale sottostante catalogata come gesto di solidarietà.
Fonte: Corrispondenza Romana, 09/07/2011
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SUD SUDAN FINALMENTE UNO STATO LIBERO E INDIPENDENTE DOPO ANNI DI ISLAMIZZAZIONE FORZATA: DOVE ERANO GLI INTELLETTUALI NOSTRANI?
Due milioni di vittime, tre milioni di profughi, migliaia di donne e bambini catturati e venduti come schiavi nel nord islamico del Paese, ma non interessava a nessuno perché erano cristiani
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 10/07/2011
Da oggi il sud del Sudan è finalmente uno stato libero e indipendente (se non verrà strozzato nella culla). Lì è stato perpetrato l'ultimo genocidio del Novecento, ma un genocidio ignorato dai media e dal "partito umanitario" nostrano. Forse perché le vittime non erano "politically correct", trattandosi di neri cristiani e animisti. Autore di quell'orrore è stato il regime arabo- musulmano del nord che ospitò negli anni novanta anche Osama bin Laden e che, da qualche anno, è in combutta con la Cina comunista interessata al petrolio sudanese. I media si sono occupati del Sudan solo di recente, quando è scoppiata l'emergenza Darfur, che derivava da un conflitto non religioso (erano tutti musulmani). Invece per la Jihad – la guerra santa islamica – che per decenni ha sterminato il Sud cristiano e animista non hanno avuto tempo. Eppure le cifre sono terrificanti: due milioni di vittime, tre milioni di profughi, migliaia di donne e bambini catturati e venduti come schiavi nel Nord islamico del Paese. Il regime di Karthoum ha fatto del Sudan – che sarebbe ricchissimo di petrolio e altre risorse – uno dei paesi più poveri della terra (è al 150° posto su 182), un paese dove si vive ancora in capanne di fango, seminudi e si muore come mosche per fame e malaria. Per questo molti fuggono, cercando di arrivare all'Italia e in Europa. Siccome scrivo e parlo del genocidio sudanese da quindici anni, su giornali e in tv (prendendomi anche qualche insulto), permettetemi di togliermi un po' di sassolini dalle scarpe. Perché il "caso Sudan" è un'occasione preziosa per riflettere sulla famosa coscienza "umanitaria" a intermittenza che caratterizza questa sinistra che ci è toccata in sorte e i nostri media che in gran parte vengono culturalmente da lì.
PIAZZE URLANTI C'era una volta il Vietnam. Ricordate? E' stato il mito fondativo della sinistra sessantottina la quale poi ha riempito giornali e tv continuando l'intossicazione ideologica con altre armi. Quella del Vietnam è stata la madre di tutte le cause umanitarie della sinistra e conteneva tutte le sue contraddizioni e le sue ipocrisie. Per anni manifestazioni, cortei, assemblee, articolesse, indignazione a senso unico. Uno dei famosi inviati, Giorgio Bocca, anni dopo, confessò: "feci dei servizi che piacquero alla sinistra italiana: in parte perché raccontavo la verità sulla formidabile guerriglia vietnamita, in parte perché mi autocensuravo". Poi spiega: "la mitizzazione della rivolta vietnamita e la demonizzazione degli americani erano giunte a un tale livello che non era possibile raccontare una verità che avesse però il marchio di informazione Usa". Non c'era posto per la verità. E questa era la stampa libera e indipendente. Finalmente i comunisti del Nord conquistarono il Sud Vietnam e iniziarono dittatura e massacri: di colpo nessuno degli indignati più si curò del Vietnam e di quello che stava capitando ai vietnamiti "liberati" dai comunisti di Ho Chi Min. Migliaia di quei poveri vietnamiti – a cui avevamo imposto di subire la conquista comunista – fuggirono dal "paradiso marxista" su barche di fortuna. Molti annegarono, altri furono divorati dagli squali. Alcuni furono soccorsi. E cosa dicevano i compagni italiani di quei "boat people"?
ROSSI DI VERGOGNA Posso testimoniarlo in prima persona. A quel tempo frequentavo il liceo a Siena. Collaboravo con la Caritas per organizzare l'ospitalità in Italia per quei profughi che riuscirono ad arrivare vivi e ricordo bene che distribuendo i volantini in piazza a Siena ci prendevamo gli insulti dei compagni che chiamavano quei profughi "fascisti e reazionari". Essendo in fuga dal comunismo, agli occhi loro quei profughi non erano da considerare come oggi consideriamo quelli che arrivano con i barconi a Lampedusa. Questa era la coscienza umanitaria della sinistra. Che in questi mesi, peraltro, vede i profughi e ne reclama l'accoglienza, ma non vede le cause della loro fuga: per esempio quell'orrida guerra contro la Libia tanto voluta dal compagno-presidente Napolitano. Anche in questo caso la coscienza umanitaria e pacifista dei compagni è andata in vacanza (bombardiamo pure Tripoli, il pacifismo pensa all'abbronzatura).
