DOPO LA FOTO DI BENEDETTO XVI E L'IMAM EGIZIANO CHE SI BACIANO IN BOCCA, ECCO IL RIDICOLO COMUNICATO DEL GRUPPO BENETTON
L'ipocrisia di Benetton finisce in tribunale, ma loro si giustificano: non l'abbiamo fatto apposta, siamo dispiaciuti di aver urtato la sensibilità dei fedeli, volevamo mandare un messaggio di pace...
Autore: Andrea Tornielli - Fonte: La Bussola Quotidiana
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IL DEFUNTO LO VOLEVA, LA FAMIGLIA LO RICHIEDE, UN MOTU PROPRIO DEL PAPA LO TUTELA COME DIRITTO: EPPURE VIENE RIFIUTATO IL FUNERALE IN LATINO
Poi si viene a sapere che in quella parrocchia si concede di tutto: dal rito bizantino alle esequie con chitarre cantando tutti insieme ''C'è un grande prato verde dove nascono speranze...''
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Il Foglio
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FILMATO SCONVOLGENTE: LEGALIZZARE L'ABORTO NON LO HA MAI RESO GIUSTO O SICURO O BUONO PER LE DONNE
Sono una donna ferita dalla devastante, tragica, cattiva scelta dell'aborto e faccio parte della stragrande maggioranza delle donne (oltre il 94 per cento) che non avrebbero mai pensato di abortire se fosse stato illegale
Autore: Myra Myers - Fonte: www.postaborto.it
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BENEDETTO XVI AVREBBE CHIESTO SCUSA PER LE CROCIATE, MA OVVIAMENTE E' UNA BUFALA!
Se per mille anni i cristiani si sono difesi dall'avanzare dell'Islam, se papi, teologi, santi, sovrani, militari, interi popoli, hanno predicato o combattuto per la crociata, non sarà stato perché... ce n'era bisogno?
Autore: Massimo Viglione - Fonte: Libertà e Persona
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LINEE GUIDA SULLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE: ULTIMO COLPO DI CODA DEL GOVERNO BERLUSCONI O GIUSTO RISPETTO DALLA LEGGE 40?
Purtroppo l'ambiguità della legge permette quel piano inclinato che porta, rapidamente, dal male minore al male maggiore
Autore: Mario Palmaro - Fonte: La Bussola Quotidiana
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CON LE QUOTE ROSA NOI DONNE ABBIAMO TRADITO LA NOSTRA NATURA: ABBANDONANDO LA NOSTRA VOCAZIONE, CI SIAMO ADATTATE ALLE REGOLE MASCHILI
Che noi donne siamo capaci anche fuori della famiglia è pacifico, ma quale prezzo siamo costrette a pagare (e a far pagare alle persone a noi affidate) per ''realizzarci'' nel lavoro fuori casa?
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Il Timone
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LE FALSE IDEE DEL CATASTROFISMO AMBIENTALISTA: INQUINAMENTO, CO2, ESAURIMENTO DELLE RISORSE, ECC.
Riccardo Cascioli, direttore de La Bussola Quotidiana, invita a non considerare l'uomo come cancro del pianeta terra, ma come una risorsa per il creato
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie
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L'IMMINENTE CATASTROFE CLIMATICA RENDE OSCURO L'AVVENIRE
Ecco le solite frottole di una società sazia che crede di far bella figura dimenticando che non esiste paese al mondo dove non accadono catastrofi naturali
Autore: Fabio Spina - Fonte: La Bussola Quotidiana
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OMELIA I DOMENICA DELL'AVVENTO - ANNO B - (Mc 13,33-37)
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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DOPO LA FOTO DI BENEDETTO XVI E L'IMAM EGIZIANO CHE SI BACIANO IN BOCCA, ECCO IL RIDICOLO COMUNICATO DEL GRUPPO BENETTON
L'ipocrisia di Benetton finisce in tribunale, ma loro si giustificano: non l'abbiamo fatto apposta, siamo dispiaciuti di aver urtato la sensibilità dei fedeli, volevamo mandare un messaggio di pace...
Autore: Andrea Tornielli - Fonte: La Bussola Quotidiana, 17/11/2011
Complimenti ai Benetton per la faccia tosta, anzi l'ipocrisia. Come già saprete, ieri è scoppiato la polemica sulla nuova campagna pubblicitaria della colorata ditta trevigiana, che ha voluto rinverdire i fasti delle campagne di Oliviero Toscani. Così, all'improvviso, sul ponte di Castel Sant'Angelo, è stato srotolato una gigantografia-fotomontaggio dove appaiono Benedetto XVI e l'imam di Al Ahzar, Ahmed al-Tayyeb che si baciano in bocca. L'insulsa campagna pubblicitaria, che ha soltanto lo scopo di provocare, prevede altri baci (tra Obama e il presidente cinese, tra la Merkel e Sarkozy) ed è ispirata dalla famosa foto del bacio tra Leonid Breznev, allora presidente dell'Urss ed Erich Honecker, presidente della Germania orientale. L'autore del fotomontaggio, tra l'altro, ha voluto rendere più «passionale» proprio il bacio tra i due leader religiosi rispetto agli altri tra leader politici. La presentazione in anteprima della nuova campagna Benetton è avvenita a Parigi, dove Gilberto Benetton ha ricevuto la Legion d'onore, la massima onorificenza concessa dallo stato francese, direttamente dalle mani del presidente Sarkozy, nel corso di una cerimonia all'Eliseo. «L'obiettivo della campagna è contrastare la cultura dell'odio, promuovendo la vicinanza tra popoli, fedi, culture e la pacifica comprensione delle ragioni altrui – ha spiegato Alessandro Benetton, vice presidente esecutivo di Benetton Group – . Gli odi non cessano mai grazie all'odio, cessano grazie al non odio». Questa campagna, ha concluso Benetton, «è uno stato d'animo di riconciliazione, ma non è buonista: l'amore sarebbe utopistico, il non odio invece è qualcosa che possiamo fare». Com'era prevedibile, l'uso e l'abuso dell'immagine del Papa e dell'imam egiziano srotolata a pochi passi da piazza San Pietro hanno provocato indignazione e la giusta risposta della Santa Sede. Padre Federico Lombardi, portavoce vaticano, ha espresso «una decisa protesta per un uso del tutto inaccettabile dell'immagine del Papa, manipolata e strumentalizzata nel quadro di una campagna pubblicitaria con finalità commerciale». «Si tratta - ha aggiunto - di una grave mancanza di rispetto per il Papa, di un'offesa dei sentimenti dei fedeli, di una dimostrazione evidente di come nell'ambito della pubblicità si possano violare le regole elementari del rispetto delle persone per attirare attenzione». L'aspetto più surreale e a tratti ridicolo di questa triste vicenda è rappresentato dalla (falsissima) risposta del gruppo Benetton, che alla reazione vaticana ha risposto: «Ribadiamo che il senso di questa campagna è esclusivamente combattere la cultura dell'odio in ogni sua forma. Siamo perciò dispiaciuti che l'utilizzo dell'immagine del Papa e dell'Imam abbia così urtato la sensibilità dei fedeli. A conferma del nostro sentimento abbiamo deciso con effetto immediato di ritirare questa immagine da ogni pubblicazione». Poverini, sono dispiaciuti. Poverini, non ci avevano pensato. Poverini, non l'avevano fatto apposta. Poverini, in quel di Treviso, così intenti a promuovere le loro magliette multicolori avevano perso di vista chi è il Papa. Poverini, non immaginavano che per un fedele cattolico, come pure per un fedele musulmano, ma anche più semplicemente per una persona di buon senso, quel fotomontaggio avrebbe offeso, ferito, indignato. Poverini, i Benetton, non ci arrivano. Loro non volevano provocare: noooooo…. Non sia mai! Volevano solo dire che non ci vuole l'odio! Così «con effetto immediato», non appena hanno ottenuto la visibilità mondiale che cercavano, hanno - bontà loro, che sensibilità! - ritirato la foto di Papa Ratzinger e dell'imam del Cairo. Questo sì è un esempio di responsabilità e di comprensione delle ragioni dell'altro: che sia già un primo effetto positivo del nuovo governo Monti? Spero vivamente che il Vaticano questa volta proceda nell'intentare una causa contro il gruppo Benetton, invece di lasciar perdere. Magari annunciando già a quale progetto benefico saranno destinati i soldi del risarcimento. E ai fratelli Benetton, esempio di italica perspicacia, di quell'Italia che lavora non solo per far soldi, che ci vuole aiutare ad essere anche tutti più buoni, così attenti alle sensibilità di ciascuno, mi permetto un suggerimento: andate di persona - magari con la Legion d'onore di monsieur Sarkozy appuntata sul petto - a srotolare quella gigantografia davanti alla sede di Al Azhar, al Cairo. Vediamo se l'apprezzato gesto sortirà l'effetto sperato di combattere la cultura dell'odio.
P.S. Dopo la pubblicazione di questo articolo, la Segreteria di Stato Vaticana ha emesso questo comunicato: "La Segreteria di Stato ha incaricato i propri legali di intraprendere, in Italia e all'estero, le opportune azioni al fine di impedire la circolazione, anche attraverso i mass media, del fotomontaggio, realizzato nell'ambito della campagna pubblicitaria Benetton, nel quale appare l'immagine del Santo Padre con modalità, tipicamente commerciali, ritenute lesive non soltanto della dignità del Papa e della Chiesa Cattolica, ma anche della sensibilità dei credenti".
Fonte: La Bussola Quotidiana, 17/11/2011
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IL DEFUNTO LO VOLEVA, LA FAMIGLIA LO RICHIEDE, UN MOTU PROPRIO DEL PAPA LO TUTELA COME DIRITTO: EPPURE VIENE RIFIUTATO IL FUNERALE IN LATINO
Poi si viene a sapere che in quella parrocchia si concede di tutto: dal rito bizantino alle esequie con chitarre cantando tutti insieme ''C'è un grande prato verde dove nascono speranze...''
