BastaBugie n�214 del 14 ottobre 2011

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1 CRISTIANOFOBIA: ECCO COME FACEBOOK, APPLE E GOOGLE CENSURANO I CONTENUTI CRISTIANI
Ad esempio Facebook è diventato partner dei sostenitori dei diritti dei gay per bloccare i contenuti anti-omosessualità e Google ha rifiutato di accettare una pubblicità pro-vita da parte di un'organizzazione cristiana in Inghilterra
Autore: Giovanni Romano - Fonte: Luci sull'Est
2 L'EUROPA O RIDIVENTERA' CRISTIANA O DIVENTERA' MUSULMANA
Vi mostriamo un drammatico video che spiega, dati alla mano, che il Cardinal Biffi aveva visto giusto nel 2000 mettendo in luce il problema della denatalità e della necessità di selezionare i flussi migratori
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Fondazione Migrantes
3 LA CRISI FINANZIARIA ATTUALE DIMOSTRA IL FALLIMENTO DEGLI STATI MODERNI: ECCO PERCHE' IL COLLASSO E' INEVITABILE PER TUTTI
La gigantesca dilatazione della spesa pubblica, provocata dalla pretesa dei governi di gestire direttamente una quantità tendenzialmente infinita di beni e servizi sociali, ha aumentato il debito pubblico e la pressione fiscale fino a livelli insopportabili
Autore: Robi Ronza - Fonte: La Bussola Quotidiana
4 LA BBC IGNORA LA NASCITA DI CRISTO E SOSTITUIRA' D.C. ''DOPO CRISTO'' CON E.C. ''ERA COMUNE''
Già la Rivoluzione Francese e poi Lenin e Mussolini, tentarono di cambiare la datazione, ma si ricoprirono di ridicolo e dopo pochi anni si tornò al Calendario Gregoriano
Autore: Lucetta Scaraffia - Fonte: Osservatore Romano
5 MATRIMONIO GAY: DURA RISPOSTA DELLA CHIESA CATTOLICA CONTRO L'AFFONDO DI OBAMA
Per il presidente USA la legge che tutela come unico possibile il matrimonio tra un uomo e una donna è incostituzionale, ma la maggioranza degli americani non la pensa come lui
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Bussola Quotidiana
6 PERCHE' STEVE JOBS NON MI HA CAMBIATO LA VITA
L'inventore di iPod, iPhone, iPad, negli ultimi anni aveva assunto un'aura misticheggiante: una strategia di marketing studiata a tavolino che nel vuoto esistenziale crea falsi miti come già successo per Lady Diana o Michael Jackson
Autore: Alessandro Campi - Fonte: Il Foglio
7 ORA BASTA! JOBS NON ERA IL MESSIA!
Come sarà il mondo senza di lui? Tranquilli: se l'umanità ha superato perfino la scomparsa dell'inventore della lavatrice, ce la farà anche stavolta
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
8 UN SINDACO DEL VERCELLESE CANCELLA 150 ANNI DI PARITA' IN SPREGIO DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA' E DEL TERZO PRINCIPIO NON NEGOZIABILE (LIBERTA' DI EDUCAZIONE)
Decisa la clamorosa chiusura della scuola materna: il comune aprirà un proprio asilo spendendo 61mila euro all'anno anziché 16mila (così i contribuenti sono fregati due volte: pagano più tasse e non possono scegliere la scuola che preferiscono)
Autore: Paolo Viana - Fonte: Avvenire
9 AMANDA KNOX: GIORNALI E TELEVISIONI HANNO IL PREGIUDIZIO ANTI-CATTOLICO
Nella tempesta mediatica intorno al processo per l'uccisione di Meredith non poteva mancare qualcuno che tirasse in ballo la Chiesa (e, ovviamente, a sproposito)
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Bussola Quotidiana
10 OMELIA XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO A - (Mt 22,15-21)
Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - CRISTIANOFOBIA: ECCO COME FACEBOOK, APPLE E GOOGLE CENSURANO I CONTENUTI CRISTIANI
Ad esempio Facebook è diventato partner dei sostenitori dei diritti dei gay per bloccare i contenuti anti-omosessualità e Google ha rifiutato di accettare una pubblicità pro-vita da parte di un'organizzazione cristiana in Inghilterra
Autore: Giovanni Romano - Fonte: Luci sull'Est, 07/10/2011

Le più importanti piattaforme multimediali e i providers praticano politiche che ostacolano l'evangelizzazione cristiana e censurano la libertà di parola si questioni controverse di attualità come l'aborto e il matrimonio, dichiara un nuovo report.
"Le idee cristiane e altri contenuti religiosi si trovano di fronte a un pericolo chiaro e imminente di censura da parte delle piattaforme basate sul Web", afferma il rapporto del National Religious Broadcasters' dal titolo: "La vera libertà nell'età dei media".
Se il contenuto cristiano viene "censurato" dalle nuove piattaforme mediali come iTunes App Store, Facebbok, Google o i fornitori di accesso a Internet, "la Buona Notizia del Vangelo potrebbe diventare un'altra vittima della discriminazione religiosa istituzionalizzata", ha dichiarato il presidente dell'organizzazione Frank Wright nella prefazione al rapporto.
La National Religious Broadcasters fu fondata nel 1944 per combattere le regole governative e le decisioni di politica aziendale da parte dei maggiori networks radiofonici che ostacolavano la possibilità da parte dei ministri del Vangelo di comprare tempo di trasmissione.
Alcune nuove compagnie mediatiche hanno messo al bando i contenuti cristiani, mentre altre hanno delle posizioni pubbliche che rendono la censura "del tutto inevitabile".
Eccetto il servizio di microblogging Twitter, tutte le nuove piattaforme multimediali e i servizi presi in esame hanno politiche "chiaramente contrastanti con i valori della libertà di parola presenti nella Costituzione degli Stati Uniti", ha affermato il rapporto.
Le nuove compagnie mediatiche rispondono a "forze di mercato" e alle domande di "gruppi di pressione" che invocano la "censura" su opinioni altrimenti lecite.
Come esempio di "censura anticristiana" il rapporto ha citato la rimozione, da parte dell'App Store di iTunes, dell'app con la Dichiarazione di Manhattan che difendeva il matrimonio tradizionale. Il negozio online ha rimosso anche una app di Exodus International la quale affermava che l'omosessualità è una condotta inappropriata che si può cambiare attraverso una trasformazione spirituale.
Il motore di ricerca Google ha rifiutato di accettare una pubblicità pro-vita da parte di un'organizzazione cristiana in Inghilterra e la sua branca cinese ha stilato una lista nera di termini religiosi. Le direttive pubblicitarie dell'azienda mettono esplicitamente al bando la frase "l'aborto è un omicidio" per la ragione che si tratta di linguaggio "truculento".
Il rapporto ha citato anche Facebook e altre piattaforme per una politica che mette al bando le pubblicità "di argomenti religiosi con rilevanza politica".
Frattanto, Facebook è diventato partner dei sostenitori dei diritti dei gay per bloccare i contenuti "anti-omosessuali" e la partecipazione a programmi di coscientizzazione sul problema dell'omosessualità. Questo fa pensare che i contenuti cristiani che criticano l'omosessualità, il "matrimonio gay" o altre pratiche saranno a rischio di censura.
Apple, Faceook, MySpace, Google, Comcast, AT&T e Verizon proibiscono tutti "il linguaggio fomentatore di odio" che il rapporto del National Religious Broadcasters definisce un termine "pericolosamente vago e politicamente corretto" che spesso viene applicato per "soffocare" i comunicatori cristiani.
"Le attuali convergenze tecnologiche di queste nuove piattaforme multimediali fanno pensare che queste pratiche che impediscono la libertà di parola e politiche tese a rimuovere la coscienza si consolideranno sempre più, a meno che non si intraprendano immediatamente delle azioni correttive", ha affermato il rapporto. (...)