ERRORI E ORRORI Torno al Vietnam. L'altro mito gemello del '68 fu la Cambogia. Anche quella doveva essere "liberata" dall'okkupazione americana. "I Khmer rossi ci sembravano l'unica via d'uscita dall'incubo della guerra", scriverà anni dopo Tiziano Terzani in un famoso articolo su "Repubblica" intitolato "Pol Pot, tu non mi piaci più". Questo articolo di revisione uscì nel 1985 e ormai già si sapeva tutto del genocidio di due milioni di cambogiani innocenti perpetrato dai Khmer rossi. Quello che il "grande inviato" avrebbe dovuto fare e non fece era raccontare prima, quando era sul posto, mentre accadevano i fatti, la mostruosità sanguinaria dei guerriglieri comunisti. Ma sebbene abbia visto, non credette a quei "massacri comunisti". Sospettò che fossero manipolazioni della Cia. E oggi viene celebrato dal pensiero conformista come un grande giornalista testimone delle atrocità del Novecento. Chi invece, come il missionario padre Gheddo, denunciò le stragi comuniste in Indocina mentre accadevano, negli anni Settanta, si prese del "reazionario" e "finanziato dalla Cia". "Nessuno mi credette", ricorda. E nessuno poi gli ha riconosciuto il coraggio della verità, né ha chiesto scusa. Nei decenni successivi la "sinistra umanitaria" ha continuato ad alimentare le sue mitologie, sebbene più in sordina. Ma sempre con un'accurata selezione ideologica. Contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan dei primi anni Ottanta – per esempio – non fiatarono (a quel tempo scendevano in piazza per protestare contro gli euromissili americani, risposta a quelli sovietici). Ma contro la guerra di Bush all'Afghanistan dei talebani e di Bin Laden hanno scatenato il finimondo (ovviamente senza mai chiedere il parere delle donne afghane). Contro la Cina che massacrava gli studenti in piazza Tien an men nessuna manifestazione, né indignazione di massa. Così pure sull'oppressione del Tibet. Silenzio anche sui lager cinesi tuttora funzionanti. Invece è divampata la polemica su Guantanamo e, da anni, la protesta contro Israele che sarebbe reo di opprimere i palestinesi. Gli "umanitari" indignati infine hanno protestato per anni contro gli Stati Uniti rei di aver posto l'embargo a Cuba (ovviamente senza denunciare la schifosa dittatura comunista di Fidel Castro). Perciò, con tutte queste "cause umanitarie" che permettevano loro di sentirsi buoni e puri, denunciando come oppressori Stati Uniti e Israele, gli umanitari progressisti di casa nostra non ebbero tempo di accorgersi del genocidio sudanese, cioè della "più lunga guerra del '900" (dal 1956 al 2005) nel paese più grande dell'Africa. Erano tutti distratti e così in Italia nessuno sa qualcosa di quel genocidio che è stato definito dall'africanista Giampaolo Calchi Novati "la più dura operazione di islamizzazione forzata del '900".
SOLO LA VOCE DELLA CHIESA L'unica voce, inerme e martire, come al solito, è stata quella della Chiesa, una "Chiesa crocifissa", come l'ha definita Giovanni Paolo II. Una Chiesa che ha il volto del grande vescovo missionario monsignor Mazzolari, che "comprende in sé una capacità di denuncia del male unita a un'indomita fantasia di bene che ha costruito scuole, ospedali, missioni, chiese, dispensari, vite future di ragazzi un tempo schiavi e poi laureatisi a Oxford", come scrive Lorenzo Fazzini nel bel libro "Un Vangelo per l'Africa", dedicato a Mazzolari e al Sudan. Il cristianesimo è arrivato nei regni nubiani addirittura nel VI secolo. Poi ha portato libertà e dignità umana in Sudan, nell'Ottocento, con un grande santo, padre Comboni. Oggi la Chiesa accompagna questo popolo alla libertà e all'indipendenza. Il cristianesimo si conferma come culla di umanità e come l'unica vera forza liberazione dei popoli. Mentre i nostri intellettuali gli riservano (oggi come ieri) parole sprezzanti…
Fonte: Libero, 10/07/2011
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L'EPOPEA DEI CRISTEROS MESSICANI (1926-1929): QUANDO I CATTOLICI SONO COSTRETTI A IMPUGNARE LE ARMI AL GRIDO DI ''VIVA CRISTO RE!''
Eduardo Veràstegui, protagonista di ''Bella'', è tra gli attori dello stupendo film Cristiada, di cui qui potete vedere il trailer
Autore: Oscar Sanguinetti - Fonte: Dizionario del pensiero forte
La rivolta dei cristeros inizia nel 1926 e si conclude, anche se non definitivamente, nel 1929. E cristeros deriva da Cristos Reyes, i "Cristi-Re", come gli avversari definivano con intento spregiativo gli insorti cattolici che combattevano al grido di "Viva Cristo Re!", riprendendo il tema della regalità di Cristo, all'epoca molto popolare e in sintonia con l'enciclica sull'istituzione della festa di Cristo Re "Quas primas", pubblicata nel 1925 da Papa Pio XI (1922-1939). Nel Messico, nei secoli seguenti la scoperta e la conquista dell'America, era avvenuta una feconda fusione fra cattolicesimo e cultura indigena. La civiltà iberoamericana, una miscela di elementi senza eguali nel tempo e nello spazio, vi aveva dato frutti di grande originalità in tutti i campi, compresi quelli delle arti figurative e della musica. All'inizio del secolo XX questa cultura, con una religiosità luminosa, pubblica, sopravvive ancora, anche se allo stato residuale e subalterno, nei ceti popolari e rurali, mentre le classi alte e il ceto politico e intellettuale hanno ampiamente assorbito le idee illuministiche e liberali. Dagli inizi del secolo alla guida della repubblica presidenziale federale messicana, per lo più a seguito di colpi di Stato e di guerre civili, si era avvicendata una serie di generali o di despoti, espressione della fazione di volta in volta vincente all'interno dell'unico e intoccabile establishment massonico e laicista, prevalso nella seconda metà dell'Ottocento. Quando scoppia l'insurrezione cattolica è al potere un generale, Plutarco Elías Calles (1877-1945), che pratica una politica rigidamente "modernizzatrice" (il suo partito si autodefinisce "rivoluzionario istituzionale"), filostatunitense e con simpatie per il nascente socialismo latinoamericano. Questa politica porta il governo messicano a inasprire la lotta contro la Chiesa, vista non solo come centro sovranazionale di diffusione dell'"oppio del popolo" (secondo il cliché laicista) ma pure come bastione della conservazione e come ostacolo al latente totalitarismo statale. Il regime di Calles si differenzia dai precedenti per lo stile, il pugno di ferro, lo spirito da scontro epocale che egli ostenta, anche personalmente, nel realizzare la sua politica e che gli varrà, fra i cattolici, il nomignolo di "Nerone".