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Il Foglio, 17/11/2011
Qui si parla di un fatto personale, ma il lettore non tema importune ondate emotive. Il vantaggio di lavorare in due è che uno racconta quanto gli è accaduto e l'altro ci mette le opinioni, così si salvaguarda il necessario distacco professionale. Ci fosse stato il Peppone di Guareschi, mio padre avrebbe compiuto l'ultimo viaggio con la sua messa, quella in latino ricamata di oremus, dominusvobiscum e Kyrie eleison splendidi e secolari. Ma ci voleva giusto quel Peppone che, infischiandosene del Consiglio comunale al completo, in piena Repubblica, come capo dei comunisti ordinò di portare al cimitero la vecchia maestra del paese nella bara coperta dalla sua bandiera, quella ricamata con lo stemma del re. Purtroppo, mio padre non ha avuto la fortuna di morire sotto l'amministrazione del comunista Giuseppe Bottazzi. Mio padre è morto nella bianca e cattolica terra bergamasca, parrocchia di sant'Andrea apostolo in Villa d'Adda. E così si è imbattuto in un certo don Diego, il quale non ha saputo che farsene della volontà di un defunto e neppure di quella della sua famiglia. Che poi quella volontà fosse legittima e sostenuta da un Motu proprio del Santo Padre ha contato meno di zero. Eppure il Motu proprio, l'ormai celebre quanto inapplicato "Summorum Pontificum" che regolamenta la celebrazione della messa in rito gregoriano, all'articolo 5, paragrafo 3, parla chiaro: "Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi". Onestamente, va riconosciuto che il parroco non poteva essere toccato dal documento del Santo Padre dato che, candidamente, ha confessato di non conoscerlo. Così come non era al corrente del fatto che il testo applicativo del Motu proprio, l'istruzione "Universae Ecclesiae", in simili casi invita il parroco a lasciarsi "guidare da zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza". Tutto inutile: "In curia mi hanno detto…". E' stato questo il filo conduttore delle discussioni con don Diego. Questi sacerdoti si riempiono il cervello e la bocca di parole come "libertà" e come "autonomia", e poi non sono in grado di opporsi al palese sopruso ordinato dall'alto perché "in curia mi hanno detto…". Si riempiono il cervello e la bocca di parole come "libertà" e "autonomia", denigrano un passato a loro dire prepotente e clericale e poi si prestano a calpestare la volontà di un morto e della sua famiglia, quella della chiesa e del Santo Padre perché "in curia mi hanno detto…". Da troppo tempo, nella diocesi di Bergamo, come in grandissima parte delle diocesi dell'orbe cattolico, comanda dispoticamente l'autorità più prossima, quella che mette paura perché minaccia di intervenire direttamente sulle persone. Roma, che sarebbe l'autorità suprema, non conta nulla. Da Bergamo a Piazza San Pietro ci vogliono un'ora di aereo e mezz'ora di taxi, ma è come se fosse su un altro pianeta. Il vescovo Francesco o chi per lui può ordinare ciò che vuole, in aperto contrasto con il Santo Padre, e non deve temere nulla. Così, anche nella bianca terra bergamasca, il parroco raccoglie una richiesta dei suoi fedeli, la trasmette al vicario generale, il vicario generale si confronta con chi ritiene opportuno, poi, in nome e per conto del vescovo decide come agire e il parroco esegue. E, se si fa notare all'esecutore materiale la palese ingiustizia a cui si sta prestando, rispunta la solita spiegazione: "In curia mi hanno detto…". Il contrario sarebbe stato un miracolo troppo grande. Eppure don Diego, al primo incontro, aveva espresso una considerazione di assoluto buon senso e di naturale umanità: "Credo che davanti alla morte e per un funerale non ci siano problemi". Ma, quando i problemi si sono manifestati in tutta la loro evidenza, ha tentato di dare veste teologica al sopruso con quanto gli hanno messo in testa in seminario sostenendo testualmente la seguente tesi: "Se ci fosse stata la richiesta, per esempio, di un rito bizantino, allora, in virtù dell'ecumenismo, si sarebbe fatto. Perché, in quel caso, io con il mio rito incontro te con il tuo rito e ci arricchiamo a vicenda. Ma voi chiedete un rito della chiesa cattolica e siccome non concorda con lo stile celebrativo della comunità si può dire di no". A questo proposito, va detto che lo "stile celebrativo" della comunità in oggetto, in materia di funerali, ha toccato uno dei suoi vertici con l'esecuzione di "C'è un grande prato verde dove nascono speranze" accompagnata dalle chitarre. Naturalmente, su tutti i colloqui con il parroco aleggiava lo spirito del Vaticano II e la consegna di difenderlo a oltranza inculcata nell'animo dei poveri sacerdoti formati in questi decenni: "Perché voi dovete sapere che il Vaticano II…", "Non vorrete mettere in dubbio il Vaticano II…", "Dovete capire che la chiesa, a partire dal Vaticano II…", eccetera, eccetera. Tutto quello che si è compreso da quello sproloquio sul Vaticano II è che mio padre, in nome del suddetto Vaticano II, non avrebbe avuto ciò a cui aveva sacrosanto diritto. Povero papà, troppo cattolico per usufruire almeno delle attenuanti generiche previste dall'ecumenismo, delle quali, oltre tutto, giustamente non avrebbe voluto saperne. Così come non avrebbe saputo che farsene della "messa con la condizionale" proposta in extremis dalla curia per interposto parroco: messa in latino sì, ma in una chiesa di Bergamo deputata a mezzo servizio a tale rito. Più che una mediazione, il tentativo di sgravarsi la coscienza potendo far ricadere la colpa di "aver preteso troppo" su una famiglia che invece non ha acconsentito a chiedere niente di meno del giusto. Un sopruso nel sopruso che avrebbe costretto mio padre a una messa semi clandestina, a venti chilometri dalla parrocchia per cui ha lavorato una vita intera e in cui avrebbe invece avuto il sacrosanto diritto che venisse concesso ciò che aveva chiesto. In tal modo, salvo pochi intimi, nessuno avrebbe visto nulla e la comunità, nuova divinità del pantheon neocattolico, non sarebbe lesa nel suo "stile celebrativo". Perché la vera ragione pastorale del divieto l'ha spiegata bene don Diego: "Se la messa viene concessa qui, poi bisogna concederla anche dalle altre parti". Insomma, bisogna evitare il contagio. Ma mio padre, anche se non ha compiuto l'ultimo viaggio con la sua messa, continua a essere contagioso: si chiama Vittorino Gnocchi e sono orgoglioso di lui. LE OPINIONI Andare contro le volontà di un defunto è atto che richiede argomenti fortissimi. Si può farlo, quando il morto chiede cose impossibili, o bislacche, o sconvenienti, o contro legge. Ma ci vuole sempre un motivo oggettivo per tradire le sue attese, un motivo che metta al riparo dal sospetto di compiere una prevaricazione irreparabile e particolarmente odiosa. Il sopruso consumato dai vivi contro i morti. Infatti, il de cuius non può difendersi, non può ricorrere in appello, non può chiedere aiuto. Ciò basta a spiegare perché di norma le ultime volontà siano eseguite con particolare fedeltà: esse sono sacre. Ora, si tratta di capire se un cattolico che chiede un funerale con la messa antica, stia pretendendo qualche cosa di impossibile, o di bislacco, o di sconveniente, o contro legge. La risposta è molto semplice: il Papa felicemente e faticosamente regnante ha scritto di sua iniziativa, in totale libertà e in pieno possesso delle sue facoltà mentali, che un cattolico può eccome chiedere e ottenere un rito funebre che è ancora pienamente legittimo nella chiesa, e che nella chiesa è stato utilizzato per accompagnare al camposanto milioni di fedeli per centinaia di anni. Il Motu Proprio Summorum Pontificum non lascia scampo ad alcuna interpretazione di segno opposto. Sotto il profilo del diritto della chiesa cattolica, il diritto canonico, non si capisce come sia possibile rifiutare di adempiere a una simile richiesta, soprattutto quando sia perfettamente possibile adempierla. Nel caso specifico, il sacerdote in grado di celebrare in quella forma era stato subito trovato – ché molti preti oggi non sono più capaci di celebrare secondo il rito antico – e i familiari non avevano espresso la benché minima riserva sull'argomento, ma anzi condividevano l'istanza del defunto. In questa tristissima storia c'è un lato grottesco e insieme paradossale: il dispregio dimostrato dal clero interpellato nei confronti dell'autonomia del singolo. A partire dal 2008, la Conferenza episcopale Italiana ha "aperto" la strada – per voce del suo autorevole presidente – alle cosiddette Dichiarazioni anticipate di trattamento, le ormai famose Dat: un documento scritto nel quale la persone dice quali trattamenti sanitari intende o non intende ricevere, qualora cada in stato di incoscienza. A noi (e anche al direttore di questo giornale) queste Dat non piacciono, perché offrono un comodo scivolo alla cultura eutanasica. Ma ai fini del nostro ragionamento, la "svolta" della Cei sulle Dat serve a dimostrare che nella cultura contemporanea tutti – e la chiesa stessa – riconoscono un valore molto importante alla volontà espressa da ogni singola persona. Questa volontà non può essere arbitraria, ma se è conforme al bene deve essere assecondata. Ora, il paradosso del "caso Gnocchi" sta in questo fatto: se un fedele chiede, attraverso la voce di suo figlio, un funerale secondo il rito tridentino, non viene esaudito. Se invece redige le Dat rifiutando magari certe cure, agisce in conformità alla Conferenza episcopale italiana. Che cosa deve fare, allora, un cattolico, per ottenere quello che il Papa ha stabilito come suo pieno diritto? Forse deve chiedere le esequie in forma antica redigendo le Dat e consegnandole al parroco finché è in grado di farlo. Dunque, nel "caso Gnocchi" è stato consumato un sopruso. Ma il movente qual è? Niente di personale: non c'era l'intenzione di nuocere alla persona e alla famiglia. Il punto è un altro: fare resistenza all'applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, ostacolando in ogni modo le celebrazioni nella forma antica. In questo, come in molti altri casi, si è voluto colpirne uno per educarne cento. Ciò che fa paura a certi ambienti cattolici non è la celebrazione sporadica della Messa di san Pio V: si potrebbe in fondo tollerarla come folkloristica manifestazione di nobili decaduti un po' snob e vecchie dame velate di nero. La preoccupazione è un'altra: e cioè che, cedendo nel singolo caso, la prassi dilaghi. E che, a quel punto, non il signor Vittorino Gnocchi di Villa d'Adda, ma decine, centinaia di fedeli mettano nero su bianco le loro Daf, le Dichiarazioni anticipate di funerale. E che parrocchie e diocesi, per rispetto verso i fedeli defunti e per ossequio verso il Papa vivente, siano costrette ad abbozzare e a lasciar celebrare. A questo punto, il "contagio" sarebbe incontrollabile: altri fedeli, partecipando a funerali esteticamente belli e dignitosi, resterebbero colpiti favorevolmente, e direbbero: "lo voglio anche io". Altri fedeli, incuriositi dall'originale stile liturgico, si avvicinerebbero alla Messa di San Pio V, e alcuni magari inizierebbero a frequentarla. Sarebbe la realizzazione su scala planetaria di quella "democrazia dei defunti" di cui parla G.K. Chesterton, in base alla quale hanno diritto di voto anche i morti, quando si deve decidere qualcosa di veramente importante. Insomma: un vero disastro. Un disastro, s'intende, dal punto di vista di chi vuole seppellire per sempre l'antico rito. Quello che abbiamo appena scritto non appartiene al genere letterario della dietrologia o della complottistica, ma nasce dalla constatazione che esiste nella chiesa cattolica un ampio fronte che non ha mai digerito le decisioni di Benedetto XVI sulla Liturgia. E che non ne fa mistero. Il Papa celebra il nuovo rito sempre con un crocifisso sull'altare e una fila di candelabri, e distribuisce la comunione sulla bocca di fedeli inginocchiati, affiancati da chierichetti con il piattino. Bene: nella quasi totalità delle chiese del mondo il clero fa esattamente il contrario, altari (e chiese) senza Crocefisso, particole nelle mani dei fedeli, inginocchiatoi al rogo e piattini chiusi negli armadi. E buona notte al Primato di Pietro. Sul fronte della messa antica, le barricate sono ancora più alte e il fuoco "amico" – si fa per dire – è fitto e spietato. Al punto che non poche diocesi si sentono autorizzate ad agire in spregio alle indicazioni che provengono da Roma. Nel "caso Gnocchi", il parroco è stato raggiunto tempestivamente da una telefonata dell'Ecclesia Dei, organismo istituito in Vaticano per occuparsi della spinosa materia. Una volta si diceva: Roma locuta, causa soluta. E invece non è bastato l'intervento telefonico dal Vaticano a sgomberare il campo dagli ostacoli opposti alla celebrazione del funerale vecchio stampo: i motivi pastorali, la volontà del vicario episcopale, e via cavillando in un crescendo ben più intricato del latinorum di don Abbondio. Dove si vede un ulteriore paradosso della chiesa post conciliare: le diocesi agiscono in una sorta di semifederalismo dottrinale e gerarchico, nel quale Roma non comanda più. E dove un qualunque prete di provincia conta di più della Commissione Pontificia Ecclesia Dei. Così può accadere, come è accaduto a Napoli qualche giorno prima del "caso Gnocchi", che un fedele chieda il funerale in rito antico e si senta rispondere che no, non potrà averlo in quella parrocchia perché non frequentava la tal parrocchia. Dal che si potrebbe desumere che allora la Chiesa stia per escludere dal funerale tutti i cattolici che, a suo insindacabile giudizio, ritiene tiepidi e non praticanti: cosa che, nei fatti, grazie a Dio non risulta. E anzi, assai ampia si è fatta la porta che oggi accoglie chiunque richieda esequie religiose, in nome del dialogo e della tolleranza. Gli unici che sembrano non meritare tale attenzione pastorale sono i cattolici pacelliani, quelli insomma che amano la tradizione e che vorrebbero un funerale nel rito di sempre. Tutto qui.
