BastaBugie n�213 del 07 ottobre 2011

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1 IN AUMENTO I RAPPORTI SESSUALI CON ANIMALI
Gli animalisti, anziché sdegnarsi per la perversione in sé, creano un telefono arancione per denunciare gli abusi sessuali degli uomini sugli animali
Fonte: Corrispondenza Romana
2 MEGLIO MALEDUCATI CHE EDUCATI DAGLI STATI: I GUASTI DEL TOTALITARISMO PEDAGOGICO
Il ministro francese dell'educazione nazionale ci fa tornare in mente le peggiori dittature: chi decide i valori imposti per legge?
Autore: Camillo Langone - Fonte: Libero
3 GLI SPOT DEL MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE MARCHIANO COME PARASSITA CHI NON PAGA LE TASSE
Ma l'italiano può chiedersi: il 50 x cento di quello che guadagno sudando, in cosa lo spende lo Stato? Ad esempio in aborti (quasi mezzo milione di euro al giorno!!!) e allora chi è il vero parassita che impedisce alla società di crescere e svilupparsi?
Autore: Alfredo De Matteo - Fonte: Corrispondenza Romana
4 LA REPUBBLICA SI COPRE DI RIDICOLO E INVOCA LA SCOMUNICA DI BERLUSCONI: MA SE LA CHIESA SCOMUNICASSE I PECCATORI SAREMMO TUTTI FUORI
Che adesso a bacchettare i festini con prostitute sia il giornale alfiere dell'aborto, della Ru 486, dell'eutanasia, della diagnosi preimpianto, è esilarante fino alle lacrime
Autore: Costanza Miriano - Fonte: www.costanzamiriano.wordpress.com
5 APERTURA ALLE COPPIE GAY: I VALDESI VERSO LO SCISMA
Dovunque nelle comunità protestanti s'impongono lobby favorevoli ai matrimoni omosessuali si scatena l'applauso di televisioni e giornali laicisti, ma si scatena anche il dissenso dei comuni fedeli, molti dei quali tornano alla Chiesa Cattolica
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Bussola Quotidiana
6 L'AVVENIRE DELLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE
Scandaloso: il quotidiano della CEI esalta la fecondazione artificiale con congelamento di ovociti con toni trionfali
Fonte: Comitato Verità e Vita
7 DUE VESCOVI STATUNITENSI DICONO STOP ALLE CHIERICHETTE... E LE VOCAZIONI FIORISCONO!
Il servizio dei giovani all'altare ha radici antiche nella Storia della Chiesa per formare i ragazzi al sacerdozio
Fonte: Messainlatino.it
8 LA BELLA ADDORMENTATA: UN LIBRO CHE FARA' DISCUTERE
Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi e perché si risveglierà
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Riscossa Cristiana
9 IL SACRO GRAAL SI TROVA A VALENCIA, IN SPAGNA, E SUPERA LE PROVE DELLA STORIA E DELLA SCIENZA
Il calice di Gesù nell'Ultima Cena si considerava perduto nel Medioevo perché la Spagna era dominata dagli islamici e chi sapeva taceva
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Bussola Quotidiana
10 I MILLE TENTACOLI DEL PARTITO RADICALE: UNA LISTA INFINITA DI ISCRITTI
Franco Battiato, Giorgio Albertazzi, Tinto Brass, Francesco De Gregori, Edoardo Bennato, Dario Argento, Pippo Baudo, Liliana Cavani, Licia Colò, Luciano De Crescenzo, Marco Columbro, Loretta Goggi, Francesco Guccini, Sabina Guzzanti, Nino Manfredi, Michele Mirabella, Alba Parietti, Maurizio Costanzo, Ornella Vanoni, Luca Barbareschi, Gigi Proietti, Milva, Andrea Bocelli, Vittorio Gassman, Paolo Villaggio, Renato Zero, Renato Pozzetto, Renzo Arbore, Ennio Morricone, Corrado Guzzanti, Alberto Lattuada, Gianni Minoli, Sergio Castellito, Oliviero Toscani, Stefano Rodotà, Eugenio Scalfari, Gianni Vattimo, Eugenio Montale, Pier Paolo Pasolini, Domenico Modugno, Ilona Staller (in arte Cicciolina), ecc. ecc. ecc.
Autore: Danilo Quinto - Fonte: La Bussola Quotidiana
11 OMELIA XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO A - (Mt 22,1-14)
Il regno dei cieli è simile a un re che fece una festa di nozze per suo figlio
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - IN AUMENTO I RAPPORTI SESSUALI CON ANIMALI
Gli animalisti, anziché sdegnarsi per la perversione in sé, creano un telefono arancione per denunciare gli abusi sessuali degli uomini sugli animali
Fonte Corrispondenza Romana, 01/10/2011

La notizia è di quelle che fanno rabbrividire: sembra essere in netto aumento la pratica dei rapporti sessuali con animali, al punto che il fatturato derivante da siti internet, video hard e film a pagamento si aggira intorno ai 50 milioni di euro l'anno. Ogni anno appaiono sui siti online circa 4.000 annunci di persone che cercano ed offrono sesso a pagamento con animali e ben 15.000 siti pornografici offrono materiale scaricabile. Addirittura, assieme agli animali sono spesso coinvolti dei bambini costretti a partecipare al gioco erotico. Questa è la sconcertante realtà fotografata dall'Aidaa (Associazione Italiana Difesa Animali e Ambiente) che ha annunciato la nascita di un telefono arancione per denunciare gli abusi sessuali degli umani sugli animali (sic!).
Davvero sorprendente la faccia tosta degli animalisti che anziché sdegnarsi per il fatto in sé rivendicano ancora una volta i pseudo diritti degli animali e ne denunciano la violazione. Eppure, a ben vedere, la pratica abominevole del rapporto sessuale con le bestie è l'ennesima logica conseguenza di un insieme di assunti filosofici propagandati e fatti propri dagli stessi "amanti degli animali". Come abbiamo già avuto modo di mettere in luce in altre occasioni, la negazione della diversa dignità delle creature e dunque della radicale diversità tra l'uomo e l'animale conduce all'appiattimento delle differenze e dunque ad un pericolosissimo ed innaturale avvicinamento.
Oggigiorno nessuno più si scandalizza del fatto che un animale domestico venga trattato alla stessa stregua di un figlio, di un amico o di un parente stretto, al punto che è tacita l'accettazione della presunta normalità di scelte di vita che tendono a privilegiare il rapporto con gli animali piuttosto che con gli uomini: single e coppie che decidono di non avere figli per sostituirli con uno o più animali domestici e riversare su di loro buona parte di quelle attenzioni e di quell'affetto che è dovuto solo agli esseri umani (non sono così rari gli episodi di persone che nominano come eredi del loro patrimonio il cane o il gatto...). Dunque, se non v'è differenza alcuna tra l'uomo e l'animale (anche dal punto di vista dei diritti) qualunque tipo di prossimità affettiva e psicologica è implicitamente incoraggiata, perciò anche quella che li vede come partner sessuali.
È lo stesso presidente nazionale di Aidaa ad ammetterlo: «vi sono molte persone che ritengono che fare sesso con il proprio animale domestico sia lecito». Se consideriamo inoltre che la sfera sessuale è considerata un ambito dove poter dare libero sfogo ad ogni sorta di impulso o fantasia e che l'etica e la morale o non esistono oppure sono il frutto della sensibilità individuale o culturale, il cerchio si chiude e l'uomo diventa succube dei piaceri più torbidi e nauseabondi. D'altra parte, è la stessa società a veicolare messaggi ambigui attraverso delle pubblicità che tendono subdolamente ad abbattere qualunque barriera, anche quella che separa l'uomo dall'animale: su tutte quelle scaturite dalla fantasia perversa dello pseudo artista Oliviero Toscani, il quale non è nuovo a tali performance. Infatti, oltre alla pubblicità di qualche tempo fa che ritraeva uomini e donne nudi con la testa di animali, è di questi giorni quella di uomini muscolosi sempre nudi e con la testa di animali che sostengono, come in una sorta di balletto, una donna avvenente e sensuale che sembra abbandonarsi al branco di uomini-animali.
Pertanto, il fenomeno della zoorastia è l'ennesima dimostrazione che l'uomo senza Dio e regole morali si abbrutisce a tal punto da compiere le più ributtanti azioni.

Fonte: Corrispondenza Romana, 01/10/2011

2 - MEGLIO MALEDUCATI CHE EDUCATI DAGLI STATI: I GUASTI DEL TOTALITARISMO PEDAGOGICO
Il ministro francese dell'educazione nazionale ci fa tornare in mente le peggiori dittature: chi decide i valori imposti per legge?
Autore: Camillo Langone - Fonte: Libero, 01/09/2011