Fonte: Luci sull'Est, 07/10/2011

2 - L'EUROPA O RIDIVENTERA' CRISTIANA O DIVENTERA' MUSULMANA
Vi mostriamo un drammatico video che spiega, dati alla mano, che il Cardinal Biffi aveva visto giusto nel 2000 mettendo in luce il problema della denatalità e della necessità di selezionare i flussi migratori
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Fondazione Migrantes, 30 settembre 2000

Dovrebbe essere evidente a tutti quanto sia rilevante il tema dell'immigrazione nell'Italia di oggi; ma credo sia altrettanto innegabile l'inadeguata attenzione pastorale e lo scarso realismo con cui finora esso è stato valutato e affrontato. Il fenomeno appare imponente e grave; e i problemi che ne derivano - tanto per la società civile quanto per la comunità cristiana - sono per molti aspetti nuovi, contrassegnati da inedite complicazioni, provvisti di una forte incidenza sulla vita delle nostre popolazioni. (...)

PROGETTI REALISTICI COMPLESSIVI
Ciò che dobbiamo augurare al nostro Stato e alla società italiana è che si arrivi presto a un serio dominio della situazione, in modo che il massiccio arrivo di stranieri nel nostro paese sia disciplinato e guidato secondo progetti concreti e realistici di inserimento che mirino al vero bene di tutti, sia dei nuovi arrivati sia delle nostre popolazioni.
Tali progetti dovrebbero contemplare tanto la possibilità di un lavoro regolarmente remunerato quanto la disponibilità di alloggi dignitosi non gratuiti: per questa strada si potrà arrivare a un sicuro innesto entro il nostro organismo sociale, senza discriminazioni e senza privilegi.
Chi viene da noi deve sapere subito che gli sarà richiesto, come necessaria contropartita dell'ospitalità, il rispetto di tutte le norme di convivenza che sono in vigore da noi, comprese quelle fiscali. Diversamente non si farebbe che suscitare e favorire perniciose crisi di rigetto, ciechi atteggiamenti di xenofobia e l'insorgere di deplorevoli intolleranze razziali.
 
CRITERI ATTUATIVI
La pratica attuazione di questi progetti obbedirà necessariamente a criteri che saranno anche economici: l'Italia ha bisogno di forze lavorative che non riesce più a trovare nell'ambito della sua popolazione.
A questo proposito, dovrebbero essere tutti ormai persuasi di quanto sia stata insipiente la linea perseguita negli ultimi quarant'anni, con l'ossessivo terrorismo culturale antidemografico e con l'assenza di ogni correttivo legislativo e politico che ponesse qualche rimedio all'egoistica e stolta denatalità, da molto tempo ai vertici delle statistiche mondiali. Tutto questo nonostante l'esempio contrario delle nazioni d'Europa più accorte, più lungimiranti, più civili, che non hanno esitato a prendere in questo campo intelligenti e realistici provvedimenti.
 
LA SALVAGUARDIA DELL'IDENTITÀ NAZIONALE
Ma i criteri di cui si parla non potranno essere soltanto economici e previdenziali.
Una consistente immissione di stranieri nella nostra penisola è accettabile e può riuscire anche benefica, purché ci si preoccupi seriamente di salvaguardare la fisionomia propria della nazione. L'Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza una inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto.
Sotto questo profilo, uno Stato davvero "laico" - che cioè abbia di mira non il trionfo di qualche ideologia, ma il vero bene degli uomini e delle donne sui quali esercita la sua attività di amministrazione e di governo, e voglia loro preparare con accortezza un desiderabile futuro - dovrebbe avere tra le sue preoccupazioni primarie quella di favorire la pacifica integrazione delle genti (come si è già storicamente verificato nell'incontro tra le popolazioni latine e quelle germaniche sopravvenute) o quanto meno una coesistenza non conflittuale; una compresenza e una coesistenza che comunque non conducano a disperdere la nostra ricchezza ideale o a snaturare la nostra specifica identità.
Bisogna perciò concretamente operare perché coloro che intendono stabilirsi da noi in modo definitivo "si inculturino" nella realtà spirituale, morale, giuridica del nostro paese, e vengano posti in condizione di conoscere al meglio le tradizioni letterarie, estetiche, religiose della peculiare umanità della quale sono venuti a far parte.
A questo fine, le concrete condizioni di partenza degli immigrati non sono ugualmente propizie; e le autorità non dovrebbero trascurare questo dato della questione.
In una prospettiva realistica, andrebbero preferite (a parità di condizioni, soprattutto per quel che si riferisce all'onestà delle intenzioni e al corretto comportamento) le popolazioni cattoliche o almeno cristiane, alle quali l'inserimento risulta enormemente agevolato (per esempio i latino-americani, i filippini, gli eritrei, i provenienti da molti paesi dell'Est Europa, eccetera); poi gli asiatici (come i cinesi e i coreani), che hanno dimostrato di sapersi integrare con buona facilità, pur conservando i tratti distintivi della loro cultura. Questa linea di condotta - essendo "laicamente" motivata - non dovrebbe lasciarsi condizionare o disanimare nemmeno dalle possibili critiche sollevate dall'ambiente ecclesiastico o dalle organizzazioni cattoliche.
Come si vede, si propone qui semplicemente il "criterio dell'inserimento più agevole e meno costoso": un criterio totalmente ed esplicitamente "laico", a proposito del quale evocare gli spettri del razzismo, della xenofobìa, della discriminazione religiosa, dell'ingerenza clericale e perfino della violazione della Costituzione, sarebbe un malinteso davvero mirabile e singolare; il quale, se effettivamente si verificasse, ci insinuerebbe qualche dubbio sulla perspicacia degli opinionisti e dei politici italiani.
 
IL CASO DEI MUSULMANI
Se non si vuol eludere o censurare tale realistica attenzione, è evidente che il caso dei musulmani vada trattato a parte. Ed è sperabile che i responsabili della cosa pubblica non temano di affrontarlo a occhi aperti e senza illusioni.
Gli islamici - nella stragrande maggioranza e con qualche eccezione - vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra "umanità", individuale e associata, in ciò che ha di più essenziale, di più prezioso, di più "laicamente" irrinunciabile: più o meno dichiaratamente, essi vengono a noi ben decisi a rimanere sostanzialmente "diversi", in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro.
Hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino a praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se aspettano prudentemente a farla valere di diventare preponderanti. Non sono dunque gli uomini di Chiesa, ma gli stati occidentali moderni a dover far bene i loro conti a questo riguardo.
Va anzi detto qualcosa di più: se il nostro Stato crede sul serio nell'importanza delle libertà civili (tra cui quella religiosa) e nei princìpi democratici, dovrebbe adoperarsi perché essi siano sempre più diffusi, accolti e praticati a tutte le latitudini. Un piccolo strumento per raggiungere questo scopo è quello della richiesta che venga data una "reciprocità" non puramente verbale da parte degli stati di origine degli immigrati.
Scrive a questo proposito la Nota Cei del 1993: 'In diversi paesi islamici è quasi impossibile aderire e praticare liberamente il cristianesimo. Non esistono luoghi di culto, non sono consentite manifestazioni religiose fuori dell'islam, né organizzazioni ecclesiali per quanto minime. Si pone così il difficile problema della reciprocità. E' questo un problema che non interessa solo la Chiesa, ma anche la società civile e politica, il mondo della cultura e delle stesse relazioni internazionali. Da parte sua il papa è instancabile nel chiedere a tutti il rispetto del diritto fondamentale della libertà religiosa' (n. 34). Ma - diciamo noi - chiedere serve a poco, anche se il papa non può fare di più.
Per quanto possa apparire estraneo alla nostra mentalità e persino paradossale, il solo modo efficace e non velleitario di promuovere il "principio di reciprocità" da parte di uno Stato davvero "laico" e davvero interessato alla diffusione delle libertà umane, sarebbe quello di consentire in Italia per i musulmani, sul piano delle istituzioni da autorizzare, solo ciò che nei paesi musulmani è effettivamente consentito per gli altri. (...)
 
CONCLUSIONE
In un'intervista di una decina d'anni fa, mi è stato chiesto con molto candore e con invidiabile ottimismo: "Ritiene anche Lei che l'Europa o sarà cristiana o non sarà?". Mi pare che la mia risposta di allora possa ben servire alla conclusione del mio intervento di oggi.
Io penso - dicevo - che l'Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la "cultura del niente", della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l'atteggiamento largamente dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa "cultura del niente" (sorretta dall'edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all'assalto ideologico dell'Islam, che non mancherà: solo la riscoperta dell'avvenimento cristiano come unica salvezza per l'uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell'antica anima dell'Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto.
Purtroppo né i "laici" né i "cattolici" pare si siano finora resi conto del dramma che si sta profilando. I "laici", osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l'ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo tardi. I "cattolici", lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta e sostituendo all'ansia apostolica il puro e semplice dialogo a ogni costo, inconsciamente preparano (umanamente parlando) la propria estinzione. La speranza è che la gravità della situazione possa a un certo momento portare a un efficace risveglio sia della ragione sia dell'antica fede.
È il nostro augurio, il nostro impegno, la nostra preghiera.
 
