L'ACQUA E' UNA RISORSA SOVRABBONDANTE IN NATURA: LA MANCANZA DI ACCESSO E' DOVUTA AL SOTTOSVILUPPO
Non sono le multinazionali o la ''logica economica'', ma i governi corrotti e burocratici, le guerre e l'instabilità politica ad essere di ostacolo al godimento di questo prezioso bene
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Bussola Quotidiana
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FESTA DELLA DONNA? E' PIU' URGENTE FARE UN REGALO AGLI UOMINI!
L'uomo non è sensibile alle manifestazioni di piazza, mentre non resiste a una donna leale, accogliente, pronta a schiacciare la propria lingua e a vedere in lui la parte migliore
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Avvenire
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OFFENSIVA, RAZZISTA, ANTIEDUCATIVA? ELIMINARE LA DIVINA COMMEDIA DAI PROGRAMMI SCOLASTICI SAREBBE UN SUICIDIO CULTURALE
Purtroppo a scuola già ora è ridotto lo spazio dedicato a Dante... i giovani invece lo riscoprono con grande entusiasmo
Autore: Giovanni Fighera - Fonte: La Bussola Quotidiana
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AIUTIAMO LE DONNE VITTIME DI STUPRO AD ABORTIRE ED E' TUTTO RISOLTO: FALSO!
Sembra strano, ma la maggior parte delle donne che rimangono incinte per una violenza sessuale non vuole abortire
Autore: Virginia Lalli - Fonte: BastaBugie
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DOVE ANDREMO A FINIRE SE INSEGUIAMO SOLO IL MATRIMONIO TRA LA SIGNORA CRESCITA E IL SIGNOR PIL?
Non bisogna imitare la Cina, ma tornare alle radici cristiane (quando l'Italia cresceva al 6 per cento annuo)
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
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NOZZE GAY: SEVERO MONITO DEL PARLAMENTO EUROPEO AGLI STATI AFFINCHE' LE RICONOSCANO AL PIU' PRESTO
Ma il matrimonio omosex e relative adozioni distruggono ciò che resta della famiglia...
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Bussola Quotidiana
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NOZZE GAY: NON C'ENTRA ESSERE CATTOLICI O LAICI... C'ENTRA AVERE A CUORE IL FUTURO DELLA SOCIETA'
Il luogo di relazione dove i figli hanno la possibilità di sviluppare al massimo le proprie potenzialità è la famiglia: anzitutto il rapporto educativo con un padre e una madre
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Bussola Quotidiana
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CATTOLICI, SVEGLIA: SU ICI, SCUOLA E OSPEDALI VI STANNO FREGANDO!
La vicenda IMU ecclesiastica mi ha lasciato molto amaro in bocca: lo dico da vecchio laicone
Autore: Oscar Giannino - Fonte: Tempi
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SE PURE AVVENIRE ESULTA PER I ''SUCCESSI'' DELLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE... SIAMO ALLA FRUTTA
Grande spazio a Eugenia Roccella (favorevole alla libera scelta in tema di aborto) che dimentica la strage degli innocenti di una tecnica comunque anti-umana
Fonte: Comitato Verità e Vita
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IL MINISTRO PAKISTANO SHABHAZ BHATTI: MARTIRE E PATRONO DELLA LIBERTA' RELIGIOSA
A un anno dalla sua uccisione appare evidente come la lotta contro la cristianofobia e per la libertà religiosa nel mondo resta la battaglia principale del nostro tempo
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Bussola Quotidiana
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OMELIA V DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO B - (Gv 12,20-33)
Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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L'ACQUA E' UNA RISORSA SOVRABBONDANTE IN NATURA: LA MANCANZA DI ACCESSO E' DOVUTA AL SOTTOSVILUPPO
Non sono le multinazionali o la ''logica economica'', ma i governi corrotti e burocratici, le guerre e l'instabilità politica ad essere di ostacolo al godimento di questo prezioso bene
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Bussola Quotidiana, 14/03/2012
Quasi la metà della popolazione mondiale non ha accesso ad acqua sufficiente per soddisfare le esigenze fondamentali, e circa 800 milioni di persone non hanno neanche la disponibilità di acqua bevibile. Basterebbero questi pochi dati per rendersi conto di quanto sia necessario porre il problema acqua in testa all'agenda di politica internazionale. E' anche lo scopo del VI Forum mondiale dell'acqua che è in corso in questi giorni a Marsiglia, dove si cercherà di mettere a punto delle proposte precise per garantire quello che dovrebbe essere considerato un diritto umano fondamentale. Attorno al tema acqua ci sono però una serie di luoghi comuni e spinte ideologiche che equivocano sulle cause del problema e che quindi spingono verso soluzioni inutili o addirittura controproducenti. E purtroppo si deve registrare con grande dispiacere che ad alimentare la confusione ci si è messo anche il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace con il documento pubblicato nei giorni scorsi, proprio in occasione del Forum di Marsiglia (peraltro da quando sono stati rinnovati presidente e segretario non è la prima volta che il Pontificio Consiglio se ne esce con documenti non particolarmente felici). Ad ogni modo vanno precisate alcune questioni chiave: Anzitutto, la crisi dell'acqua non è nella disponibilità, ma nell'accesso. Vale a dire che non c'è poca acqua, globalmente, ma ci sono una serie di motivi per cui tante persone non vi accedono, analogamente a quanto accade per il cibo. Tante per dare un'idea, posto che secondo le Nazioni Unite in media ogni persona ha bisogno di un minimo di 50-100 litri al giorno di acqua per bere, lavarsi, cucinare e servizi igienico-sanitari, oggi ce ne sono disponibili – sempre globalmente - 5700 a testa. Considerato che nell'Unione Europea il consumo pro capite al giorno è intorno ai 600 litri e negli Usa 1.400, appare evidente che il problema non sta nella disponibilità (per i dettagli cfr. R. Cascioli-A. Gaspari, I padroni del pianeta, Piemme 2009). Il problema dunque è comprendere quali siano le ragioni del mancato accesso. Alcune barriere che impediscono l'accesso all'acqua sono naturali. Le precipitazioni non si distribuiscono uniformemente sulla superficie della terra: tanto per fare un esempio, l'Islanda può contare su una disponibilità di circa 2 milioni di litri pro capite al giorno, mentre il Kuwait si deve accontentare di appena 30 litri. E anche le precipitazioni non si distribuiscono uniformemente durante l'anno. Inoltre ci sono aree molto ricche d'acqua (vedi i Grandi laghi in Africa e il bacino del Rio delle Amazzoni) e altre che sono decisamente aride (vedi il Medio Oriente). Eppure non è questo il problema principale. Infatti, paesi che hanno una grave scarsità naturale di acqua – vedi Israele e Kuwait – non hanno alcun problema di accesso mentre popolazioni che abitano in zone ricche di acqua – come i Grandi Laghi in Africa – sono quelle che maggiormente soffrono di indisponibilità. Come mai? La prima differenza sta nello sviluppo e nell'uso di tecnologie che in paesi sviluppati permettono di sopperire alle barriere naturali: così Israele ha sviluppato tecnologie che permettono di risparmiare acqua per l'irrigazione, mentre in Kuwait si sono realizzati progetti per la desalinizzazione dell'acqua di mare. Il principale impedimento all'accesso all'acqua è quindi il sottosviluppo che, tra l'altro, non permette di investire anzitutto sulla formazione e sulla ricerca. Ed è ben curioso che proprio il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace non sottolinei con forza questo aspetto, che pure è un caposaldo della Dottrina sociale della Chiesa. Si preferisce invece prendersela con la "logica mercantile", dando l'idea che a impedire l'accesso all'acqua siano le logiche di profitto di non meglio precisate multinazionali che – avendo interesse esclusivo ai propri profitti anziché alla destinazione universale dei beni – imponendo dei prezzi alti tagliano fuori dall'accesso all'acqua le popolazioni più povere. E per questo il documento vaticano chiede l'istituzione di "corti di giustizia" per "individuare i danni causati al bene dell'acqua e proporre possibili riparazioni o sanzioni". In realtà il sottosviluppo è anche alla base del fattore cruciale che impedisce l'accesso all'acqua, cioè le guerre. Basti pensare all'Africa, dove si concentra l'80% del problema idrico mondiale. Secondo un Rapporto pubblicato nel 2007 dalle organizzazioni non governative Oxfam, Safeworld e Iansa, ogni anno l'Africa perde "almeno 18 miliardi di dollari a causa di guerre, guerre civili e insorgenze". Dal 1990 al 2006 sono stati "persi" circa 300 miliardi di dollari, una cifra folle "equivalente all'ammontare nello stesso periodo degli aiuti internazionali dai principali paesi donatori". E' per questo motivo che paradossalmente il problema dell'accesso all'acqua è particolarmente acuto nella zona dei Grandi Laghi africani, che pure è uno dei bacini di acqua dolce più grande al mondo. Le guerre e la costante instabilità politica rendono impossibile investire nelle necessarie infrastrutture, sia perché i soldi pubblici vengono investiti in armi anziché in cose necessarie per la popolazione, sia perché – anche ci fossero i fondi – nessuno si arrischierebbe a mettere mano a delle opere che rischiano di essere distrutte il giorno dopo. Sempre guardando all'Africa l'altra piaga che impedisce l'accesso all'acqua è la corruzione, come messo in evidenza dal Rapporto 2008 sulla Corruzione Globale curato da Transparency International, dedicato proprio ai crimini nel settore idrico. In questo caso ingenti quantità di denaro destinato a garantire il massimo accesso possibile all'acqua prendono invece la strada delle tasche di singoli e organizzazioni collusi con dittatori e governi. Il rapporto punta l'indice contro le "classi politico-burocratiche corrotte" dei paesi poveri, che "mantengono deliberatamente in vita sistemi economicamente inefficienti ma che si rivelano per loro politicamente vantaggiosi". Soprattutto nei paesi in via di sviluppo sono quindi proprio i governi e le gestioni burocratiche ad essere di ostacolo al godimento di questo diritto. E' chiaro dunque che la strada per superare il problema non sta in una ulteriore statalizzazione – fosse anche sovranazionale, magari sotto il cappello dell'Onu – ma al contrario in una liberazione delle risorse umane dei paesi poveri. Per questo è necessario favorire e accelerare lo sviluppo dei singoli paesi puntando sull'educazione, sul controllo degli aiuti internazionali, sulla soluzione dei conflitti.