IL CONFLITTO FRA STATO E CHIESA Nel 1917 il governo di Venustiano Carranza (1859-1920) vara una costituzione fortemente laicistica, che però non viene mai applicata. Nel 1926 il Governo Calles ordina ai governatori dei diversi Stati di emanare decreti volti a far applicare il dettato costituzionale in materia di disciplina dei culti. Essi prevedevano, di fatto, la radicale separazione fra Chiesa e Stato, la completa scristianizzazione dei luoghi pubblici (tribunali, scuole, e così via), l'esproprio totale degli edifici di culto e dei seminari, la proibizione dei voti e degli ordini religiosi, la trasformazione del clero in un corpo di funzionari statali e il "numero chiuso" per lo stesso clero, che doveva essere messicano di nascita, sancendo così l'espulsione dei missionari stranieri. Nel 1925 il Governo, mentre favorisce la diffusione delle missioni protestanti nordamericane, tenta anche - ma invano, a causa della reazione dei cattolici -, di dar vita a una Chiesa Nazionale separata da Roma. Le violenze poliziesche seguenti il tentativo di applicare la nuova disciplina antiecclesiastica, in vigore dal 31 luglio 1926, generano immediatamente la reazione del mondo cattolico, che dà vita a una Lega Nazionale di Difesa della Libertà Religiosa. L'episcopato messicano, in sintonia con la Segreteria di Stato vaticana, retta dal card. Pietro Gasparri (1852-1934), dopo diversi tentativi, falliti, di resistenza legale non violenta - scioperi, boicottaggi e petizioni popolari -, ritiene di reagire alla escalation del terrorismo governativo con un provvedimento inusitato e clamoroso: in segno di protesta sospende completamente l'esercizio del culto pubblico. L'atto, senz'altro legittimo, si rivela però imprudente perché non teneva conto della determinazione degli ambienti governativi di andare fino in fondo nell'affermare il proprio controllo sulla Chiesa - anche se prove in questo senso non erano mancate negli anni precedenti - e, soprattutto, sottovalutava l'impatto che la sospensione del culto avrebbe avuto sul vissuto popolare quotidiano, specialmente dei più umili. Infatti, la cultura del popolo, profondamente nutrita di Bibbia e di leggende religiose, caratterizzata da una forte tensione escatologica, vivacizzata da un'intensa e diffusa pratica devozionale, interpretava consuetamente gli avvenimenti all'interno di categorie che si potrebbero definire "mistiche" e "apocalittiche". Anche la persecuzione di Calles viene dunque letta come l'abbattersi di un flagello biblico, e con altrettanto spirito apocalittico nasce nel popolo la convinzione che occorra reagire, come i fratelli Maccabei, impugnando le armi per ripristinare la giustizia violata.
L'INSURREZIONE Fin dai giorni immediatamente seguenti la sospensione del culto, in più di uno Stato, iniziano ad accendersi focolai di sollevazione. La Santa Sede si oppone alla rivolta armata, l'episcopato non la promuove né l'appoggia. Il mondo cattolico ufficiale - la Lega Nazionale di Difesa della Libertà Religiosa - persiste nell'azione di resistenza legale, che viene repressa con ancora maggiore asprezza: i federali non fanno distinzioni troppo sottili fra cristeros e circoli di Azione Cattolica, il che provoca innumerevoli martiri, particolarmente fra il clero. Il più noto è il sacerdote gesuita Miguel Agustín Pro (1891-1927), beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 25 settembre 1988. Dall'agosto del 1926 i focolai di rivolta diventano un incendio che divampa in quasi tutti gli Stati della federazione. Comunità intere si sollevano in massa. Clan familiari e confraternite laicali si danno alla macchia sulle montagne, da dove attaccano le truppe federali e le formazioni irregolari filogovernative, i cosiddetti "agraristi". Lo scontro è fin da subito violentissimo. Contro i ribelli, che gli avversari disprezzano come esseri subumani, numerosi ma male armati e privi d'inquadramento militare, il Governo mobilita le truppe migliori dell'esercito nazionale, inclusa l'aviazione. Cionostante, i cristeros, forti dell'appoggio popolare e praticando la guerriglia, infliggono gravi perdite ai federali e aumentano, passando a controllare e ad amministrare aree sempre più vaste del territorio nazionale, in particolare nella parte centro-meridionale del paese, negli Stati di Durango, Morelia, Jalisco, Zacatecas, Michoacan, Veracruz, Colima e Oaxaca. Un salto di qualità si ha quando, nel 1927, la guida dell'esercito cristero (che conta circa ventimila uomini) viene presa dall'ex generale federale Enrique Gorostieta Velarde (1891-1929), che aderisce inizialmente alla rivolta più per spirito anticonformista che per convinzione religiosa, ma che maturerà in consapevolezza, prima di essere ucciso a tradimento, in combattimento, il 2 giugno del 1929. Fra il 1927 e il 1928 gli insorti sono in grado di affrontare l'esercito federale in vere e proprie battaglie campali, con impiego dell'artiglieria e della cavalleria. Gli aiuti ai combattenti provengono dalla rete creata dalle famiglie, dalle confraternite e dalle organizzazioni di soccorso. In questa sanguinosa guerra clandestina si distinguono le brigate paramilitari femminili, intitolate a santa Giovanna d'Arco (1412-1431). Il clero (i vescovi, tranne due o tre, sono fuggiti all'estero e i sacerdoti vivono nella clandestinità) è pressoché assente fra i combattenti, che devono supplire alla mancanza dei sacramenti con la preghiera, soprattutto con la recita del rosario e dei salmi e con la devozione ai santi patroni. Alla fine del 1928 per i federali comincia a profilarsi il fantasma di una sconfitta sul campo: non riescono più a sostenere il peso della guerra civile su tanti fronti e, soprattutto, sembrano stanchi del terrore su vasta scala, che hanno scatenato contro il loro stesso popolo. Grandi battaglie hanno luogo agli inizi del 1929 (la maggiore è quella di Tepatitlán, nello Stato di Jalisco, il 19 aprile) e il movimento cristero, che conta circa cinquantamila combattenti, è molto vicino alla vittoria.
