BastaBugie n�138 del 30 aprile 2010
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PEDOFILIA E OMOSESSUALITA'
Quando le statistiche parlano chiaro (intervista a Massimo Introvigne)
Fonte: Zenit
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IL COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA VALUTA POSITIVAMENTE LA DONAZIONE D'ORGANI SAMARITANA
Noi no, e ve ne sveliamo i rischi!
Autore: Francesco D'Agostino - Fonte: Avvenire
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SPAGNA, ABORTO AVANTI TUTTA
Aborti e pillole abortive con lo sconto per le giovani
Fonte: Corrispondenza Romana
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I SUICIDI NEL MONDO SONO TANTI E IN AUMENTO
Però, guarda caso, soprattutto nei paesi non cattolici
Fonte: Avvenire
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LONDRA, INFERMIERA CRISTIANA DISCRIMINATA
No al crocifisso, si al velo islamico
Autore: Elisabetta Del Soldato - Fonte: Avvenire
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ABOLIRE IL 25 APRILE
Una proposta controcorrente per la vera concordia nazionale
Fonte: L'Ottimista
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NON CI E' PIACIUTO IL SANT'AGOSTINO DELLA RAI TRASMESSO A GENNAIO
Poco fedele alla vita del santo, che pure sarebbe stata interessante (anche dal punto di vista televisivo)
Autore: Andrea Conti - Fonte: Notiziario "La compagnia di San Galgano"
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UN ESEMPIO DI VERO ECUMENISMO
Il caso degli anglicani che stanno tornando alla Chiesa Cattolica
Autore: Corrado Gnerre - Fonte: Radici Cristine
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OMELIA PER LA V DOMENICA TEMPO PASQUA - ANNO C - (Gv 13,31-35)
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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PEDOFILIA E OMOSESSUALITA'
Quando le statistiche parlano chiaro (intervista a Massimo Introvigne)
Fonte Zenit, 14 aprile 2010
Il prof. Massimo Introvigne, Direttore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), afferma che il Cardinale Tarcisio Bertone è stato vittima di una aggressione basata sulla disinformazione circa quanto da lui realmente dichiarato in merito al legame tra casi di abuso sessuale da parte di sacerdoti e omosessualità. Da Pamplona, dove partecipa in questi giorni al XXXI Simposio di Teologia dell'Univesità di Navarra, il sociologo ha risposto alle domande di ZENIT, nel mezzo della tempesta di attacchi che si è abbattuta sul Segretario di Stato di Benedetto XVI, in seguito ad alcuni lanci d'agenzia che riprendevano una conferenza stampa da lui concessa questo lunedì a Santiago del Cile. RISPONDENDO A UN GIORNALISTA, IL CARDINAL BERTONE HA FATTO SEMPLICEMENTE RIFERIMENTO AGLI STUDI REALIZZATI SUI CASI DI QUEI SACERDOTI CHE HANNO COMMESSO ABUSI SESSUALI E DAI QUALI EMERGE CHE PER LO PIÙ SONO STATI COMMESSI SU RAGAZZI CHE HANNO PASSATO LA PUBERTÀ. QUALI SONO LE CIFRE? Credo che sia doveroso esprimere solidarietà al Cardinale Bertone, vittima di un'aggressione indegna e anche francamente maleducata. Nel quadro di un'intervista, che non è un saggio scientifico, il Cardinale ha semplicemente fatto allusione a un dato ovvio, che tutti gli addetti ai lavori conoscono. Secondo il rapporto del 2004 del John Jay College di New York, lo studio più autorevole che esista sul tema, negli Stati Uniti l'81% delle accuse di abusi su minori rivolte a sacerdoti riguardano i ragazzini e non le ragazzine. Parliamo di maschi che abusano di altri maschi. Anche in Irlanda gli abusi di sacerdoti su ragazzi sono circa il doppio di quelli su ragazze. Questi sono numeri, che come tali non dovrebbero offendere nessuno e a cui non va fatto dire