Fonte: La Bussola Quotidiana, 14/03/2012
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FESTA DELLA DONNA? E' PIU' URGENTE FARE UN REGALO AGLI UOMINI!
L'uomo non è sensibile alle manifestazioni di piazza, mentre non resiste a una donna leale, accogliente, pronta a schiacciare la propria lingua e a vedere in lui la parte migliore
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Avvenire, 09/03/2012
Ieri mattina appena sveglia una dei miei quattro figli, Livia, che ha 5 anni e comincia a cercare di capire qualcosa del calendario, mi ha chiesto che giorno fosse. Con uno sforzo titanico, raccogliendo le forze, ho recuperato alcune coordinate (chi sono, perché vivo, che mese è): «È l'8, giovedì. È la festa della donna». «Bene, che regalo facciamo al babbo e ai fratelli?», ha chiesto la saggia ragazza, avviandosi all'asilo. Effettivamente, se la logica non la inganna, come succede a Natale, che è la festa di Gesù, è il festeggiato a dare qualcosa agli altri. «Regaleremo noi stesse», ho risposto, più che altro un po' terrorizzata all'idea di passare un pomeriggio a cercare qualcosa per mio marito, soggetto difficilissimo e amante della tecnologia, materia a me ostile (se entro in una stanza i computer smettono di funzionare e ho anche l'impressione che ridano di me). Bene, se alla mia bambina avessi insegnato solo questo in cinque anni mi riterrei soddisfatta. Spero che lei e la sua sorellina appartengano finalmente alla generazione di donne pacificata con gli uomini, desiderose di onorarli, piene di stima e rispetto nei loro confronti, consapevoli di avere bisogno di loro, del loro sguardo sul mondo, della loro virilità, che è essenzialmente capacità di dare la vita per la sposa, i figli, e quelli di cui si fanno carico. Sarà che hanno un padre di poche parole ma di molta sostanza, generoso e presente ma autorevole e anche autoritario all'occorrenza. Sarà che non leggono giornali né guardano televisione, e quindi non vedono nessuna discriminazione in casa o fuori. Sarà che sanno che maschi e femmine sono diversi, e questa cosa a noi tre donne di famiglia piace moltissimo. E non si dica che è così perché il nostro è un uomo eccezionale: è meraviglioso, è vero, ma per il resto è un perfetto esemplare del modello base dell'essere umano. Anche lui chiede come stai e poi esce dalla stanza nel momento in cui comincio a rispondere. Anche io, se lui mi guarda ammirato, mi giro a controllare se per caso c'è uno schermo che trasmette un dribbling di Totti o un piano sequenza di Scorsese (di solito sì, c'è). Anche lui perde liste della spesa, chiavi e ricevute, anche lui trova difficoltà a fare due cose insieme, pure se le due cose non sono guidare e scrivere al computer, ma guardare l'orologio e rispondere a domande basic (tipo che ora è). Parlare male dei maschi è il nuovo nero, va bene su tutto, ma forse è ora di smettere: altro che 8 marzo e quote rosa, quella che sta vivendo la virilità ai nostri giorni è una crisi inedita nella storia dell'umanità. Se c'è qualcuno a essere sotto scacco sono gli uomini, indotti dalla pressione sociale e dalla ideologia unica e monocorde, quella del 'gender', a diventare più femminili, sentimentali, a indossare gli abiti del servizio e a deporre quelli dell'autorevolezza, ormai quasi sinonimo di barbarie. Sarà che autorevole viene da augeo, accresco, porto verso l'alto, e dell'Alto, invece, si è persa memoria, senso, direzione. Si parla così male dei maschi perché si dimentica che Dio ha creato l'uomo, enigma teologico per eccellenza, maschio e femmina. A sua immagine e somiglianza, maschio e femmina. La tensione tra maschile e femminile deve essere una dinamica di accrescimento reciproco, che rievoca quella di Dio, di cui è immagine. Dio Trinità: tre persone diverse e unite. Siamo diversi, e per questo non occupiamo gli stessi posti nella società, non per una congiura dei maschi. È perché diverse sono le cose che davvero ci realizzano nel profondo. Che regalo fare, dunque, ai maschi, per cogliere il suggerimento di mia figlia Livia anche dopo l'8 marzo? Uno sguardo accogliente, leale, pieno di sincera approvazione. Propongo a tutte le donne di schiacciare la propria lingua, di solito sempre pronta a brontolare, fare battutine, sottolineare il male. Propongo che da oggi, dunque, ogni donna, rasserenata e pacificata, rimandi al suo uomo un'immagine di sé profondamente bella. L'uomo non è sensibile alle manifestazioni di piazza, mentre non resiste a una donna leale, che abbia uno sguardo pronto a vedere in lui la parte migliore.
Fonte: Avvenire, 09/03/2012
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OFFENSIVA, RAZZISTA, ANTIEDUCATIVA? ELIMINARE LA DIVINA COMMEDIA DAI PROGRAMMI SCOLASTICI SAREBBE UN SUICIDIO CULTURALE
Purtroppo a scuola già ora è ridotto lo spazio dedicato a Dante... i giovani invece lo riscoprono con grande entusiasmo
Autore: Giovanni Fighera - Fonte: La Bussola Quotidiana, 14/03/2012
La Divina commedia sarebbe profondamente offensiva, razzista, antieducativa, secondo Valentina Sereni, Presidente di Gherush92, organizzazione di ricercatori e professionisti che svolge progetti di educazione allo sviluppo e ai diritti umani, accreditata presso l'ONU. Andrebbe per questo eliminato il suo studio nei programmi scolastici, perché antisemita, islamofoba, addirittura contro i sodomiti. Certo, c'è da sorprendersi, perché la Commedia, che è stata tradotta in tutte le lingue del mondo e anche in arabo, è apprezzata ovunque. Farideh Mahdavi-Damghani, che ha tradotto in persiano La vita nova e la Divina Commedia, ha detto: «La gente in Persia non conosceva Ravenna, non sapeva che è la città in cui è sepolto Dante, ma vedendo tutto quello che io amo fare per questa città, leggendo le mie traduzioni, il pubblico persiano ora conosce Ravenna. C'è questo paradosso: siamo lontani dal punto di vista culturale, ma nello stesso tempo siamo molto vicini: le credenze sulla famiglia, sull'emotività, sull'amore per la poesia e la letteratura, cose primordiali che forse per altri paesi hanno minore importanza, sono molto simili in Italia e in Persia. Quindi si può dire che gli italiani somigliano ai persiani». Si tranquillizzi, però, Valentina Sereni. Purtroppo, i dati sullo studio della Commedia nelle scuole superiori e nelle università denunciano già un grave abbandono dello studio del capolavoro dantesco. Quando nel 2005 e nel 2007 sono state assegnate per la prima prova dell'Esame di Stato nelle scuole secondarie superiori terzine tratte dalla Commedia (rispettivamente dal canto XVII e dal canto XI), l'esito non è stato dei più confortanti: una percentuale davvero irrisoria di maturandi (attorno al 4-5 per cento) si è cimentata con il monumentale capolavoro. E pensare che il Ministero aveva provveduto addirittura ad accompagnare i versi danteschi con alcune postille in funzione di commento e di parafrasi. Il dato non era che l'ennesima riprova dell'attenzione sempre minore che nelle scuole superiori veniva riservata allo studio delle tre cantiche. All'università, però, la situazione non è migliore. Anzi. Solo vent'anni fa alla Statale di Milano si studiavano tutti i cento canti negli esami di Letteratura italiana I e II del corso di Laurea in Lettere. Che cosa è rimasto di questa formazione dantesca? Solo la lettura di alcuni canti per cantica? Uno studente che intraprenderà più tardi l'avventura dell'insegnamento può essere formato attraverso una conoscenza così parziale? Si dovrà provvedere più tardi alla formazione del neolaureato con dei corsi postuniversitari di specializzazione con i quali colmare la lacune? Recentemente un docente universitario