GLI "ARREGLOS" E LA "SEGUNDA" Davanti alle crescenti difficoltà di domare l'insorgenza, il Governo fa balenare la possibilità di una tregua e i vertici cattolici, che non comprendono la guerra dei cristeros e sono sempre rimasti in spasmodica attesa di un segno di buona volontà da parte dell'avversario, raccolgono subito il segnale e accordi, del tutto informali, gli "Arreglos", vengono frettolosamente sottoscritti il 22 giugno 1929, con l'attenta e determinante regìa della Segreteria di Stato vaticana, e il culto pubblico riprende. Per la Chiesa e per la popolazione questo costituisce un indubbio sollievo, ma per la sollevazione armata significa la fine. Venuto meno il generale consenso popolare, costretti a cedere le armi e a tornare ai propri villaggi, i cristeros si trovano immediatamente esposti alla vendetta, anche privata, dei federali, dal momento che gli "Arreglos" non contenevano nessuna garanzia a salvaguardia dei combattenti. Mentre la Chiesa non ricupera la sua libertà e, anzi, continua a essere perseguitata, la repressione nei confronti dei combattenti cristiani (soprattutto dei capi e dei quadri), per lo più contadini, continua ininterrottamente, almeno fino agli anni 1940. Così i cristeros, dopo una ripresa disperata della rivolta fra il 1934 e il 1938 - la cosiddetta "Segunda" -, quasi scompaiono, talora fisicamente, dalla storia del paese: restano ancora oggi, indomiti, alcuni piccoli nuclei di reduci che pubblicano un periodico, David. Nonostante l'oggettivo appeasement, fra Stato e Chiesa permangono strascichi latenti di quella guerra mai vinta e mai persa, fra i quali può forse venire inquadrata la "misteriosa" uccisione, il 24 maggio del 1993, del card. Juan Jésus Posadas Ocampo (1926-1993), arcivescovo di Guadalajara. La guerra dei cristeros, gloriosa e sfortunata, costata dalle settanta alle ottantacinquemila vite umane, sembra essere considerata tanto dalla Chiesa quanto dallo Stato messicani un malaugurato incidente di percorso nel processo di "ralliement" fra Chiesa e mondo moderno, sì che ricerche storiche, come quella fondamentale dello storico e sociologo francese Jean Meyer, negli anni 1960, hanno incontrato non pochi ostacoli. In realtà, si tratta di una pagina di storia complessa e ancora non del tutto chiarita (a proposito della quale le animosità, soprattutto laicistiche, non si sono ancora placate), ma altamente significativa. Sul piano storico, siamo di fronte a un episodio dello scontro plurisecolare, nella sua versione armata e popolare, fra la Modernità, con i suoi processi di secolarizzazione delle culture e delle istituzioni politiche a fondamento religioso, e tali culture, pur residualmente di stampo sacrale tradizionale. Sul piano politico, la "lezione messicana" contribuisce all'elaborazione di una nuova strategia della Rivoluzione nei confronti dei cattolici, quella della "mano tesa".
Nota di BastaBugie: è in preparazione il film " Cristiada" sull'epopea dei Cristeros. Regia di Dean Wright, responsabile degli effetti speciali in pellicole come "Titanic", "Al di là dei sogni", gli ultimi due episodi de "Il Signore degli Anelli" ed i primi due de "Le Cronache di Narnia". Nel cast troviamo anche Eduardo Veràstegui (protagonista di "Bella"). L'uscita di Cristiada non è ancora stata fissata, ma ne darà pronta notizia il sito di BastaBugie. Per adesso è possibile vedere lo stupendo trailer: http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=28
Fonte: Dizionario del pensiero forte
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ABOLIRE LA LEGGE SULL'ABORTO SI PUO'
In Polonia una proposta di legge di iniziativa popolare chiede l'abolizione totale di ogni possibilità di praticare l'aborto
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Bussola Quotidiana, 30/06/2011
La Polonia sta vivendo la vigilia di una decisione storica. La "Camera bassa" del suo parlamento prende visione oggi di una proposta di legge di iniziativa popolare che chiede a gran voce l'abolizione totale di ogni e qualsiasi possibilità di praticare l'aborto. La Polonia porta insomma in giudizio l'élite che la rappresenta al parlamento nazionale e che ne guida i destini politici. Secondo quanto richiesto dalla legge polacca, per portare sul desco dei parlamentari una proposta così serve l'appoggio di 100mila firme popolari. Ne sono state raccolte sei volte tanto. Si è trattato di una mobilitazione popolare gigantesca, una grandiosa azione civica nazionale coordinata dalla Fundacji Pro - Fondazione PRO -, diretta da Jacek Sapa. Per settimane ha raccolto firme e sostegni in gran segreto. Nessuno fuori dai confini polacchi doveva infatti sapere, soprattutto - dice Sapa al portale antiabortista statunitense LifeSiteNews, che di questa colossale iniziativa ha dato notizia in esclusiva mondiale - quel mondo anglofono dove agiscono media, fondazioni, lobby, personale politico e organismi internazionali potentissimi e ricchissimi, in grado di intervenire in ogni angolo della Terra per bloccare "il nemico". E questa è una notizia dentro la notizia: perché tutti una cosa così la pensano (puntando il dito contro una pletora di sigle che inizia con la Planned Parenthood e che finisce con un nutrito elenco di agenzie dell'Onu) ma avvicinandosi alle porte di un parlamento nessuno ha il coraggio di dirla; perché organizzare un piano segreto di tal fatta e farlo riuscire è da veri "berretti verdi" del Bene; e perché il fatto mette il dito diritto nella piaga senza chiedere permesso né scusa. Che infatti esista una strategia internazionale mirante ad anestetizzare la reazione dei popoli e a paralizzare la sovranità politica dei loro Paesi quando sfuggono ai dettami della cultura di morte è palese; ma, ponendo per tutti un