Nota di BastaBugie: vi invitiamo a guardare il filmato "La vera fine del mondo" che, dati alla mano, fa capire la drammaticità della situazione in Europa


www.youtube.com/watch?v=aDaUppMaoEI

CARD. GIACOMO BIFFI
La fede che diventa cultura

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Fonte: Fondazione Migrantes, 30 settembre 2000

3 - LA CRISI FINANZIARIA ATTUALE DIMOSTRA IL FALLIMENTO DEGLI STATI MODERNI: ECCO PERCHE' IL COLLASSO E' INEVITABILE PER TUTTI
La gigantesca dilatazione della spesa pubblica, provocata dalla pretesa dei governi di gestire direttamente una quantità tendenzialmente infinita di beni e servizi sociali, ha aumentato il debito pubblico e la pressione fiscale fino a livelli insopportabili
Autore: Robi Ronza - Fonte: La Bussola Quotidiana, 26/09/2011

La tempesta politica in corso in Italia ha tutte le cause immediate e tutte le connotazioni personali che sappiamo, ma ciononostante vale la pena di non dimenticare che in sostanza non ha nulla di specifico: è soltanto un caso particolare di un fenomeno generale, ovvero la crisi finanziaria sotto il peso della quale stanno andando verso il collasso più o meno tutti gli Stati.   
Vale più che mai la pena al riguardo di andarsi a vedere un acuto saggio dell'economista polacco Leszek Balcerowicz pubblicato l'anno scorso dall'Istituto Bruno Leoni, Il fallimento degli Stati sovrani dell'Unione Europea: una prospettiva comparata, nel quale quanto ora sta accadendo veniva accuratamente previsto e veniva anche sottolineato che, se non si ha il coraggio (che adesso non si sta avendo) di lasciar fallire la Grecia e gli altri piccoli Stati che già ci stanno arrivando, si finirà per giungere a quello davvero catastrofico degli Stati più grandi, Italia compresa.
Secondo Balcerowicz e altri esperti altrettanto autorevoli e oggi altrettanto inascoltati,  il temuto "effetto domino" potrebbe venire molto più probabilmente provocato dal costo del salvataggio della Grecia piuttosto che da quello assai minore dei provvedimenti di mitigazione delle conseguenze sociali del suo fallimento. Come già in altra occasione  si diceva, è meglio insomma lasciar andare a fondo la nave limitandosi al soccorso dei naufraghi piuttosto che dilapidare risorse nell'impresa impossibile di tenerla comunque a galla. Purtroppo però sin qui l'interesse delle grandi banche tedesche e francesi, che hanno nel loro portafoglio ingenti quantità di titoli di stato greci, continua a contare più di ogni altra cosa. C'è infatti qualcosa di un po' ipocrita nello sdegno della stampa soprattutto tedesca per l'irresponsabilità delle cicale greche, che forse sarebbe state molto più prudenti se le formiche tedesche non avessero continuato a fare loro allegramente prestiti sempre più avventati.
Al di là della cronaca immediata tuttavia il quadro generale della crisi non solo degli Stati dell'Unione Europea ma in genere di tutti gli Stati moderni in estrema sintesi è il seguente:  la gigantesca dilatazione della spesa, provocata dalla loro pretesa di gestire e di governare direttamente una quantità tendenzialmente infinita di beni e servizi sociali, ha spinto gli Stati sia ad aumentare la pressione fiscale fino a livelli che come nel caso dell'Italia sono insopportabili, e sia a indebitarsi. Alcuni, come ad esempio gli Stati Uniti, hanno tirato la seconda leva più della prima; altri hanno fatto il contrario; altri ancora, come si è fatto da noi, hanno già tirato sia l'una che l'altra.
In assenza di drastiche e rapide riduzioni della spesa viene il momento in cui, come già accade nel nostro Paese, l'onere del pagamento degli interessi sui titoli del debito pubblico è tale da imporre un continuo aumento della pressione fiscale. Si genera così un circolo vizioso: la pressione fiscale abnorme (in Italia è sull'ordine del 50 per cento della produzione interna lorda, Pil) strozza l'economia; il ristagno economico porta con sé un riduzione del gettito fiscale, da cui consegue un ulteriore ricorso all'indebitamento e così via. Per rompere tale circolo vizioso occorrerebbe, dicevamo, una rapida e drastica riduzione della spesa pubblica, ma ciò urta contro il blocco sociale costituito da chi gode di privilegi finanziati con risorse pubbliche: un blocco sociale che si compone sia  dei percettori di tali privilegi che degli apparati burocratici che li gestiscono e li erogano.
Prima di procedere vale la pena di chiarire un concetto: forse anche a causa dell'uso che se ne fece nell'età delle rivoluzioni, la parola "privilegio" viene oggi istintivamente collegata all'idea di ricchezza e di élite.  Questo è un equivoco: non esistono soltanto i privilegi di élite ma anche quelli di massa. I primi sono più irritanti e più clamorosamente scandalosi, ma nella condizione moderna in termini di economia politica i secondi pesano molto di più. Alcuni milioni di operai e di impiegati dell'industria, che sono andati e  continuano ad andare in pensione nemmeno a 65 anni (il che è già assurdo tenuto conto dell'attuale vita media), ma addirittura tra 55 e 60 anni grazie ai più diversi "scivolamenti" e pre-pensionamenti, pesano sulla spesa pubblica centinaia di volte di più di alcune decine di ministri che viaggiano gratis per gli affari loro sugli aerei della presidenza del Consiglio. Beninteso: i privilegi dei potenti vanno censurati, ma stiamo bene attenti a che lo sdegno verso la "casta" non diventi un alibi per non porsi il problema dei privilegi di massa, che sono il vero carico insostenibile che sta mandando a fondo gli Stati moderni.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 26/09/2011

4 - LA BBC IGNORA LA NASCITA DI CRISTO E SOSTITUIRA' D.C. ''DOPO CRISTO'' CON E.C. ''ERA COMUNE''
Già la Rivoluzione Francese e poi Lenin e Mussolini, tentarono di cambiare la datazione, ma si ricoprirono di ridicolo e dopo pochi anni si tornò al Calendario Gregoriano
Autore: Lucetta Scaraffia - Fonte: Osservatore Romano, 05/10/2011