mi raccontava della sua soddisfazione per il fatto che all'università era ormai cessata la preponderanza dello studio di Dante che aveva caratterizzato gli ultimi decenni. Era ormai ora di svecchiare lo studio della letteratura, di trattare autori più moderni e più attuali. Pochi mesi dopo questa confidenza lo stesso docente venne invitato ad una serie di incontri con famosi dantisti internazionali, organizzati presso quella sede da studenti. Rimase stupito dalla presenza numerosa di ragazzi alla serata e dall'entusiasmo con cui l'iniziativa era stata promossa. L'interesse dei giovani per la Divina commedia è stato tale che laddove il mondo accademico ha voluto smantellare il tradizionale apparato e volume di studio del capolavoro dantesco gli stessi giovani si sono fatti promotori di una lectura Dantis integrale. Allora ci chiediamo: perché se da un lato il mondo scolastico e accademico mette da parte Dante, alcuni giovani lo apprezzano e sopperiscono alle carenze delle istituzioni? Perché leggere la Commedia, a settecento anni dalla sua composizione? Il capolavoro dantesco può ancora parlare a noi uomini del 2012? Proviamo a sentire lo stesso Dante. Il Fiorentino ci spiega perché ha scritto la Divina Commedia in una lettera indirizzata a Cangrande della Scala, insieme al Paradiso. Il fine è quello di rimuovere i viventi, cioè noi finché siamo in vita, dalla condizione di miseria, di peccato, di tristezza, e accompagnarci alla felicità e alla beatitudine. La Divina Commedia è stata scritta perché potessimo intraprendere il viaggio verso la felicità e la salvezza eterna. Dante ha pensato a sé e a coloro che avrebbero chiamato il suo tempo antico, cioè i posteri. Inoltre, il poeta mette subito in collegamento la questione della bellezza con la felicità e addirittura con la salvezza eterna. Il compito di cui si sente investito è la testimonianza della verità vista e incontrata. La consapevolezza di una simile missione lo spaventa. Tutti noi siamo, talvolta, tentati di rifiutare la missione che c'è stata assegnata, adducendo la scusa di non essere all'altezza, proprio come lui all'inizio dell' Inferno. Virgilio, però, lo persuaderà a intraprendere il viaggio nel canto II rivelandogli che è voluto dal Cielo, ovvero che il suo operato è strumento e cooperazione del disegno del Cielo. Dopo alcuni giorni di viaggio nel mondo ultraterreno, si ripresenta la tentazione di non obbedire al compito assegnatogli. Accade nel canto XVII del Paradiso. Il trisavolo Cacciaguida preannuncerà al giovane parente l'esilio: «Tu proverai sì come sa di sale/ lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e 'l salir per l'altrui scale». Preso dal timore, Dante manifesta al trisavolo le sue perplessità ed è di nuovo spronato a compiere la sua missione. Ancora una volta, il monito è rivolto a tutti noi. La commedia parla dell'uomo, della vita, e lo fa con la potenza e la capacità di comunicazione del genio proprio di Dante. Se tutti sono colpiti dalle parole cortesi di Francesca, dalla forza d'animo di Farinata e dal suo desiderio di «ben far», dall'ardore di conoscenza di Ulisse è perché il poeta racconta storie che testimoniano il cuore dell'uomo di ogni tempo. La Commedia ci spalanca una finestra sulla vita e sull'uomo di oggi, come del passato. Avvertiamo una comunione universale tra noi moderni e gli antichi, tra la nostra e la loro aspirazione alla salvezza, alla felicità e all'eternità. Ci accorgiamo che l'antico Dante sa esprimerci meglio di quanto sappiamo fare noi, così come il maestro Virgilio nel viaggio sa intendere il discepolo meglio di quanto questi sappia fare. Tutto il viaggio rappresenta il cammino nella vita di ogni uomo. Nel Dante che vuole salire il colle luminoso da solo, all'inizio dell'Inferno, ci ritroviamo noi tutti. Dobbiamo sperimentare che da soli non riusciamo a salire e dobbiamo come Dante mendicare e gridare «Miserere di me». Per grazia incontriamo una compagnia umana che ci salva dalla selva oscura, con cui poter intraprendere il viaggio di salvezza. Non c'è verso della Commedia in cui non si respiri l'esperienza e la fatica di uomini che vogliono fare da soli e rifiutano la luce di Dio o di uomini che, invece, si lasciano abbracciare dall'amore e dalla grazia. Così quando nel canto III del Purgatorio Virgilio è dispiaciuto per un piccolo errore che ha commesso, Dante auctor esclama: «O dignitosa coscienza e netta/ come t'è picciol fallo amaro morso», ovvero il poeta dice che tanto più una persona è pulita nella coscienza tanto più si sente responsabile e peccatore. E pochi versi dopo ancora scrive che i suoi piedi lasciarono andare la fretta «che l'onestade ad ogn'atto dismaga», ovvero la fretta toglie, sottrae la bellezza ad ogni cosa bella. Qualunque cosa tu faccia, falla bene, per non sminuirne la bellezza. E poi ancora leggiamo: «Perder tempo a chi più sa più spiace», cioè quanto più sei consapevole, tanto meno vuoi sprecare tempo. Una perla di saggezza dopo l'altra, che derivano dall'esperienza di vita dell'autore, che documentano e illuminano il nostro al di qua, prima dell'aldilà. Nello stesso canto Dante sintetizza in maniera potente l'aspirazione dell'uomo a conoscere la verità e il Mistero e ad un tempo la necessità della rivelazione: «Matto è chi spera che nostra ragione/ possa trascorrer la infinita via/ che tiene una sustanza in tre persone./ […] Se potuto aveste veder tutto,/ mestier non era parturir Maria». La Commedia è uno degli esiti più grandi e più belli che l'uomo abbia mai partorito. Charles Moeller dice addirittura che c'è una sola cosa che supera la bellezza della Divina Commedia, ed è la bellezza dei santi, persone che hanno incontrato un ideale così grande che nel loro volto è come se incarnassero questa bellezza. Noi siamo stati fatti da Dio per la bellezza, per l'amore, per la felicità. La bellezza darà sempre quello stupore, trasmetterà sempre l'entusiasmo e la speranza che ci permetteranno di ripartire. Nel film Le vite degli altri il protagonista lavora nella Stasi e spia la vita delle persone. A un certo punto si trova a controllare la vita di un artista. Nel tempo cambia vedendo come questi vive in maniera diversa l'amore, l'arte, la musica. Allora esclama: «Come si fa ad essere cattivi dopo aver sentito una musica così bella?». La vera bellezza porta al desiderio di cambiamento e di essere migliori, come quando ci innamoriamo davvero di una persona. Vogliamo essere all'altezza di questa persona e desidereremmo essere migliori di quello che effettivamente siamo. Per questo conviene ancora oggi affrontare l'avventura del viaggio con Dante. Vogliamo offrire solo un'avvertenza per la lettura. Non bastano l'apparato critico, le note, la parafrasi. Dante ci ha avvisato nel Convivio che un'opera di carattere sacro deve essere letta su quattro livelli: il letterale, l'allegorico, il morale e l'anagogico. Troppo spesso ci si limita nelle scuole a capire la lettera del testo dantesco e l'allegoria (il significato nascosto), senza la preoccupazione di intendere quello che Dante scrive per la nostra felicità (significato morale) e per la nostra salvezza (livello anagogico). Per ritornare a leggere la Commedia occorre un io che sia risvegliato e assetato di domanda di vita e di significato, che sia desideroso di «divenire del mondo esperto/ e de li vizi umani e del valore», che riscopra che la natura umana non è fatta come quella delle bestie, ma «per seguir virtute e canoscenza».
Fonte: La Bussola Quotidiana, 14/03/2012
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AIUTIAMO LE DONNE VITTIME DI STUPRO AD ABORTIRE ED E' TUTTO RISOLTO: FALSO!