più - ma neanche meno - di quanto dicono. MA NON SI PUÒ DIRE CHE GLI OMOSESSUALI SIANO PEDOFILI! Certamente nessuno ha mai sostenuto che tutti i preti con tendenze omosessuali abusano di minori. Questa sarebbe un'accusa del tutto ingiusta. Che la maggior parte dei preti che abusano di minori, però, abusino di minori dello stesso sesso invece è un fatto. COME SONO STATE DEFORMATE LE PAROLE DEL CARDINAL BERTONE? Certamente il Cardinal Bertone non voleva intervenire sulla qualificazione medica di questi comportamenti: efebofilia, omofilia, pedofilia... Coloro che lo criticano qualche volta però scambiano un'intervista per un trattato di medicina, e semplicemente vorrebbero vietare di citare dati statistici che considerano non politicamente corretti. E questa è una forma di censura inaccettabile, talora travestita da scienza. BENEDETTO XVI HA STABILITO INVECE UN RAPPORTO CHIARO NELLA SUA LETTERA PASTORALE AI CATTOLICI D'IRLANDA, (19 MARZO 2010) TRA QUESTI CASI E LA PERDITA DEL RISPETTO PER LA CHIESA E PER I SUOI INSEGNAMENTI CHE SI È SVILUPPATO ALL'INTERNO DELLA CHIESA STESSA SUCCESSIVAMENTE AL CONCILIO VATICANO II. VEDE QUI UN RAPPORTO DIRETTO? Come opinione personale ritengo anche che una certa tolleranza in alcuni seminari cattolici - sia chiaro: non in tutti - di una subcultura omosessuale negli anni 1970 sia stata una parte non secondaria di quella confusione morale e contestazione teorica e pratica del magistero morale della Chiesa che il Papa denuncia nella lettera sull'Irlanda. Questa confusione dottrinale e pratica ha creato il terreno su cui talora è potuta crescere anche la mala pianta della tolleranza per gli abusi. Certo, questa non è stata l'unica causa della crisi ma è parte di un problema più generale. Giustamente quindi la Chiesa ha preso misure che affrontano questo problema. Non dovrebbe essere una novità per nessuno il fatto che la Chiesa - fermo il rispetto delle persone omosessuali in quanto persone - considera gli atti omosessuali come sempre oggettivamente disordinati. E se li considera tali nella società in genere, tanto più non li può tollerare nei noviziati e nei seminari. QUAL È LA RAGIONE DI ATTACCHI COSÌ DURI MA ANCHE INGIUSTI CONTRO IL CARDINALE BERTONE, IL PAPA E LA CHIESA? Ormai è sotto gli occhi di tutti l'azione di una lobby gay che vuole trarre pretesto dalla questione dei preti pedofili per imbavagliare la Chiesa, impedirle di riproporre la sua dottrina sul carattere oggettivamente disordinato dell'atto omosessuale e soprattutto ostacolare l'azione molto efficace che i cattolici hanno dispiegato, per esempio in Italia con il Family Day, per bloccare ogni ipotesi di riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali da parte degli Stati. Il modo giusto di rispondere alla prepotenza delle lobby è non arretrare mai. Anzi, la dottrina della Chiesa sull'omosessualità va riproposta e spiegata con pacatezza in ogni sede, “opportune et importune”. Questa dottrina va pure mostrata nel suo fondamento di ragione e non solo di fede, così che s'impone nella sua ragionevolezza anche ai non credenti e chiedere agli Stati di tenerne conto non costituisce un'ingerenza della Chiesa ma un servizio al bene comune. E i laici cattolici, specie quelli impegnati in politica, devono alzare la voce contro ogni ipotesi di riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali. E contro gesti provocatori come il matrimonio simbolico fra due lesbiche "celebrato" il mese scorso dal sindaco di Torino.
Fonte: Zenit, 14 aprile 2010
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IL COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA VALUTA POSITIVAMENTE LA DONAZIONE D'ORGANI SAMARITANA
Noi no, e ve ne sveliamo i rischi!