La notizia che la Bbc ha deciso di cambiare la definizione della data — sostituendo alle usuali sigle che rimandano ad avanti Cristo e dopo Cristo un generico «era comune» per non offendere i credenti di altre religioni — non ha suscitato grandi reazioni. A parte quelle di moltissimi non cristiani, che attraverso vari portavoce hanno fatto sapere che non si sentivano per nulla offesi dalla datazione tradizionale.
Ma queste composte e rispettose prese di posizione non hanno toccato i dirigenti dell'emittente britannica, come già è successo in casi analoghi. In realtà, è ormai ben chiaro che il rispetto delle altre religioni è solo un pretesto, perché coloro che vogliono cancellare ogni traccia di cristianesimo dalla cultura occidentale sono solo alcuni laici occidentali.
E non è certo la prima volta che ciò accade. Il tentativo di cambiare la datazione venne dalla Rivoluzione francese, che impose un nuovo calendario nel quale il computo del tempo cominciava dal 14 luglio 1789, tradizionale giorno d'inizio dei moti rivoluzionari, e inventò nuovi nomi per i mesi, ovviamente cancellando le feste cristiane, sostituite da altre «rivoluzionarie». Alle settimane, per cancellare la domenica, subentrarono le decadi. Il calendario durò poco, cancellato nel 1806 da Napoleone: le nuove date avevano qualcosa di posticcio e di ridicolo anche per i più fieri illuministi.
Il secondo tentativo venne fatto da Lenin, che cambiò calendario sostituendolo con una datazione che partiva dal colpo di Stato del 24 ottobre 1917. Questo calendario, rimasto in vigore dal 1929 fino al 1940, sostituiva le settimane con una scansione di cinque giorni, e naturalmente aboliva le feste cristiane, rimpiazzandole con quelle nate dalla rivoluzione. Anch'esso, però, non ebbe molto successo, come dimostra il fatto che fu usato parallelamente al calendario gregoriano, anche per mantenere rapporti con il resto del mondo. Così fu anche per la datazione a partire dalla marcia su Roma, con la quale iniziava l'Era fascista, imposta da Mussolini e che però si affiancava a quella tradizionale, senza pretendere di sostituirla.
Insomma, l'idea di rimuovere il calendario cristiano ha pessimi antecedenti, con numerosi fallimenti alle spalle. Bisogna dire che questa volta la Bbc si limita a cambiare la dizione e non il computo del tempo, ma, così facendo, non si può negare che abbia compiuto un gesto ipocrita. L'ipocrisia di chi fa finta di non sapere perché proprio da quel momento si comincino a contare gli anni.
Negare la funzione storicamente rivoluzionaria della venuta di Cristo sulla terra, accettata anche da chi non lo riconosce come Figlio di Dio, è un'enorme sciocchezza. E, dal punto di vista storico, lo sanno tanto gli ebrei quanto i musulmani.
Come si può far finta di non sapere che soltanto da quel momento si è affermata l'idea che tutti gli esseri umani sono uguali in quanto tutti figli di Dio? Principio su cui si fondano i diritti umani, in base ai quali si giudicano popoli e governanti. Principio che fino a quel momento nessuno aveva sostenuto, e sul quale invece si basa la tradizione cristiana.
Perché non riconoscere che da quel momento il mondo è cambiato? Che sono scomparsi tabù e impurità materiali e che la natura è stata liberata dalla presenza del sovrannaturale proprio perché Dio è trascendente? Da queste realtà è nata la possibilità per i popoli europei di scoprire il mondo e per gli scienziati di iniziare lo studio sperimentale della natura che ha portato alla nascita della scienza moderna.
Perché allora negare perfino i debiti culturali che la civiltà ha nei confronti del cristianesimo? Non c'è niente di più antistorico e di più insensato, come ebrei e musulmani hanno capito chiaramente. Non è questione di fede, ma di ragione. Anche questa volta.

Fonte: Osservatore Romano, 05/10/2011

5 - MATRIMONIO GAY: DURA RISPOSTA DELLA CHIESA CATTOLICA CONTRO L'AFFONDO DI OBAMA
Per il presidente USA la legge che tutela come unico possibile il matrimonio tra un uomo e una donna è incostituzionale, ma la maggioranza degli americani non la pensa come lui
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Bussola Quotidiana, 02/10/2011

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha deciso. Per lui la legge che tutela come unico possibile il matrimonio tra un uomo e una donna è incostituzionale. Ma si sbaglia di grosso, dice Timothy M. Dolan, arcivescovo cattolico di New York e presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, che il 20 settembre ha inviato una vibrante lettera di protesta alla Casa Bianca.
Un fatto più unico che raro, questo - soprattutto per i toni forti e da ultimatum utilizzati dal presule -, che evidenzia come la questione sia oramai ai ferri corti. Nella sostanza, un vero scontro "istituzionale".
L'oggetto specifico del contendere è il cosiddetto DOMA, ovvero il "Defense of Marriage Act", la legge federale che riconosce come validi unicamente i matrimoni monogamici eterosessuali e che per converso esclude la possibilità di contrarre "nozze" omosessuali. Approvata il 21 settembre 1996, durante la presidenza di Bill Clinton, dal 104° Congresso federale a maggioranza Repubblicana - e Repubblicana piuttosto conservatrice -, la legge è stata messa più volte in dubbio e di fatto erosa in alcune delle sue prerogative dalle varie iniziative da allora susseguitesi nel Paese a favore del "matrimonio" gay, in alcuni casi (in alcuni Stati dell'Unione) sfociate nella legalizzazione. Per il mondo pro-family il DOMA è da sempre la base di partenza non negoziabile per ogni e qualsiasi discorso giuridico si voglia e si possa fare sul matrimonio, ed è infatti sul suo confine che da mesi si combatte l'ultima battaglia culturale e politica statunitense contro il riconoscimento delle unioni legali fra persone dello stesso sesso. Nondimeno, per il fronte avverso il DOMA è il nemico alle porte, sia perché pone un ostacolo concreto alla "normalizzazione" dell'omosessualità, sia perché stabilisce un principio "filosofico" inaccettabile per il mondo gay: ovvero che la legge positiva dello Stato - moderno, democratico e pluralista, non certo una "teocrazia medioevale" - riconosca e recepisca il diritto naturale, stabilendo essere compatibile con i princìpi che la fondano secondo criteri di equità e di giustizia, e che la reggono nell'amministrazione del bene comune dei cittadini, un solo tipo di persona - quella la cui natura è data e immodificabile, non per "cattiva volontà" ma per ragioni intrinseche -, dunque un solo tipo di famiglia.
Adesso il conflitto fra queste due concezioni radicalmente inconciliabili è arrivato in alto: coinvolge direttamente le massime autorità politiche e morali del Paese, e si configura come una sfida tra campioni. Da un lato c'è Obama a capo dell'esercito che, attraverso la legalizzazione del "matrimonio" gay, vorrebbe rifare completamente gli Stati Uniti, dall'altro la Chiesa cattolica che - per paradossale che possa sembrare - è rimasta la più integerrima paladina dei princìpi di diritto naturale e di giustizia su cui si regge l'ordinamento giuridico di questo Paese "protestante", "pluralista" e per certuni persino "relativista" ma che comunque ancora tutela per legge l'unico matrimonio concepito dalla natura delle cose.
A dirlo espressamente è proprio mons. Dolan là dove a Obama scrive che l'attacco frontale portato dalla sua Amministrazione al DOMA «farà sprofondare il Paese in un conflitto tra Chiesa e Stato di proporzioni enormi da cui ci rimetteranno entrambi le istituzioni»; e per farsi ben comprendere - da Obama e da tutti - l'arcivescovo allega alla lettera un dossier predisposto da una commissione di ricerca della sua diocesi che documenta e che ricorda tutti i passi compiuti con coerenza tetragona dalla Casa Bianca per avvicinarsi all'obiettivo finale della cancellazione per "incostituzionalità" della legge che difendo il matrimonio, l'unico.
È del resto «particolarmente sconcertante» - aggiunge l'arcivescovo - che l'Amministrazione statunitense, «attraverso varie carte, pronunciamenti e direttive processuali, attribuisca a chi difende il DOMA motivazioni pregiudiziali e preconcettuali». Ed «è particolarmente sbagliato e disonesto equiparare la contrarietà alla ridefinizione del matrimonio con la discriminazione razziale intenzionale o volutamente ignorante, come la sua Amministrazione insiste a fare».
Infatti, continua mons. Dolan, «il nostro profondo rispetto per il matrimonio inteso come l'unione complementare e fruttuosa tra un uomo e una donna non nega la nostra sollecitudine per il benessere di tutti, bensì la rafforza». Perché, «mentre tutte le persone meritano il nostro rispetto pieno, nessun'altra relazione garantisce al bene comune ciò che il matrimonio tra un marito e una moglie garantisce». E «la legge deve esprimere questa realtà».
Con una semplice quanto cristallina (e doverosa) lezione di "educazione civica americana", l'arcivescovo sottolinea peraltro che «il nostro governo federale non dovrebbe presumere la cattiva intenzione o la sordità morale da parte della maggioranza schiacciante dei suoi cittadini, milioni dei quali si sono espressi a favore del DOMA in consultazioni referendarie svolte in numerosi Stati dell'Unione». Né «la differenza di orientamento sul significato del matrimonio dovrebbe essere trattata dai funzionari del governo come un reato federale»: eppure «sarà questo ciò che accadrà se nei tribunali avrà la meglio la teoria costituzionale recentemente elaborata dal Ministero della Giustizia».
La lettera di mons. Dolan a Obama chiude nella speranza di un dialogo sincero per il quale - sottolinea il presule - c'è sempre tempo pur nel tempestoso clima di disaccordo che divide oggi la Chiesa statunitense e la Casa Bianca: «Sappia, la prego, che sono sempre pronto a discutere con lei di queste questioni e di rispondere a qualsiasi sua domanda». Eppure - come si dice a quelle latitudini - "non fa prigionieri".
«Signor presidente », intima infatti il presule a Obama, «la esorto rispettosamente a premere il tasto del reset» per modificare l'«atteggiamento che la sua Amministrazione sta tenendo verso il DOMA». E qualche riga dopo di questa lettera di dottrina sociale ripete: «a nome dei mie confratelli nell'episcopato la esorto ancora una volta affinché la sua Amministrazione metta fine alla campagna che ha in atto contro il DOMA, contro l'istituto del matrimonio che quella legge protegge e contro la libertà religiosa».
Non capita tutti i giorni che il capo dei vescovi di un Paese democratico apostrofi di proprio pugno così i vertici politici e istituzionali di detto Stato. Decisamente, il favore con cui la Chiesa statunitense guarda oggi Obama e la sua Amministrazione è al minimo storico. E sempre più la difesa del matrimonio naturale tra un uomo e una donna è il crinale tra due civiltà, una naturale e cristiana a favore di tutti, omosessuali compresi; l'altra il suo esatto contrario.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 02/10/2011