Sembra strano, ma la maggior parte delle donne che rimangono incinte per una violenza sessuale non vuole abortire
Autore: Virginia Lalli - Fonte: BastaBugie, 01/03/2012
L'aborto per i casi di gravidanza derivanti da stupro o incesto è stato uno dei cavalli di battaglia dei movimenti abortisti nonché oggetto della nota sentenza "Roe vs Wade" del 1973 che aprì alla legalizzazione dell'aborto negli Stati Uniti. Tuttavia la difesa abortista sembrerebbe aver utilizzato uno degli stratagemmi presentati nel libro di Arthur Schopenhauer l'"Arte di ottenere ragione" ovvero quello di rendere esagerata la tesi difesa dagli altri, restringendo invece le proprie affermazioni. La difesa abortista della ricorrente Jane Roe pur povera, senza compagno e alla terza gravidanza, rendeva il caso molto drammatico aggiungendo una circostanza inventata: lo stupro mentre di contro la soluzione offerta veniva presentata come facile e senza conseguenze: l'aborto. Perché allora parimenti non presentare sempre per la sig.ra Jane Roe l'eventualità di un aborto legale con conseguenze drammatiche come accade poi nella realtà. Ovvero che si verificasse per la sig.ra Jane Roe emorragia e anche la morte oppure gravi conseguenze psichiatriche aggiungendo così altro dolore alle sue già tristi vicissitudini come presentate dalla già citata difesa? Il giudice americano Oliver Wendell Holmes (1841-1935) una volta affermò: "I casi difficili producono cattive leggi". Un libro americano del 1973 è intitolato. "Abortion: The Troian Horse". Lo stupro si rivelò infatti il cavallo di Troia per aprire una breccia nel muro del divieto assoluto di aborto. Con la successiva sentenza "Doe vs Bolton" del 1973 poi l'aborto veniva consentito per tutti i casi e fino al nono mese. Secondo quanto sostiene la Society for Protection of Unborn Children fondata da Aleck Bourne un medico che aveva fatto abortire una ragazza vittima di violenza: la gravidanza a seguito di uno stupro è estremamente rara. Una donna è fertile solo per 3-7 giorni durante il suo ciclo e un trauma estremo fisico e psicologico di violenza rende difficile la fertilità e che l'impianto si verifichi. Negli Stati Uniti è uscito il libro di David Reardon, Julie Makimaa e Amy Sobie "Victims and Victors" Acorn Books 2000. Il libro affronta le questioni che riguardano la gravidanza frutto di violenza sessuale e l'aborto. Viene riportato un sondaggio di quasi 200 donne che hanno avuto gravidanze derivanti da stupro e incesto. E rivela una verità raramente sentita: la maggior parte delle donne che rimangono incinte per una violenza sessuale non vuole abortire. Il libro va oltre la retorica che domina il problema aborto per dare la possibilità alle donne di raccontare le loro storie: 20 donne parlano di cosa vuol dire affrontare una gravidanza derivante da stupro o incesto. Parlano con coraggio e franchezza del dolore della violenza sessuale, della tristezza e del trauma dell'aborto e della gioia e della guarigione del parto. "Dopo che mia figlia è nata è stato amore a prima vista... So che ho fatto la scelta giusta a farla nascere" Nancy Cole "Gli effetti dell'aborto hanno una maggiore portata rispetto agli effetti della violenza nella mia vita". Patricia Ryan "Penso che le vittime di stupro con gravidanza sono discriminate perché la gente sembra pensare che sei una cretina se decidi di tenere un bambino da un uomo che ti ha violentata. Ci considerano bugiarde e stupide". Sharon Bailey "L'aborto non aiuta a risolvere un problema solo crea un altro trauma per la vittima già in lutto togliendo l'unica cosa che può dare gioia". Helene Evans "Ringrazio Dio per la forza che mi ha dato per attraversare i momenti difficili e per la gioia nei momenti buoni. Non mi sono mai pentita di aver scelto di dare la vita a mia figlia". Mary Murray "Avendo vissuto lo stupro, e dopo aver cresciuto un figlio 'concepito in uno stupro', mi sento personalmente aggredita e insultata ogni volta che sento che l'aborto dovrebbe essere legale per stupro e incesto. Sento che stanno strumentalizzando la vicenda per promuovere la questione dell'aborto, anche se non è stato chiesto di raccontare la nostra versione della storia". Kathleen DeZeeuw La maggior parte delle donne che hanno avuto aborti ha dichiarato che l'aborto ha aumentato solo il trauma che stavano vivendo. In molti casi la vittima ha forti pressioni o richieste di abortire, il 43% delle donne vittime di stupro che hanno abortito dichiara di essersi sentita sotto pressione da familiari e operatori sanitari o che la decisione è stata presa dall'autore della violenza o dai familiari, non dalla ragazza stessa ed eseguito contro la sua volontà espressa, senza sapere che era incinta e che l'aborto era in corso. Inoltre gli studi che esaminano i fattori di rischio per problemi psicologici dopo l'aborto rilevano che con una storia di violenza sessuale o di abuso aumentano le probabilità di avere difficoltà ad affrontare il post-aborto. La ricerca mostra anche che le donne che abortiscono e le donne che vengono violentate spesso descrivono sentimenti simili di depressione, senso di colpa, bassa autostima, risentimento verso gli uomini. Invece di alleggerire gli oneri psicologici vissuti dalle donne che sono state violentate, l'aborto li ha aumentati. Dalla storia di Denise: quando lei aveva 15 anni era stata violentata dal padre e costretta ad abortire, come il 78% delle madri che hanno abortito dopo stupro o incesto sostiene che l'aborto ha solo aumentato la sua sofferenza. "Dicevano che l'aborto avrebbe risolto il problema: quando invero per prima cosa il problema da risolvere era un altro." "I tuoi genitori sanno cosa è meglio. Quando loro pensavano solo alla propria reputazione." "Mi è stato detto: "Hai preso la decisione migliore. Invece non mi è stata data possibilità di scelta." "Sono stata violentata e tradita da mio padre. Sono stata violentata di nuovo dagli abortisti." Spazzando via la gravidanza è un modo di nascondere il problema. Si tratta di un modo "semplice e veloce" per evitare di trattare con la donna i veri bisogni emotivi e sociali. Secondo quanto riporta uno studio dell'Elliot Institute il caso di aborto per le gravidanze da incesto è ancora più forte. Gli studi dimostrano che le vittime di incesto raramente accettano l'aborto. Invece di visualizzare la gravidanza indesiderata, la vittima di incesto è più probabile che veda la gravidanza come una via d'uscita dalla relazione incestuosa. E' anche probabile che la vittima consideri la gravidanza con la speranza di avere un bambino con il quale riuscire a stabilire un rapporto d'amore vero, molto diverso da quel rapporto di sfruttamento nel quale è stata intrappolata. Ma mentre la ragazza può vedere la sua gravidanza come un possibile modo di liberazione dalla sua situazione, questo rappresenta una minaccia per il suo aggressore. E anche una minaccia per la segretezza patologica che può avvolgere altri membri della famiglia che hanno paura di riconoscere l'abuso. A causa di questa doppia minaccia, la vittima può essere costretta ad un aborto indesiderato. Non solo la vittima viene derubata del suo bambino ma si nasconde un delitto, una colpevole complicità e si consegna di nuovo la vittima al suo aggressore in modo che lo sfruttamento possa continuare. Il padre di tre ragazze dichiarato colpevole di stupro e abusi sessuali dal tribunale aveva ripetutamente violentato le tre figlie in un periodo di nove anni e gli stupri sono stati coperti da dieci aborti. Cinque degli aborti sono stati effettuati dalla stessa abortista della stessa clinica. Nel 2002 un giudice ha condannato un operatore di Planned Parenthood in Arizona per negligenza, non avendo segnalato un caso nel quale una ragazza di 13 anni aveva avuto un aborto da una violenza di suo fratello di 23 anni. La ragazza era tornata 6 mesi dopo per un secondo aborto. Infine dobbiamo riconoscere che i bambini concepiti attraverso la violenza sessuale meritano di avere la loro voce. Rebecca Wasser-Kiessling che è stata concepita in uno stupro, è orgogliosa del coraggio e della generosità di sua madre e ci ricorda saggiamente una verità fondamentale che trascende la paternità biologica: "Io credo che Dio ha premiato mia madre per la sofferenza che ha subito, io sono un dono per lei. Lo stupratore non è il mio Creatore, Dio lo è". Allo stesso modo, Julie Makimaa, che lavora contro la percezione che l'aborto è accettabile o persino necessario in casi di violenza sessuale dichiara: "Non importa come ho cominciato. Ciò che conta è ciò che diverrò".
Nota di BastaBugie: L'autrice di questo articolo (www.virginialalli.com) lavora in uno studio legale cattolico che offre consulenza gratuita su aborto e Legge 194. Riceve per appuntamento ogni lunedi dalle 16.00 alle 20.00. Lo studio si trova a Roma e il telefono è 06-8414845.
Fonte: BastaBugie, 01/03/2012
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DOVE ANDREMO A FINIRE SE INSEGUIAMO SOLO IL MATRIMONIO TRA LA SIGNORA CRESCITA E IL SIGNOR PIL?
Non bisogna imitare la Cina, ma tornare alle radici cristiane (quando l'Italia cresceva al 6 per cento annuo)
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 18/03/2012
Monopolizzano la scena ormai da mesi: la "signora crescita" e il "signor pil". E inseguiamo tutti drammaticamente il loro matrimonio. Anche in queste ore sono al centro delle trattative fra partiti, governo e sindacati. La politica italiana si è perfino suicidata sull'altare di questa nuova divinità statistica da cui sembra dipendere il nostro futuro. Se però alzassimo lo sguardo dalla cronaca dovremmo chiederci: chi è questo "signor Pil"? I manuali dicono che è il "valore di beni e servizi finali prodotti all'interno di un certo Paese in un intervallo di tempo". Ma fu proprio l'inventore del Pil, Simon Kuznets, ad affermare che "il benessere di un Paese non può essere facilmente desunto da un indice del reddito nazionale". Lo ha ricordato ieri Marco Girardo, in un bell'articolo su "Avvenire", aggiungendo che ormai da decenni economisti e pensatori mettono in discussione questo parametro: da Nordhaus a Tobin, da Amartya Sen a Stiglitz e Fitoussi.
KENNEDY LO SAPEVA Girardo ha riproposto anche un bell'intervento di Bob Kennedy, che già nel 1968, tre mesi prima di essere ammazzato nella campagna presidenziale che lo avrebbe portato alla Casa Bianca, formulò così il nuovo sogno americano: "Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani". Non è una discussione astratta. Infatti con l'esplosione e lo strapotere della finanza – che nei primi anni Ottanta valeva l'80 per cento del Pil mondiale e oggi è il 400 per cento di esso – questo "erroneo" Pil è diventata la forca a cui si impiccano i sistemi economici, il benessere dei popoli e la sovranità degli stati. Oggi la ricchezza finanziaria non è più al servizio dell'economia reale e del benessere generale, ma conta più dell'economia reale e se la divora, la determina e la sconvolge (e con essa la vita di masse enormi di persone). Anche perché ha imposto una globalizzazione selvaggia che ha messo ko la politica e gli stati e che sta terremotando tutto.