Meglio maleducati che educati dagli Stati. È ancora fresca la notizia del turista italiano che ha trascorso tre notti in cella a Stoccolma per aver osato dare uno schiaffo al figlio capriccioso. Fresca ma già superata: in Francia e in Svizzera lo Stato non vuole impedire ai genitori di educare i figli con le cattive, vuole impedire di educarli anche con le buone. Avanza un totalitarismo pedagogico che sottrae i bambini alle famiglie perché siano plasmati da insegnanti pubblici secondo programmi ideologici e alla moda.
Il ministro francese dell'educazione nazionale, che già basta la definizione per ricordarsi di Orwell, se non proprio di Mussolini o Stalin, ha dichiarato: «Farò tornare la morale a scuola». Detta cosi può sembrare una cosa giusta, sarebbe stato più immediatamente preoccupante se avesse affermato di voler diffondere tra i banchi l'immoralità.
Ma il diavolo come sempre si annida nei dettagli: «Poco importa il metodo, purché il professore trasmetta un certo numero di valori». A parte l'indifferenza tipicamente machiavellica nei confronti dei mezzi, a colpire è la confusione sui fini Quali saranno mai questi benedetti valori in una società fieramente laica ergo atea come quella francese? Se non sono ricavati dal Decalogo, da quale testo verranno estratti? All'uopo si organizzeranno sondaggi, consultazioni, comitati? E si deciderà a maggioranza? E i valori della minoranza che fine faranno?
Tempo addietro proprio un francese, anzi il massimo scrittore francese (Michel Houellebecq), ha definito «valori superiori, la cui scomparsa costituirebbe una tragedia» l'altruismo, l'amore, la compassione, la fedeltà, la dolcezza: una bella panoramica su cui tutti o quasi tutti, francesi e pure italiani, si direbbero d'accordo. Molti però cambierebbero idea qualora si precisasse il significato delle parole. Non credo proprio, ad esempio, che l'altruismo sia compatibile con l'aborto: nessuno, neanche Emma Bonino, può spingersi a definire l'uccisione dì un feto un grande atto di generosità. L'aborto ha tante ragioni, tante motivazioni: l'altruismo però no.
E la fedeltà? In una repubblica il cui presidente ha avuto tre mogli? L'ultima della quali si chiama Carla Bruni, sì, proprio lei, l'avvenente teorica della coppia aperta, apertissima, spalancata: «La fedeltà è una forma di pazzia».
Ecco, se fossi in quel ministro, e ci tenessi alla poltrona, lascerei perdere anche il valore-fedeltà. Se la pedagogia pubblica francese risulta poco chiara, quella svizzera lo è anche troppo. A partire dal nuovo anno scolastico, ai bambini degli asili di Basilea verranno impartite lezioni con una Sex Box, una scatola del sesso piena di oggettini erotici, affinchè imparino quanto sia piacevole toccarsi. No, non è uno scherzo di cattivo gusto e anche qui c'è in ballo un ministro dell'educazione che però stavolta non è nazionale, è cantonale.
Che dopo le reazioni furibonde dei genitori abbia intuito di aver preso una cantonata? Manco per idea: «Ci atterremo al nostro obiettivo: far capire ai bambini che la sessualità è qualcosa di naturale». Nessuna possibilità di esenzione, magari l'educazione religiosa è facoltativa ma quella sessuale è obbligatoria. Io piuttosto renderei obbligatorio (ma non per i bambini, per gli insegnanti) Io studio dell'opera di Milosz, lo scrittore polacco Nobel per la letteratura che aveva capito tutto: «L'abbattimento di ogni barriera in questa nostra società permissiva si riduce essenzialmente al dominio del sesso».
Grazie alla magica scatoletta, inno alla masturbazione precoce, i bambini di Basilea già a cinque anni verranno consegnati al dominio dei propri istinti sessuali mentre i genitori verranno confinati in una totale, umiliante impotenza educativa. Potranno solo pregare affinchè si realizzi il Vangelo di Marco: «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare».
A Basilea il mare non c'è ma fa lo stesso, anche il fiume Reno è abbastanza profondo.

Fonte: Libero, 01/09/2011

3 - GLI SPOT DEL MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE MARCHIANO COME PARASSITA CHI NON PAGA LE TASSE
Ma l'italiano può chiedersi: il 50 x cento di quello che guadagno sudando, in cosa lo spende lo Stato? Ad esempio in aborti (quasi mezzo milione di euro al giorno!!!) e allora chi è il vero parassita che impedisce alla società di crescere e svilupparsi?
Autore: Alfredo De Matteo - Fonte: Corrispondenza Romana, 01/10/2011

Il Ministero dell'Economia e l'Agenzia delle Entrate hanno commissionato la produzione di una campagna contro l'evasione fiscale che prevede la messa in onda di spot televisivi, comunicati radio e affissioni nelle stazioni ferroviarie e negli aeroporti di Roma e Milano, a partire dal mese di agosto fino a tutto settembre. Lo slogan di uno dei messaggi ideati vuole far passare il concetto che senza entrate non è possibile fornire servizi pubblici e recita così: «Se tutti pagano le tasse le tasse ripagano tutti». Gli spot televisivi puntano invece sulla metafora del parassita: il video inizia col mostrare in sequenza fotografica l'immagine di alcuni parassiti animali (quelli dei ruminanti, del legno, dei pesci, dei cani, dell'intestino) per poi concludere con quella di un parassita della società, ossia di un evasore fiscale. Il messaggio si chiude con l'esortazione a chiedere sempre il rilascio dello scontrino o della ricevuta fiscale.
Tale campagna pubblicitaria, che ha come obiettivo di "stanare" e mettere all'indice i furbi (o presunti tali) con la speranza di recuperare parte dei soldi evasi, ci sembra sgradevole, fomentatrice dell'odio sociale e, soprattutto, molto ipocrita. Innanzitutto, c'è da dire che la pressione fiscale per essere equa (e sostenibile) non deve andare oltre una certa percentuale del reddito mentre lo Stato toglie al contribuente in media il 48,6% del suo guadagno; così facendo "strozza" il cittadino e gli impedisce di vivere convenientemente. In secondo luogo, sarebbe opportuno analizzare meglio e più in profondità il motivo per cui lo Stato abbisogna di entrate sempre più cospicue, ossia in quale modo lo Stato amministra i soldi pubblici e, conseguentemente, quali servizi rende ai cittadini. Non ci soffermeremo sulla carenza e la precarietà, che pur sussiste, di molti servizi di pubblica utilità come i trasporti, l'assistenza sanitaria, l'istruzione e via dicendo, bensì sullo sperpero di montagne di denaro utilizzato per erogare servizi non solamente inutili e costosi ma soprattutto dannosi e immorali e che servono solamente a soddisfare le richieste di una cerchia molto ristretta di persone: ci riferiamo soprattutto all'odiosa pratica dell'aborto legalizzato e ai tentativi di rendere normale l'omosessualità.
Dall'entrata in vigore (1978) della criminale legge 194 i cittadini italiani pagano di tasca loro l'uccisione cruenta dei bambini nel grembo materno e mai nessun governo fino ad ora ha mai osato mettere in agenda quantomeno l'eventuale taglio della spesa pubblica con la quale si finanzia il genocidio dei non nati. Si richiedono sforzi economici da parte di tutti per affrontare il difficile momento di crisi attraverso contributi di solidarietà, prelievi straordinari e balzelli di ogni tipo, eppure il presunto diritto di uccidere l'innocente a spese della collettività non può venire meno, nemmeno in parte. Proviamo a fare qualche calcolo: ogni aborto costa in media 1.300 euro e grazie alla legge 194 ogni giorno, solo in Italia, vengono effettuate circa 315 interruzioni di gravidanza con un costo giornaliero di circa 410.000 euro e annuo di circa 149.650.000 euro. Se prendiamo in considerazione il trentennio di applicazione della norma con i suoi 5 milioni di aborti arriviamo alla cifra astronomica di 6.500.000.000; tutti soldi dei contribuenti utilizzati indebitamente dallo Stato che con la ratifica di leggi inique e contrarie alla legge naturale perde la sua autorità e legittimità morale e si trasforma in una entità oppressiva e malvagia.
Che dire poi della vergognosa attenzione del mondo politico e istituzionale nei confronti dell'ideologia del gender? Nel corso degli ultimi anni si sono susseguiti numerosi i tentativi di introdurre nell'ordinamento giuridico il reato di omofobia, grazie a Dio tutti falliti; tuttavia, il Parlamento è stato più volte impegnato nella discussione di un argomento che non interessa a nessuno tranne che ai pervertiti delle aule parlamentari e della società e agli opportunisti di mestiere. E chi paga il conto? Noi, naturalmente. E i soldi pubblici spesi da Comuni e Regioni per sponsorizzare numeri verdi per gay, lesbiche e trans e per accogliere con riverenza politicamente corretta le sfilate oscene degli omosessualisti? Sempre noi!
Dunque, valanghe di soldi buttati al vento per finanziare l'immoralità e la perversione nonché per attentare alla salute pubblica e sperperare così altro denaro. Infatti, come è ampiamente documentato la cosiddetta "sindrome post aborto" è molto diffusa tra le donne che hanno fatto ricorso all'Ivg e si manifesta con sintomi psichiatrici molto rilevanti e duraturi: ansia cronica, forti stati depressi, tendenze suicide, propensione all'alcolismo e alla tossicodipendenza. Tutto ciò si ripercuote sulle casse dello Stato togliendo risorse altrimenti impiegabili. D'altra parte, la stessa diffusione del comportamento omosessuale espone soprattutto gli adolescenti all'Aids e ad altre malattie sessualmente trasmissibili con perdite esorbitanti in termini di vite umane e di risorse.
Pertanto, chi è il vero parassita che impedisce alla società di crescere e svilupparsi?

Fonte: Corrispondenza Romana, 01/10/2011

4 - LA REPUBBLICA SI COPRE DI RIDICOLO E INVOCA LA SCOMUNICA DI BERLUSCONI: MA SE LA CHIESA SCOMUNICASSE I PECCATORI SAREMMO TUTTI FUORI
Che adesso a bacchettare i festini con prostitute sia il giornale alfiere dell'aborto, della Ru 486, dell'eutanasia, della diagnosi preimpianto, è esilarante fino alle lacrime
Autore: Costanza Miriano - Fonte: www.costanzamiriano.wordpress.com, 28/09/2011