6 - PERCHE' STEVE JOBS NON MI HA CAMBIATO LA VITA
L'inventore di iPod, iPhone, iPad, negli ultimi anni aveva assunto un'aura misticheggiante: una strategia di marketing studiata a tavolino che nel vuoto esistenziale crea falsi miti come già successo per Lady Diana o Michael Jackson
Autore: Alessandro Campi - Fonte: Il Foglio, 07/10/2011

Vorrei spiegare ai lettori del Foglio, ammesso siano interessati a un punto di vista tanto personale, per quali ragioni Steve Jobs non mi ha cambiato la vita (diversamente da quel che è accaduto a Jovanotti, a Beppe Severgnini e a quanto pare ad alcuni milioni di altre persone) e perché questo piagnisteo universale – da Obama a Filippo Rossi – sul genio che ci ha lasciati prematuramente, lasciando un vuoto incolmabile, mi sembra francamente esagerato e sospetto.
Bisognerebbe intendersi, per cominciare, sul concetto di rivoluzione applicato alla vita delle persone. Cos'è che ha realmente modificato l'esistenza quotidiana di miliardi di individui negli ultimi settant'anni, diciamo dalla fine della seconda guerra mondiale in avanti, in termini materiali e concreti, esonerandoli da incombenze e problemi secolari? Mi vengono in mente, a casaccio, la plastica e la lavatrice, e magari mettiamoci anche, giusto per apparire banali sino in fondo, gli antibiotici e l'elica doppia della molecola del Dna (che magari non sarà il "segreto della vita", come si disse all'epoca della sua scoperta, ma insomma, un bel salto in avanti l'ha rappresentato). Non mi viene in mente, invece, l'attrezzo per ascoltare la musica mentre si corre o si sta seduti nel tram: rilassante e divertente, per carità, ma se non sbaglio c'era già prima di Jobs.
Intendiamoci, l'iPod, l'iPhone, l'iPad sono "fighissimi", come dicono i miei nipotini: pieni di applicazioni, intuitivi, veloci, coloratissimi, ma già l'idea di un prodotto che cambia ogni anno e mezzo, che costringe milioni di persone a sbarazzarsi della versione "vecchia" per prendere quella appena lanciata sul mercato, più leggera di cinquanta grammi, dall'identico design ma più accattivante, che fa una cosa in più dell'altra ma ad una velocità maggiore, mi sembra una gran furbata commerciale: se la bulimia da consumo è un segno di cambiamento epocale, allora è vero, Jobs ha cambiato la vita di molte persone, rendendole però dipendenti non da una filosofia di vita quale non si era mai vista nella storia, ma da una strategia di marketing questa sì geniale e rivoluzionaria. La stessa che ha portato il Nostro a fare meglio, con più originalità e intelligenza, le cose che già altri facevano. E dunque a rendere esteticamente gradevoli e di più facile uso i personal computer. Ovvero a dare un nome proprio alle cose, a personalizzare con denominazioni intriganti e davvero easy oggetti altrimenti tutti eguali a se stessi e di solito aridamente marcati dai produttori: vuoi mettere la differenza tra chi ha l'iPhone (e per questa sola ragione pensa di appartenere ad una comunità di eletti) e chi, come il sottoscritto, possiede un Nokia-N95 avendo prima posseduto un Samsung SGH-S3000M.
Ma questo appunto è marketing creativo, peraltro con venature gnostiche: fa volare le quotazioni in Borsa, crea utenti fedeli e devoti ad un marchio che entrano negli Applestore come si trattasse di un tempio e non d'un normale negozio, ma è tutto da dimostrare che ciò renda l'umanità migliore.
Se il mondo intero sostiene che Jobs era un genio, mi riesce difficile argomentare il contrario. Accettiamo dunque che lo sia stato, sapendo però che lo stesso verrà detto – ancor più a ragione, a mio giudizio – per Bill Gates e Mark Zuckerberg; e sapendo altresì che gli altrettanto geniali inventori di Internet e della posta elettronica – strumenti senza i quali la storia di Jobs nemmeno sarebbe cominciata e la vicenda personale di ognuno di noi sarebbe stata per davvero differente – non se li ricorda nessuno: forse sono ancora vivi, ma se sono morti di sicuro non si è andati oltre un trafiletto in cronaca. Perché quello che colpisce nel caso di Job è appunto il rilievo mediatico di questa morte, prematura e largamente annunciata. E il fatto che il cordoglio planetario si stia appuntando non, come dovrebbe essere normale, su un capitano d'industria di vaste idee, perciò regolarmente definito "intraprendente" e "visionario", che ha contribuito a creare un sistema di organizzazione aziendale, una tecnica di vendita e una forma di relazione con i consumatori in effetti diverse da quelle dei diretti competitori (che è poi la vera ragione del successo della Apple, come ben sanno gli esperti di cultura d'impresa), ma sul fondatore di una sorta di religione pop o light, su un capo setta che sembrerebbe aver lasciato orfani milioni di devoti inconsolabili.
Morire (relativamente) giovani e drammaticamente, secondo un'antica legge, è preferibile che tirare le cuoia nel proprio letto ad un'età veneranda, se si vuole accedere se non al mito almeno alla leggenda. E' accaduto anche stavolta. Ma va anche detto che le uscite di Jobs in pubblico degli ultimi anni, dimagrito a causa del male, spartanamente abbigliato in nero come si conviene ad un guru che abbia già preso distacco dal mondo, solo sul palco come si conviene ad un predicatore che debba annunciare verità universali alle folle, hanno senz'altro contribuito a creargli attorno un'aura misticheggiante: una scelta anche questa – non si offendano i vertici di Cupertino – abilmente studiata a tavolino, con l'evidente obiettivo di trasformare ogni lancio di un nuovo prodotto, per solito indirizzato alla rete vendita dell'azienda e agli operatori del settori, in una celebrazione liturgica in mondovisione. Geniale e mirabile, senz'altro, ma sempre di marketing stiamo parlando, applicato a quanto pare anche post-mortem con non poco cinismo.
Se poi si aggiunge il vuoto emotivo e spirituale che caratterizza l'epoca nostra, il senso di solitudine universale che le invenzioni alla Jobs hanno paradossalmente alimentato a dispetto del convincimento che, maneggiando un pezzo di plastica colorato o toccando uno schermo (siamo una civiltà regredita alla tattilità), si sia tutti fratelli e amici in rete, a contatto con l'umanità intera in ogni momento della nostra esistenza, si capisce meglio il diluvio di banalità encomiastiche cui stiamo assistendo: le stesse già sentite per Lady Diana o Michael Jackson. Un mondo sempre più abitato da coscienze fragili e inquiete, alla disperata ricerca di figure e personalità esemplari nelle quali riconoscersi, forse farebbe meglio ad andare in chiesa a pregare, piuttosto che portare fiori o scrivere messaggi disperati a ricordo dell'idolo del momento asceso in cielo. Con tutto il rispetto, è morto un inventore con un grande senso per gli affari. Umanamente mi dispiace, ma né piango disperato né mi sento meno solo di prima. E tranquilli che l'umanità, tra alti e bassi, andrà avanti lo stesso. (...)