PRIGIONIERI DELLA FINANZA La crescita del Pil o la sua decrescita decide il destino dei popoli, è diventata quasi questione di vita o di morte e tutti – a cominciare dalla politica, ridotta a vassalla dei mercati finanziari – stanno appesi a quei numerini. Dunque le distorsioni e gli errori che erano insiti nell'originaria definizione del Pil rischiano di diventare giudizi sommari e sentenze di condanna per i popoli. Per questo, l'estate scorsa, nel pieno della tempesta finanziaria che ha investito l'Italia, un grande pensatore come Zygmunt Bauman, denunciando "un potere, quello finanziario, totalmente fuori controllo", descriveva così l'assurdità della situazione: "C'è una crisi di valori fondamentali. L'unica cosa che conta è la crescita del pil. E quando il mercato si ferma la società si blocca". Nessuno ovviamente può pensare che non si debba cercare la crescita del Pil (l'idea della decrescita è un suicidio). Il problema è cosa vuol dire questa "crescita" e come viene calcolata oggi. Qui sta l'assurdo. Bauman faceva un esempio: "se lei fa un incidente in macchina l'economia ci guadagna. I medici lavorano. I fornitori di medicinali incassano e così il suo meccanico. Se lei invece entra nel cortile del vicino e gli dà una mano a tagliare la siepe compie un gesto antipatriottico perché il pil non cresce. Questo è il tipo di economia che abbiamo rilanciato all'infinito. Se un bene passa da una mano all'altra senza scambio di denaro è uno scandalo. Dobbiamo parlare con gli istituti di credito". Con questa assurda logica – per esempio – fare una guerra diventa una scelta salutare perché incrementa il pil, mentre avere in un Paese cento Madre Teresa di Calcutta che soccorrono i diseredati è irrilevante. Un esempio italiano: avere una solidità delle famiglie o una rete di volontariato che permettano di far fronte alla crisi non è minimamente calcolato nel Pil. Eppure proprio noi, in questi anni, abbiamo visto che una simile ricchezza, non misurabile con passaggio di denaro, ha attutito dei drammi sociali che potevano essere dirompenti.
IL PAPA CI ILLUMINA Ciò significa che ci sono fattori umani, non calcolabili nel Pil, che hanno un enorme peso nelle condizioni di vita di una società e anche nel rilancio della stessa economia. Perché danno una coesione sociale che il mercato non può produrre, ma senza la quale non c'è neppure il mercato. Ecco perché Benedetto XVI nella sua straordinaria enciclica sociale, "Caritas in Veritate", uscita nel 2009, nel pieno della crisi mondiale, ha spiegato che "lo sviluppo economico, sociale e politico, ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano di fare spazio al principio di gratuità", alla "logica del dono". Ovviamente il Papa non prospetta "l'economia del regalo". Il "dono" è tutto ciò che è "gratuito", non calcolabile e che non si può produrre: l'intelligenza dell'uomo, l'amore, la fraternità, l'etica, l'arte, l'unità di una famiglia, la carità, l'educazione, la creatività, la lealtà e la fiducia, l'inventiva, la storia e la cultura di un popolo, la sua fede religiosa, la sua laboriosità, la sua speranza.
MIRACOLO ITALIANO Se vogliamo guardare alla nostra storia, sono proprio questi fattori che spiegano come poté verificarsi, nel dopoguerra, quel "miracolo economico" italiano che stupì il mondo. Tutti oggi parlano di crescita (e siamo sotto lo zero), ma come fu possibile in Italia, dal 1951 al 1958, avere una crescita media del 5,5 per cento annuo e dal 1958 al 1963 addirittura del 6,3 per cento annuo? Non c'erano né Monti, né la Fornero al governo. Chiediamoci come fu possibile che un Paese sottosviluppato e devastato dalla guerra balzasse, in pochi anni, alla vetta dei Paesi più sviluppati del mondo. Dal 1952 al 1970 il reddito medio degli italiani crebbe più del 130 per cento, quattro volte più di Francia e Inghilterra, rispettivamente al 30 e al 32 per cento (se assumiamo che fosse 100 il reddito medio del 1952, nel 1970 noi eravamo a 234,1). E' vero che avemmo il Piano Marshall, ma anche gli altri lo ebbero. Inoltre noi non avevamo né materie prime, né capitali, né fonti energetiche. Eravamo usciti distrutti e perdenti da una dittatura e da una guerra e avevamo il più forte partito comunista d'occidente che ci rendeva molto fragili. Quale fu dunque la nostra forza? E' – in forme storiche diverse – la stessa che produsse i momenti più alti della nostra storia, la Firenze di Dante o il Rinascimento che ha illuminato il mondo, l'Europa dei monaci, degli ospedali e delle università: il cristianesimo. Pure la moderna scienza economica ha le fondamenta nel pensiero cristiano, dalla scuola francescana del XIV secolo alla scuola di Salamanca del XVI. Noi c'illudiamo che il nostro Pil torni a crescere se imiteremo la Cina. Ma la Cina – anzi la Cindia – non fa che fabbricare, in un sistema semi-schiavistico (quindi a prezzi stracciati), secondo un "know how" del capitalismo che è occidentale. Scienza, tecnologia ed economia sono occidentali. L'Oriente copia.
ECCO IL SEGRETO Proprio l'Accademia delle scienze sociali di Pechino, richiesta dal regime di "spiegare il successo, anzi la superiorità dell'Occidente su tutto il mondo", nel 2002, scrisse nel suo rapporto: "Abbiamo studiato tutto ciò che è stato possibile dal punto di vista storico, politico, economico e culturale". Scartate la superiorità delle armi, poi del sistema politico, si concentrarono sul sistema economico: "negli ultimi venti anni" scrissero "abbiamo compreso che il cuore della vostra cultura è la vostra religione: il cristianesimo. Questa è la ragione per cui l'Occidente è stato così potente. Il fondamento morale cristiano della vita sociale e culturale è ciò che ha reso possibile la comparsa del capitalismo e poi la riuscita transizione alla vita democratica. Non abbiamo alcun dubbio". Loro lo sanno. Noi non più.
Fonte: Libero, 18/03/2012
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NOZZE GAY: SEVERO MONITO DEL PARLAMENTO EUROPEO AGLI STATI AFFINCHE' LE RICONOSCANO AL PIU' PRESTO
Ma il matrimonio omosex e relative adozioni distruggono ciò che resta della famiglia...