Siamo ogni giorno tra i due e i tremila contatti, qualche volta persino di più. Ho calcolato che se mettiamo un centesimo per uno glielo compriamo un bel catechismo per i fanciulli, a quelli di Repubblica. Basta la riduzione della Cei, quelle tipo Lasciate che i bambini vengano a me. Qualche piccolo rudimento per la prima comunione, con le figure, a colori. Barbara Spinelli secondo me potrebbe trarne gran giovamento. Anche Eugenio Scalfari, peraltro. Un po' tutti. Dalle omelie del sedicente cattolico Vito Mancuso ormai non è che si ricavino più grandi spunti. Tra parentesi: se si sedicesse ateo chi se lo filerebbe? Fa i suoi miniscandalini solo perché si etichetta cattolico, ma uno che non crede alla risurrezione del corpo come fatto storico avvenuto e come destino ultimo nostro, io non saprei come chiamarlo. Un timido occhialuto signore che ha inventato una nuova religione. Come dice San Paolo "se Cristo non è risorto è vana la nostra fede". Più coloritamente il mio parroco traduceva "e sennò io che sto a fa' di qui? Il bucciotto?"
Comunque, torniamo alla nostra colletta. Da una semplice, agile edizione del catechismo dei fanciulli i colleghi di Repubblica potrebbero apprendere tante utili notiziole che sembrano sfuggire loro. Tipo che se la Chiesa scomunicasse i peccatori saremmo tutti fuori. Tipo che noi abbiamo bisogno di Cristo proprio perché siamo peccatori, e il peccato la Chiesa lo indica con forza, ma i peccatori li abbraccia con amore.
Ogni giorno da quel giornale sfoderano opinioni completamente strampalate sulla condotta che il Papa dovrebbe seguire. Abbiamo capito che non credono, né vedono in lui il dolce Cristo in terra. Legittimo. Allora: che vogliono da lui? Io non mi sognerei mai minimamente di esprimere opinioni sul discorso di un rabbino capo, o del Dalai Lama. Non so niente della loro fede e non mi interessa sapere (cioè, sarebbe anche bello, ma prima devo colmare quelle sei o settecento voragini culturali che vengono avanti nella mia personale graduatoria). Per me possono dire quello che vogliono, io tanto non li ascolto.
Ma quelli di Rep non trovano niente di più interessante di cui occuparsi? Perché non danno l'ampio spazio che meritano anche nella versione cartacea alle ginocchia cellulitiche di Elle Mac Pherson (precedentemente nota come The body, e son soddisfazioni) o alla dieta post parto di Posh Spice? Perché invece un ventaglio di questi servizi non manca mai nella versione online, ottima arricchente lettura durante la pausa panino (in quale altro modo potrei sapere che il sedere di Kim Kardashian è tutto vero?).
Ma che gliene frega di quello che dice il Papa? (Salvo aprire la prima pagina con la prolusione di Bagnasco, improvvisamente diventato un faro di pensiero). Basta non leggere, cambiare canale quando compare quel mite signore dai capelli bianchi.
E non ritiriamo fuori la ridicola storia delle ingerenze della Chiesa nella vita pubblica. Siamo un piccolo, piccolissimo gregge. E di questo piccolo gregge quelli che veramente si fanno mettere in crisi dalle posizioni del Papa su qualsivoglia argomento sono ancora meno. Non ce la vedo proprio la Spinelli che prima di decidere qualcosa sfoglia ansiosa i documenti della Chiesa, cercando con l'indice tremante una parola decisiva del Pontefice sulla sua esistenza.
E' talmente chiaro che l'autorità del soglio pontificio viene tirata in ballo solo quando serve a qualche altro gioco di equilibri, mai e poi mai con la sincera volontà di ascoltare.
Io mai mi permetterei di dire a Scalfari cosa deve scrivere. Semplicemente evito di comprare, con enorme soddisfazione, il suo giornale (pur con rammarico per certe buone penne dello sport, come Gianni Clerici ed Emanuela Audisio).
Se a questo punto qualcuno ritira fuori la storia dell'Ici mi infliggo una morte lenta e dolorosa – fissare per giorni e giorni un enorme salame senza poterlo mangiare – pur di non sentire più niente del genere.
Dire che il Papa dovrebbe scomunicare Berlusconi perché avrebbe fatto (io sono una giornalista scarsa ma onesta, e quando serve lo uso, il condizionale) dei festini a luci rosse è una tale castroneria, aiutatemi a dire castroneria, che non trovo neanche le parole (soprattutto non volendo sfruttare il bonus della parolaccia annuale che mi hanno concesso i figli).
Lungi da me l'intenzione di difendere quella condotta: ho scritto un libro in difesa del matrimonio, figuriamoci. Noi cristiani sappiamo benissimo dove è il giusto, ma sappiamo altrettanto bene che non riusciamo a farlo. A questo è servito il sacrificio dell'Agnello che si è preso su di sé tutti i nostri peccati.
I non credenti invece hanno bisogno di pensare di poter essere buoni da soli, di essere autosufficienti e autodeterminabili in tutte le condotte. E a proposito di autodeterminazione, che adesso a bacchettare festini con prostitute sia il giornale alfiere dell'aborto, della Ru 486, dell'eutanasia, della diagnosi preimpianto, e che proprio quello chieda una scomunica per qualcuno è esilarante fino alle lacrime.
Io personalmente so benissimo che se qualcuno mi viene a fare le pulci le trova, e tante. Però so anche che la Chiesa non permette niente ma perdona tutto. Il mondo invece permette tutto ma non perdona niente (non è mia). La misericordia non è una logica di questo mondo.
Infine, dopo la colletta per il catechismo, invito a pregare per Umberto Eco, perché finalmente abbia i due o tre premi Nobel che si merita, i sette o otto Pulitzer, i quindici Oscar, le trentadue medaglie olimpiche. Se a lui quel genio di Ratzinger sembra un ragazzo della scuola dell'obbligo non posso immaginare che tripudio di nerboruti neuroni abbia in circolazione. Preghiamo quindi perché abbia i riconoscimenti che merita. Non preghiamo per la sua conversione, invece. Perché dire che Eco non crede in Dio non è esatto. Vede in Lui delle potenzialità. Pensa che possa migliorare.

DOSSIER "SILVIO BERLUSCONI"
La politica, il calcio, le donne e le televisioni

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Fonte: www.costanzamiriano.wordpress.com, 28/09/2011

5 - APERTURA ALLE COPPIE GAY: I VALDESI VERSO LO SCISMA
Dovunque nelle comunità protestanti s'impongono lobby favorevoli ai matrimoni omosessuali si scatena l'applauso di televisioni e giornali laicisti, ma si scatena anche il dissenso dei comuni fedeli, molti dei quali tornano alla Chiesa Cattolica
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Bussola Quotidiana, 25/08/2011

I delegati del Sinodo Valdese che si conclude venerdì 26 agosto a Torre Pellice hanno avuto una sorpresa. Aprendo il settimanale cattolico di Pinerolo, molto letto nelle valli valdesi, L'Eco del Chisone, si sono trovati un annuncio a pagamento dove un gruppo di valdesi, sostenuti da altri protestanti, contestano l'atteggiamento dei loro vertici in tema di benedizione alle coppie omosessuali. Una noticina finale informa che il settimanale Riforma, organo semiufficiale dei protestanti italiani, ha rifiutato di pubblicare l'annuncio. È paradossale che un giornale protestante rifiuti di dare spazio a chi - in conformità all'etimologia stessa del nome dei protestanti - «protesta», e che ci si debba rivolgere a una pubblicazione cattolica. Sarebbe come se a Martin Lutero (1483-1497) per affiggere le sue tesi venisse rifiutato il portale della cattedrale di Wittenberg, e il famoso foglio con le tesi trovasse invece ospitalità in San Pietro a Roma.
Tanto più che il dissenso - che ha trovato un punto di coagulo nel sito valdesi.eu, tra i cui sostenitori c'è il senatore valdese del PDL Lucio Malan - è diffuso: non solo nel mondo valdese, ma tra le comunità etniche d'immigrati che pregano nelle chiese valdesi e tra i protestanti di altre denominazioni, anche se ufficialmente alcune autorità di Torre Pellice minimizzano e attribuiscono le critiche ai soli pentecostali. Di che si tratta? Nell'aprile 2010 il pastore Alessandro Esposito di Trapani benedice l'unione fra due donne omosessuali tedesche - tra l'altro, neppure valdesi, giacché si tratta di una pastora luterana e della sua compagna - e ne nasce una polemica. Scende in campo la pastora Letizia Tomassone, che afferma di avere già celebrato più volte analoghe benedizioni. Alcuni contestano: ne nasce un appello al Sinodo previsto per l'agosto 2010, dove si segnala anche che gli stessi pastori favorevoli alla benedizione delle unioni omosessuali talora si allontanano pesantemente dalla teologia valdese tradizionale, negando addirittura la divinità di Gesù Cristo. Alcuni degli stessi dissidenti lamentano lo schieramento politico a senso unico della dirigenza valdese con la Sinistra, mentre altri protestanti sono perplessi sullo schieramento entusiasta degli stessi dirigenti in favore di un testamento biologico che preveda la possibilità di rinunciare all'alimentazione e all'idratazione.
Il Sinodo del 2010 sulle unioni omosessuali lascia alle singole comunità libertà di scelta, ma mostra chiaramente simpatia per chi ha benedetto le coppie gay, affidando alla pastora Tomassone nella sua Facoltà di Teologia una cattedra che è intitolata - un certo gergo progressista è più o meno uguale in tutte le comunità cristiane - «Teologia pastorale ed esercizio dei ministeri nella chiesa, con particolare enfasi sulla problematica di generi e ministeri e prassi pastorale e tematiche di genere». Si moltiplicano anche gli attacchi al sito valdesi.eu, accusato di servirsi di Internet per creare una sorta di gerarchia parallela a quella ufficiale di Torre Pellice.
Il 26 giugno 2011, con notevole copertura mediatica nazionale, un esponente valdese di spicco, il pastore Giuseppe Platone, benedice a Milano l'unione di due omosessuali, il valdese Guido e il battista Ciro. Platone è poi nominato presidente del Sinodo del 2011, che per la prima volta da secoli si svolge a porte chiuse. La questione della benedizione di unioni di fatto non omosessuali è rinviata, con soddisfazione di alcuni dei dissidenti. Ma sulle coppie omosessuali non c'è nessun passo indietro. Anzi, continuano gli attacchi a chi protesta dopo che la moderatrice delle comunità valdesi e metodiste italiane, la pastora Maria Bonafede, ha spiegato a Riforma che per lei «questa accoglienza [delle coppie omosessuali attraverso la benedizione] piena, senza remore e incertezze è biblica al cento per cento: di questo sono pienamente convinta, perché Gesù ha cercato, trovato e accolto chi era escluso, bandito e giudicato dalle forme religiose del suo tempo e dalla società, ha pranzato con coloro che erano reputati pubblici peccatori e peccatrici, ha incontrato, ascoltato gli uomini e le donne che nessuno voleva ascoltare, nemmeno i suoi discepoli e che tutti giudicavano».
Che un quotidiano cattolico dia spazio a un problema interno dei valdesi potrebbe sembrare un'indebita interferenza nei fatti di casa altrui. Ma in realtà il problema è di tutti, e ha una duplice dimensione, teologica e sociologica. Per il cattolico fedele al Magistero il problema non si pone e la pastora Bonafede ha senz'altro torto: qualunque riconoscimento pubblico, da parte dello Stato o della Chiesa, delle unioni omosessuali è illegittimo e contrario - come ha ribadito tante volte Benedetto XVI - sia all'insegnamento di Gesù Cristo sia al diritto naturale. Per chi s'interessa agli scenari sociologici del cristianesimo contemporaneo c'è però anche un altro commento da fare. Dovunque nelle comunità cristiane s'impongono lobby favorevoli alle unioni - e dopo qualche esitazione ai "matrimoni" - omosessuali si scatena l'applauso dei media laicisti, ma si scatena anche il dissenso dei comuni fedeli, molti dei quali protestano e se ne vanno. È quanto succede in modo massiccio e clamoroso nella Comunione Anglicana, in tante altre comunità protestanti e anche in qualche gruppuscolo del dissenso cattolico. I valdesi sono tenuti insieme da una storia comune, spesso tragica, che rende da sempre chi dissente riluttante allo scisma. Ma c'è un limite oltre il quale anche la storia comune non basta.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 25/08/2011