Fonte: Il Foglio, 07/10/2011

7 - ORA BASTA! JOBS NON ERA IL MESSIA!
Come sarà il mondo senza di lui? Tranquilli: se l'umanità ha superato perfino la scomparsa dell'inventore della lavatrice, ce la farà anche stavolta
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 08/10/2011

E' nata una nuova religione: la Chiesa catodica. Che non rivela il senso della vita, ma vi priva del senso del ridicolo. Questa chiesa si è scelta come suo (involontario) messia (provvisorio, in base ai gusti del mercato) il povero Steve Jobs. A sua insaputa.
I suoi celebranti, prosternati e adoranti, sono giornalisti, intellettuali, vip di ogni genere, politici e opinionisti. I quali, non credendo più a Dio, non è che non credano in nulla, ma – come diceva Chesterton – credono a tutto.
Si sono convinti perfino che Jobs sia il messia: colui che "ha cambiato il mondo".
D'altra parte nei decenni scorsi intellettuali, politici e giornalisti avevano acclamato come "salvatori dell'umanità" dei sanguinari tiranni, che avevano milioni di vittime sulla coscienza, quindi con quelli di oggi in fondo c'è un miglioramento: il buon Jobs non mai fatto male a nessuno.
Ha semplicemente dato sfogo alla sua inventiva, producendo tanti aggeggi elettronici, diventando un grosso industriale e accumulando un patrimonio enorme. La sua attività di industriale però non può spiegare lo stupefacente spettacolo di queste ore.
I tg che aprono su Jobs e occupano mezzo telegiornale, tutte le catene televisive del mondo che celebrano il defunto con tonnellate di incenso, come una divinità dei nostri tempi e poi i programmi della serata che inneggiano al "grande", a colui che ha "realizzato il sogno dell'umanità".
Un telegiornale ieri titolava: ""E ora? Come sarà il mondo senza di lui?". Tranquilli: sarà esattamente come prima. Se l'umanità ha superato perfino la scomparsa dell'inventore della lavatrice, ce la farà anche stavolta.
Solo che della morte dell'inventore della lavatrice nessuno ha nemmeno dato notizia. Per la morte di Jobs invece siamo stati alluvionati dalle "lacrime" mediatiche.
Come si spiega? Si dice: la sua tecnologia ha cambiato le nostre abitudini. Bene. C'è qualcuno che conosce padre Eugenio Barsanti e Felice Matteucci? Non credo. Nemmeno fra giornalisti e intellettuali.
Eppure hanno cambiato la vita dell'umanità forse anche più di Jobs: hanno infatti inventato e brevettato il primo motore a scoppio. Auto, moto e quant'altro vengono da lì.
Scusate se è poco: senza di loro andremmo ancora a piedi, o in bicicletta. Ma restano del tutto sconosciuti (neanche noi italiani – loro connazionali – li riconosciamo come esempio di ingegno nostrano).
Volete un altro esempio proprio nel campo dei computer e di internet? Bene. C'è un tizio che – secondo me – è stato molto più  decisivo di Jobs nel rivoluzionare i nostri modi di vivere e – sorpresa! – è un italiano.
Solo che nessuno lo conosce. Almeno in Italia, perché in America lo conoscono benissimo: si chiama Federico Faggin e il 19 ottobre 2010 ha ricevuto dalle mani di Barack Obama il più alto riconoscimento americano in campo scientifico, la Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l'Innovazione.
E' a lui che si deve il progetto del primo microprocessore, cioè quella cosina minuscola che fa funzionare tutti i nostri computer e tutti i congegni elettronici.
Credo si possa dire che senza quest'invenzione non ci sarebbero né Internet, né Jobs, né Bill Gates, né Google, né Facebook, perché non ci sarebbero nemmeno i personal computer e gli smart phone. E tante altre cose.
Ma in Italia resta uno sconosciuto. Non ricordo di aver mai letto un articolo su di lui (tanto meno in prima pagina) o di aver visto un programma tv che mostrasse questo vanto del genio italiano.
Un altro caso. Qualcuno conosce il dottore Albert Bruce Sabin? Molto pochi. Eppure è colui che ha realizzato il vaccino antipolio che ha liberato l'umanità (e anche il popolo italiano) dalla terribile poliomielite.
Ebbene Sabin, che poteva diventare miliardario con la sua scoperta, non ne ricavò neanche un dollaro. Rinunciò infatti a brevettarla e a sfruttarla in senso commerciale perché il prezzo del vaccino fosse alla portata di tutti.
Disse: "Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo".
Sabin era ebreo e aveva avuto due nipotine uccise dalle SS: nel suo cuore c'erano i tanti innocenti che soffrivano ingiustamente. Non vi sembra un grande? Non vi pare che abbia fatto una cosa immensa per l'umanità?
Eppure alla sua morte, nel 1993, non si sono fatte paginate di giornali. Né editoriali dove si diceva che era un uomo che aveva cambiato il mondo.
Potrei continuare con gli esempi. Ce ne sarebbero tanti. E tutti dimostrerebbero che non si spiega l'enfasi mitologica dei media, i titoli messianici e queste ovazioni planetarie per Jobs.
Il Corriere della sera, per fare solo un esempio, ha dedicato – oltre all'apertura di prima pagina – otto pagine (ripeto: otto!) al decesso, peraltro annunciatissimo di Jobs. Non ha esitato – il "Corriere" – nemmeno a titolare: "A Cupertino come da Madre Teresa".
E, per non farci mancare niente, ha affidato l'editoriale a Beppe Severgnini il quale ha occupato la prima pagina del quotidiano milanese per dare al mondo due fondamentali notizie: 1) "il primo portatile l'ho acquistato vent'anni fa in California" (e chi se ne frega!); 2) "il (mio) primo computer è stato un Macintosh: ci ho scritto il primo libro" (cosa che potrebbe gravare sulla coscienza di Jobs come un macigno).
Perfino i giornali di sinistra hanno partecipato alla devota processione con i turiboli per la mitizzazione di Jobs, sebbene sia un simbolo del grande capitalismo. "Il Manifesto" gli ha dedicato l'apertura e un editoriale laudatorio intitolato: "Un borghese rivoluzionario".
E un altro titolo che (letto su un giornale comunista) fa un po' ridere: "Il morso dell'utopia". Di questo passo rischiano di mitizzare pure Berlusconi.
Anche "Avvenire" – il giornale dei vescovi – ha dedicato a Jobs un articolo (con foto) in prima e all'interno addirittura quattro pagine. Che francamente lasciano un po' perplessi considerato che ci sono tantissimi missionari che donano la loro vita intera, fin da giovani, per assistere i più diseredati della terra, in condizioni durissime (ho presente certi lebbrosari africani) e la loro morte non è segnalata da nessuno, nemmeno sulla stampa cattolica.
Eppure credo che potrebbero testimoniare qualcosa, sulla vita e sulla morte. Penso che loro siano dei veri maestri. E la loro vita potrebbe essere più interessante e istruttiva della vicenda professionale di Jobs che in fin dei conti viene magnificato per delle massime che trasudano una certa banalità.
Sentite queste: "nella vita tutto serve", "bisogna credere in qualcosa", "quando la vita vi colpisce con una bastonata non scoraggiatevi", "nessuno vuole morire, ma alla morte nessuno è mai sfuggito".
Non c'era bisogno di Jobs: questi pensieri li abbiamo già sentiti tutti da nostra nonna. Decantare queste parole come perle filosofiche rischia di farci finire nell'assurdo o nel ridicolo.
Jobs è un uomo del nostro tempo. E' stato un bravo inventore e un industriale di grande talento. Anche un tipo simpatico e tosto, per come ha vissuto la malattia. Ma, sinceramente, non mi pare uno che ha rivoluzionato la storia umana. Nemmeno un filosofo. Le sole due frasi suggestive da lui pronunciate nel famoso discorso di Stanford non sono sue: sono citazioni (e lui peraltro lo dice esplicitamente). Eppure vengono evocate come massime del mito Jobs.
"Continuate ad aver fame. Continuate ad essere folli" è una frase del "Whole Earth Catalog" di Steward Brand. Mentre "vivi ogni giorno come se fosse l'ultimo" è un pensiero della spiritualità monastica cristiana che Jobs lesse a 17 anni in forma di battuta umoristica:  "Se vivrete ogni giorno come se fosse l'ultimo, un giorno sicuramente avrete avuto ragione".   
Jobs è stato semplicemente un creativo e un grosso industriale. Non facciamone il messia. E non inventiamo miti per coprire il nostro vuoto. Credo che lui stesso, che continuava a vestire jeans e girocollo, avrebbe trovato assurda questa enfasi messianica planetaria.