precedente culturalmente vincolante, oggi la Polonia dimostra che il suo fuoco di sbarramento non è affatto impenetrabile. L'attacco alla morale è del resto la zampata post mortem con cui le ideologie cercano ancora di annientare la Polonia. L'aborto vi fu introdotto per la prima volta dall'occupazione nazista di 70 anni fa e quando i comunisti si avvicendarono al potere cambiarono tutto per non cambiare nulla. La petizione popolare di oggi è quindi, dice Sapa, «la possibilità di ricusare completamente l'eredità del nazismo e del comunismo». Anche in Polonia, come altrove nel mondo, l'aborto viene dunque percepito dai "veri patrioti" come un corpo estraneo, un elemento straniero, una scheggia impazzita venuta da fuori. Per questo ne fanno una battaglia anche politica di civiltà. Non è forse la Polonia la terra del beato Giovanni Paolo II, che bene intendeva questo giro mentale e che ottimamente ne ha dispiegato i significati più puri? Lo sforzo profuso dalla Fondazione PRO sarebbe stato del resto vano - e magari pure a rischio d'ideologizzazione - se non fosse stato sorretto dal robusto braccio della Chiesa polacca, che dell'odierna mobilitazione politica è stata sponsor senza tentennamenti né tatticismi. Come ha detto l'arcivescovo di Cracovia, cardinal Stanlisaw Dziwisz, già segretario particolare di Papa Wojtyla, al settimanale cattolico Gosc Niedzielny - il maggiore di tutto il Paese e altro sostenitore eccellente dell'iniziativa - «la Chiesa insegna chiaramente che i cattolici sono obbligati a non coprire il "compromesso" attuale, ma a puntare alla protezione totale della vita», motivo per cui la petizione all'esame del parlamento è «una soluzione, una di quelle che la Chiesa invoca. Io appoggio ogni sforzo mirante a incrementare la protezione della vita umana». Il "compromesso" additato dal card. Dziwisz mantiene intanto a mezz'asta l'aborto polacco, introdotto nel 1993 come esito del confronto altalenante mantenuto con i "princìpi non negoziabili" dai governi democratici seguiti al crollo del regime comunista nel 1989. In Polonia l'interruzione volontaria della gravidanza è infatti permessa solo se al feto sono diagnosticati mali o "difetti" gravi, oppure quando è in serio pericolo di vita la madre, o ancora quando la gravidanza è l'esito - così dice il codice - di «attività illegale». Chiaro è, sottolineano i pro-lifer, che, nonostante le clausole, ma spesso proprio a causa della vaghezza della loro formulazione, gli abusi sono all'ordine del giorno, sia per quanto riguarda le motivazioni sia per quel che concerne il termine massimo di intervento fissato alla 24a settimana. L'«attività illegale», per esempio, contempla certamente lo stupro o l'incesto, ma pure le gravidanze adolescenziali, giacché nel Paese sono vietati i rapporti sessuali con e fra minori di 15 anni. Resta comunque, fortunatamente, la legge più restrittiva tra quelle vigenti in Occidente e così i circa 82mila aborti del 1989 comunista (il regime imponeva con forza attiva la cultura abortista) sono scesi ai circa 500 del 2008 democratico (dati del Ministero polacco della Salute). La proposta di oggi azzererebbe invece persino le eccezioni, ai dottori implicati comminerebbe fino a 3 anni di carcere estensibili sino a otto qualora il feto in quel caso abortito avesse pouto nascere e vivere, e applicherebbe le medesime sanzioni anche a chi istigasse o contribuisse a un aborto. Per le madri coinvolte però giustamente niente, nessuna pena, nessuna sanzione. I 600mila firmatari della proposta rappresentano peraltro perfettamente l'orientamento dei polacchi. Un sondaggio del 3 giugno ha contato il 65% di favorevoli alla protezione senza "se" e senza "ma" della vita umana sin dal concepimento, e fra questi il 76% sono giovani tra i 15 e i 24 anni (i più favorevoli all'aborto hanno tra i 55 e i 70 anni, ma sono comunque minoranza, visto che il 57% di loro si schiera come i più giovani per il bando totale). E il 23% della popolazione risulta favorevole solo all'aborto attuale, cioè limitato dalle tre suddette clausole. Risultati clamorosi. Solo nel 2005 il 57% dei polacchi si dichiarava infatti a favore dell'aborto entro la 24a settimana e il 36% si diceva contrario. Nel 2009 i favorevoli all'aborto erano però già scesi al 31% mentre i contrari erano saliti al 64% e queste cifre si sono divaricate ancora di più all'inizio del 2011 quando un sondaggio diverso da quello sopra citato del 3 giugno ha registrato un 85% di polacchi che si definiscono pro-life e un 9% di cittadini dichiaratamente auspicanti il libero accesso all'aborto. Già nel 2007, peraltro, fu avanzata la proposta di inserire nella Costituzione del Paese una provvisione a difesa del diritto alla vita umana dal concepimento alla morte naturale (che comunque, un po' come accade ora con la nuova Costituzione ungherese, non avrebbe automaticamente eliminato l'aborto): il 60% dei parlamentari l'appoggiò, ma mancò la maggioranza qualificata dei due terzi necessaria a tale modifica. La proposta che i parlamentari polacchi stanno esaminando in queste ore andrà prestissimo al voto, oggi stesso o al più tardi domani. Se otterrà il 50% più uno dei voti della "Camera bassa", passerà a una Commissione ad hoc per poi tornare in aula e sottoporsi a un secondo, dunque a un terzo voto. Quindi spetterebbe al Senato votarla e poi al presidente della repubblica decidere se mutarla in legge. Se questi non lo facesse, il parlamento avrebbe ancora un voto d'appello in grado di ribaltare il veto presidenziale, ma stavolta necessiterebbe della maggioranza dei due terzi. Sapa ricorda che il 90% dei parlamentari polacchi attualmente in carica si professa cattolico. È cominciata una nuova, corale "insurrezione di Varsavia"?