6 - L'AVVENIRE DELLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE
Scandaloso: il quotidiano della CEI esalta la fecondazione artificiale con congelamento di ovociti con toni trionfali
Fonte Comitato Verità e Vita, 29/09/2011

"Incinta dopo tumore grazie a ovuli congelati". Questo il titolo che campeggiava l'altro giorno (27 settembre 2011) sulle pagine del quotidiano della Conferenza Episcopale. Senza formulare alcun commento critico, Avvenire ha dato ampio risalto a quanto accaduto a Bologna, dove una donna è riuscita ad avere una gravidanza dopo essere guarita da un cancro al seno.
Sembrerebbe una bella storia, se non fosse che il lieto evento è stato raggiunto con le tecniche di fecondazione artificiale, producendo embrioni in vitro. Dettaglio che non ha turbato Avvenire, che anzi ha parlato di "un altro successo delle tecniche di procreazione assistita" che "dà nuove speranze di diventare madri a migliaia di donne che superano il tumore al seno e cure che spesso rendono sterili".
Queste "nuove speranza" passano attraverso la provetta, come spiega Eleonora Porcu, responsabile del centro di cura della sterilità all'ospedale Sant'Orsola-Malpighi di Bologna. Porcu, cattolica, allieva del professor Flamigni, è una figura di spicco di Scienza e Vita , di cui è uno dei soci fondatori.
Racconta Elena Porcu: "Scongelammo quattro ovociti e ottenemmo tre embrioni che trasferimmo nel grembo della mamma. Dopo 12 giorni gli esami rivelarono che uno di questi embrioni stava crescendo. La gravidanza era in corso. Mamma e papà sono felici".
Avvenire riferisce questo quadretto idilliaco senza colpo ferire, e i lettori sono autorizzati a pensare che la provetta secondo il "rito bolognese" sia buona e giusta. Nessun cenno al fatto che, per un embrione che "sta crescendo", almeno due siano morti. La Congregazione per la dottrina della fede, nel documento Dignitas Personae (2008), al n. 15, ha affermato che questa mortalità di embrioni connessa all'uso della provetta non è paragonabile all'aborto spontaneo, e che queste morti costituiscono un grave motivo di censura morale alle tecniche di fecondazione artificiale perché  sono previste e volute. Inoltre, è evidente che la produzione di una pluralità di embrioni per ottenere un "bambino in braccio" rivela un uso strumentale degli esseri umani concepiti.
Il fatto che il quotidiano cattolico abbia parlato in questi termini della produzione di esseri umani in provetta non è passata inosservata: il bioeticista Maurizio Mori sull'Unità (28 settembre 2011) ha salutato con soddisfazione il fatto che, finalmente, i cattolici accettano il congelamento di ovociti e il ricorso alla provetta.
In effetti, l'articolo di Avvenire ha del clamoroso. Esso certifica il processo di slittamento di una parte importante del mondo cattolico verso la legittimazione della fecondazione artificiale, purché attuata secondo una qualche forma di male minore. Nel caso specifico, Avvenire celebra il congelamento degli ovociti, che permette di evitare il congelamento di embrioni. Il cosiddetto "male minore" diventa un bene, e coloro che lo attuano diventano un modello da imitare. Il criterio di giudizio non è più rappresentato dalla legge morale naturale, o dal Magistero, ma dalla legge 40 del 2004: se una tecnica è conforme al dettato legale, allora è automaticamente buona e fonte di "nuove speranze".
Senza dimenticare che le tecniche di fecondazione artificiale comportano la sostituzione dell'atto coniugale con un procedimento tecnico, e portano all'esistenza esseri umani che si trovano fuori dall'unico luogo in cui un embrione dovrebbe trovarsi: il corpo della madre.
Verità e Vita sta denunciando da anni il clima di legittimazione della fecondazione artificiale che si sta diffondendo in un mondo cattolico sempre più appiattito sulla legge 40, e sempre più interessato a trovare una "via cattolica" alla provetta, che magari serva anche a legittimare il ricorso alla fivet in ospedali e cliniche cattoliche. Ancora una volta Verità e Vita lancia un appello pubblico affinché chi può intervenga quanto prima per fare chiarezza: i cattolici si meritano qualche cosa di meglio che l'apologia del male minore.

Fonte: Comitato Verità e Vita, 29/09/2011

7 - DUE VESCOVI STATUNITENSI DICONO STOP ALLE CHIERICHETTE... E LE VOCAZIONI FIORISCONO!
Il servizio dei giovani all'altare ha radici antiche nella Storia della Chiesa per formare i ragazzi al sacerdozio
Fonte Messainlatino.it, 30/08/2011

Nella Cattedrale cattolica dei Ss. Simone e Giuda della diocesi di Phoenix (Arizona, U.S.A., diocesi suffraganea di Santa Fe) non si vedranno più ragazze servire Messa. Ma non per misoginia o isterica sessuofobia clericale.
Mesi fa, già il Vescovo cattolico della Diocesi di Lincoln (Nebraska) S.E. Mons. Fabian Bruskewitz (tra l'altro, uno dei pochi sostenitori della Messa antica, ancor prima del Summorum Pontificum, oltre al Card. Burke, allora vescovo di St. Lois), aveva per primo detto "no!" alle chierichette. E per un ben preciso e importantissimo motivo: favorire le vocazioni sacerdotali e religiose.
Ora, anche il Rettore della cattedrale di Phoenix, il Rev. John Lankeit, infatti, ha detto che ha preso questa seria e grave decisione perché sperimenta sulla propria pelle la carenza di vocazioni sacerdotali e religiose e la diminuzione della pratica religiosa in chiesa.
La sua scelta quindi (approvata dal Vescovo Mons. Thomas James Olmsted) è dettata da paterna preoccupazione e presa con spirito propositivo: incoraggiare giovani uomini e giovani donne ad onorare Dio con la consapevolezza che i vari "servizi" a cui si è chiamati sono tra essi differenti ma complementari; in tal modo i giovani impareranno a discernere più chiaramente le specifiche vocazioni nella Chiesa.
Il servizio all'altare dei giovani, si legge sul sito della diocesi, ha radici antiche nella Storia della Chiesa e prima della creazione del sistema seminario moderno dove si formavano gli uomini al sacerdozio (voluto e strutturato dai Padri del Concilio di Trento). Prima dei seminari, infatti, servire all'altare faceva parte di un apprendistato al sacerdozio.
A confortare il Vescovo di Phoenix e il rettore è l'esempio del confratello di Lincoln e i copiosi frutti che la sua scelta ha portato.
Se è pur vero che i numeri non devono essere l'unico metro di valutazione, don Lankeit è fiducioso e ricorda con speranza le diocesi in cui la limitazione ai soli ragazzi al servizio all'altare ha suscitato numerose vocazioni: la diocesi di Lincoln infatti è considerata una "centrale elettrica" delle vocazioni", e in una sola parrocchia di Ann Arbor (Michigan, Diocesi di Lansing) il cui parroco vuole solo chierichetti, nel 2008 ci sono stati 22 nuovi seminaristi e cinque donne in formazione per la vita religiosa!!
La parrocchia stessa è anche la sede di una Comunità religiosa "Servi dell'Amore di Dio" che conta già 16 sorelle e nella stessa città di Ann Arbor fioriscono anche le vocazioni femminili: le Suore Domenicane di Maria, Madre dell'Eucaristia, stanno ricevendo così molte richieste da parte di ragazze interessate ad entrare nell'ordine che non si riescono a costruire nuove strutture abbastanza velocemente per accogliere l'ondata di vocazioni religiose.
Proprio confortati da queste feconde esperienze e da questo rifiorire di vocazioni, e per tornare all'originario scopo della figura del chierichetto, il rev.do Lankeit ha riorganizzato alcuni aspetti della pastorale giovanile (presente nella cattedrale) nella speranza di promuovere anche a Phoenix il sacerdozio per i ragazzi, e le altre vocazioni religiose.
Per ottenere ciò ha, inoltre, preparato alcuni corsi differenziati: mentre per i ragazzi ci sono "corsi" per imparare a servire all'altare, le ragazze frequentano "corsi" per sapersi muovere in sacrestia e dare una mano ai sacerdoti prima e dopo le celebrazioni.
Le prime ragazze che hanno seguito i corsi da sagrestana tenuti al Duomo di Phoenix stanno imparando rapidamente, servendo bene imparando a svolgere con serietà e soddisfazione l'importante responsabilità di sacrestano. La parrocchia inoltre sta collaborando con un ordine religioso contemplativo per proporre a queste giovani sacrestane un evento chiamato "Vieni e vedi" che si tiene presso il convento. In questo modo esse possono imparare alcuni "trucchi del mestiere" da una delle suore che è stata la Sacrestana ufficiale della loro casa madre in Alabama.
Andando contro lo spirito del tempo, e sfidando la "saggezza del mondo", in questo modo don Lankeit cerca di ottenere un sostanziale aumento delle vocazioni alla vita religiosa e sacerdotale, dando un forte segnale di "esclusività maschile" al servizio all'altare.
L'uso di far servire anche alle ragazze-chierichette, a partire dai 10 anni, era iniziato a partire dal 1983 in molte chiese americane.