Fonte: Il Foglio, 17/11/2011
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FILMATO SCONVOLGENTE: LEGALIZZARE L'ABORTO NON LO HA MAI RESO GIUSTO O SICURO O BUONO PER LE DONNE
Sono una donna ferita dalla devastante, tragica, cattiva scelta dell'aborto e faccio parte della stragrande maggioranza delle donne (oltre il 94 per cento) che non avrebbero mai pensato di abortire se fosse stato illegale
Autore: Myra Myers - Fonte: www.postaborto.it, 12/09/2011
E avviene... in tutta l'America [e altrettanto nell'Europa comunitaria, ndT] quando donne e uomini sono ingannati dall'aborto legalizzato nella nostra grande nazione. Io rappresento 25 milioni di donne ferite dalla devastante, tragica, cattiva scelta dell'aborto legalizzato, che se ne rendano conto o no. Sono tra la stragrande maggioranza di queste (oltre il 94 per cento) che non avrebbero mai pensato di abortire se fosse stato illegale. Nel 1965 ero una studentessa universitaria single e incinta, ma l'aborto non mi venne mai in mente, né ci pensò il padre del nostro bambino. Nel 1968 ci siamo sposati e, mentre aspettavamo il terzo bambino, abbiamo pensato che fosse troppo presto per un altro bambino, ma l'idea di abortire non passò mai per la nostra mente. Ma poiché era legale nel gennaio 1973, quando aspettavamo il nostro sesto figlio, abbiamo creduto alla menzogna della legalizzazione dell'aborto: non era un bambino, non ancora. Come molte tra questi 25 milioni di donne, non mi rendevo conto che ero diventata madre al momento del concepimento, perché la vita comincia a questo punto ogni volta. L'ignoranza non ci rende innocenti né ci evita le conseguenze. Quando andai a Planned Parenthood, non mi fu data alcuna informazione sullo sviluppo fetale e non mi fu nemmeno fatto un test di gravidanza. Non mi fu data alcuna informazione sulle procedure di aborto, sui rischi o sulle conseguenze. Mi fu detto che avrei potuto avere una consulenza psicologica se avessi avuto problemi in seguito. Ma ho pensato, perché dovrei avere un problema? Stavo già negando la realtà! Persi i miei "diritti riproduttivi" quando la procedura abortiva aborto danneggiò il mio utero. A causa della mia "cattiva scelta" di abortire, poco dopo il mio utero fu rimosso. Solo un anno e mezzo dopo l'aborto, sentii un peso schiacciante di colpa e dolore. Sapevo che senza ombra di dubbio, oh Dio, io avevo ucciso! Indipendentemente dalle circostanze, quando le madri scelgono l'aborto diventano responsabili della morte dei loro figli. Legalizzare l'aborto non lo ha mai reso giusto o sicuro o buono per le donne! L'aborto distrugge le relazioni: non solo il legame genitore-figlio, ma anche i matrimoni e perfino intere famiglie a causa del senso di colpa, dolore, vergogna. Io rappresento quel terzo di donne che hanno abortito mentre erano sposate. Il mio matrimonio è nel 20% di quelli che sopravvivono a questa tragedia (dopo due anni dall'aborto). Oggi mio marito ed io concordiamo sul fatto che la nostra devastante decisione di abortire sia stata la peggior decisione che abbiamo mai preso. Ho scelto di perdonare tutte le persone coinvolte nel mio aborto, inclusa me stessa ed i responsabili di aver legalizzato ciò che è sbagliato. Ho scelto di dire la Verità nella carità affinché i singoli possano ricevere il perdono da Dio Onnipotente per mezzo di Suo Figlio Gesù Cristo... e affinché la giustizia venga ripristinata nella nostra nazione. Il nostro terzo figlio nacque prematuro di due mesi e morì. La perdita del bambino portò dolore, ma nessuna colpa. La notte prima del mio appuntamento per abortire il nostro sesto figlio, chiesi: "Dio, C'è qualcosa di sbagliato in ciò che sto per fare? L'uomo dice che non è nemmeno vita. Che cosa dici?" In mattinata, un impiegato mi chiamò per informarmi che il medico abortista aveva dovuto annullare i suoi appuntamenti. Credo che Dio stesse cercando di parlare con me. Io non stavo ascoltando, presi un altro appuntamento per abortire e portai su me stessa e sulla nostra famiglia la perdita, il dolore, il senso di colpa e la vergogna che abbiamo sopportato. E la mia storia è solo una tra milioni. Pensateci... ogni giorno, dal 22 gennaio 1973, l'America ha vissuto l'equivalente dell'11 settembre. Oltre 52 milioni di americani sono andati perduti, e altri milioni di madri, padri e le famiglie sono stati feriti. Non pensate che sia tempo perché la devastazione abbia fine? Prima che noi stessi distruggiamo l'America, da dentro?
Nota di BastaBugie: vi presentiamo qui sotto un video che non troverete se lo cercherete tramite le normali ricerche su Youtube. Solo conoscendo il link si può vedere... L'ECLISSE DELLA RAGIONE - BERNARD NATHANSON Ogni giorno in America 4000 donne abortiscono il proprio figlio. Dei 4000 aborti, 400 sono aborti 'tardivi', ovvero effettuati nel secondo o terzo trimestre. Uno dei metodi più usati in questo caso è il cosiddetto D&E, "Dilation and Evacuation", "Dilatazione e svuotamento" che consiste nel dilatare la cervice uterina ed estrarre pezzo dopo pezzo il bambino dal grembo materno. Il bambino non è sottoposto ad anestesia, che viene somministrata alla madre... e a tante coscienze. I pezzi del bambino vengono ricomposti in un tavolo vicino al medico abortista per controllare che tutti i pezzi siano stati rimossi. Quattrocento al giorno, uno ogni tre-quattro minuti solo negli Stati Uniti. E questo sterminio avviene tra mura asettiche. Se lo stesso trattamento fosse riservato a cani o conigli vi sarebbero manifestazioni di piazze e interpellanze parlamentari. E invece questo sterminio avviene nell'indifferenza dei più... TU DA CHE PARTE STAI ? "Puoi girarti dall'altra parte, ma non potrai dire: Io non sapevo" - William Wilberforce (1759-1833) abolizionista della schiavitù
IMPORTANTE: IL FILMATO E' PARTICOLARMENTE CRUDO E QUINDI NON ADATTO AI BAMBINI. Durante la visione del filmato se non compaiono i sottotitoli in italiano, è possibile attivarli cliccando su CC in basso a destra del video http://www.youtube.com/watch?v=U9_mo0CCVgk
Fonte: www.postaborto.it, 12/09/2011
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BENEDETTO XVI AVREBBE CHIESTO SCUSA PER LE CROCIATE, MA OVVIAMENTE E' UNA BUFALA!
Se per mille anni i cristiani si sono difesi dall'avanzare dell'Islam, se papi, teologi, santi, sovrani, militari, interi popoli, hanno predicato o combattuto per la crociata, non sarà stato perché... ce n'era bisogno?