Fonte: La Bussola Quotidiana, 30/06/2011
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QUASI UN SECOLO FA NASCEVA ''L'AVANGUARDIA CATTOLICA''
Quando i cattolici sapevano difendersi: il cardinale Ildefonso Schuster scrisse di suo pugno il Decalogo della milizia
Fonte Corrispondenza Romana, 09/07/2011
Lo psicologo e terapeuta Roberto Marchesini, collaboratore di varie testate come "Studi Cattolici" e "Il Timone", ci offre un saggio storico bello e incoraggiante, che ha per tema l'uccisione di un giovane militante cattolico, nella Lombardia di inizio '900, ad opera di attivisti socialisti (cfr. R. Marchesini, Martirio al Santuario. Angelo Minotti e l'Avanguardia Cattolica, Edizione D'Ettoris, Crotone 2010, pp. 100, euro 11,90. Si può richiedere al tel.: 0962.905192). «All'inizio del '900, Rho era un borgo di circa 7.000 abitanti, con una economia prevalentemente agricola» (p. 65). Angelo Minotti vi era nato nel 1890 da umile famiglia, era un giovane cattolico, impegnato in parrocchia come catechista, il quale si era distinto per il coraggio nei tre anni di prigionia che patì durante la guerra, essendo stato deportato dagli austriaci nel 1916. Questi i fatti del martirio: «il 13 giugno del 1920 e, come ogni anno, la domenica dopo l'ottava del Corpus Domini, si festeggiava la festa del Sacro Cuore; alle due del pomeriggio, al suono delle campane, i rhodensi cominciarono ad affluire sul piazzale del santuario della Beata Vergine Addolorata. In quel momento giunse sul piazzale anche un gruppo di socialisti, arrivati a Rho con il tram da Milano per l'inaugurazione di alcune bandiere; dopo aver insultato i presenti sul piazzale, e averli offesi gridando bestemmie, spezzarono l'asta di un'orifiamma con il simbolo del comune di Rho, e bruciarono lo stendardo. I presenti tentarono di reagire, ma furono presi a bastonate; intervenne anche un oblato, padre Rebuzzini, ma venne ferito gravemente con un colpo di bastone spezzato sul suo capo. Ad un certo punto sul piazzale echeggiarono alcuni colpi di rivoltella: uno colpì Natale Schieppati, ma l'orologio da tasca deviò il colpo e gli salvò la vita; un altro ferì mortalmente Angelo Minotti, che spirò dopo mezz'ora d'agonia» (pp. 74-75). A quei tempi almeno, davanti all'aggressione dei comunisti, i cattolici sapevano difendersi. Marchesini infatti racconta per sommi capi, ed è la parte più interessante del libro, la storia di un'organizzazione para-militare cristiana, sorta proprio a causa di queste continue sopraffazioni (cfr. pp. 53-64). Si chiamava Avanguardia Cattolica; il suo motto, "Cristo o morte", era intarsiato su un fazzoletto bianco dai bordi neri che sventolava fieramente nelle processioni pubbliche; era sostenuta, seppure in modo discreto trattandosi di un servizio d'ordine non ufficiale (ma che contò fino a 70 gruppi in Italia e circa 1500 membri!), da importanti elementi della Gerarchia, come il cardinal Ferrari e il cardinale Ildefonso Schuster (1880-1954), il quale scrisse di suo pugno il Decalogo della milizia. Talmente pare inconsueto tutto ciò, dopo il pacifismo post-conciliare, che per mostrare al lettore del XXI secolo l'attualità e la perennità dell'ideale cavalleresco-crociato, riportiamo in extenso i 10 punti scritti da Schuster (cfr. pp. 55-56): «1. Scopo: tutela dei diritti dei Cattolici italiani coi mezzi autorizzati dalle Leggi; 2. Membri: i più generosi, già spiritualmente formati entro le file dell'Azione Cattolica; 3. Requisiti: senza macchia e senza paura; 4: Aiuti: l'uso frequente del Pane dei forti; 5. Armi: "Forti nella Fede", illuminati nella cultura religiosa, onorati nella vita; 6. Posto: sempre avanti; 7. Metodo: organizzazione compatta e che ben funziona agli ordini dei Capi; 8. Spazio vitale: in Chiesa e fuori, nei Sindacati e nell'AC, nella vita politica e civile della Patria, nel Senato e nella piazza; 9. Vantaggi: intervenire e farsi rispettare: gli assenti hanno sempre torto!; 10. Premio: Dio e il proprio diritto». L'Avanguardia Cattolica, nata nel 1919 e finita col Concilio, fu onorata da due splendidi discorsi laudativi, riportati in appendice nel saggio di Marchesini (pp. 83-95): uno del 1948 tenuto da Papa Pio XII, a Roma, il 4 gennaio del 1948, e il secondo letto dal cardinal Montini, futuro Paolo VI, a Milano, nel 1955.