Fonte: Messainlatino.it, 30/08/2011

8 - LA BELLA ADDORMENTATA: UN LIBRO CHE FARA' DISCUTERE
Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi e perché si risveglierà
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Riscossa Cristiana, 4 ottobre 2011

«Bella» perché, nonostante i nostri peccati, le nostre debolezze, i nostri tradimenti, i nostri errori, la Chiesa cattolica continua a essere, e sarà sempre, l'immacolata sposa di Cristo. «Addormentata» perché, in questi decenni, il peso dei nostri peccati, delle nostre debolezze, dei nostri tradimenti, dei nostri errori ha prodotto una crisi che ha ridotto al lumicino il vigore dottrinale e morale di tanti, troppi suoi figli.
Non sarà un'immagine perfettamente teologica, ma la «Bella Addormentata», con quella sua aria antica e fiabesca, induce volentieri a farsi bambini e permette anche a cattolici di scorza rustica di dire liberamente tutto l'amore che portano alla Chiesa e, insieme, tutto il dolore che provano per i travagli che la agitano. Senza darle della peccatrice, senza attribuirle colpe che non le appartengono e senza caricarla di pene che non le spettano. Ma neppure costringendosi al silenzio per timore di rompere il grande sonno nel quale tanti suoi membri si sono assopiti a occhi aperti. E, ancor meno, rinunciando alla ricerca di quella chimica dell'anima che ha generato una crisi epocale.

FENOMENOLOGIA DEL GRANDE SONNO
«Non credo che esista una categoria ecclesiologica che possa spiegare il non rapporto tra il Vaticano II e lo stato presente della Chiesa cattolica. Non serve nemmeno la categoria della recezione. Che cosa si sarebbe dovuto recepire, visto che il Concilio non si è preoccupato di insegnare? [...] Il Concilio ha distrutto un ordine cattolico che non voleva distruggere e ha prodotto una crisi dottrinale che prima non c'era. Il Vaticano II ha prodotto una situazione in cui sarebbe stato normale chiedere la convocazione di un nuovo Concilio: e non lo si è potuto fare perché, appunto, il Concilio è già avvenuto. Né si può dire quale sarebbe l'oggetto di una convocazione di un Concilio dottrinale, perché l'unico oggetto possibile sarebbe dato proprio dai problemi nati dalla mancanza di insegnamento del Vaticano II. [...] Tutti constatano la crisi ma nessuno vuole dire che è stato il Concilio a produrla; non con un gesto positivo ma con un gesto negativo: quello di non procedere a definizioni dottrinali. L'evento di crisi richiede un insegnamento e, poiché l'insegnamento è autorevole, l'insegnamento richiede sempre la condanna. Ma qui la crisi nasce proprio dal fatto che non si sa quale sia lo stato della dottrina cattolica dopo il Concilio». Secondo questo breve estratto delle due pagine con cui don Gianni Baget Bozzo apriva nel 2001 il saggio L'Anticristo, è abbastanza chiaro dove e quando sia stata prodotta la chimica del grande sonno. Se l'aria malsana del modernismo rinascente covava ben prima del Concilio, bisogna onestamente collocare nella ventunesima assise ecumenica della Chiesa cattolica lo snodo della crisi. Prima ancora  che la logica, come ha illustrato Baget Bozzo, lo dice il calendario. Ma le date e i fatti, molto più delle opinioni, sono così impietosi che troppe volte vengono rimossi. E spesso neanche in cattiva fede, solo perché fanno male.

L'AGGIORNAMENTO VIAGGIA SU UNO SPIDERINO ROSSO
Però i fatti sono fatti, e se qualcuno preferisce rimuoverli ci pensa la letteratura a riportarlo con i piedi per terra.
"Lo spiderino rosso svoltò deciso dentro il cortile della canonica e ne scese un giovanotto magro, vestito di grigio, con occhiali da intellettuale e una busta di pelle sotto il braccio.
Don Camillo, che, seduto allo scrittoio del tinello, con un occhio stava leggendo la Gazzetta mentre, con l'altro, spiava la finestra, strinse i pugni. «Avanti!» disse con malgarbo non appena sentì bussare. Il giovanotto entrò, salutò e porse a don Camillo una busta. «Non posso comprare niente» borbottò don Camillo senza nemmeno alzare il capo dal giornale. «Non ho niente da vendere» rispose l'altro. «Sono don Francesco, il coadiutore che la Curia le ha assegnato, e questa è la lettera di presentazione».
Don Camillo lo squadrò: «Vedendola così vestito, giovanotto, l'avevo scambiata per uno dei soliti rappresentanti di commercio. Considerando che lei doveva presentarsi a un vecchio parroco, forse sarebbe stato meglio se si fosse travestito da prete»."
In quell'impietoso «Non posso comprare niente» Giovannino Guareschi aveva racchiuso il senso della crisi che stava per travolgere il mondo cattolico. Correva l'anno di Grazia 1966: il Concilio Vaticano II era terminato da pochi mesi e non era ancora tempo di trattati, di disamine, di ricostruzioni storiche controcorrente. L'umorismo guareschiano riassumeva con quella battuta posta all'inizio di "Don Camillo e don Chichì" il dissidio evidente tra due modi di intendere la fede.
Che cosa aveva da spartire il vecchio don Camillo con quel don Francesco detto Chichì nuovo fiammante, spedito dalla Curia per spiegargli come qualmente avrebbe dovuto aggiornare il suo calendario liturgico e dottrinale? Poco o nulla. Forse, neanche la compenetrazione con il miracolo che si ripete a ogni messa nella consacrazione. Il sospetto è più che giustificato se, a un certo punto, il vecchio parroco è costretto a spiegare al giovane curato: «Pericoloso dire pane al pane e vino al vino là dove il pane e il vino sono la carne e il sangue di Gesù!».

QUANDO LA REALTÀ SUPERA LA FANTASIA
Roba da romanzo, si dirà. Gusto per il paradosso buono per cervelli messi un po' di sbieco e abituati a guardare indietro. Magari sarà così. Ma, letta oggi, questa roba da romanzo si mostra tanto verosimile da lasciare al palo anche le più cervellotiche indagini sociologiche.
In ogni caso, non è roba da romanzo quanto racconta una signora avviata onorevolmente verso l'ottantina, catechista fin da ragazza, quando confida lo smarrimento provato davanti alle vie nuove percorse della cosiddetta pastorale giovanile negli anni '70 e '80: «A un certo punto ho capito di non essere più capace di insegnare il catechismo. Non erano più le stesse cose che avevo imparato e che avevo insegnato a mia volta. Era diventato tutto complicato e, quando parlavo, i ragazzi ridevano». E non è roba da romanzo il sacerdote che telefona sconsolato perché alcuni confratelli nascondono il Crocifisso per non farglielo mettere sull'altare durante la messa e lui è costretto a chiedersi se credono nello stesso Dio. E neppure l'altro sacerdote sconcertato davanti alla mamma che, presentatasi alla comunione, prende l'ostia, la spezza in due e ne dà metà al bambino di tre anni il quale corre per la chiesa inseguito dal sacerdote. Come se non bastasse, quando il parroco viene informato dell'accaduto fornisce subito la soluzione che va per la maggiore in questi tempi di pedagogia della chiacchiera: «Farò un paio di catechesi».
Qui si tocca con mano il realissimo dramma del mondo cattolico contemporaneo che, aprendosi al mondo nell'illusione di convertirlo, ha finito per assumerne persino i tic intellettuali più grotteschi. Ormai, sono rimasti in pochi a pensare che, per educare alla fede, prima di un paio di catechesi che invecchiano alla velocità vertiginosa con cui tramontano gli intellettuali che le hanno pensate, servono esempi di uomini che credono. Così come, per educare all'obbedienza, servono esempi di uomini che obbediscono. Ma, se ci si guarda attorno oggi, la Chiesa offre il panorama di fedeli che non obbediscono ai curati, di curati che non obbediscono ai parroci, di parroci che non obbediscono ai vescovi, di vescovi che non obbediscono al Papa. E per quanto riguarda la dottrina, di conseguenza, liberi tutti.

CHI DI VERDONE FERISCE DI VERDONE PERISCE
Come capita regolarmente, anche riguardo alla crisi che attanaglia la Chiesa, sono i dettagli a dare il vero senso delle proporzioni. Tra i più significativi, c'è il dibattito esploso sui media italiani nel gennaio del 2010 sul tema "Cattolicità e/o anticattolicità di Io, loro e Lara". Una diatriba che ha visto in prima linea l'intellettualità cattolica al fine di sviscerare l'intimo significato del film in cui Carlo Verdone racconta la storia di un sacerdote in difficoltà. La diocesi di Brescia ha persino organizzato una visione per quelli che ora va di moda chiamare presbiteri: quasi che le teste pensanti degli uffici pastorali preposti avessero scoperto la crisi del sacerdozio andando al cinema.
Se proprio fosse stato necessario andare al cinema per lanciare l'allarme, lo si sarebbe dovuto fare trent'anni prima, con il Verdone di "Un sacco bello". In un passo memorabile di quella inossidabile commedia, il signor Mario Brega, un pezzo di marcantonio comunista fino al midollo, proprio non riesce a ingoiare il rospo di un figlio che se ne è andato in una comunità hippie. E, allora, organizza una riunione dove il giovanotto, interpretato da Verdone, si misura con don Alfio, sempre interpretato da Verdone. «Don Alfio è qui perché te voleva conoscere mejo, perché è un grosso studioso di morale, un grosso filosofo... Aho, è un òmo de Chiesa con du cosi così». Ma la rimpatriata non va come il padre comunista vorrebbe. Il sacerdote perde posizioni su posizioni finendo per simpatizzare con il giovane figlio dei fiori. La misura della tragedia, però, arriva con il fervorino finale di don Alfio: «Cari ragazzi, se lo volete capire lo capite... Se no io mi alzo e me ne vado a lavarmi le mani come quando Pilato si alzò davanti a...» e qui schiocca stizzosamente le dita perché non gli viene il nome dell'altro personaggio. Tanto che deve intervenire il comunistone dal petto villoso, che urlando mostra tutta la sua disperazione: «A Nostro Signore!!! [...] manco le basi del mestiere ricordi, Alfio».