Autore: Massimo Viglione - Fonte: Libertà e Persona, 02/11/2011
«Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura». Queste sono le esatte parole che il Santo Padre Benedetto XVI ha pronunciato – nel suo discorso del 27 ottobre u.s. ad Assisi – riguardo il problema della violenza esercitata da cristiani in nome della fede. Le riportiamo con precisione perché tutti sappiamo perfettamente quanto giornali e massmedia siano abilissimi nell'adattare alle loro esigenze le parole e i concetti espressi dai pontefici e perché, anche questa volta, ciò è accaduto in maniera palese. Ora, come si può notare, in realtà il papa le crociate neanche le nomina, e, soprattutto, non "chiede scusa": parla di sentimento di vergogna (non è esattamente la stessa cosa...). Certamente però, condanna con fermezza l'uso della violenza da parte di cristiani. E siccome la Crociata era un "pellegrinaggio armato" fatto da cristiani che conduceva al combattimento contro gli infedeli, ergo la conseguenza apparirebbe essere quella della formale condanna della Crociata in sé a prescindere. Ma, è realmente così? E, soprattutto, potrebbe essere così e in quali termini? Ora, senza entrare negli aspetti più specificamente teologici del problema, ma rimanendo in quelli più modestamente ma anche più appropriatamente storici, occorre fare alcune doverose precisazioni e riflessioni, che meriterebbero ben altro spazio e approfondimento, ma che per necessità ridurrò schematicamente: 1) Fin dai tempi della scuola, gli insegnanti di storia – almeno, quei pochi degni di questo nome – ci hanno ammaestrato sul fatto che l'errore più grande che può commettere uno storico, o anche un qualsiasi uomo che per qualsiasi ragione riflette sulla storia, è quello di giudicare gli uomini, le idee e gli eventi del passato con i criteri che vanno per la maggiore nel presente (e questo a prescindere dall'accettazione spesso e volentieri acritica degli stessi criteri presenti): come se un uomo del XXV secolo ci giudicasse a noi tutti in base alla vita quotidiana e alle esigenze e ideologie del suo tempo; 2) Le crociate (visto che si vuole parlare per forza di crociate) non furono una parentesi – più o meno lunga o breve, più o meno sentita e partecipata – della storia della Cristianità. Se la Prima Crociata è del 1096-1099, se i cristiani hanno tenuto piede militare nei Luoghi Santi per due secoli, in realtà spedizioni crociate sono state pensate, organizzate, e, a volte, anche effettuate, via terra e via mare, fino agli inizi del XVIII secolo. Questa plurisecolare guerra fra religioni non avveniva perché i cristiani erano brutti e cattivi e volevano trucidare tutti i musulmani, che erano buoni e indifesi; né perché i cristiani non avessero altro a cui pensare; né perché non avessero altre guerre interne in cui dare sfogo alla propria violenza innata. In realtà, questa plurisecolare guerra inizia di gran lunga prima del 1096. Inizia 450 anni prima circa, e per 450 anni, occorre dirlo senza ombra di dubbio storico possibile, chi ha portato la guerra alla Cristianità è stato l'Islam nascente e trionfante. Sono stati i musulmani, vivente ancora Maometto, ha iniziare quella tutti noi conosciamo bene, la Jihad. Conquistarono prima l'Arabia, ancora in gran parte pagana, ma poi anche Gerusalemme e i Luoghi Santi, divenendo così i padroni del Santo Sepolcro; e quindi, dividendosi in due grandi tronconi militari, portarono la guerra a tutta la Cristianità come uno Tzunami incontenibile. Se verso oriente furono in parte bloccati – per il momento – dall'Impero Romano d'Oriente (che vivrà tutti i suoi ultimi secoli di vita combattendo e spegnendosi contro i musulmani), verso occidente travolsero per sempre tutta la Cristianità d'Africa, quindi la cristianità ispanica, e tentarono anche di invadere la Francia (battaglia di Poitiers, 732). Dopodiché assalirono e occuparono la Sicilia e le grandi isole del Mediterraneo, e, nei secoli successivi, invasero varie zone dell'Italia, della Francia (fino a Lione), perfino della Svizzera. Montecassino venne distrutta, Roma assalita e le basiliche costantiniane di San Paolo e san Pietro date al fuoco (per tal ragione fu costruita la Città Leonina intorno a San Pietro da Papa Leone IV). Un enclave perenne di guerrieri musulmani stava a Castelvolturno, un'altra nella Sabina, e Roma viveva sotto continuo attacco e rischiò di cadere preda dell'Islam (come per altro il Profeta aveva, appunto, "profetizzato"), venendo salvata proprio dalla ripetuta azione militare di vari pontefici. Per secoli l'Europa mediterranea ha subito le scorrerie dei pirati barbareschi ("mammaliturchi", la celebre battuta del dialetto romano, nasceva da un tragico grido di terrore ripetuto chissà quante volte nel corso dei secoli): uomini uccisi, donne violate e portate negli harem, bambini rapiti e venduti come schiavi (nei secoli moderni, poi, con i turchi invece venivano fatti crescere musulmani e molti di loro divenivano giannizzeri). Per secoli i pellegrini in Terra Santa vennero massacrati, soprattutto con l'arrivo dei turchi selgiuchidi. E, se con la fine della crociate si era giunti a una forma di "convivenza" armata con il mondo arabo, tutto precipitò di nuovo – e in maniera ancor più radicale – con l'arrivo dei turchi ottomani, che conquistarono ciò che rimaneva dell'Impero Bizantino nel XV secolo e da allora, fino agli inizi del XVIII secolo, puntarono a più riprese sull'Europa, conquistando gran parte dei Balcani, assediando Vienna per ben due volte, conquistando Cipro, Rodi, e portando l'assedio a Malta (dove vennero respinti dall'eroismo dei Cavalieri, guidati da Jean de la Vallette). Nel corso dei secoli, in mille anni (dal VII al XVIII secolo), quante cristiani vennero assassinati? Quante donne violate e deportate negli harem? Quante città distrutte, vite spezzate, anime costrette all'abiura religiosa? Chi potrà mai farne il conto? Chi potrà mai calcolare l'immenso dolore di questi mille anni? 3) Perché questo excursus storico? Perché occorre ragionare con serenità, ma anche con serietà, specie su argomenti così drammatici, e che hanno avuto luogo per più di dieci secoli. Se un fenomeno storico dura più di mille anni, esso non può essere considerato semplicemente un "errore" di qualcuno. Esso evidentemente è la chiave di volta per comprendere un'intera epoca millenaria. Nella fattispecie, uno scontro militare epocale fra due religioni sì, ma anche fra due concezioni del mondo e civiltà. Ognuna con i suoi pregi e difetti, che ora non ci interessa qui approfondire. 4) Ciò che invece è fondamentale chiarire, è il fatto che per cinque secoli prima delle crociate, e per altri quattro dopo le crociate (quelle "usuali"), la Cristianità è stata aggredita costantemente e brutalmente, prima dall'Islam arabico, poi da quello turcomanno. Come chiunque, onesto e serio, può capire, tutto ciò cambia radicalmente il significato dell'intero discorso: infatti, se una parte aggredisce l'altra per secoli, senza ragione che non sia la conquista e la volontà di conversione armata come peraltro imposto dalla propria religione, allora occorre stare molto attenti nel dare giudizi storici che possono essere tacciati di "faciloneria". Forse che i papi dei secoli altomedievali dovevano lasciar conquistare, saccheggiare e incendiare Roma dai musulmani, lasciare che questi violentassero le donne e rapissero i bambini, e, soprattutto, che imponessero l'Islam a tutti trasformando San Pietro in moschea (esattamente come avvenne secoli dopo con Maometto II per Santa Sofia a Costantinopoli)? Che doveva fare san Pio V nel 1571? Lasciare che la flotta turca occupasse Roma e distruggesse tutto o doveva provare a creare una lega militare di difesa contro l'assalto esterno, quella Lega Santa che trionfò a Lepanto 440 anni or sono salvando Roma, l'Italia, la Cristianità? Che doveva fare il beato Innocenzo XI dinanzi a 200.000 turchi in armi (più 300.000 al seguito) che assediavano Vienna, capitale del Sacro Romano Impero, nel 1683, mentre a Versailles il Re Sole ballava il minuetto appoggiando i turchi stessi? Doveva tranquillamente attendere il massacro di Vienna e l'arrivo dei turchi a Roma? 5) Potremmo fare tantissimi altri esempi, nel corso di questi mille anni, ma il concetto di fondo appare ora evidente: si chiama "legittima difesa". Come si suole dire in maniera un po' brutale ma molto incisiva... dinanzi a ciò, le chiacchiere stanno a zero. La legittima difesa non è un'opzione di vita (può esserlo solo nei confronti di se stessi: per esempio, un uomo si offre al martirio per non usare violenza verso chi vuole ucciderlo in nome della sua fede personale), è un dovere sociale. Qualsiasi governo, qualsiasi capo di Stato, chiunque abbia potere di esercitare l'autorità, anche militare, ha il dovere morale e sociale della difesa dei propri cittadini dall'attacco violento perpetrato da forze nemiche. Se poi queste forze nemiche attaccano senza giusta causa non solo per conquista (di soldi, territori, potere, donne, beni, ecc.) ma anche per imporre con la violenza la propria religione e il proprio stile di vita o ideologia, allora il dovere è ancora più grande, dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini. Se i papi, i re, i grandi principi e condottieri della Cristianità non avessero scelto liberamente di difendere in armi (cioè nell'unico modo in quei secoli possibile) i propri popoli, territori, averi, e, soprattutto, la propria fede, sarebbero stati dei traditori dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini. Del resto, tale affermazione è facilissimamente dimostrabile: che cosa direbbero, tutti coloro che sempre criticano la Chiesa per le crociate, se fosse avvenuto il contrario? Cioè se l'Islam fosse stato preesistente alla Cristianità, se questa fosse arrivata dopo e avesse aggredito militarmente senza ragione alcuna le terre e i popoli che già da secoli erano islamici al solo scopo di convertirli al Cristianesimo? Direbbero sicuramente che questa è la riprova che la religione cristiana è foriera di violenza e ha tutte le colpe. Appunto... 6) Rimane il discorso delle crociate, cioè di quei due secoli specifici (1096-1291: due secoli su dieci!) in cui effettivamente sono stati i cristiani ad attaccare e conquistare, per poi progressivamente perdere, i Luoghi Santi. Ebbene, occorre anche in questo caso fare delle precisazioni. Le crociate iniziarono come detto ben 5 secoli dopo il grande e continuo attacco portato dall'Islam alla Cristianità. Non è superfluo ricordare che i Luoghi Santi (e così tutta l'Africa mediterranea), prima della conquista islamica a metà VII secolo, erano cristiani, parte integrante dell'Impero Romano d'Oriente. Per cinque secoli la Cristianità (sia d'Occidente che d'Oriente) ha subìto gli attacchi, le conquiste e le scorrerie islamiche. Ciò significa che, quando iniziarono le crociate, esse furono anzitutto una risposta militare a cinque secoli di imperialismo islamico. I cristiani contrattaccarono solo dopo cinque secoli per il semplice fatto che prima non ne avevano la forza. Alla fine dell'XI secolo, per ragioni storiche che non è possibile qui approfondire, essi finalmente poterono reagire e riconquistarono Gerusalemme. Ciò significa che le crociate furono fatte con 3 scopi essenziali tutti legittimi: la riconquista cristiana dei Luoghi Santi (cioè di ciò che era cristiano prima dell'Islam e che appartiene idealmente a tutti i cristiani di tutti i tempi in quanto trattasi dei luoghi della Redenzione dell'umanità); la difesa della vita dei pellegrini; la risposta militare definitiva a cinque secoli di guerra subita (contrattaccare è legittimo quando si è aggrediti). Poi, come spesso accade, una volta lì, i crociati, anche per difendere ciò che avevano riconquistato, hanno dovuto cedere, a volte in maniera esagerata, all'uso ripetuto della violenza, finché comunque, va detto, i musulmani hanno riconquistato, sempre manu militari, tutti i territori crociati di Oltremare. 7) E qui occorre fare l'ultima importante riflessione. Se le crociate fossero state sbagliate in sé, cioè illegittime di principio, questo vorrebbe dire che decine di Papi hanno operato al servizio del male. Infatti, tutte le crociate, dalla prima all'ultima delle 7 ufficiali, ma anche tutte quelle pensate e in parte realizzate nei secoli successivi, sono state tutte fatte sotto autorizzazione pontificia. Anzi, ciò che faceva "crociata" una crociata, era la relativa bolla pontificia che comandava a tutti i sovrani e principi cristiani di prendere la Croce, di iniziare il relativo prelievo fiscale per poter pagare la spedizione, e prometteva la vita eterna a tutti coloro che sarebbero morti nella spedizione e la remissione dei peccati ai sopravvissuti. Questo non è stato fatto da 3-4 papi un po' "esaltati", ma da decine e decine di pontefici, tra la fine dell'XI secolo fino alla fine del XVIII (l'ultima bolla di crociata è del 1776, il Gabinetto della Crociata è stato chiuso dalla Santa Sede nel 1917). La stragrande maggioranza dei pontefici ha emesso bolle di Crociata, ha lavorato incessantemente per organizzare spedizioni, molti di loro hanno scomunicato principi e re che non volevano partire, qualcuno è morto di crepacuore per il dispiacere delle conquiste degli infedeli e dei fallimenti dei cristiani. Tutti pazzi? Tutti eretici (il Papa eretico?)