Fonte: Corrispondenza Romana, 09/07/2011
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HITLER, PREDICATORE TOTALMENTE ANTICATTOLICO
Fin dall'inizio la rivoluzione nichilista hitleriana agì come un polo specularmente opposto rispetto ai valori della Chiesa Cattolica
Autore: Daniele Zappalà - Fonte: Avvenire, 12/06/2011
Una serie ormai lunga di studi dagli approcci variegati mostra che il nazismo e la sua ideologia furono essenzialmente pagani. Ma l'ascesa di Hitler avvenne nondimeno in terra cristiana e le condizioni precise di quest'innesto tragico continuano ad interessare gli studiosi. Fra le poste in gioco, fra l'altro, vi è pure quella di sgombrare il campo da leggende nere e libelli anticristiani di ogni tipo. Una nuova interpretazione giunge adesso dalla Francia. In uno studio intitolato Il controcattolicesimo di Adolf Hitler , appena pubblicato da Cerf nel quadro di un volume dedicato alle Nascite del totalitarismo, il filosofo Paul Thibaud s'interroga sul rapporto del nazismo «con una sorta di trascendenza». Appena ripreso dalla rivista Esprit , lo studio sta facendo molto discutere, anche per il suo taglio sintetico che suscita elogi ed obiezioni. Thibaud sottolinea innanzitutto che agli albori il nazismo dovette molto all'oratoria hitleriana e alla sua capacità manifesta di suscitare un diffuso trasporto emotivo nelle folle. Al contempo, «questo ciclone si è formato fra Vienna e Monaco, in terra di Controriforma». È dunque legittimo, secondo il filosofo, mettere a confronto la 'culla' geografica e la forma 'oratoria' del nazismo. Ma secondo Thibaud Hitler tentò di coniugare fin dall'inizio un discorso dai contenuti fortemente antievangelici e anticristiani con un'oratoria che a tratti imitava grossolanamente lo stile dei predicatori. Sarebbe cominciata così un'autentica «manovra hitleriana nei confronti del cattolicesimo che comporta tre aspetti, o tre tappe: neutralizzazione, asservimento, sostituzione». A livello locale, questo «gioco ostile» sarebbe stato presto affiancato dalla coercizione e dalla deportazione di «molti preti tedeschi a Dachau». L'imitazione dello stile predicatorio, inoltre, restò sempre ai limiti del macchiettistico: «Quest'arte di mimare per captare, di snaturare per appropriarsi è ispirata dal disprezzo. Il discorso hitleriano è come un mercatino dove tutto è svalutato e messo fra gli scarti prima di essere scelto e promosso dal nuovo maestro». In questo primo confronto con un contesto storicamente segnato dal cattolicesimo, Hitler affila le proprie armi per la conquista dello Stato. La quale, secondo Thibaud, assumerà a sua volta la forma di uno svuotamento di civiltà: «Il meccanismo generale di questo totalitarismo decentralizzato può essere identificato come un'inversione del ruolo dello Stato. Al posto di regolamentare e di razionalizzare, lo Stato nazista seduce togliendo le censure, lavorando così all'imbarbarimento della società». Per il filosofo, il regime trovò il proprio ancoraggio più saldo nei fondali interiori saturi di frustrazione di una parte della società tedesca. In particolare, la borghesia impoverita e spaventata dagli effetti della Pace di Versailles e «pronta ad esprimere attivamente il proprio sgomento». Fin dall'inizio, secondo Thibaud, la rivoluzione nichilista hitleriana agì perfettamente come un polo negativo rispetto ai valori della Chiesa cattolica. È proprio per questo che quanto accadde in Germania assomiglia così tanto, nella sua dinamica, ai «movimenti apocalittici» medievali, pronti anch'essi a snaturare e capovolgere il messaggio cristiano, ricostruendo a livello sociale scenari immaginari di fine dei tempi. Per Thibaud, anche quella hitleriana fu una sorta d'«invenzione» di stampo apocalittico ed essa «sarebbe rimasta un'utopia senza la designazione del nemico», fino a che gli ebrei non rappresentarono il «nemico per eccellenza» designato dal nazismo. Al contempo, a differenza dei vecchi millenarismi medievali, il regime volle oscurare i riferimenti cristiani. Secondo Thibaud, la nuova visione del mondo hitleriana coincide con la teoria della razza, la quale «nella nuova apocalittica ha sostituito il cristianesimo». Inoltre, «l'odio antiebraico di Hitler aveva essenzialmente radici non cristiane», anche se, sostiene il filosofo, «l'antigiudaismo silenzioso» di tradizione cristiana restava iscritto come una traccia nelle mentalità ed «ha impedito alla Chiesa cattolica di opporsi frontalmente alla 'designazione' fatale degli ebrei come bersaglio la cui scelta identificava il movimento nazista». Nelle conclusioni, l'analisi lascia ampiamente il posto a riflessioni più personali anche ispirate dall'attualità. Già presidente dell'Amicizia giudeo-cristiana di Francia, Thibaud sostiene fra l'altro, riferendosi particolarmente al contesto francese, che «il pregiudizio in favore di una continuità lineare fra cristianesimo e nazismo è favorito dal desiderio che abbiamo di emendare il nostro passato». Ma un'altra risonanza di attualità del testo spicca nelle ultime ore. La tesi principale di Thibaud, ovvero la volontà nazista di «sovvertire il cristianesimo», pare quasi commentare i tristi ricordi giovanili evocati la settimana scorsa da Benedetto XVI davanti ai delegati della Congregazione mariana di Ratisbona: «Sembrava che il continente fosse nelle mani di questo potere che poneva in forse il futuro del cristianesimo», ha detto il Pontefice.