UNA GIOIOSA MACCHINA DA GUERRA FORMATA PER LA SCONFITTA
Bastava questo quarto d'ora datato 1980 per rendersi conto dei danni prodotti dai maestrini intenti a costruire una nuova Chiesa. Verdone, ammesso che sia lui lo studioso più accreditato della crisi del mondo cattolico, lo aveva detto a suo modo mettendo in scena quel "rahnerino" di don Alfio. Rahnerino nel senso di piccolo Rahner, venerato nume tutelare dei novatori che ebbero la meglio durante il Concilio, vero e proprio doctor communis del cattolicesimo contemporaneo. In un quarto d'ora, don Alfio mostra tutta la tragedia di un cattolicesimo che ha mutato secoli di metafisica in povera antropologia. Cosicché, davanti alle bizzarrie di un figlio dei fiori, non può che assentire. E non potrebbe fare altrimenti, visto che è impasticcato della teoria dei «cristiani anonimi» con cui Rahner annuncia la salvezza di chiunque, anche del più ateo degli atei, purché lo sia in modo autentico.
È chiaro che, con una simile attrezzatura, per un sacerdote uscito dal seminario dopo il Concilio, diventa difficile entrare nell'agone e difendere la dottrina cattolica. E il povero padre comunista può obiettare fin che vuole, ma don Alfio ha pronto il suo mantra: «Vedi Mario, dipende da quale angolatura noi valutiamo queste cose. Perché la Chiesa di oggi...». Però Mario, a questo punto, brucia tutti in volata: «Sì, de oggi, de domani, de dopodomani... Qui ve siete tutti... E, se va avanti così, pure lei padre finisce che...».
La censura, quanto mai opportuna, non può comunque nascondere che il compagno Brega, a suo modo, fu quello che in linguaggio conciliare si definirebbe un profeta.

QUALCHE SASSO NELLO STAGNO
Nonostante l'evidenza della crisi, per interi decenni non vi è stato spazio per voci critiche. Non che le difficoltà non fossero avvertite, perché a tutto c'è un limite. Ma, se proprio si doveva trovare una causa, si imputava l'origine di tutti i mali alla mancata applicazione del Concilio o, quanto meno, all'annacquamento della sua carica innovativa: in una parola, al tradimento.
Chiunque si fosse levato per dire il contrario veniva bollato con il marchio dell'infamia o almeno della bizzarria. Monsignor Marcel Lefebvre e la Fraternità Sacerdotale San Pio X erano degli scismatici. Romano Amerio un eccentrico pensatore svizzero che si dilettava in opere dal linguaggio desueto come "Iota unum". Padre Cornelio Fabro un filosofo e teologo tanto fuori dal tempo da voler recuperare il tomismo integrale. Don Divo Barsotti un mistico, e si sa che i mistici non vanno presi sempre alla lettera. Padre Pio un contadino ignorante legato a una spiritualità sorpassata. E via di questo passo riducendo tutto, in mancanza di argomenti, all'accusa di lefebvrismo. Un marchio che ha subìto un'evoluzione e oggi assolve due funzioni. Oltre a quella classica di bollare un pensiero difforme dalla vulgata conciliare, ora costituisce un recinto dentro il quale, se proprio qualcuno non ce la fa a stare zitto e vuol dire la sua, viene invitato ad accomodarsi. Lì dentro, può dire tutto quello che vuole.
Recentemente, però, questa situazione è stata turbata dai sassi lanciati nello stagno da autori non riconducibili al marchio lefebvriano. In particolare, il teologo monsignor Brunero Gherardini e lo storico Roberto de Mattei. Ai quali va aggiunto il caso di Cristina Siccardi, che ha scoperto la figura di monsignor Lefebvre occupandosi di papa Paolo VI e ha finito per scrivere una biografia da cui il cosiddetto vescovo ribelle risulta molto meno ribelle e molto più cattolico di tanti confratelli.

UN PROBLEMA CHE VA AFFRONTATO
Va inoltre segnalato il lavoro paziente, intelligente e prezioso di un istituto giovane e coraggioso come quello dei Francescani dell'Immacolata. Nel dicembre 2010, il loro Se-minario Teologico "Immacolata Mediatrice" ha realizzato a Roma il convegno "Il Vaticano II: un concilio pastorale". Parlando di questa iniziativa, padre Serafino Maria Lanzetta, che nell'organizzazione, sostenuto da confratelli e consorelle, ha messo cuore, testa e preghiera, ha spiegato: «Fino a poco tempo fa, il solo pensare di potersi porre in modo critico dinanzi al Vaticano II, appariva come una cripto-eresia per la coltre di silenzio che necessariamente doveva regnare, ammantandolo solo di lodi. Eppure, dopo quarant'anni e più, siamo dinanzi a un dato innegabile: la Chiesa si è lentamente e progressivamente secolarizzata. Il Vaticano II è un problema? Sì, nel senso che le radici dell'estro postconciliare non sono solo nel postconcilio. Il postconcilio non dà ragione di sé. Per amore della Chiesa e per il futuro della fede nel mondo, bisogna esaminare la radice del problema».
Quel "sì" che profuma di delicata umiltà è stata la cifra di giornate in cui sono intervenuti, tra gli altri, relatori come Brunero Gherardini, Roberto de Mattei, il filosofo Ignacio Andereggen, il liturgista Nicola Bux, i vescovi Atanasio Schneider e Luigi Negri.
Gherardini e de Mattei, in particolare, hanno indicato nel metodo e nel merito la novità di un approccio in grado finalmente di misurarsi con la vulgata progressista sul Concilio. Il teologo ha mostrato come il tema del Vaticano II vada affrontato su quattro livelli. Il primo lo vede come legittima assise ecumenica della Chiesa cattolica, il secondo ne mette in evidenza il carattere pastorale e non dogmatico, il terzo lo pone su un piano di infallibilità là dove si appella chiaramente ai dogmi precedenti, il quarto prende atto della problematicità di innovazioni che, considerate autonomamente, non paiono riconducibili alla dottrina tradizionale.
Un metodo chiaro che trova rispondenza nella lettura storiografica di de Mattei, grazie alla quale esce di scena la zuccherosa immagine di un'assise unanime tesa alla costruzione di una nuova Chiesa, più bella e confortevole, forgiata nel tepore della nuova Pentecoste. Se un insospettabile Paolo VI gridò che invece della primavera profetizzata dalle sirene progressiste era arrivata la tempesta, se parlò del fumo di Satana penetrato nel tempio di Dio, bisogna avere il coraggio di cercarne la cause anche nel triennio 1962-1965, che non può essere considerato l'unico periodo immacolato nella storia della Chiesa. Si ha il dovere di capire cosa avvenne e cosa non funzionò, consapevoli di dover scavare anche nella filosofia e nella teologia dei decenni precedenti.

CONTINUITÀ E ROTTURA
In tale quadro assume un peso notevole il concetto di «ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità» invocato nell'interpretazione dei testi conciliari dal neoeletto papa Benedetto XVI durante il Discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 e contrapposto a un'ermeneutica «della rottura». Un concetto che, se ben analizzato, lungi dal chiudere la questione, la apre e sprona all'approfondimento. Innanzitutto poiché, contrapponendo un'«ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità» a un'ermeneutica «della rottura», si mette automaticamente a tema l'ambiguità di documenti a cui è possibile applicare due interpretazioni opposte. Inoltre, dovendo la "continuità" essere intrinseca ed evidente nei documenti magisteriali della Chiesa cattolica, evocarla quale criterio ermeneutico induce a supporre che in tali documenti non sia sempre rintracciabile e la si debba iniettare dall'esterno. Infine, l'accento posto sull'ermeneutica invece che sull'applicazione dei documenti, quasi mezzo secolo dopo la chiusura di un Concilio, lascia supporre che la "continuità" non sia un dato di fatto dimostrato a priori una volta per tutte.

KLAUS DIBIASI E LA BALENA BIANCA
A questo approccio all'"ermeneutica del rinnovamento nella continuità", che volentieri si può definire "largo", se ne contrappone uno che si potrebbe definire "stretto", anzi "strettissimo". La lettura "strettissima" è stata presa in carico da ambienti che, con un termine derivato dalla politica, possono essere definiti neocentristi e formano una sorta di Balena bianca ecclesiale votata a un conservatorismo invaghito del presente. Secondo la lettura neocentrista, le ragioni della crisi sorgerebbero solo successivamente agli anni del Concilio con l'interpretazione eversiva dei suoi documenti. Per cui, la soluzione consisterebbe nel separare il Concilio dal postconcilio. Una posizione debole poiché, sul piano storico e sul piano dottrinale, studi come quelli di de Mattei e Gherardini mostrano che la fase conciliare e quella postconciliare sono intimamente saldate con quella che precedette il Concilio.
È vero che la storia, a differenza della natura, qualche salto lo può anche fare, ma se il problema fosse nato solo il giorno dopo la chiusura dell'assise vaticana, ci troveremmo davanti a un salto mortale carpiato e avvitato degno di un Klaus Dibiasi. Il quale non è un padre conciliare di ascendenze renane, ma un campione olimpico di tuffi in auge negli anni del Concilio e del postconcilio. Ora, è evidente a tutti che l'eccellente Klaus, per esibirsi in quei salti così complicati, ha dovuto prepararsi a lungo da giovinetto. Prima del Concilio, diciamo.