? Tutti traviati da sete di sangue? O tutti preoccupati di difendere la Fede, la Chiesa, la civiltà cristiane e le popolazioni europee? Da notare, per inciso, che dopo la fine delle 7 crociate ufficiali, cioè dal XIV secolo in poi, tutte le spedizioni crociate pensate ed effettuate avevano come scopo concreto la difesa dell'Europa dai turchi, e non più (se non idealmente) la riconquista del Santo Sepolcro. Non solo: non è solo questione di Papi e di magistero pontificio. Tutti i più grandi santi e teologi medievali e moderni hanno legittimato la Crociata. Il grande predicatore della Terza Crociata, fondatore ideale dell'Ordine dei Templari, è san Bernardo di Chiaravalle, Dottore della Chiesa e santo dell'amore mistico per antonomasia; san Tommaso d'Aquino, Dottore Angelico, e Doctor Humanitatis ancora proclamato da Papa Giovanni Paolo II, maestro assoluto della teologia cattolica, ha insegnato la legittimità delle crociate in quanto legittima difesa da un nemico ingiustamente aggressore. Santa Caterina da Siena, Patrona d'Italia, Co-Patrona d'Europa, e, soprattutto, Dottore della Chiesa, ha scritto sulla Crociata pagine meravigliose nelle sue lettere, e ha insistito, al di sopra di ogni altra cosa, con Papa Gregorio XI, perché proclamasse la Crociata. Papa san Pio V, il Papa di Lepanto, il beato Innocenzo XI, il Papa di Vienna, non erano creature assetate di sangue, furono difensori supremi della nostra civiltà e della libertà. Mi permetto di ricordare che ancora agli inizi del secolo scorso, una santa carmelitana giovanissima nei suoi scritti diceva che avrebbe tanto voluto essere un crociato per dare la vita per la difesa della Chiesa dai suoi nemici: si chiamava Teresina del Bambin Gesù, Dottore della Chiesa Cattolica, proclamata tale da Giovanni Paolo II. E questo solo per fare alcuni esempi. Occorre stare attenti quando si condannano le crociate. Non mi riferisco naturalmente ai nemici della Chiesa e della civiltà cristiana, agli atei, agnostici, relativisti vari. Mi riferisco agli "amici" sempre critici con noi stessi, mi riferisco ai semplici fedeli che possono ormai avere le idee confuse a riguardo. Se le nostre donne, madri, sorelle, figlie, mogli, oggi sono libere e libero è il loro pensiero e il loro volto, se tutti noi oggi abbiamo la libertà di pregare il nostro Dio pubblicamente, se usufruiamo dei pieni diritti civili, se possiamo conoscere la verità in tutti i suoi aspetti, se studiamo liberamente ciò che vogliamo studiare, se abbiamo il benessere (almeno, quello ne rimane oggi) che abbiamo, e così via, è perché nel corso di mille anni qualcuno è morto per loro e per noi. È perché decine e decine di Papi si sono preoccupati nel corso dei secoli di difendere la nostra fede e civiltà. È perché dei santi hanno predicato tale difesa. È perché dei teologi l'hanno giustificata dinanzi a Dio e agli uomini. È perché centinaia di migliaia di cristiani, nel corso di secoli e secoli, hanno impugnato la spada e sono morti per la nostra libertà. Ma allora, come giudicare le parole del Santo Padre ad Assisi? Qui, per attenerci ai fatti, occorre ribadire ciò che abbiamo detto all'inizio: il Papa non parla di "Crociata" come concetto in sé. Il Papa evidentemente si riferiva a tutto quell'insieme di violenze inutili, superflue, gratuite, alcune obbrobriose, di cui nel corso di questi venti secoli si possono essere macchiati i cristiani, in tutte le occasioni, non solo nelle crociate. Gli spagnoli che hanno portato Cristo ai popoli amerindi compirono anche violenze. Vogliamo forse rinnegare i benefici (non solo religiosi, che sono fondamentali, ma anche civili, sociali e culturali) che tali popoli hanno ricevuto dalla cristianizzazione? Vorremmo forse che fossero rimasti pagani adoratori di demoni e sacrificatori di fanciulle quali erano prima di Colombo? Non penso che il Santo Padre voglia questo... Occorre distinguere quindi tra il bene dell'Evangelizzazione e il male della violenza inutile e gratuita ad essa purtroppo a volte connessa. Occorre distinguere tra la legittima difesa da un nemico aggressore che per mille anni ha tentato di conquistarci e farci cambiare religione, dalle violenze inumane e gratuite commesse. Del resto, la Chiesa terrena, nella sua interezza, dai pontefici all'ultimo dei chierici, la Cristianità nella sua interezza, dai sovrani all'ultimo dei paggi, si può sbagliare per circa sette secoli? E, se ciò fosse possibile, allora chi ci assicurerebbe più che l'attuale pontefice, i suoi predecessori e successori, abbiano ragione? Un papa, due, tre, si possono sbagliare in materia che non sia di fede e morale (ma poi, siamo così sicuri che qui la fede non v'entri per nulla? Non esiste forse un magistero della Crociata?). Ma decine e decine di pontefici per sette secoli? Siamo così sicuri che il Santo Padre ad Assisi abbia veramente chiesto scusa per le crociate? O si è limitato a dire esattamente ciò che ha detto? Qualcuno forse vorrebbe affermare che il diritto alla legittima difesa non esiste? Forse non ha pensato che secondo questo folle principio la Seconda Guerra Mondiale era illegittima, e occorreva farsi conquistare tranquillamente dal nazismo, non reagire vedendo la mostruosa fine che spettava agli ebrei, accettare la fine della propria libertà e indipendenza, ecc. ecc. Questo, sono sicuro che nessuno lo affermerebbe mai. Più che giusto, ovviamente: e allora, lo stesso principio deve valere per la Cristianità aggredita. Oppure i cristiani sono i soli che non hanno diritto alla legittima difesa? Concludo ritornando al primo dei punti elencati: è molto facile parlare di pace e pacifismo, condannare le brutalità della guerra, ergersi a giudici dei passato, quando si è tranquilli, si usufruisce di grande libertà e si ha lo stomaco pieno. Ogni grande evento della storia va contestualizzato evidentemente. Se per mille anni i cristiani hanno combattuto con l'Islam, se per secoli Papi, teologi, santi, Dottori della Chiesa, sovrani, militari, interi popoli, hanno predicato la crociata o preso direttamente le armi, non sarà stato forse perché... ce n'era bisogno? Non dobbiamo proprio a loro la nostra possibilità di criticarli pubblicamente? Siamo sicuri che tutti noi, così come siamo oggi, se per ventura ci fossimo trovati al loro posto, non ci saremmo comportati allo stesso modo? Non hanno loro il diritto di essere giudicati per quella che era la loro reale situazione e mentalità nei loro giorni? Loro non hanno fatto chiacchiere da bar o da salotto: sono morti a centinaia di migliaia per servire la Chiesa, la civiltà cristiana e la nostra libertà. Forse, prima di parlare, dovremmo ragionare con maggior profondità. Forse, dovremmo leggere bene ciò che il Santo Padre esattamente dice (ri-sottolineo il fatto che parla giustamente di "vergogna" per le violenze, ma non chiede scusa per un qualsivoglia fenomeno storico preciso), non utilizzarlo per i nostri risentimenti ideologizzati. E se ogni tanto dicessimo una preghiera per chi è morto anche per noi, forse daremmo prova di maggior buon senso e civiltà. E concludo ponendo un'ultima questione: ma siamo proprio così sicuri che un giorno, magari neanche troppo lontano, non potremmo trovarci pure noi nella stessa situazione in cui si trovarono per mille anni i nostri antenati?
DOSSIER "LE GLORIOSE CROCIATE" Tutto quello che ci hanno insegnato è falso Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: Libertà e Persona, 02/11/2011
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LINEE GUIDA SULLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE: ULTIMO COLPO DI CODA DEL GOVERNO BERLUSCONI O GIUSTO RISPETTO DALLA LEGGE 40?
Purtroppo l'ambiguità della legge permette quel piano inclinato che porta, rapidamente, dal male minore al male maggiore
Autore: Mario Palmaro - Fonte: La Bussola Quotidiana, 18/11/2011
Qual è la verità sulle nuove Linee Guida in materia di fecondazione artificiale? I radicali strillano sostenendo che si tratta di un ultimo colpo di coda del Governo Berlusconi, e contestano alcune restrizioni contenute nel documento. Dal mondo cattolico si risponde difendendo l'operato dell'ex sottosegretario Eugenia Roccella, la quale avrebbe semplicemente rispettato i canoni imposti dalla legge 40 del 2004. Ragioniamo. Un giudizio obiettivo sulle Linee Guida deve mettere insieme, con onestà, luci ed ombre. Luci ed ombre che sono il riflesso della stessa legge sulla fecondazione artificiale, frutto di un compromesso politico e dunque ben lontana dall'essere una legge giusta. Cominciamo dalle luci. Sul piano giuridico, il Governo uscente aveva tutto il diritto di emanare il documento contestato. Nel merito, le linee guida confermano il divieto della diagnosi reimpianto; e inoltre, ribadiscono che l'accesso alle tecniche di fecondazione artificiale non è consentito alle coppie fertili, anche se queste sono portatrici di malattie genetiche. I fautori della provetta libera avrebbero voluto che le Linee Guida si allineassero ad alcune decisioni dei giudici che in questi anni hanno invece autorizzato le coppie a derogare da tali divieti. Così non è stato, e la scelta è legittima, poiché – come spiega l'ordinario di Diritto Costituzionale Filippo Vari - in Italia una sentenza non può cambiare le leggi vigenti, ma produce i suoi effetti limitatamente ai casi specifici. Verità che, fra l'altro, alcuni cattolici tendono a dimenticare quando sostengono che, dopo le sentenze sul caso Englaro, la legge sarebbe stata modificata, rendendo necessaria una nuova normativa sulle Dat. Delle due l'una: o le sentenze cambiano le leggi, e allora le Linee Guida avrebbero dovuto adeguarsi alle sentenze "libertarie" sulla provetta; o le sentenze non cambiano le leggi, e allora la legge sulle Dat non sarebbe più necessaria. Ma le Linee Guida portano con sé anche delle ombre. Innanzitutto, la natura giuridica di questo strumento normativo è ambigua: si tratta di un documento amministrativo, certamente sottoposto al primato della legge ordinaria cui si riferisce; tuttavia, proprio per questo carattere amministrativo, i giudici potrebbero in futuro ignorarle, e ritenere di applicare alla legge 40 una differente interpretazione. Ma, soprattutto, le Linee Guida 2011 evidenziano un vistoso arretramento rispetto alla linea difensiva della vita umana concepita. Un arretramento che è stato poco o nulla evidenziato dalla stampa cattolica. Mi riferisco, in particolare, al fondamentale divieto di trasferire più di tre embrioni: divieto che è stato cassato dalla Corte costituzionale con la sentenza 151 del 2009. E' ovvio che le Linee Guida siano state costrette a recepire un tale autorevole orientamento; ma è altrettanto ovvio che questo fatto debba essere detto pubblicamente, sottolineandone la negatività. Quella sentenza della Corte, fra l'altro, si poggia purtroppo su un ragionamento logico inappuntabile: e cioè che la legge 40, nel momento in cui legalizza il trasferimento multiplo di embrioni - che implica la morte programmata di almeno alcuni di loro - dimostra di non considerare la vita del concepito un bene meritevole di tutela incondizionata. Dunque, dicono i giudici della Corte, il legislatore deve ammettere anche un trasferimento superiore a tre embrioni, se questo risponde all'interesse al figlio della coppia e alla salute della donna. E l'argomento della Corte diventa ancora più forte se si aggiunge che tutte le tecniche di fecondazione extracorporea presuppongono l'accettazione programmata della morte della maggior parte degli embrioni prodotti in provetta. Non solo. Le Linee Guida del 2011 non stabiliscono più l'obbligo di trasferire gli embrioni soprannumerari nella Biobanca di Milano. A oggi gli embrioni crioconservati, abbandonati e non, risultano ufficialmente essere alcune migliaia: il che è molto istruttivo, se si pensa che la legge 40 venne presentata come contraria alla produzione di embrioni in sovrannumero. Purtroppo, una volta ammessa l'idea che l'accesso alla provetta sia un diritto, seppure limitatamente al possesso di alcuni requisiti, diventa impossibile sfuggire a quel piano inclinato che porta, rapidamente, dal male minore al male maggiore.