Fonte: Libero, 08/10/2011

8 - UN SINDACO DEL VERCELLESE CANCELLA 150 ANNI DI PARITA' IN SPREGIO DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA' E DEL TERZO PRINCIPIO NON NEGOZIABILE (LIBERTA' DI EDUCAZIONE)
Decisa la clamorosa chiusura della scuola materna: il comune aprirà un proprio asilo spendendo 61mila euro all'anno anziché 16mila (così i contribuenti sono fregati due volte: pagano più tasse e non possono scegliere la scuola che preferiscono)
Autore: Paolo Viana - Fonte: Avvenire, 02/09/2011

Il Comune chiude l'asilo paritario e ne apre due, uno statale e uno tutto suo. È questo, per ora, l'epilogo del caso Bianzè, il paesino del Vercellese il cui sindaco ha sfrattato la scuola materna dai locali in cui, per oltre 150 anni, sono cresciute generazioni di bianzinesi. Se il Tribunale di Vercelli non accoglierà il ricorso dei genitori che amministrano l'asilo e non ne restituirà l'uso, i locali dovranno essere sgombrati per fare spazio a una nuova sezione statale dell'Istituto comprensivo di Tronzano e ad una seconda sezione, creata ad hoc dal Comune. Apparentemente, un passaggio di consegne vantaggioso per le famiglie che non dovranno pagare alcuna retta. In realtà, da quando si è aperto il caso sono cadute una dopo l'altra tutte le motivazioni addotte dall'amministrazione comunale per cancellare un secolo e mezzo di parità scolastica e ora emergono forti dubbi circa l'imparzialità del ministero dell'Istruzione.
La decisione del sindaco Maurizio Marangoni di chiudere l'asilo scatta in primavera. Ufficialmete, dovrebbe venire incontro ai cittadini meno abbienti, offrendo un servizio gratuito. In realtà, a Bianzè gli indigenti sono talmente pochi che ogni anno restano inutilizzate tre rette gratuite delle quattro previste dalla vecchia materna. L'Arcivescovo di Vercelli, Enrico Masseroni, cerca una mediazione e propone di affiancare all'asilo paritario una sezione statale; la Regione si allinea e autorizza la statale; Marangoni chiede ugualmente al Tribunale di mettere i sigilli all'asilo paritario; il provvedimento viene adottato venerdì e la rissa si sposta nelle aule di tribunale, con i genitori a resistere, sostenuti dalla Fism, la federazione delle scuole paritarie.
Da quella che sembra una bega di paese, emerge intanto il ruolo dell'Istituto comprensivo di Tronzano. La materna di Bianzè è l'unica paritaria della zona: di questi tempi, i suoi 39 alunni fanno gola. Quando si capisce che la nuova sezione statale da 26 bambini non basterà a sostituire il vecchio asilo, il dirigente scolastico che guida l'istituto tronzanese accetta di firmare una convenzione che avalla la creazione di una scuola comunale negli stessi locali della statale, gestita però da personale diverso, preso da una cooperativa. Soluzione dubbia sul piano giuridico e su quello dell'organizzazione del lavoro scolastico. I genitori sono sconcertati: «La retta dell'asilo paritario era di 65 euro al mese – spiega Annalisa Momo – e quella statale zero, ma poiché se si porta il bimbo mezz'ora prima si paga un euro il guadagno è di 43 euro al mese. Bene, io li pagherei pur di avere voce in capitolo su chi educa i miei figli. La scuola statale avrà docenti diplomati, ma quella comunale sarà gestita da "animatori"...
«La chiusura della materna di Bianzè implica la scomparsa della sezione Primavera, che accoglieva tutti i bambini dai 24 ai 36 mesi. Il nuovo asilo statale-comunale accetterà solo quelli che non portano più il pannolino: così io dovrò spendere 400 euro per un nido invece dei 130 che chiedeva la scuola paritaria, un bel guadagno!», recrimina il genitore Mario Vigani. Anche sul piano finanziario i conti non tornano: se inizialmente l'operazione doveva essere a costo zero per il Comune, ora si scopre che l'Amministrazione dovrà sborsare 61mila euro all'anno per la sezione comunale, contro i 16mila corrisposti finora alla paritaria.
«Togliere la libertà di scelta educativa – commenta la presidente della materna paritaria Anna Bobba – è assurdo: non ci guadagnano le famiglie e ci perde il Comune. Ci guadagna solo l'istituto comprensivo di Tronzano».
Oggi al Tribunale di Vercelli seconda udienza sul ricorso presentato dall'asilo paritario. Ieri abbiamo cercato d'intervistare il sindaco Marangoni ma, ci ha detto la sua segretaria, è «molto impegnato».

Fonte: Avvenire, 02/09/2011

9 - AMANDA KNOX: GIORNALI E TELEVISIONI HANNO IL PREGIUDIZIO ANTI-CATTOLICO
Nella tempesta mediatica intorno al processo per l'uccisione di Meredith non poteva mancare qualcuno che tirasse in ballo la Chiesa (e, ovviamente, a sproposito)
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Bussola Quotidiana, 05/10/2011