LE VIRGOLETTE AL LORO POSTO
Poiché l'evidenza può essere fastidiosa, chi la esibisce deve prepararsi agli attacchi e, spesso, anche a vere e proprie aggressioni. Ne sanno qualche cosa monsignor Gherardini e de Mattei i quali si sono trovati, contemporaneamente, sotto il fuoco di fila dei progressisti e dei neocentristi. Fenomeno decisamente bizzarro, se si pensa che i due schieramenti hanno utilizzato le medesime argomentazioni: gli uni in nome della "rottura" e gli altri in nome della "continuità". Epifania ecclesiale di quello che certi scienziati della politica chiamano "monopartitismo imperfetto", un sistema in cui maggioranza e opposizione si distinguono solo su temi secondari e si alleano per combattere qualsiasi forma di pensiero non omologato.
Questa singolare evidenza induce a pensare che, più che un contenuto, molti intendano difendere un contenitore, un marchio. La dimostrazione sta in un piccolo esperimento che, come autori di "Io speriamo che resto cattolico", ci prendemmo la libertà di compiere nel 2007. In alcune pagine di quel volumetto, riportammo dei testi conciliari senza citarne la fonte e togliendo le virgolette. Li mettemmo in bocca a personaggi verosimili, tipici stereotipi del progressismo cattolico, e rimanemmo in disparte a osservare le reazioni. Quelli furono i passi additati all'unanimità dai lettori come la chiara dimostrazione di una crisi conclamata e non più tollerabile. Tranne i progressisti, lo dissero tutti, neocentristi compresi. Ma se ora rimettessimo le virgolette che reazione susciteremmo?
Proprio in considerazione della ovvia risposta a questa domanda, anzi, nonostante l'ovvia risposta a questa domanda, pare proprio che sia giunto il momento di rimettere le virgolette al loro posto.

SALVARE IL SEME
Il capoverso precedente sarebbe stato la naturale chiusura di questa introduzione, se non fosse che il sottotitolo del libro recita «Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà». Quel «Perché si risveglierà» può avere molteplici spiegazioni, di cui la prima sta nel fatto che il Capo della Chiesa è Nostro Signore. Una certezza consolante che può trovare forma nella sublime prevedibilità delle fiabe, nella cadenza celeste di queste storie inclinate al lieto fine, alla regola dell'epilogo luminoso a cui non sfugge la Bella Addormentata, delicata metafora dell'evangelico «non praevalebunt».
In tale luce, tutto ciò che possono fare degli ordinari cattolici è non perdere la fede. È quanto il Cristo crocifisso raccomanda di fare al vecchio parroco sconcertato dalla follia moderna in una splendida pagina di Don Camillo e don Chichì: "«Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l'asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede a mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più; ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Ogni giorno di più uomini di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. Uomini d'ogni razza, d'ogni estrazione, d'ogni cultura».
«Signore» domandò don Camillo «volete dire che il demonio è diventato tanto astuto
che riesce, talvolta, a travestirsi perfino da prete?».
«Don Camillo!» lo rimproverò sorridendo il Cristo. «Sono appena uscito dai guai del Concilio, vuoi mettermi tu in nuovi guai?»."
In realtà erano ben altri i guai che paventava Guareschi in questa pagina. Erano i guasti prodotti dalle legioni dei tanti don Chichì invaghiti del sogno di trasformare la terra in un nuovo Paradiso. Ma la Chiesa è più coriacea di certi sogni. Si risveglierà.

Fonte: Riscossa Cristiana, 4 ottobre 2011

9 - IL SACRO GRAAL SI TROVA A VALENCIA, IN SPAGNA, E SUPERA LE PROVE DELLA STORIA E DELLA SCIENZA
Il calice di Gesù nell'Ultima Cena si considerava perduto nel Medioevo perché la Spagna era dominata dagli islamici e chi sapeva taceva
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Bussola Quotidiana, 10/08/2011

Il martire che ha protetto il Graal, (...) Lorenzo, era uno dei diaconi di papa Sisto II al tempo delle persecuzioni. A Lorenzo era affidata anche la cassa della diocesi di Roma; in particolare, spettava a Lorenzo occuparsi dell'assistenza. Gli Apostoli avevano creato i primi sette diaconi appunto per questo, per sgravare se stessi dall'incombenza di dover provvedere alle vedove, agli orfani e ai bisognosi con i fondi che i primissimi cristiani mettevano in comune. Sisto II subì il martirio, poi toccò a Lorenzo.
A quest'ultimo fu riservato il supplizio della graticola perché rivelasse dove aveva messo le «ricchezze» della Chiesa. Lui indicò i poveri, per cui quelle «ricchezze» erano state spese. Poi gridò al carnefice che poteva anche rigirarlo, visto che da un lato era già «cotto», e rese l'anima a Dio. Lorenzo era ispanico, per questo il cattolicissimo imperatore Filippo II diede alla sua reggia la forma di un «escorial», una graticola.
Ebbene, nell'anno 258, poiché le cose si stavano mettendo male, Sisto II aveva affidato a Lorenzo alcuni preziosi oggetti da mettere al sicuro. Preziosi per la fede, s'intende. Lorenzo li aveva portati nel suo paese, a Huesca. Tra questi oggetti c'era anche una coppa di agata pregiata, quella con cui il papa diceva messa. Perché era speciale, quella coppa? Perché con essa usava celebrare San Pietro, che l'aveva portata a Roma da Antiochia, e ad Antiochia l'aveva portata da Gerusalemme. Con quella coppa i suoi ventidue successori celebrarono fino al tempo di Sisto II. Era la coppa che Gesù aveva usato nell'Ultima Cena. In essa il vino era stato trasformato nel suo Sangue. Infatti, la frase con cui nella messa si procedeva alla consacrazione era da considerarsi letterale: «…prese questo glorioso calice…». Ma la coppa che contenne il Sangue di Cristo è il Graal.
Che fine fece il Graal di Huesca? Attraversò il secoli passando per varie mani, sempre portato al sicuro per sottrarlo prima ai Vandali, ariani, e poi ai musulmani. Nel 1399 il re d'Aragona, Martín I, lo fece porre nella cattedrale di Saragozza e impreziosire con aggiunte in oro. Nel 1424 il re Alfonso il Magnanimo lo donò alla città di Valencia, che dal 1437 lo custodisce nella sua cattedrale. Con esso i papi Giovanni Paolo II e l'attuale Benedetto XVI, in visita, hanno celebrato la messa. Nel XX secolo è stato sottoposto a esami da parte di un pool di studiosi, i quali hanno concordemente convenuto che si tratta effettivamente di un oggetto in uso nella Palestina del I secolo.
Perché nel Medioevo il Graal si considerava «perduto» e, dunque, leggendario? Per il semplice fatto che la Spagna era dominata dagli islamici. E chi sapeva dov'era il Graal si guardava bene dall'aprire bocca.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 10/08/2011

10 - I MILLE TENTACOLI DEL PARTITO RADICALE: UNA LISTA INFINITA DI ISCRITTI
Franco Battiato, Giorgio Albertazzi, Tinto Brass, Francesco De Gregori, Edoardo Bennato, Dario Argento, Pippo Baudo, Liliana Cavani, Licia Colò, Luciano De Crescenzo, Marco Columbro, Loretta Goggi, Francesco Guccini, Sabina Guzzanti, Nino Manfredi, Michele Mirabella, Alba Parietti, Maurizio Costanzo, Ornella Vanoni, Luca Barbareschi, Gigi Proietti, Milva, Andrea Bocelli, Vittorio Gassman, Paolo Villaggio, Renato Zero, Renato Pozzetto, Renzo Arbore, Ennio Morricone, Corrado Guzzanti, Alberto Lattuada, Gianni Minoli, Sergio Castellito, Oliviero Toscani, Stefano Rodotà, Eugenio Scalfari, Gianni Vattimo, Eugenio Montale, Pier Paolo Pasolini, Domenico Modugno, Ilona Staller (in arte Cicciolina), ecc. ecc. ecc.
Autore: Danilo Quinto - Fonte: La Bussola Quotidiana, 08/09/2011