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Bussola Quotidiana, 15/03/2012
Il 13 marzo scorso il Parlamento europeo ha approvato una Risoluzione "Sulla parità tra donne e uomini nell'Unione europea" (2011/2244 INI). Si tratta di una summa ideologica di posizioni avverse ai principi non negoziabili: si va dall'art. 7 sulla famiglia omosessuale, all'art. 35 e 69 sull'ideologia di genere, all'art. 47 sull'aborto e contraccezione, all’art. 57 sulla sovrappopolazione. Un posto d'onore lo merita l'art. 67 forse per la sua novità: la famiglia ora è anche mononucleare, cioè composta di un solo individuo. Dato che la carne sul fuoco del Parlamento europeo è molta, concentriamo la nostra attenzione sull’art. 7 in cui il Parlamento "si rammarica dell'adozione da parte di alcuni Stati membri di definizioni restrittive di ‘famiglia’ con lo scopo di negare la tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli". Questa indicazione appare come un suggerimento rivolto agli stati che non si sono ancora dotati di norme legittimanti il matrimonio omosessuale ad affrettarsi a varare leggi che equiparino al matrimonio eterosessuale quello omosessuale. va precisato che di loro le risoluzioni dell'Europarlamento non sono vincolanti – non possono obbligare gli stati a fare nulla che non vogliono fare – però sicuramente hanno un elevato potere di indirizzo politico. Il Parlamento europeo non è nuovo ad uscite di questo tipo. Quello che è nuovo è il fatto che ogni volta alza di più il tiro. C’è uno specie di climax ideologico nell’intenzione di distruggere la famiglia fondata sul matrimonio inteso come istituto di diritto naturale. In una Risoluzione del 1994 il Parlamento invita la Commissione europea a rimuovere "gli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero ad un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni". Nel 2000 l’invito, sempre tramite Risoluzione, è rivolto direttamente agli stati che appartengono all’Unione Europea e l’amicale consiglio riguarda non l’istituto del matrimonio bensì il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto. Il Parlamento sprona gli stati verso l’ "equiparazione dei diritti delle coppie omosessuali e a tal fine invita quegli Stati membri che ancora non prevedono tale riconoscimento, a modificare le proprie legislazioni". Insisti e poi insisti qualcosa si muove: nel 2001 i Paesi Bassi per primi istituiscono il "matrimonio" omosessuale. Il Parlamento europeo non si lascia sfuggire l’occasione e nel 2002 promuove un’interrogazione parlamentare rivolta alla Commissione europea, interrogazione che pone il seguente quesito: perché non estendere questa disciplina all’intera Europa? Risposta della Commissione: ora è troppo presto dato che l’istituto familiare si evolve seguendo il percepito sociale dei consociati. In Europa attualmente il sentito comune è differente tra stato e stato e quindi è giusto parallelamente che ci siano differenti discipline giuridiche nazionali a riguardo. Passa qualche anno e il Parlamento torna all’attacco: con la Direttiva del 2004 n. 38 sulla libera circolazione dei cittadini UE all’interno dell’Europa propone alla Commissione europea di attribuire la qualifica di "familiare" anche al partner che convive o è "sposato" con persona dello stesso sesso. Non farlo sarebbe discriminatorio. La Commissione anche questa volta non ci sta e rigetta la proposta per due ordini di motivi. In prima battuta fa notare che, trattandosi di materia attinente alla libera circolazione tra stati membri, la coppia omosessuale o il singolo partner che si reca in un paese in cui non è riconosciuto il "matrimonio" fra persone dello stesso sesso non si deve sentire discriminato perché in quel paese verrà trattato alla stregua di tutti gli altri cittadini. In secondo luogo – ed è l’aspetto più importante – la Commissione ricorda che su queste materie prevale il principio dell’ "hoste state oriented". In buona sostanza resiste il principio di sovranità nazionale su questi temi e quindi su di essi c’è una competenza esclusiva dello stato a legiferare: l’Europa non ci può mettere becco. Detto ciò possiamo però notare che questi plurimi interventi del Parlamento europeo in tema di diritto di famiglia seppur non abbiano efficacia giuridica, però conservano un’efficacia politica nell’orientare le future decisioni autonome dei singoli paesi, provocando così una lenta corrosione degli assetti normativi. Non obbligano, ma influenzano assai. Le pressioni poi non vengono solo dal Parlamento ma anche da lobby, da Ong, da altri paesi e dalle magistrature. In merito alle nazioni straniere viene da ricordare l’art. 5 proprio della Risoluzione approvata due giorni fa. In questo articolo si suggerisce agli stati che hanno una legislazione che già disciplina convivenze e "matrimoni" omosessuali di armonizzare tra loro le diverse normative nazionali. Questo senza dubbio creerà uno specie di blocco di stati "moderni" che farà pressione su quelli fermi al giurassico in tema di libertà civili. In relazione invece al ruolo dei giudici in queste vicende è utile ricordare la sentenza della Corte di Giustiizia Regno di Svezia c. Consiglio (sentenza D, 31 maggio 2001) in cui da una parte si invita il legislatore comunitario ad equiparare al matrimonio eterosessuale non il "matrimonio" omosessuale, ma addirittura le sole convivenze tra persone dello stesso sesso. Dall’altra rivolge un severo monito agli stati affinché al più presto riconoscano le unioni omosessuali. Ma la pressione giurisprudenziale non è solo made in Europe bensì proviene non di rado anche dall’interno. Il riferimento, tra i molti, è al recente provvedimento del Tribunale di Reggio Emilia che ha concesso la residenza ad un uruguaiano "sposato" ad un italiano a Palma di Mallorca (rimandiamo all’articolo di Andrea Zambrano pubblicato sulla Bussola Quotidiana il 22 febbraio scorso). Il giudice non ha riconosciuto il matrimonio tra i due ma lo status di "familiare" all’uruguaiano. E già si è sentito il chiacchiericcio di qualcuno che chiede al Parlamento di colmare questa lacuna legislativa introducendo il "matrimonio" omosex. Ora è evidente che il legislatore nazionale si trova sotto il tiro incrociato di più cecchini: l’Unione Europea, i giudici nazionali e internazionali, i media, i centri di potere politico. Nessuno di questi ha l’autorità per imporre al legislatore di introdurre le nozze gay, però il loro potere di persuasione è indiscusso. Qualcuno obietterà che l’Europa e gli altri sostenitori dell’ideologia gender consigliano solo, ma - come insegnano alcuni illustri mafiosi - certi consigli non si possono rifiutare.
Nota di BastaBugie: consigliamo di vedere il video con l'intervista a Luca Di Tolve a cui si è ispirato Povia nella canzone "Luca era gay" e che è uscito dall'omosessualità; una testimonianza toccante e vera http://www.youtube.com/watch?v=5KByOjm2o18
Fonte: La Bussola Quotidiana, 15/03/2012
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NOZZE GAY: NON C'ENTRA ESSERE CATTOLICI O LAICI... C'ENTRA AVERE A CUORE IL FUTURO DELLA SOCIETA'
Il luogo di relazione dove i figli hanno la possibilità di sviluppare al massimo le proprie potenzialità è la famiglia: anzitutto il rapporto educativo con un padre e una madre
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Bussola Quotidiana, 15/03/2012
Il Parlamento Europeo ha dunque deciso di ridefinire il concetto di famiglia. Nella Risoluzione votata martedì 13 marzo dedicata alla parità tra uomo e donna – e di cui riferiamo a parte in dettaglio – vengono criticati quei Paesi dell'Unione (vedi Italia) che considerano famiglia solo quella naturale (fondata su matrimonio tra uomo e donna) e non riconoscono quindi le unioni omosessuali; inoltre si afferma esplicitamente che nella Ue esistono diversi tipi di famiglie, che devono avere tutte lo stesso livello di tutela giuridica: «genitori coniugati, non coniugati e in coppia stabile, genitori di sesso diverso e dello stesso sesso, genitori singoli e genitori adottivi». Ma c'è un altro punto della Risoluzione altrettanto grave: a un certo punto si «invita gli Stati membri a puntare a sistemi di sicurezza sociali individualizzati». Questa affermazione è finalizzata in questo caso a difendere i diritti delle donne ma introduce una novità importante, una sorta di rivoluzione antropologica, ovvero la teorizzazione della concezione della persona come puro individuo, slegato da qualsiasi rapporto. La misura di questa svolta la si può forse apprezzare meglio se consideriamo che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo considera la famiglia come «cellula fondamentale della società» (art. 16). Così fa pure la nostra Costituzione (art. 29). La famiglia, non l'individuo. Come mai? Perché la persona (che è ben più dell'individuo) esiste solo in relazione ad altri, e soltanto dentro una relazione può comprendere, sviluppare e realizzare la propria identità. Immaginate un bambino che venisse al mondo e poi tutti scomparissero intorno a lui. Non solo non potrebbe sopravvivere fisicamente, ma ammesso anche che per qualche miracoloso motivo riuscisse a nutrirsi, non potrebbe imparare a parlare, non riuscirebbe a usare compiutamente la ragione, non avrebbe mai la possibilità di comprendere la sua identità, cosa ci sta a fare al mondo e così via. E' una constatazione perfino banale, eppure è così che ci vogliono: lo Stato e il singolo, senza rapporti, una monade. E' il sogno di ogni totalitarismo, perché ogni legame, ogni rapporto vero è potenzialmente una fonte di resistenza al potere dominante. Che l'uomo sia relazione è una evidenza, dicevamo, così come dovrebbe essere evidente che il luogo di relazione dove la persona ha la possibilità di sviluppare al massimo le proprie potenzialità è la famiglia, è anzitutto il rapporto educativo con un padre e una madre. Ed è per questo che lo stato, ogni stato, ogni comunità sociale, di ogni tempo e di ogni cultura, si è sempre occupato e si occupa di famiglia. Qui non c'entra essere cattolici o laici, è proprio una questione da cui dipende il futuro della società. Perciò il motivo fondamentale dell'interesse specifico dello stato nei confronti della famiglia è la tutela dei figli, per garantirne anzitutto l'esistenza (senza figli non c'è futuro) e poi uno sviluppo integrale, perché questo a sua volta renderà la società più stabile, meno conflittuale, economicamente più competitiva. Per capire meglio questo aspetto basti pensare all'enorme costo sociale – nei nostri paesi – della disgregazione della famiglia: maggiore povertà, minore rendimento scolastico dei figli, aumento della delinquenza giovanile e della propensione alla tossicodipendenza, e via di questo passo. Uno stato che abbia a cuore il proprio futuro necessariamente deve preoccuparsi di rafforzare la famiglia. Lo stato non è chiamato a occuparsi di quanto affetto o di quanto amore ci sia tra le persone, non deve giudicare se una coppia si vuole abbastanza bene, ci mancherebbe altro. E i diritti individuali sono già garantiti dalla legge, dal diritto civile, non hanno niente a che vedere con il diritto di famiglia. Il bene primario di cui lo stato si occupa sono i figli, per questo considera – ha sempre considerato – la famiglia come il rapporto tra uomo e donna: con buona pace di tutti i "moderni", i figli nascono solo da un rapporto eterosessuale. E fondata sul matrimonio, perché questo è il rapporto più stabile con cui la coppia si assume anche delle responsabilità nei confronti della società. Mettere al mondo dei figli ed educarli non è un mero fatto privato, ha una valenza sociale importantissima. Tutti gli altri rapporti affettivi, invece, sono questioni di carattere privato – anche se possono avere effetti di carattere pubblico – che sono e vanno regolate con il normale diritto privato, per quanto riguarda la tutela dei diritti di ciascuno. Il fatto che l'Unione Europea abbia deciso di confondere i piani, di non riconoscere più il fondamento stesso della nostra società, vuol dire semplicemente che ha già optato per il suicidio.
Fonte: La Bussola Quotidiana, 15/03/2012
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CATTOLICI, SVEGLIA: SU ICI, SCUOLA E OSPEDALI VI STANNO FREGANDO!