DOSSIER "SILVIO BERLUSCONI" La politica, il calcio, le donne e le televisioni Per vedere articoli e video, clicca qui!
Fonte: La Bussola Quotidiana, 18/11/2011
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CON LE QUOTE ROSA NOI DONNE ABBIAMO TRADITO LA NOSTRA NATURA: ABBANDONANDO LA NOSTRA VOCAZIONE, CI SIAMO ADATTATE ALLE REGOLE MASCHILI
Che noi donne siamo capaci anche fuori della famiglia è pacifico, ma quale prezzo siamo costrette a pagare (e a far pagare alle persone a noi affidate) per ''realizzarci'' nel lavoro fuori casa?
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Il Timone, novembre 2011 (n.107)
Il problema delle quote rosa non è che donne siano entrate nel mondo del lavoro, ci mancherebbe. Il problema è che il mondo del lavoro è entrato nelle donne. E ci è entrato a gamba tesa. Ha imposto le sue regole, i suoi tempi, i suoi ritmi a volte devastanti anche al mondo femminile. Se le quote rosa servono a far cancellare per legge le differenze, imponendo le donne ai vertici delle aziende - entro il 2015 almeno un terzo dei consigli di amministrazione dovrà essere composto di donne - imponendo loro di conformarsi allo stile del potere, io personalmente dico no, grazie, con tutto il cuore. In un'epoca in cui si cerca di affermare il principio che tutto di noi può essere scelto, autodeterminato, compreso l'orientamento sessuale, tutto quello che rimanda alla differenza tra maschile e femminile viene respinto con fastidio. E invece «maschio e femmina li creò», dice la Genesi, affermando una verità che peraltro non richiede la fede per essere compresa. Non è un accidente, ma ci dice qualcosa di fondamentale su chi siamo. Il nostro genio, il genio femminile, è quello di mediare, aspettare chi è rimasto indietro, valorizzare le differenze: non sono queste le qualità che servono in un consiglio di amministrazione. Ed è talmente vero, che le donne non vi siedono spesso. Non è per una congiura degli uomini, non è per il famoso soffitto di cristallo, ma perché noi non siamo programmate per un certo stile di lavoro. Personalmente, se domani ricevessi una lettera che mi nomina in un importante vertice aziendale, che me lo impone per legge, mi darei alla macchia. Già me le vedo, le riunioni del cda alle sette di sera - l'ora del semolino sputazzato e dei compiti corretti e delle docce - le telefonate chilometriche, i caffè coi colleghi all'ora della festina di compleanno, e poi le lotte fratricide, gli sgambetti, le trame occulte. Perché il potere - di potere parlano le quote rosa - ha logiche che non mi interessano, e che secondo me sono estranee alle donne, le quali non sono fatte per comandare, imporsi, passare sopra, schiacciare. Ne sia la prova il fatto che spesso quando ottengono il potere si incattiviscono, perché tradiscono la loro vera natura adeguandosi allo stile degli uomini, Credo che, alla fine, si tratti di insicurezza, mancanza di consapevolezza della propria vocazione: le donne arrivate al vertice nella maggior parte dei casi vogliono omologarsi ai colleghi maschi, e non sanno o non possono trovare uno stile nuovo. Così pagano un prezzo altissimo sul piano personale e familiare. Il punto cruciale in fondo è quello dei figli - nessuna battaglia culturale potrà mai cancellare il dato di fatto che siamo noi a partorirli e ad essere fatte per accudirli - che o richiedono tempo, presenza, forze e dedizione, se ci sono, oppure bruciano il cuore delle donne che non li hanno (non credo alle donne che dicono di non volerne). Insomma, che noi donne possiamo fare qualcosa di buono anche fuori della famiglia non è più in discussione. Ma, ora che lo sappiamo, chiediamoci: a che prezzo? Fino a che punto è lecito pagare e far pagare quelli che ci sono affidati, per poterci "realizzare"? Anche se in certi casi possiamo fare cose buone, contribuire a progetti positivi, quanto costa, questo, al benessere delle persone che hanno bisogno di noi? E invece non importa che tu sia uomo o donna, che tu abbia o non abbia figli, che ne abbia uno o quattro (ehm, parlo prò domo mea...), di quale età: quello che è richiesto dalla professione è lo stesso per tutti, con le stesse modalità. Sogno invece un mondo del lavoro in cui si aiutino e si premino le donne che vogliono seguire da vicino i propri figli - è un bene per tutta la comunità e per il suo futuro-agevolandole con gli orari, misurando i risultati e la mole di lavoro svolto più che il tempo trascorso magari con la semplice presenza, aspettandole se decidono di stare a casa anche qualche anno: tantissime lo farebbero molto volentieri. Vorrei anche, se posso esagerare con il sogno, che si valorizzassero le competenze che una mamma sviluppa quando, tirando su i suoi bambini, impara a mediare crisi con un aplomb che farebbe impallidire un inviato ONU in Medio Oriente, a tagliare l'inessenziale, a sfruttare i tempi morti, a risolvere problemi velocemente, a delegare, a chiedere aiuto formando una rete di collaborazione e amicizia con chiunque le capiti a tiro (credo che le mie amiche vedendo il mio numero sul display fra poco non mi risponderanno più, temendo che io chieda loro una mano per l'ennesima volta). Il femminismo nella sua cieca foga non si è accorto che, pur partite da una istanza di giustizia, le donne hanno adottato le stesse logiche maschili che volevano ribaltare. E invece che passare dal modello maschile del dominio a quello femminile dell'accoglienza, le femministe, illuse di avere vinto, hanno invece perso due volte, perché si sono adattate alle regole maschili, e hanno perso la loro specificità, tradito la loro natura, abbandonato la vocazione. Esattamente questo è successo per il mondo del lavoro: le donne hanno lottato per entrarci, ma invece che combattere perché il lavoro consentisse tempi flessibili, fasi morbide per permettere alle mamme di essere vicine ai bambini, alle mogli per stare accanto ai mariti, continuano a chiedere solo asili nido aziendali - l'unica idea di conciliazione accettata - per mollare in mani estranee bambini ancora lattanti, e pretendono di fare carriera, pur sapendo che le logiche della carriera sono quasi totalizzanti nell'impegno esigente che richiedono. Ho appena finito di ritirare i panni stesi, siamo nel cuore della notte e ho salutato la mia vicina di cortile che dal balcone di fronte sta facendo la stessa cosa. Anche lei come me plurimamma, anche lei lavoratrice. Sporgiamo il naso fuori di casa solo perché è notte fonda, e nessuno può vedere in che condizioni pietose siamo ridotte. Ma mi faccio coraggio: quando avrò finito questo articolo (le cose che mi piacciono le posso scrivere solo di notte) mi manca solo di trovare dodici calzini - possibilmente appaiati a due a due, o almeno di colori vagamente somiglianti - e posso andare a dormire. Domani, a Dio piacendo porterò ancora a casa la pelle, e forse concluderò la giornata avendo compiuto circa un quarto delle cose che avrei dovuto fare - a patto che nessuno davanti a me in coda tamponi, che nessun figlio si ammali, che nessun capo abbia la luna storta, che non mi appisoli alla conferenza stampa o alla riunione di interclasse (quasi impossibile). Le donne nate dopo il femminismo sono cresciute con l'illusione che fare tutto fosse possibile, anzi fosse un diritto. Non è così. Il lavoro ci costringe a pagare un prezzo, e bisogna stare molto attente a far sì che questo prezzo non diventi troppo alto, che la gerarchia sia chiara e ben definita: prima viene la famiglia, e prima deve rimanere anche di fronte alle tentazioni delle maggiori gratificazioni che il lavoro può dare. Se l'obiettivo è la carriera quasi inevitabilmente la gerarchia salta. Perché le quote rosa di questo parlano: non di lavoro e basta, ma di carriera, di successo, di potere. Se non ora, quando? Possibilmente mai, grazie.
Fonte: Il Timone, novembre 2011 (n.107)
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LE FALSE IDEE DEL CATASTROFISMO AMBIENTALISTA: INQUINAMENTO, CO2, ESAURIMENTO DELLE RISORSE, ECC.