Per Marco Pannella ed Emma Bonino parafrasare lo slogan di John F. Kennedy, «siamo tutti berlinesi», sostituendo l'ultima parola, con "Radicali", non è una boutade. È la realtà. Chi non è stato Radicale?
Con spregiudicata disinvoltura, nell'arco di decenni, sono state raccolte le adesioni e le iscrizioni - spesso anche le candidature e gli eletti - tra i personaggi più disparati. Attori e registi, cantautori e scrittori, giornalisti e politici. Anche uomini (e donne) di Chiesa. L'elenco dei simpatizzanti Radicali - attuali ed ex - è sterminato. A stilarlo si rischia di essere incompleti, ma è un rischio che vale la pena correre perché qualche accenno è istruttivo.
Ieri, tra i sacerdoti, era don Gianni Baget Bozzo a dire «Marco Pannella in realtà è una figura interna alla cristianità italiana. Non è un politico. È un profeta. Pannella è un impolitico, non guarda al governo: vuole, attraverso la politica, riformare l'orizzonte spirituale degli uomini». Oggi, don Andrea Gallo sostiene che «Pannella è l'unico profeta laico disarmato che testimonia in difesa dei diritti civili». Gli fa eco don Antonio Mazzi - autore della trovata sull'abolizione dei seminari - che per il leader Radicale fa il presidente dei comitati pro-amnistia. Una suora, Marisa Galli, nel 1979 venne eletta deputata con i voti del Partito Radicale. Ne ha parlato Avvenire, lo scorso 7 aprile. Ora è tornata a essere monaca, nell'abbazia benedettina Mater Eclesiae dell'Isola di San Giulio, nel Lago D'Orta.  
Nel mondo dello spettacolo, sono stati tanti i sostenitori Radicali nel corso degli anni. Franco Battiato a Giorgio Albertazzi, per esempio, poi Salvatore Samperi e Tinto Brass sino a Vasco Rossi - che nel 2007, dopo trent'anni di tessera Radicale, dichiarò al TG1: «Marco Pannella è il mio alter ego politico» - e Francesco De Gregori, che nel 1975 dedicò a Pannella Il signor Hood dall'album Rimmel: «Quel personaggio, sostenne De Gregori vent'anni dopo, mi sembrava incarnare bene la figura di Pannella, una sorta di eroe solitario»
Quindi Marco Bellocchio ed Edoardo Bennato, Dario Argento e Pippo Baudo, Liliana Cavani e Licia Colò, e ancora Luciano De Crescenzo, Marco Columbro, Andrea Giordana, Loretta Goggi, Francesco Guccini, Sabina Guzzanti, Alessandro Haber, Nino Manfredi, Michele Mirabella, Alba Parietti, Margaret Mazzantini, Sandro Veronesi, Katia Ricciarelli, Sergio Rubini.
Maurizio Costanzo fu candidato Radicale nel 1976. Poi ci sono Barbara Alberti, Ornella Vanoni, Luca Barbareschi, Gigi Proietti, Milva, Andrea Bocelli e Vittorio Gassman, che nel 1993, nel mio ufficio del Partito Radicale, mi consegnò una sua lettera scritta a mano su un foglio di quaderno che accompagnava la sua iscrizione: «Danilo», mi disse, «non te la prendere per questa minuta, che comunque è leggibile. Ho un rigetto per la macchina, oltre che per il fax, il telefonino e qualsiasi altro gadget». «Mi unisco di cuore all'appello rivolto dal nuovo Partito Radicale Transnazionale al mondo della cultura europea - scriveva Gassman - a tutti gli amici e colleghi artisti, intellettuali, lavoratori in grado di sentire l'urgenza dei tanti problemi da affrontare, a salvaguardia della civiltà e della stessa sopravvivenza della comunità contemporanea. Un impegno politico senza tensione e responsabilità morale è svuotato di senso. Una cultura priva di lungimirante solidarietà umana è - oggi più che mai - una sorpassata astrazione, un lusso colpevole. La cecità o la corruzione delle partitocrazie, impone agli individui di prender partito con un coinvolgimento in prima persona». «Questi - continuava Gassman - sono i concetti basilari del nuovo Partito radicale ed è per questo che esso si candida come efficace soluzione per i disastri del mondo, contro l'inerzia di gran parte delle istituzioni internazionali. Lo slancio utopico può e deve essere corretto in ideale concretezza. Unitevi, amici e colleghi, a questa generosa "compagnia itinerante", che non si accontenta di presentare istanze, ma intende fattivamente e corporeamente "rappresentarle" sulla scena delle pressanti problematiche che assillano la collettività. Lavoriamo insieme per un mondo più vivibile e umano».
Con Gassman, in quel 1993, sarebbero scesi in campo a favore delle iscrizioni per i Radicali Paolo Villaggio, Renato Zero, Ilaria Occhini, Raffaele La Capria, Renato Pozzetto, Renzo Arbore, Ennio Morricone, Corrado Guzzanti, Mario Monicelli, Piero D'Orazio, Alberto Lattuada, Gianni Minoli, Ricky Tognazzi, Sergio Castellito e tantissimi altri, per dire tutti, in uno spot ideato da Oliviero Toscani - anch'egli iscritto - «è mia, è mia».
Ma il feeling dei radicali con i vip è di vecchia data.
Ai suoi albori, presidente del Partito Radicale fu Elio Vittorini. Tra gli anni sessanta e settanta furono Radicali - tra gli altri - Arnoldo Foà, Stefano Rodotà, Lino Jannuzzi, Antonio Cederna, Piero Craveri, Eugenio Scalfari e Ignazio Silone. Per qualche anno anche Oriana Fallaci, Fernanda Pivano e Gianni Vattimo ebbero simpatie per loro.
Di Pannella, nel 1974, scriveva così il Premio Nobel per la Letteratura Eugenio Montale, sul Corriere della Sera: «Dove il potere nega, in forme palesi ma anche con mezzi occulti, la vera libertà, spuntano ogni tanto uomini ispirati come Andrei Sacharov e Marco Pannella che seguono la posizione spirituale più difficile che una vittima possa assumere di fronte al suo oppressore. Il rifiuto passivo. Soli e inermi, essi parlano anche per noi...». Mentre, Pier Paolo Pasolini, per il Congresso del Partito Radicale del 1975, preparò un testo che diceva: «Contro tutto questo voi non dovete fare altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa a essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare».
Nel 1979 fu eletto al Parlamento italiano Leonardo Sciascia, nel 1983 il leader di Autonomia Operaia Toni Negri, poi, nel 1984, Enzo Tortora al Parlamento europeo e, tre anni dopo, al Parlamento italiano Domenico Modugno. Assieme a molti altri, tra cui Ambrogio Viviani, ex generale e capo del controspionaggio dei Servizi Segreti italiani dal 1970 al 1974, e Ilona Staller, in "arte" Cicciolina.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 08/09/2011

11 - OMELIA XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO A - (Mt 22,1-14)
Il regno dei cieli è simile a un re che fece una festa di nozze per suo figlio
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 09/10/2011)

Nella parabola del Vangelo di oggi, il regno dei cieli è paragonato ad un banchetto di nozze. Già nella prima lettura il profeta Isaia annunciava la salvezza di Dio adoperando la stessa immagine del convito, al quale tutti i popoli sono invitati. Questo banchetto è simbolo della redenzione offerta da Dio a tutte le nazioni. Allora il Signore «eliminerà la morte per sempre e asciugherà le lacrime su ogni volto» (Is 25,8).
La parabola del Vangelo è molto simile a quella della domenica scorsa. Essa parla di «un re che fece una festa di nozze per suo figlio» (Mt 22,2). Il re è Dio che offre al suo popolo la salvezza. I servi mandati a chiamare gli invitati alle nozze sono i profeti che dovevano preparare gli Ebrei alla venuta del Messia. Gli invitati, che rifiutano l'invito e maltrattano e uccidono i servi, sono proprio i Giudei, come pure tutti quelli che rifiutano Gesù.
Allora il re rivolge il suo invito a tutti, e manda i suoi servi a chiamare chiunque essi avessero trovato. Questo particolare simboleggia la predicazione della Chiesa, la quale annuncia la salvezza al mondo intero. Così «la sala delle nozze si riempì di commensali» (Mt 22,10). Questa sala simboleggia proprio la Chiesa dove non tutti sono santi, e vi è una compresenza di buon grano e di zizzania.
Per prendere parte alla festa di nozze del Figlio di Dio, ovvero per conseguire la salvezza, bisogna indossare l'abito nuziale. L'abito nuziale rappresenta la grazia di Dio di cui deve essere rivestita l'anima. Chi manca di questo abito è cacciato fuori della sala, nelle tenebre, ove «sarà pianto e stridore di denti» (Mt 22,13). Queste parole indicano chiaramente l'inferno, dove finiscono eternamente tutti quelli che muoiono in peccato mortale. La verità dell'inferno e della sua eternità è stata ripetutamente insegnata dalla Chiesa: è una verità scomoda, certamente, di cui però non possiamo tacere senza renderci gravemente responsabili.
La Chiesa deve richiamare l'attenzione di tutti i fedeli su questa tremenda possibilità di perdere eternamente l'amicizia con Dio. L'inferno testimonia in qualche modo l'infinito amore di Dio per l'uomo. Dio, infatti, ci ha donato la libertà e la possibilità di scegliere il destino eterno che noi vogliamo. Ciascuno raccoglierà ciò che avrà seminato.
Quando moriremo entreremo nell'eternità e così si fisserà irrevocabilmente la condizione della nostra anima: se sarà in grazia di Dio, essa sarà eternamente salva; se, al contrario, sarà in peccato mortale, l'anima rimarrà eternamente in questo rifiuto di Dio e della sua salvezza.
A commento di questa parabola, Gesù dice: «Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti» (Mt 22,14). Questa frase di Gesù ci fa comprendere tutto il rispetto che Dio ha per la nostra libertà: Egli chiama tutti, ma spetta a noi decidere se accogliere il dono di Dio e conseguire così la nostra eterna felicità.
Noi perdiamo la candida veste della Grazia divina con il peccato mortale. I peccati mortali più diffusi, per fare solo alcuni esempi, sono le bestemmie, i peccati contro la purezza e contro la vita, e il peccato di non andare alla Messa la domenica. Pensiamo poi ai furti e alle maldicenze con le quali roviniamo gravemente la buona fama del nostro prossimo. Con il sacramento della Confessione, se ci confessiamo con vivo pentimento e sincero proposito, noi recuperiamo la splendente veste dell'innocenza e possiamo assiderci degnamente al banchetto dell'Eucaristia.
Tante volte si sente dire che non è bene parlare dell'inferno, che ciò spaventa i fedeli, e che bisogna parlare solo della Misericordia di Dio. Riflettiamo bene che un tale modo di agire è pericoloso. Un fedele deve conoscere tutta la verità e deve sapere bene a cosa porta il cattivo uso della sua libertà, e quelle che sono le conseguenze eterne dei nostri pensieri, delle nostre parole, opere e omissioni.
Ai giorni d'oggi si pensa molto poco all'eternità e si trascura la salutare meditazione sui "Novissimi", ovvero sulle realtà ultime che ci attendono alla fine della nostra vita: morte, Giudizio, inferno e Paradiso. Non si pensa a questo preferendo dormire tranquilli, mettendo a tacere la nostra coscienza. Un Santo diceva: penso all'inferno per non andarci dopo morte. Pensiamo anche noi a queste ultime realtà, le uniche veramente certe nella nostra vita.
A Fatima, la Madonna fece vedere l'inferno a tre piccoli bambini, invitandoli a pregare e a offrire sacrifici affinché i peccatori si convertano e tornino nell'amicizia con Dio. Di fronte ad un appello così accorato rivolto non solo ai tre bambini, ma a tutti i cristiani di buona volontà, non possiamo rimanere indifferenti. Preghiamo e offriamo sacrifici anche noi e così eserciteremo la più grande carità fraterna.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 09/10/2011)

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