Non poteva mancare. Nell'orgia mediatica che si è consumata intorno al processo per l'uccisione di Meredith Kercher, non poteva mancare qualcuno che tirasse in ballo la Chiesa. "La natura delle accuse contro Amanda Knox erano quasi esclusivamente di natura sessuale. L'Italia cattolica condanna lo stile di vita e un clichè adoperato ad hoc, non il fatto – mai dimostrato – che abbia ucciso". Così afferma in un'intervista al Corriere della Sera (notare anche il giornalista compiacente) lo scrittore-avvocato americano Scott Turow, che aggiunge: "L'aver dipinto sin dal primo istante la Knox come una giovane americana viziosa, promiscua e drogata, giunta in Italia dalla capitale degli hippy Seattle solo per divertirsi, ha consolidato uno stereotipo con grande presa sulla vostra opinione pubblica".
Ecco il problema: Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati condannati in primo grado soltanto perché siamo un paese cattolico, che non ama le ragazze licenziose e che magari fanno uso anche di droga. Cosa che se fosse vera vedremmo Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti – nel processo attualmente in corso – condannati anche per le stragi di Bologna, Ustica e Piazza Fontana.
Stando al teorema di Turow perciò, quella folla che, fuori dal Tribunale di Perugia, a sentenza nota ha cominciato a fischiare e urlare "Vergogna, Vergogna!", era senz'altro un gruppo di esagitati dell'Azione Cattolica e del Movimento Chierichetti.
Ma non è solo Turow; il quotidiano inglese The Daily Telegraph è ancora più preciso: il responsabile di questo flop giudiziario è il cattolico pubblico ministero Giuliano Mignini, che a causa della sua fede è anche fissato con il satanismo e le messe nere. Insomma, Mignini avrebbe legato la ricorrenza di Halloween – l'omicidio avvenne l'1 novembre – con presunti riti satanici a base di sesso che avrebbero portato alla morte di Meredith. Ovviamente, questa sarebbe pura fantasia scatenata nella testa del pubblico ministero dal suo essere cattolico.
In altre parole, secondo questi illuminati signori del mondo anglosassone, l'Italia è il paese della superstizione e della caccia alle streghe a causa della sua tradizione cattolica. Evidentemente non hanno letto la cronaca dei giornali italiani negli ultimi anni. Parlare di pregiudizio anti-cattolico in questo caso è perfino riduttivo.
Sia ben chiaro, noi non abbiamo elementi né a favore della colpevolezza né dell'innocenza, così come la stragrande maggioranza di coloro che – italiani e non – hanno scritto di questo processo. Guardiamo soltanto a ciò che è avvenuto intorno al processo, e non possiamo fare a meno di notare che al pregiudizio anticattolico si sposa anche una punta di razzismo da parte soprattutto dei media e dei politici statunitensi. Per loro Amanda Knox è innocente a prescindere: è americana, non può essere colpevole di alcunché avvenuto in terra straniera. Gli italiani non sono degni di giudicare un cittadino americano, come si osa portare alla sbarra chi è "superiore" per nascita?
Non è purtroppo la prima volta che accade: è successo per la strage del Cermis, è successo per la morte dell'agente segreto Nicola Calipari in Iraq. Ma in questi casi, si poteva pensare, il problema era che sul banco degli imputati c'erano dei militari. Nel caso di Perugia però - un fattaccio di cronaca nera senza alcun collegamento, neanche lontano, con la politica - abbiamo visto scendere in campo per fare pressione sulla giuria addirittura il segretario di Stato Hillary Clinton. Un fatto di cronaca nera che diventa affare di stato: unica prova dell'innocenza, la cittadinanza americana.
E giù a ricordarci che nel "perfetto" sistema giudiziario americano Amanda Knox sarebbe stata assolta subito perché non ci sono prove sufficienti della sua colpevolezza: «Il nostro sistema giudiziario – dice ancora Turow – parte sempre dal presupposto di innocenza. Sta all'accusa dimostrare la colpevolezza di un imputato, attraverso prove "al di là di ogni ragionevole dubbio"».
Che il nostro sistema giudiziario non sia un bell'esempio ne siamo ben coscienti (e lo conferma purtroppo anche il processo di Perugia con due sentenze che danno verdetti opposti), ma che normalmente si condanni sulla base di pregiudizi etnici e senza prove convincenti fa un po' ridere. Soprattutto se questa lezioncina ci viene dagli Stati Uniti dove, guarda caso, tra gli oltre 400 cittadini italiani detenuti nelle locali carceri, ci sono due casi molto controversi. Anzitutto quello di Carlo Parlanti, accusato nel 2004 e poi condannato nel 2006 per stupro, violenza e sequestro di persona dall'ex compagna. La donna durante il processo ha offerto più versioni discordanti, le indagini non sono mai state fatte e, durante il processo, Parlanti non ha avuto neanche l'ausilio di un interprete. E in pochi giorni, si è trovato la condanna sulle spalle.
Il secondo caso è quello di Enrico (Chico) Forti, produttore di filmati per la tv, condannato nel 2000 all'ergastolo in Florida per l'omicidio di un immobiliarista al termine di un processo indiziario da cui non è emersa alcuna prova concreta a suo carico. A generare dubbi sulla sentenza è anche il fatto che Forti era entrato in pesante contrasto con la polizia, in relazione alle nebulose vicende che avevano portato alla morte dello stilista italiano Versace e, successivamente, del suo presunto assassino. Forti, anche in servizi televisivi, definì la polizia "corrotta", insinuando che essa avrebbe confuso le acque per salvaguardare i veri colpevoli. Da quel momento iniziano i guai e la sentenza lo condanna all'ergastolo "per aver personalmente e/o con altra persona o persone allo Stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamene, la morte di Dale Pike". Accuse vaghe, come quelle della pubblica accusa nella requisitoria finale: "Lo Stato non ha bisogno di provare che Forti è il killer per provare che proprio lui sia stato il colpevole dell'omicidio...".
Questo sarebbe l'esempio di prove "al di là di ogni ragionevole dubbio", secondo la giustizia americana. O almeno se l'imputato è italiano. Ma il nostro ministro degli Esteri, benché sensibilizzato sul tema, nemmeno si sogna di fare qualche domanda alla signora Clinton.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 05/10/2011

10 - OMELIA XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO A - (Mt 22,15-21)
Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 16/10/2011)

Nessun avvenimento della storia sfugge alla Provvidenza di Dio. Così nella prima lettura di oggi vediamo come Ciro, fondatore dell'Impero persiano, pur non conoscendo il vero Dio, fu uno strumento nelle mani di Dio e servì ai suoi benevoli disegni. Ciro infatti ordinò il ritorno degli Ebrei da Babilonia e la ricostruzione del Tempio a Gerusalemme. Per bocca del profeta Isaia, Dio disse: «Per amore di Giacobbe, mio servo, e d'Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca [...] Ti renderò pronto all'azione, anche se tu non mi conosci» (Is 45,4-5). Da queste parole comprendiamo come sia stato Dio stesso a dare un titolo a Ciro (cf Is 45,4), cioè a conferire a lui il potere, proprio in vista del ritorno degli Ebrei dall'esilio di Babilonia. Gesù stesso disse a Pilato che nessuno esercita un potere se questo non gli è dato dall'alto (cf Gv 19,11).
Dio si serve di tutto e di tutti per portare avanti i suoi disegni, e nulla sfugge alla sua Provvidenza. Così Dio si è servito anche delle persecuzioni contro il Cristianesimo per diffondere la parola del Vangelo ancor più efficacemente fino agli estremi confini della terra.
Questa verità deve colmarci di consolazione, al pensiero che siamo sempre nelle mani di Dio e che nessun particolare della nostra vita si sottrae alla sua Provvidenza. San Paolo dice con chiarezza che «tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28), anche la stessa sofferenza e la persecuzione.
Come abbiamo ascoltato dal Vangelo, i farisei cercavano di mettere in difficoltà Gesù con una domanda insidiosa: «È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» (Mt 22,17). Comunque avesse risposto, Gesù avrebbe dato degli appigli alla malizia dei farisei. Infatti, se rispondeva "sì", ciò poteva essere visto come uno sminuire il potere di Dio sul suo popolo, per gli Ebrei era infatti inconcepibile dover pagare un tributo ad una autorità che non fosse stata quella di Dio; se rispondeva "no", ciò poteva essere chiaramente visto come una ribellione al governo di Roma.
Gesù sfugge al tranello, dicendo: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21). Con queste parole Gesù divide quella che è l'autorità civile da quella che è l'autorità religiosa. Questi sono due ambiti differenti: l'autorità civile mira al bene pubblico temporale; quella religiosa, al bene spirituale ed eterno delle anime. Questi due poteri sono distinti, anche se l'autorità civile deve sempre rispettare i Comandamenti di Dio.
Da tutto questo ne consegue che i cittadini devono osservare le leggi dello Stato, sempre che siano giuste e non contrarie ai principi morali e religiosi e al bene comune. Lo Stato non può esigere ciò che è dovuto solo a Dio, e il cristiano deve mantenere e difendere la sua libertà di onorare Dio al di sopra di tutto.
Un esempio eroico di fedeltà a Dio ce lo offre san Tommaso Moro, Cancelliere del re d'Inghilterra Enrico VIII. Quando nel XVI secolo questo re voleva staccare l'Inghilterra dalla Chiesa Cattolica, egli, con parole umili e prudenti, volle far comprendere al monarca che un tale passo non era secondo la Volontà di Dio. Il re fece allora imprigionare il Cancelliere, il quale rimase fermo nella fede cattolica, consapevole che prima di tutto bisogna obbedire a Dio. La scure del boia staccò la testa al glorioso Martire, ma non riuscì a togliergli la retta fede.
Rispondendo ai farisei che cercavano di metterlo in fallo, Gesù impartisce una lezione di grandissima importanza. Egli ci fa comprendere l'esigenza di rendere a Dio ciò che è di Dio. La moneta che i farisei mostrarono a Gesù recava l'immagine di Cesare, ma nella nostra anima vi è un'immagine molto più preziosa: quella di Dio. Creati a sua immagine e somiglianza, dentro di noi rechiamo l'immagine del Creatore, e siamo tenuti a dargli ciò che è dovuto, ovvero la stessa vita che Egli ci ha donato.
Ai giorni d'oggi si parla molto dei doveri dei cittadini nei confronti dello Stato, ma poche volte ci si ricorda dei doveri ancor più grandi che noi abbiamo nei confronti di Dio. Si cerca, infatti, di emanciparci quanto più è possibile da Lui, rivendicando una presunta autonomia nei riguardi di chi ci ha creati e redenti. Non c'è più stolta presunzione di questa.
Impariamo dai martiri della fede che solo nell'obbedienza alla Volontà di Dio troveremo la nostra più autentica realizzazione.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 16/10/2011)

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