Fonte: Avvenire, 12/06/2011
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OMELIA XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO A - (Mt 13,24-43)
Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 17 luglio 2011)
Nel Vangelo di oggi, per descrivere il Regno dei Cieli, Gesù adopera tre parabole ricche di significato. La prima, quella del buon grano e della zizzania, ci fa comprendere il motivo della presenza del male accanto al bene. Il campo di cui parla il Vangelo è il mondo, e il buon grano seminato da Dio è il bene. Dio vuole solo il bene, e allora come spiegare la presenza del male? Gesù allora ricorre al paragone della zizzania seminata dal nemico di notte. La zizzania è una pianta che somiglia moltissimo a quella del grano, con la quale si confonde facilmente. Solo al momento della mietitura, quando ormai le spighe sono germogliate, si riesce a coglierne la differenza. Se viene raccolta con il grano e macinata, la zizzania contamina il pane che diventa nocivo. Nell'antichità, seminare zizzania in mezzo al grano era un caso frequente di vendetta personale. La legge romana puniva severamente una tale cattiveria. La parabola adoperata da Gesù è ricca di insegnamenti. Prima di tutto, il racconto dice che la zizzania è seminata di notte, mentre tutti dormivano. Questo particolare ci fa comprendere come, se compare la zizzania, ciò è dovuto al fatto che i buoni si sono addormentati, e il nemico, il diavolo, ha potuto agire indisturbato. Dove semina Dio, semina anche satana, ed è importante che ogni cristiano sappia che la lotta contro il male è continua, e che ovunque il nemico cercherà di seminare il male. Dobbiamo dunque vigilare, rimanere desti, e non lasciarci sorprendere dal sonno della nostra indolenza. Questa parabola ci insegna inoltre che, tante volte, è difficile distinguere il bene dal male. La zizzania è infatti molto simile al grano e solo al momento della mietitura si riesce a distinguere. Ciò indica che molte volte le tentazioni del maligno sono molto sottili e appaiono a noi come idee luminose. Ci vuole la grazia del discernimento per accorgersi degli inganni del maligno. Questa grazia del discernimento è data da Dio alla "guida spirituale" che ci conduce: obbedendo a lui certamente cammineremo per la strada giusta. Al contrario, se riterremo di non aver bisogno di questa "direzione spirituale", inevitabilmente cadremo in questi inganni. La parabola della zizzania e del buon grano ci insegna inoltre che il male continuerà ad operare nel mondo sino alla fine dei tempi, e ciò non deve essere per noi un motivo di scandalo. L'estirpazione totale della zizzania avverrà non su questa terra, ma dopo la morte, con il Giudizio. La mietitura di cui parla Gesù simboleggia proprio il Giudizio, per mezzo del quale ci sarà la netta distinzione: i buoni andranno in Paradiso, i malvagi all'inferno. Bisogna aspettare questa fine, perché, fino all'ultimo momento, il malvagio si può convertire. Il Signore, nella sua bontà, gli concede tempo e attende il suo ravvedimento; ma, con la morte, non vi sarà più altro tempo, e ciascuno avrà la giusta retribuzione. Gesù passa poi ad un'altra parabola, quella del granello di senape. Questo granello è il più piccolo di tutti i semi, ma una volta cresciuto, diventa un albero. Il granello di senape simboleggia la diffusione della Chiesa: da inizi estremamente modesti si diffonde in tutto il mondo e accoglie tra i suoi rami genti di tutte le condizioni. Questo è lo stile di Dio: Egli si serve sempre di inizi umili e silenziosi. Il Figlio di Dio si è fatto uomo e ha voluto nascere nel nascondimento di Betlemme per insegnare a noi questa logica dell'umiltà. Le vie di Dio sono sempre contrassegnate dalla semplicità e dalla croce. Così è il bene che si diffonde nel mondo: esso non fa rumore, ma, giorno dopo giorno, cresce e si sviluppa. Come fa più rumore un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce; così fa più notizia il malvagio che opera il male, piuttosto che tante anime buone che, giorno dopo giorno, si santificano nel silenzio. Infine, Gesù propone un'altra parabola, desunta dall'esperienza della vita domestica, quella del lievito che fa fermentare l'impasto. Pensiamo a quante volte Gesù avrà visto la Madre sua impastare il pane e cuocerlo al forno. Un'azione normalissima, di ogni giorno, che racchiude in sé un insegnamento molto profondo. Il Vangelo è pieno di questi paragoni semplici tratti dalla vita di ogni giorno e alla portata di tutti, affinché tutti possano comprendere la sapienza del Vangelo. Possiamo ben dire che Gesù abbia preparato la predicazione del Vangelo nei trent'anni di vita nascosta condotti da Lui a Nazareth, sottomesso a Maria e a Giuseppe. Se non si comprende il valore di questa vita nascosta, non si riuscirà nemmeno a comprendere la profondità del suo insegnamento. Ma torniamo alla parabola di Gesù: come il lievito fermenta e pervade a poco a poco tutta la massa, allo stesso modo la Chiesa è chiamata a convertire tutti i popoli. Il lievito simboleggia anche ogni cristiano. Vivendo il mezzo al mondo, senza perdere la sua identità, il cristiano è chiamato a fermentare con il suo esempio la società che lo circonda e a trasformarla. Il motivo della lontananza da Dio del mondo d'oggi è da ricercarsi nel fatto che noi cristiani non siamo stati "lievito", non siamo riusciti a condurre il mondo a Gesù Cristo e, forse, ci siamo mondanizzati. Saremo lievito se saremo autentici cristiani, se saremo fedeli al Vangelo e agli insegnamenti della Chiesa. Gesù si è servito di questo piccolo paragone del lievito per farci comprendere che basta un piccolo gruppo di cristiani ferventi per estendere il Regno dei Cieli nel mondo intero. Così fu degli Apostoli, di dodici semplici pescatori, senza istruzione, animati solo da un grande amore per Gesù e per i fratelli da salvare. Così sarà anche di noi, se nel nostro cuore arderà il fuoco dell'amor di Dio.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 17 luglio 2011)
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