Riccardo Cascioli, direttore de La Bussola Quotidiana, invita a non considerare l'uomo come cancro del pianeta terra, ma come una risorsa per il creato
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie,10 novembre 2011
Venerdì 4 novembre la 52° conferenza organizzata dal Centro Culturale "Amici del Timone" di Staggia Senese ha dibattuto su tutta una serie di tematiche ambientali, prese di mira da un catastrofismo ormai imperante. Il relatore è stato Riccardo Cascioli, giornalista di Avvenire, direttore de La Bussola Quotidiana, fa parte della redazione del Timone, tiene un corso sulle istituzioni internazionali al Master in Scienze Ambientali dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Per la sua attività e i suoi libri si è aggiudicato nel 2006 il "Premio Ambiente è Sviluppo" istituito dal ministero dell'Ambiente. Il professor Cascioli non nega che dei disastri ambientali avvengano, anzi è lui stesso il primo a riconoscerli. E non nega neppure l'esistenza dei cambiamenti climatici, ma ci invita a riflettere sul modo in cui ci poniamo di fronte a questi eventi. Assumere un atteggiamento catastrofista è un modo pre-concetto di studiare la questione. Il catastrofismo, infatti, è caratterizzato innanzitutto da una visione parziale della realtà che prende in esame soltanto gli aspetti negativi del problema e inoltre da una visione radicalmente negativa dell'uomo, la cui presenza sarebbe sempre dannosa. Cascioli, per fare un esempio, ha preso in esame le alluvioni avvenute in Lunigiana proprio in questi giorni. Osservando tutti i Tg si ha come l'impressione che i cambiamenti climatici e i disastri ambientali come le alluvioni stiano progressivamente aumentando e diventino sempre più forti. Ma andando indietro nel tempo ci ricordiamo bene dell'alluvione che coinvolse Firenze nel '66 e quella del Polesine nel '61. A un attento studio della storia del territorio italiano ci accorgiamo che, non solo la Liguria è regolarmente afflitta da questi eventi, ma più della metà dei comuni italiani lo è, per questioni morfologiche. Quindi tali eventi non sono un aggravarsi della situazione, ma un ripetersi ciclico. Anche i cambiamenti climatici sono la normalità e non un problema. Il clima è sempre cambiato, non è statico. Ad esempio, dall'inizio del mondo ci sono state almeno sette Ere Glaciali. Chi afferma che l'uomo è responsabile dei cambiamenti climatici e quindi dei disastri ambientali che ne conseguirebbero, mette sotto accusa l'umanità, che con la sua attività industriale, con il progresso, con le nascite di nuovi individui creerebbe problemi. Questa visione è sbagliata alla radice: l'uomo fa alcune azioni sbagliate, ma ne può fare anche di molto positive. La natura non è stata creata perché l'uomo la lasci com'è, ma perché se ne prenda cura e continui l'opera creatrice di Dio. Nei secoli l'uomo ha reso i territori più belli e più vivibili bonificando le zone paludose, coltivando i terreni, costruendo acquedotti e mantenendo i boschi. La responsabilità dell'uomo non sta nell'evitare i disastri naturali, che in molti casi non possono essere evitati, ma nella manutenzione del territorio per evitarne il più possibile gli effetti: pulire gli argini dei fiumi; costruire le case solo dove è possibile farlo senza intralciare il corso dei fiumi; costruire reti fognarie e mantenerle pulite e funzionanti; e non per ultimo, bisogna anche sapersi arrendere in certi casi alla forza della natura e mettersi al sicuro, aspettando che sia passato il pericolo, come avviene ad esempio in Asia, al passaggio dei Monsoni, perché in fondo limitare le perdite di vite umane vale più di ogni altra cosa. Il catastrofismo incolpa l'umanità intera dei cambiamenti climatici, che sarebbe la diretta responsabile dei disastri ambientali. Ma così facendo nessuno risponde personalmente dell'edilizia selvaggia e delle incurie, che amplificano gli effetti di questi eventi disastrosi. Tutti colpevoli, vuol dire nessuno colpevole personalmente... Un altro cavallo di battaglia della mentalità catastrofista consiste nell'inquinamento. Che questo fenomeno esista e che ci siano stati degli anni in cui è andato aumentando nessuno lo nega, dice Cascioli. Ma la realtà è che rispetto a qualche anno fa è molto diminuito e la tendenza è a diminuire ancora, non ad aumentare, come affermano i catastrofisti di turno. Lo sviluppo e il progresso non sono da condannare perché permettono di avere una tecnologia sempre migliore e sempre meno inquinante. Nessuno parla ad esempio delle auto, che rispetto ai suoi albori inquina l'80% in meno, oppure del riscaldamento delle case, dove, sostituendo il gasolio con il metano si riesce ad inquinare sempre meno. In 40 anni, mediamente, l'inquinamento è stato abbattuto di circa il 70%. Insomma non è lo sviluppo a creare inquinamento, bensì il sotto sviluppo. Infatti nei paesi sviluppati la fiorente economia insieme alle nuove tecnologie limita il problema inquinamento e gli altri problemi ambientali. Un ulteriore argomento dei catastrofisti è quello della deforestazione. I mass media fanno apparire questo come un problema globale, ma in realtà riguarda solo alcuni paesi sottosviluppati, come alcune zone dell'Africa. In questi territori, in cui vige un'agricoltura primitiva, si coltivano i terreni anche senza tecnologie, anzi, a volte senza nemmeno l'ausilio di animali. Tali terreni si consumano in fretta e così vengono bruciate le foreste per mettere a coltivazione nuovi terreni per sopravvivere. In Africa è molto presente anche il problema della malaria, che, al contrario di quello che comunemente si pensa, è molto più grave dell'aids, sia per tasso di mortalità che per l'inabilità che provoca nella popolazione. Sfatiamo il mito, ha spiegato Cascioli, che la malaria sia una malattia tropicale, perché anche in Italia c'era questa malattia finché non è stata debellata. Sono inutili gli appelli che lancia ogni anno l'Onu riguardo alle zanzariere. È chiaro che il problema della malaria non può essere risolto mettendo delle zanzariere perché le zanzare che provocano questa malattia sono presenti non solo di notte e non solo all'interno delle case. C'è bisogno di bonificare il territorio e di rendere le persone capaci di pratiche igieniche migliori. Solo che l'unico prodotto che disinfetta efficacemente le zone affette da malaria, debellandola, è il DDT, con il quale è stata bonificata tutta l'Europa, ma che poi è stato bandito dai benpensanti in quanto presunto inquinante. In realtà il DDT, usato con prudenza, sarebbe una risorsa efficacissima per quelle popolazioni e l'allarmismo che lo ha coinvolto è stato esagerato. Ultimamente, ha continuato ancora Cascioli, l'inquinante per eccellenza dei paesi sviluppati è diventato, secondo l'organizzazione mondiale della sanità, il Co2, altrimenti detto anidride carbonica, e così tutti si stanno dando un gran da fare per ridurne al minimo le emissioni. Questa, ha affermato Cascioli, è una bugia, oltre che una vera e propria follia. Senza Co2 non ci sarebbe vita sulla terra e raggiungere concentrazioni tali da essere dannoso è praticamente impossibile. Il Co2 di per sé non è un elemento inquinante, né tossico, mentre lo è ad esempio il benzene, che nessuno si preoccupa di limitare nell'atmosfera. E infatti, dati alla mano, secondo gli ultimi studi effettuati sull'atmosfera, mentre il tasso di Co2 è in aumento, i tassi di inquinamento sono in diminuzione. L'anidride carbonica è necessaria alle piante per vivere ed è quindi utile per lo sviluppo della vegetazione. Il catastrofismo, che guarda a tutte queste problematiche ambientali con assoluto pessimismo, nasce dal movimento ambientalista, che a sua volta ha origini molto lontane nel tempo. Alla fine dell'800 le società eugenetiche teorizzano il darwinismo sociale, favorito dall'eugenetica: applicare il darwinismo alla specie umana significa fare in modo che vadano avanti solo gli individui che servono nella società, "i migliori", creando così una razza selezionata, proprio come teorizza il pensiero eugenetico e arrivare ad una società con pochi uomini ma buoni. Secondo questa teoria, gli uomini sono in sé dannosi e cattivi, incapaci di fare il bene se non per sbaglio e per questo ha bisogno di un'autorità forte che lo schiacci. Anche alcuni protestanti considerano l'uomo in questi termini, al contrario del cattolicesimo che considera l'uomo e tutta la realtà in modo positivo. La secolarizzazione ha rotto la visione positiva dell'uomo portata dalla cultura cattolica e non è un caso che il '900 sia stato il secolo dei totalitarismi. Da tutta questa visione nasce il conservazionismo e il protezionismo degli ambientalisti, per cui se l'uomo crea danni bisogna limitare la sua attività e creare zone delimitate in cui l'uomo non possa entrare, come i parchi naturali. I parchi naturali, di per sé positivi si fondano però su un'intenzione sbagliata. E non risolvono il problema di salvaguardia dell'ambiente. Basti pensare alla Campania che, pur essendo la regione italiana con più parchi naturali, non è esattamente un esempio di protezione ambientale. Un altro problema tirato spesso in ballo è quello dell'esaurimento delle risorse. Secondo l'ideologia catastrofista le risorse del mondo sono come una torta: ogni anno una fetta di quella torta sparisce e un giorno finirà; se la popolazione aumenta o consuma troppo rischiamo ben presto di non avere più abbastanza risorse per tutti. Ma anche questo è falso. Prima che venisse capito come poter utilizzare il petrolio, questa sostanza rappresentava un problema, mentre oggi è una risorsa; e quando negli anni '70 fu lanciato l'allarme sulla fine del rame, poco dopo non solo se ne scoprirono altri giacimenti, ma furono addirittura inventate le fibre ottiche, da usare al posto del rame per tutte le comunicazioni. L'età della pietra non è finita perché sono finite le pietre, ma perché sono stati scoperti dall'uomo materiali migliori. Le risorse dipendono dall'ingegnosità dell'uomo che le usa per rispondere ai propri bisogni. Se eliminiamo l'uomo le risorse non aumentano, casomai spariscono perché non c'è più nessuno che le renda utilizzabili. L'acqua, ad esempio, è presente naturalmente in natura, ma se l'uomo non avesse costruito i pozzi e in seguito gli acquedotti e i canali per riceverla nelle case sarebbe molto meno utile. Anche nei paesi sottosviluppati per bere l'acqua bisogna scavare un pozzo. Cascioli ha concluso la sua interessante esposizione spiegando che la vita non è una partita tra la natura e l'uomo; entrambe le estremizzazioni, sia la divinizzazione dell'uomo che quella della natura, sono sbagliate. Ecco perché il peggior problema per l'ambiente è l'ateismo: eliminando Dio come creatore avviene o lo sfruttamento indiscriminato, in quanto l'uomo si sente il più forte, oppure la divinizzazione della natura per cui se Dio è in ogni cosa niente di ciò che è in natura può essere toccato. Dobbiamo imparare a recuperare il vero significato della vita e di ciò che abbiamo intorno: l'acqua non va sprecata, non perché finisca, né perché chiudendo il rubinetto in Italia arrivi più acqua in Africa; non va sprecata perché tutto ciò che abbiamo è un dono di Dio, quindi va usato nella maniera giusta. Non è terrorizzando che si insegna alle persone a non sprecare, ma chi toglie Dio dal suo orizzonte non ha altri mezzi. Senza la Fede che ci indica come utilizzarle e quali limiti avere, persino possedere tutte le risorse del mondo diventa inutile.