Autore: Francesco D'Agostino - Fonte: Avvenire, 25 aprile 2010
È da più di quarant’anni, dal 1967, che la legge italiana ha autorizzato la donazione di rene da soggetto vivente a paziente in pericolo di vita, subordinando questa eccezione al principio giuridico fondamentale dell’indisponibilità del corpo umano alla condizione che la donazione avvenga tra parenti strettissimi (genitori, figli, fratelli), tra coniugi e, solo in via subordinata, tra estranei. Il riferimento agli estranei è sempre stato interpretato ristrettivamente, come riferito a coppie di conviventi o comunque a persone unite da fortissimi e conclamati vincoli amicali. Si può estendere questa normativa al caso di una donazione a estranei sconosciuti? Si può autorizzare una simile donazione "samaritana" (come la qualificano i bioeticisti)? E’ evidente che poco rileva che questo tipo di donazione non potrà che coinvolgere, come è intuitivo, se non un numero statisticamente irrilevante di persone; la questione è strettamente di principio e come tale va valutata. Raggiunto da un quesito formulato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, il Comitato nazionale per la bioetica ha risposta positivamente, ritenendo altamente apprezzabile questa estrema forma di donazione. Personalmente, gli argomenti addotti dal Cnb non mi sono sembrati del tutto convincenti e vorrei spiegare perché. Per giustificare la donazione samaritana si possono usare, essenzialmente, due tipi di argomento, che il Cnb non ha distinto espressamente tra loro (accettandoli quindi, implicitamente, entrambi). Chiamerei il primo argomento "oblativo", il secondo argomento "dispositivo". La giustificazione oblativa della donazione samaritana di rene è limpida: il donatore si fa prelevare un rene non per un vincolo affettivo che lo unisce al malato destinato a usufruire del suo dono, ma "per amore dell’umanità". Sotto questo profilo la donazione samaritana è un atto che eccede le nostre stesse possibilità di immaginazione. Se è eroico donare il rene a un consanguineo o a un amico personale, la donazione samaritana si proietta al di là dello stesso eroismo, in un’atmosfera etica così straordinariamente rarefatta, da apparire più pensabile che esperibile (quando mai, ragionevolmente, ci capiterà di conoscere un donatore samaritano?). Ritengo impossibile che il diritto possa regolamentare e garantire una donazione così nobile (perché di questo si tratta e questo la legge pretende); il diritto riesce appena a gestire, e con grande fatica, alcune di quelle pratiche che i moralisti chiamano "supererogatorie" (cioè meritevolissime sì, ma non esigibili) ed infatti autorizza la donazione tra parenti o tra amici strettissimi, perché si tratta di situazioni fattuali "controllabili" e la cui autenticità può quindi essere garantita, anche se con difficoltà. Ma la nobiltà della donazione samaritana può essere solo ipotizzata; non di certo controllata. Ben più consistenti i problemi che nascono dalla giustificazione "dispositiva" della donazione samaritana. Questo tipo di giustificazione viene ricondotto, alla fin fine, al diritto che si dovrebbe riconoscere alle persone di "usare" insindacabilmente il proprio corpo, come se fosse una loro proprietà materiale: in questa prospettiva anche il riferimento alla donazione tra consanguinei viene a perdere rilievo, perché non alla forza dei vincoli familiari dovremmo far riferimento, ma alla mera volontà del donatario, le cui intenzioni etiche non sarebbe nemmeno lecito verificare. Questo paradigma, anche se viene evocato per giustificare un atto comunque benefico come la donazione di un rene, è a mio avviso inaccettabile, perché favorisce oggettivamente una totale depersonalizzazione del corpo umano, riducendolo a semplice materiale biologico, eticamente irrilevante. Saggio quindi il legislatore italiano del 1967, che vincolava la donazione di un rene allo stretto contesto familiare: solo i vincoli familiari (assieme ai vincoli coniugali e ai vincoli affettivi oggettivamente comprovabili) garantiscono l’autenticità morale della donazione ed escludono il rischio che dietro la donazione samaritana si possano fare strada poco nobili ragioni di interesse economico (sempre in agguato) o ragioni nobili sì, ma solo in apparenza, come quelle di una prodigalità narcisistica che giunge fino all’assurda volontà di disporre improvvidamente perfino dei propri organi.