La vicenda IMU ecclesiastica mi ha lasciato molto amaro in bocca: lo dico da vecchio laicone
Autore: Oscar Giannino - Fonte: Tempi, 09/03/2012
La vicenda "Imu ecclesiastica" mi ha lasciato molto amaro in bocca. Lo dico da vecchio laicone che ha poi riaggiustato le sue convinzioni, senza per questo diventare beghino né oltranzista all'opposto. Di fatto, il partito anticlericale per pregiudizio e non per giudizio ha vinto come aveva vinto in Europa, visto che la minaccia d'infrazione in Europa è nata (dagli anticlericali italiani), ed è grazie alla sua minaccia che il governo Monti ha partorito il pastrocchio finale. Riepilogo brevemente ciò che non mi convince affatto, perché non credo che la vicenda sia finita. Monti annuncia che la Chiesa pagherà l'Ici (Imu), tra mille tappi di champagne dei media che avevano rimbalzato la campagna. La decisione è dell'esecutivo, non fa parte di interventi sui quali si debba concordare con il Vaticano per vincolo concordatario. Ma che cosa significa in concreto? Nella stesura iniziale del decreto sulla semplificazione fiscale – alla faccia della semplificazione, una nuova botta di aggravi tra cui la nuova patrimoniale proporzionale sui conti vincolati, cioè quelli di deposito ad alto rendimento, ma per carità, nessuno ci fa caso, lo spread scende finalmente e siam tutti bimbi buoni! – la norma tanto attesa non c'è. I giornali ripartono con l'artiglieria. Alla fine la norma ricompare. Ma è scritta in maniera ambigua. Tanto che Monti deve precipitarsi personalmente a fornirne un'interpretazione autentica in una commissione del Senato riunita in mera sede referente. Che cosa dice la norma? Che l'Imu sarà dovuta su quegli immobili a "fini misti" che tanto scandalo e tanto colore avevano suscitato sui media, pronti a sostenere che in Italia esistono migliaia di veri alberghi finti conventi e finti romitori con finte cappelle solo per non pagare le tasse. Pagheranno dunque gli immobili ecclesiastici in cui il fine commerciale è prevalente.
PRIMA OSSERVAZIONE Va bene? No, non va bene per niente. Innanzitutto, il governo e il Parlamento non dicono come si identifichi il criterio della "prevalente" natura commerciale. Poiché si tratta di individuare una platea di contribuenti per una nuova imposta, la cosa rientra nella riserva di legge assoluta stabilita dall'articolo 23 della Costituzione. Invece no, come capita da decenni la riserva viene violata, e saranno i vertici tecnici dell'Agenzia delle Entrate a stabilire per circolare come si identifica davvero il criterio. In metri quadrati dell'immobile per diverse aree d'uso? In flussi di cassa? E si paga rispetto a quali proporzioni? Fisiche? Monetarie? In ogni caso, il vincolo costituzionale di competenza è violato.
SECONDA OSSERVAZIONE L'Imu è un'imposta immobiliare patrimoniale. Farne discendere l'applicabilità da flussi di reddito del proprietario è un abominio. L'Imu si paga per rendita catastale aggiornata verso l'alto, come da disposizioni governative, non per censo di appartenenza. Né tanto meno se il proprietario tiene gli immobili sfitti e dunque non ci ricava reddito, non ci pagherà l'Imu. È solo per la Chiesa che prende vita l'ircocervo della patrimoniale-reddituale.
TERZA OSSERVAZIONE E veniamo alle scuole parificate e alla sanità convenzionata. Qui è concettualmente sbagliato applicare l'Imu a componenti del welfare che, gestiti da privati, accettando condizioni e qualità dell'offerta stabilite dal pubblico e pubblicamente vigilati, fanno comunque a tutti gli effetti parte del sistema pubblico. Per questo solo fatto, gli immobili utilizzati a tal fine devono essere esenti come quelli di Stato. Anzi, lo Stato dovrebbe sempre più incentivare il welfare sussidiario che dal basso si aggiunge a quello che viene dall'alto, pubblico ma con risorse inadeguate a fronteggiare un paese in deficit di formazione, assistenza alle famiglie, agli anziani, ai disabili, agli immigrati.
QUARTA OSSERVAZIONE Non solo è concettualmente sbagliato, ma è questione di lana caprina decidere in che cosa una scuola o una clinica "pubbliche", anche se gestite da privati ma convenzionati e parificati, siano "a fini di lucro", visto che comunque devono essere organizzate in forme giuridiche coerenti con la gestione di un'offerta commerciale, dal momento che devono chiedere ai cittadini di sborsare in più di tasca propria rispetto a quello che già pagano con le imposte generaliste per il finanziamento della componente maggioritaria del sistema pubblico, quella gestita da dipendenti pubblici. Assisteremo a visite di pattuglioni di finanzieri in ogni scuola parificata e clinica convenzionata, per verificare che l'utile di bilancio venga reinvestito nell'anno fino all'ultimo centesimo di pareggio e senza accantonamenti o – che ne so – interessi da impieghi bancari per accrescere la redditività della cassa, perché altrimenti si configura il lucro e scattano le cartelle esecutive per il pagamento dell'Imu o il pignoramento dell'immobile?
Che pena, caro il mio lettore. Che pena vedere la laicità dello Stato confondere la libertà delle coscienze con l'esecutività delle cartelle esattoriali di uno Stato ladro.
Fonte: Tempi, 09/03/2012
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SE PURE AVVENIRE ESULTA PER I ''SUCCESSI'' DELLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE... SIAMO ALLA FRUTTA
Grande spazio a Eugenia Roccella (favorevole alla libera scelta in tema di aborto) che dimentica la strage degli innocenti di una tecnica comunque anti-umana
Fonte Comitato Verità e Vita, 13/03/2012
Il quotidiano della Conferenza Episcopale "celebra" l'aumento dei cosiddetti "figli in braccio" da fecondazione artificiale. Ma produrre esseri umani in provetta è un bene o un male? Ancora una volta, il mito della legge 40 genera mostri. Il deputato Pdl ed ex sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, esponente della linea della "provetta civile omologa" a norma della legge 40 – "pur eticamente non ineccepibile" – polemizza con i libertari, che in materia vorrebbero esclusivamente leggi favorevoli alla logica del profitto del business della fecondazione artificiale. La Roccella menziona i progressi nella ricerca e nell'uso delle tecniche che, "secondo esperti autorevoli", confermano l'eccellenza del nostro Paese in questo settore. La parlamentare plaude in particolare all'accresciuto numero di successi: sette anni fa, una donna su dieci otteneva il cosiddetto "figlio in braccio", mentre oggi il successo arride a una donna su sei, fra quante utilizzano la strada prevista dalla legge 40 del 2004. Non sorprende più di tanto che un esponente politico che ha promosso la legge 40 secondo la linea politica della "riduzione del danno" - applicata per giunta a valori non negoziabili - polemizzi con i libertari di turno. Qualcuno dovrebbe però restare perplesso per l'ospitalità a queste positive valutazioni dell'applicazione della legge 40, ospitalità offerta dal quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, che venerdì 2 marzo titola in modo trionfale: "Fecondazione artificiale: dati in crescita". E aggiunge nel sommario che "la legge 40 quindi non ostacola le coppie". Il teorema è, a questo punto, chiarissimo: si appoggia una legge definita "imperfetta", elogiandola perché non fa diminuire, ma anzi incrementa, il successo della provetta. Dunque, si plaude a una legge che incoraggia il ricorso a tecniche intrinsecamente malvagie. Dimenticando completamente un paragrafo della recente Istruzione della Congregazione DIGNITAS PERSONAE, che tratta proprio questi aspetti. Vi si legge al par. 14: "Occorre tuttavia rilevare che, considerando il rapporto tra il numero totale di embrioni prodotti e di quelli effettivamente nati, il numero di embrioni sacrificati è altissimo. (...) In realtà è assai preoccupante che la ricerca in questo campo miri principalmente a ottenere migliori risultati in termini di percentuale di bambini nati rispetto alle donne che iniziano il trattamento, ma non sembra avere un effettivo interesse per il diritto alla vita di ogni singolo embrione". Il nodo è esattamente questo: che si osserva la FIVET esclusivamente dal punto di vista dei "successi attesi" dagli adulti, occultando il cimitero di fallimenti che ad essi si accompagnano, in cui sono seppellite decine di migliaia di vite innocenti. Verità & Vita ritiene che per un giudizio corretto sugli effetti pratici della legge 40 del 2004 è indispensabile non trascurare né tacere che, per ogni donna con figlio in braccio, vi sono numerosi figli e figlie che sono stati "sacrificati" (abortiti) in forza di questa legge. Una legge che va contrastata sul piano culturale, invitando le coppie a non usarla, e a non produrre figli in provetta. Una legge gravemente ingiusta contro il diritto alla vita, che è necessario contrastare e superare non già con l'abrogazione libertaria, ma con una legge che vieti il dominio dell'uomo sull'uomo della fecondazione artificiale (cfr. Dignitas Personae, 16) e promuova piuttosto la ricerca scientifica sulla crescente infertilità, sulle sue cause e su i possibili rimedi. In quale modo questa difesa della verità e della vita possa conciliarsi con la linea editoriale del maggiore quotidiano cattolico italiano, che elogia le perfomance della provetta, è domanda che giriamo volentieri ad altri più autorevoli commentatori.