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L'IMMINENTE CATASTROFE CLIMATICA RENDE OSCURO L'AVVENIRE
Ecco le solite frottole di una società sazia che crede di far bella figura dimenticando che non esiste paese al mondo dove non accadono catastrofi naturali
Autore: Fabio Spina - Fonte: La Bussola Quotidiana, 09/11/2011
Il quotidiano Avvenire il 5 novembre ha pubblicato un articolo dal titolo "Il meteorologo: colpa del clima cambiato. Alluvioni-lampo peggiori degli uragani", a firma di Lucia Bellaspiga. Stavolta ad essere intervistato non è più Luca Mercalli (di cui già abbiamo scritto), ma il volto noto della RAI Francesco Laurenzi: comun denominatore dei due meteorologi la passione per il farfallino e per l'imminente catastrofe climatica. Della tragica alluvione di Genova già si è scritto sulla Bussola Quotidiana, ma andiamo a verificare alcune affermazioni del meteorologo. Ecco la prima: «E in particolare quest'anno si registra il picco di "alluvioni lampo", le cosiddette flash flood, violente e improvvise, causate dall'ottobre caldissimo[…] fuori dal normale». Bene, se andiamo a controllare sul sito del CNR, la temperatura media di ottobre ha avuto un'anomalia di +0.13°C (circa una linea per chi era abituato con i vecchi termometri della febbre) rispetto alla media del periodo 1800-2010; messi in ordine è al 72° posto rispetto all'ottobre più caldo che è relativo all'anno 2001, con un'anomalia di +2.85°C, mentre quello più freddo è relativo al 1974 con -3.80°C. In natura, secondo Avvenire, non essere esattamente pari al valore medio, senza neanche tener conto degli errori, significa essere fuori dal normale? Un tragico concetto se fosse esteso anche in altri campi. Passiamo alla seconda affermazione: «Che il clima è cambiato è evidente dai numeri degli ultimi disastri», dice Laurenzi presentando i dati delle ultime alluvioni dimenticandosi i vecchi, anche di quello - impossibile da non citare - del 1970. «Le alluvioni classiche, invece, come quella famosa del Polesine nel 1951, facevano 5 o 6 morti. Come mai? Il fatto è che un tempo pioveva per una settimana intera, i torrenti pian piano s'ingrossavano, il fiume saliva e si vedeva, quindi c'era il tempo di reagire, anche di andarsene. Qualcosa è cambiato con l'alluvione di Firenze». Purtroppo, a differenza di quanto affermato da Laurenzi, l'alluvione del Polesine causò 84 morti e più di 180mila senzatetto. Per quanto riguardo il fatto che "i torrenti pian piano s'ingrossavano" Laurenzi dovrebbe domandarsi perché a Roma la prima opera che si fece nel 1870 furono gli argini del Tevere; o come mai nel 1868, tanto per fare un esempio, lo straripamento del torrente Parma causò morti e devastazione e vide l'intervento della Famiglia religiosa delle Piccole Figlie per aiutare i tanti poveri e disastrati; o anche come mai nel 1822 proprio a Genova si ebbe quella che finora è la maggiore precipitazione misurata in Italia in 24 ore. La Gazzetta di Genova del 30 ottobre 1822 non descrisse un fenomeno lento: «Nella maggior parte delle botteghe di detto borgo Pila l'acqua si innalzò a dieci palmi e nella parte più bassa dirimpetto alla via che conduce al cantiere fino a undici palmi. Né questa é ancora l'altezza maggiore; perché nella strada dritta verso Albaro presso la casa di Steria, ov'è di confluente di molti rigagnoli e fossi, si alzò fino a dodici palmi e mezzo. I danni prodotti da questo funesto accidente sono immensi. Il borgo della Pila è tutto formato da fondachi, botteghe e magazzini, ove sono ricchi depositi di olio, di vino, di farine, di panni, ed ogni altro genere. L'irruenza delle acque fu così rapida che ebbe appena il tempo di trasportare qualche cosa nei piani superiori e di mettere in salvo le persone. Insomma a dieci ore di mattina non vi era alcuna apparenza di pericolo e a un'ora tutto il male era fatto. Molte di dette botteghe avranno un danno di due o tre mila lire; una fabbrica di cordami avrà una perdita di otto o nove mila lire, ecc. La perdita di bestiame è stata poco considerabile: la più forte è di settanta circa in una stalla di Sant'Agata. Che se da questo borgo si passi ai proprietari degli orti i danni sono forse anche più gravi per l'estensione delle muraglie abbattute e per la grande quantità di sabbia e di rottami trascinati sul terreno coltivato. I danni maggiori però diconsi quelli accaduti nel fossato di Sturla, ove alcune ville sono state affatto devastate. I guasti sono tali che per alcuni proprietari ascenderanno, dicesi, a lire ventimila». Ma andiamo avanti con Laurenzi: "Lei pensi che Genova ha una media di 100 millimetri di pioggia al mese, ma che oggi ha raggiunto la punta di 90 mm in un'ora. Con gli ultimi fatti di Roma e di Genova stiamo superando i quantitativi di pioggia degli uragani, che portano in media 40/50 mm di pioggia l'ora". Ancora una volta il meteorologo RAI ci trascina in quel fenomeno detto "dittatura della media" in cui apparentemente si fa credere che sia possibile descrivere la complessità e dinamicità della realtà semplicisticamente dando il solo valore medio. Cento sarà pure il valore medio mensile, non si sa calcolato su quale periodo, ma tutti sanno che i mesi autunnali sono i più piovosi. Ad esempio, riprendendo le statistiche dell'Istituto idrografico del trentennio 1921-1950, a Genova il valore medio di ottobre è 151 mm, ma va fatto anche osservare che il minimo del 1948 è 3 mm mentre il massimo del 1926 è ben 733 mm. Il valore medio non offre alcuna idea della variabilità del dato. Inoltre è completamento sbagliato far paragoni con gli uragani, per i quali - basterebbe leggere la scala Saffir-Simpson per la loro classificazione - sono importanti i valori dell'intensità del vento, dell'onda e della pressione, mentre i valori di precipitazione misurati con il pluviometro al passaggio di un uragano sono inattendibili essendo affetti da enormi errori, in quanto i venti spirano a 200 Km/h modificando continuamente la traiettoria delle gocce (effetto Jevons). Ma non è finita: «La cultura occidentale pensa di poter vivere al di fuori della natura, abbiamo la presunzione di volerla dominare, non proviamo quel rispetto innato, misto a timore di altre culture». Questa è la solita frottola autodenigratoria di una società sazia che crede di far bella figura ponendo l'attenzione sugli aspetti generalmente ritenuti negativi dagli altri, senza comprendere che sta parlando di se stessa. Non esiste paese al mondo dove non accadono catastrofi naturali, caro Laurenzi. La invitiamo ad illuminarci con i nomi di qualche nazione dove non accadono. La verità, purtroppo, è che in tutto il mondo le catastrofi naturali colpiscono i più poveri e i più deboli. Anche se qualcuno cerca di farci credere che la causa siano fenomeni climatici globali, i morti invece sono tragicamente sempre localizzati, spesso in gruppo, in scantinati o seminterrati dove vivono i poveri o cercano rifugio i più deboli. Le città nascono sui colli, come i famosi sette di Roma, per poi estendersi, per l'interesse economico/egoismo di pochi, a macchia d'olio coprendo tutto il possibile. Sono le maggiori o minori disponibilità economiche a portare le persone a vivere in aree più o meno rischiose, non la cultura o la presunzione di voler dominare la natura. Avendone la possibilità, tutti sceglierebbero di vivere in altura, un bell'attico vista parco, con un sicuro e comodo parcheggio, di vivere lontano dal pericolo di torrenti. Avvenire anche stavolta preferisce alla semplice realtà che tutti conoscono e vivono, la favola del tempo "malvagio" che grava sui nostri cieli, dei fenomeni ormai mostruosi. La cultura occidentale, quella che affonda le radici nel pensiero cristiano, fortunatamente non vede con ammirazione chi teme la natura come se fosse una Dea pagana, ma preferisce in ogni scelta porsi il problema del discernimento della giusta misura nel "custodire e coltivare" l'intero Creato. "Non abbiate paura di andare controcorrente!" invitava il Beato Giovanni Paolo II: purtroppo se la paura vince non rimane che essere solo "cassa di risonanza" delle idee del meteo-farfallino, credendo per questo di essere più tolleranti e buoni.
Fonte: La Bussola Quotidiana, 09/11/2011
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OMELIA I DOMENICA DELL'AVVENTO - ANNO B - (Mc 13,33-37)
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 27 novembre 2011)
Con questa domenica inizia il tempo dell'Avvento e, con esso, un nuovo Anno liturgico. L'Avvento è quel periodo di quattro settimane che precede il Natale. Durante questo periodo dobbiamo preparare i nostri cuori all'incontro con Dio. In noi si deve ridestare quel desiderio di fervida attesa e di speranza che caratterizzò il lungo tempo di preparazione del popolo ebreo alla venuta del Messia. Il profeta Isaia, nella prima lettura, esprime il desiderio che ogni uomo ha di Dio: «Se Tu squarciassi i cieli e scendessi» (Is 63,19). Ogni uomo, anche se non se ne rende pienamente conto, avverte questo desiderio. L'uomo è stato creato per Dio e non troverà pace se non quando riposerà in Lui. Questo desiderio sarebbe rimasto per sempre inappagato se Dio stesso non avesse preso l'iniziativa e non fosse disceso su questa terra. L'umanità senza Dio vaga nelle tenebre, pertanto il profeta così si rivolge al Signore: «Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore? [...] Ritorna per amore dei tuoi servi» (Is 63,17-18). Questa deve diventare anche la nostra preghiera, per noi e per il mondo intero, smarrito e lontano da Dio. La preghiera dei buoni attira la misericordia su tutto il mondo. Il profeta sentiva tutta la miseria dell'umanità e così parlava a Dio: «Ecco, Tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di Te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura [...] tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento» (Is 64,4-5). Oggi come allora ci siamo ribellati a Dio, i nostri peccati si sono moltiplicati e abbiamo offeso molto il Signore. «Nessuno invocava il tuo nome» (Is 64,6), continua il profeta Isaia, facendoci comprendere quanto sia necessaria la preghiera per ottenere la Misericordia. La lettura si conclude con un atto di fiducia in Dio, che è nostro Padre e che non ci lascerà in balia di noi stessi. Il Salmista invoca l'intervento di Dio a salvezza del suo popolo con queste parole: «Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci [...] guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna [...] Da Te più non ci allontaneremo, ci farai vivere e invocheremo il tuo nome» (Sal 79). Il Signore è venuto, si è fatto uomo per la nostra salvezza, e tornerà alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti. Di questa seconda venuta parla il Vangelo di oggi. Gesù, invitandoci alla vigilanza, ci rivolge queste parole: «Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà» (Mc 13,35). Egli ci invita a stare attenti, a rimanere desti: «Fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati» (Mc 13,36). Gesù ci ha lasciati nella sua casa, ovvero la Chiesa, dando «a ciascuno il suo compito» (Mc 13,34), una missione particolare da compiere. Anche noi ci lasceremo sorprendere addormentati se non realizzeremo questo progetto d'amore che Dio ha su di noi, se non porteremo a termine questo compito a noi affidato. Ci addormenteremo anche noi se allenteremo la nostra preghiera e ci lasceremo dominare dagli affanni, dalle preoccupazioni e dalle lusinghe di questo mondo, e non presteremo attenzione alla cosa più importante: la salvezza dell'anima. Consapevole di tutto questo, san Francesco d'Assisi così pregava all'inizio della sua conversione: «Signore, cosa vuoi che io faccia?». La risposta non tardò ad arrivare e san Francesco svolse nella Chiesa un compito importantissimo, quello di restaurare la casa di Dio, la Chiesa, che, per opera di tanti uomini, stava andando in rovina. Ognuno di noi ha un compito affidato dalla Provvidenza di Dio. Se riusciremo a realizzarlo arrecheremo un grandissimo bene alla Chiesa e al mondo intero. Preghiamo per tanti giovani, generosi quanto distratti, i quali non si accorgono di aver ricevuto una particolare vocazione, come quella di san Francesco, e sprecano i loro anni migliori in cose inutili. Come abbiamo pregato all'inizio della Messa, dobbiamo andare incontro a Gesù che viene, che vuole entrare nel nostro cuore. Andremo incontro al Signore con la preghiera, che deve essere sempre assidua e fervente. Non ci sarà vita cristiana senza la preghiera. Oltre a ciò, l'orazione iniziale della Messa ci indica le buone opere: per mezzo di esse noi ci avvicineremo sempre di più a Dio e avvicineremo tutti quelli che da noi saranno beneficati. In questo periodo di Avvento prendiamo anche noi questi due propositi: quello della preghiera e quello delle opere di misericordia. Facendo così ci prepareremo nel modo migliore a celebrare il Natale del Signore.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 27 novembre 2011)
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