Fonte: Comitato Verità e Vita, 13/03/2012
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IL MINISTRO PAKISTANO SHABHAZ BHATTI: MARTIRE E PATRONO DELLA LIBERTA' RELIGIOSA
A un anno dalla sua uccisione appare evidente come la lotta contro la cristianofobia e per la libertà religiosa nel mondo resta la battaglia principale del nostro tempo
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Bussola Quotidiana, 02/03/2012
Un anno fa veniva assassinato Shabhaz Bhatti (1968-2011), il ministro per le Minoranze religiose del Pakistan, cristiano, cattolico. Venne abbattuto perché attraverso un incarico di governo interpretato secondo una precisa idea della politica aveva osato affermare pubblicamente che ciò che anima l'uomo, sotto ogni sole e in ogni tempo, è quell'irriducibile libertà di rapportarsi al Signore del tempo e delle cose che ne fa un essere naturalmente e strutturalmente religioso. Molto più, cioè, di una banale "libertà di coscienza": si tratta infatti di quella libertà suprema e fondamentale che consiste nel corrispondere all'elezione con cui Dio onora ciascuna persona, dapprima chiamandola all'essere, poi accompagnandola provvidentemente per i giorni che gli concede, infine convocandola per il giudizio finale particolare in vista di quello definitivo universale. Bhatti ha offerto la propria vita in olocausto affinché sia continuamente possibile qui e ora l'epifania di questa totale signoria di Dio sulla storia delle sue creature. Bhatti ha militato e lottato per garantire a ogni persona lo spazio necessario ad affrontare adeguatamente la questione fondamentale dell'esistenza: il rapporto con Dio che dà senso alle cose. Solo l'otium che libera da quelle che san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) apostrofava come le «maledette occupazioni» quotidiane può infatti garantire l'onestà necessaria ad affrontare bene - direbbe il filosofo Josef Pieper (1904-1997) - la "questione Dio", e quindi a decidersi per il "Dio giusto", quello vero, l'unico. La libertà religiosa per tutti, in particolare per le conculcate, vessate e perseguitate minoranze religiose che si trovano a vivere come isole in un oceano ostile, è insomma il prerequisito fondamentale per la missione, per l'evangelizzazione. Bhatti lo ha capito nel profondo, con il cuore oltre che con la mente, e si è dato tutto per i diritti basilari - quelli religiosi - delle minoranze del suo Pakistan non solo perché così ha sperato di lucrare vantaggi per la minoranza a cui egli stesso apparteneva, ma perché era convinto che la libertà di adorare Dio secondo coscienza fosse - come la tradizione e i dottori del pensiero cristiano hanno sempre affermato, sostenuto e difeso - un bene inalienabile in sé. L'unico che conduce al Dio vero, Gesù Cristo incarnato, morto e risorto. Bhatti ha dato la vita per cercare di garantire a tutti l'occasione della propria vita: la conversione a Cristo che senza il preambulum fidei della libertà non è concretamente possibile. Chi ha fermato questa sua piccola grande crociata probabilmente aveva capito, se non altro intuito, e per questo ha odiato. Ce lo dice scopertamente la Chiesa Cattolica del Pakistan, che infatti da mesi ha presentato al Santo Padre la richiesta di proclamare martire Shabhaz, onorandolo come «patrono della libertà religiosa». Un titolo sublime, che non è certo una versione riveduta e corretta della vera fede ai tempi dell'ecumenismo, ma l'intuizione più profondamente adatta alle cogenze dell'ora presente, come sempre ha fatto nella storia la Chiesa madre e maestra, esperta di umanità oltre che - il va sans dire - di santità. Accade però sempre nella storia del popolo cristiano che la Chiesa riconosca e benedica esperienze in atto, gesti vissuti e pratiche condivise, agendo all'esatto contrario dell'illuminismo che prima sogna l'inesistente e poi cerca di imporlo alla realtà. Affinché Shabhaz Bhatti venga riconosciuto dalla Cattedra di Pietro «martire e patrono della libertà religiosa» bisogna che il popolo cristiano cominci da sé a farlo, a venerarlo, a pregarlo. La Chiesa Cattolica che è in Pakistan ha già cominciato, a noi non resta che seguirla. Perché la cosa più stupefacente dell'intero martirio di Bhatti è che noi che ancora non godiamo della visione beatifica del Signore di tutto abbiamo però da un anno esatto a questa parte un protettore celeste in più, un patrono che ci guida, ci conduce e ci ispira nella nostra battaglia quotidiana, sia essa culturale, giornalistica, o altro, per l'affermazione della libertà religiosa che è conditio sine qua non dell'evangelizzazione, della conversione e dell'adveniat regnum tuum. Dal giorno in cui Bhatti ha offerto la propria vita per questa verità, l'esigenza di una libertà autentica per tutti, la necessità che siano garantiti i diritti di Dio che fondano quelli dell'uomo, la possibilità di esprimere la propria fede in piena coscienza e la Signoria dolce di Cristo sulla storia non hanno infatti smesso di avere nemici feroci, mitra in mano o giacca e cravatta indosso. La lotta contro la cristianofobia e per la libertà religiosa nel mondo resta dunque la battaglia campale del nostro tempo. L'esempio del martire Shabhaz Bhatti ci insegna come combatterla attraverso una frase del suo testamento spirituale che potrebbe essere la preghiera da rivolgergli: «Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire».
Fonte: La Bussola Quotidiana, 02/03/2012
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OMELIA V DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO B - (Gv 12,20-33)
Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 25/03/2012)
Nel Vangelo di questa domenica, la quinta di Quaresima, Gesù annunzia ai suoi discepoli che ormai è giunta la sua ora. Di quale ora si tratta? Di quella di essere glorificato per mezzo della sua morte in Croce e della sua Risurrezione. Gesù, nella sua umanità, avverte tutta l'angoscia di questo momento. Nel Getsemani Egli pregherà il Padre che si allontani, se possibile, questo calice amaro della sofferenza; tuttavia, sia fatta la volontà del Padre. Ai suoi discepoli dice: «Adesso la mia anima è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora!» (Gv 12,27). Gesù avverte questa angoscia, ma aderisce pienamente alla volontà del Padre e va incontro alla morte con il desiderio di donarci la vita. E così, per insegnare ai suoi discepoli la necessità di questa morte, Gesù usa il bel paragone del chicco di grano che morendo porta molto frutto: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Con questo paragone Gesù ci insegna la grande legge dell'amore che è quella del dono di sé: solo donando la nostra vita noi saremo felici. Per imprimere nel cuore e nella mente dei suoi discepoli questa verità, Gesù adopera delle parole molto forti, che devono essere rettamente intese. Egli dice: «Chi ama la propria vita la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25). Non dobbiamo prendere queste parole alla lettera. Gesù non ci insegna a odiare e a disprezzare la vita, che è un suo dono, ma ci vuol far comprendere che solo donando la nostra vita potremo dire di amare davvero. E amare significa sapersi sacrificare. Così ha fatto Gesù e così hanno fatto i suoi fedeli discepoli. Con queste parole il nostro Maestro Divino non vuole solamente insegnarci quella che è stata la sua vita, ma ci vuole indicare come deve essere la vita di tutti quelli che vogliono essere cristiani e desiderano seguire la sua via. Per questo Egli afferma: «Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore» (Gv 12,26). Se realmente vogliamo essere cristiani, dobbiamo seguire Gesù fin sul Calvario, e anche noi un giorno saremo glorificati. Per esprimere ancora la fecondità della sua morte in Croce, Gesù pronuncia questa frase: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Il significato di queste parole è chiaro: quando sarà innalzato in Croce, Gesù donerà la vita al mondo intero e diverrà «causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-9), come dice la seconda lettura di oggi. Anche per noi giungerà un giorno "l'ora del dolore" che sarà l'ora della suprema testimonianza d'amore. Forse per qualcuno di noi quest'ora è già suonata e dura da molto tempo. Dobbiamo però sapere una cosa: Gesù non ci abbandonerà in questa ora così difficile; non ci toglierà la croce, ma ci aiuterà a portarla, facendoci comprendere che sarà proprio per mezzo di questa croce che noi saremo come quel chicco di grano che morendo porta molto frutto. I Martiri hanno guardato a quest'ora come all'ora suprema della loro glorificazione. Tra tutte, è molto bella la testimonianza di sant'Ignazio di Antiochia, che era un vescovo dei primi secoli. Egli fu condannato ad essere sbranato dalle belve feroci, e si paragonò a del buon grano che doveva essere macinato dai denti di quelle fiere per poter divenire pane di vita. Così egli scrisse ai cristiani di Roma che cercavano in tutti i modi di salvarlo: «Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi sia dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio, e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per il Signore». In quell'ora suprema del martirio, sant'Ignazio sentiva la vicinanza di Gesù e andava fiducioso incontro alla difficile prova. Anche noi, come Gesù e come tutti i Martiri, sentiremo l'angoscia e la paura; ma, per farci coraggio, dobbiamo pensare che quanto più saremo vicini alla croce, tanto più saremo uniti a Gesù, e che da un apparente fallimento scaturirà la più grande vittoria.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 25/03/2012)
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