Fonte: Avvenire, 25 aprile 2010
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SPAGNA, ABORTO AVANTI TUTTA
Aborti e pillole abortive con lo sconto per le giovani
Fonte Corrispondenza Romana, 24/4/2010
Venti per cento di sconto per le interruzioni volontarie di gravidanza, non è uno scherzo. In Spagna, una clinica di Almeria e un istituto di Siviglia offrono prezzi speciali per le ragazze che presenteranno il Carnet Joven: una “Carta Giovane” promossa dall’Istituto Andaluso della Gioventù, dipendente dal governo della regione. “Usala per tutto”, è lo slogan della tessera: apparentemente una fidelity card come tante altre in Europa. Nell’elenco dei servizi convenzionati – accanto all’autoscuola, alle librerie e ai negozi di abbigliamento – ci sono anche le interruzioni volontarie di gravidanza. La vicenda – denunciata dal quotidiano “Abc” – ha sollevato una valanga di polemiche in Spagna. I responsabili dell’istituto sivigliano, da parte loro, non hanno smentito l’informazione, al contrario: fonti della clinica assicurano che esiste una regolare convenzione con la previdenza sociale e che è uno sconto come tanti altri. Il 10% di riduzione viene applicato ai proprietari della “Carta Giovane” anche da alcune farmacie sui medicinali: sempre secondo il giornale “Abc” questo potrebbe riguardare pure la pillola del giorno dopo, che in Spagna può essere acquistata liberamente senza ricetta medica. «Gli sconti non possono sorprendere nessuno. Tutto questo è perfettamente coerente con il processo di imposizione della legge abortista più radicale d’Europa», ha affermato la dottoressa Gador Joya, portavoce della piattaforma pro-life Diritto di Vivere (Dav) (“Avvenire”, 10 aprile 2010). Per il direttore della Fondazione Vita, Manuel Cruz, è un problema di «banalizzazione» dell’aborto: «È vergognoso che si accompagnino praticamente per mano le donne ad uccidere un innocente, sovvenzionando delle imprese private, invece di usare quei fondi per aiutare le madri e lottare contro la crisi». Cruz accusa il governo andaluso (guidato dal Partito socialista, come l’esecutivo centrale) di «spingere la donna verso l’aborto senza riflettere, come se fosse un gioco», promuovendo un’«irresponsabilità sessuale» che rischia di trasformare l’interruzione della gravidanza in un metodo contraccettivo in più.
Fonte: Corrispondenza Romana, 24/4/2010
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I SUICIDI NEL MONDO SONO TANTI E IN AUMENTO
Però, guarda caso, soprattutto nei paesi non cattolici
Fonte Avvenire
Secondo l’Oms ogni anno si suicidano 16 persone ogni 100.000, cioè un milione di persone, dunque una ogni 40 secondi, ed i tentativi di suicidio sono quasi 20 milioni, cioè uno ogni 23 secondi: ogni anno ci sono più morti a causa del suicidio che nelle guerre e negli omicidi messi assieme. Sono dati drammatici e raggelanti, poco conosciuti, indici di una piaga sociale enorme, e ovviamente le loro cause sono molteplici: biologiche, sociali, culturali, ecc. Due Paesi molto benestanti, il Giappone e la Svezia, con 24 e 13 suicidi ogni 100.000 persone, dimostrano che non è la povertà ciò che spinge al suicidio. Per quanto riguarda le radici culturali si pensi di nuovo al Giappone (tra le parole giapponesi più conosciute al mondo figurano kamikaze e harakiri ). Per l’Oms la principale causa dei suicidi sono i disturbi psicologici, in particolare la depressione. In effetti, come ha sottolineato un pensatore e psicoterapeuta come Viktor Frankl (1905-1997), la motivazione principale dell’uomo non è il principio del piacere, né la volontà di potenza, bensì la «volontà di significato», il desiderio di trovare un senso, uno scopo della propria vita. Il male del nostro tempo, spesso, è proprio la frustrazione esistenziale, la mancanza di un senso che sia una solida ragione per vivere. Ma che cosa può dare un senso globale e solido alla vita e rendere sopportabile la sofferenza? Indubbiamente, credere in Dio è consolante e rasserenante (c’è anche chi afferma che Dio è fonte di nevrosi e questa affermazione andrebbe discussa in altra sede; però, limitandoci solo a un brevissimo e incompleto cenno, possiamo dire quanto segue: è vero che ad alcuni soggetti la religione determina delle nevrosi, però solo se vissuta in modo legalistico, cioè sbagliato, inoltre la secolarizzazione non ha reso più sereni gli uomini, anzi, sempre per l’Oms, le patologie psichiche sono in crescita ed i suicidi sono aumentati del 60 % dagli anni cinquanta). Così, forse non è un caso – e questa è la nostra ipotesi – se nei primi dieci posti della classifica dei suicidi ci sono ben 8 Paesi ex comunisti dove 5070 anni di ateismo sono probabilmente una delle cause (beninteso insieme ad altre, il fenomeno è ovviamente complesso) dell’elevato tasso di suicidi. Il triste primato spetta alla Bielorussia, con 36 suicidi ogni 100.000 persone, al secondo e al terzo posto si trovano la Lituania e la Russia con 31, al quarto lo Sri Lanka con 30, al quinto il Kazakistan con 27, al sesto l’Ungheria con 26, al settimo il Giappone con 24, all’ottavo l’Ucraina con 23, al nono la Slovenia con 22, al decimo la Lettonia con 20. Per contro, i Paesi con il tasso più basso di suicidi sono quasi tutti di tradizione culturale cristiana, specialmente cattolica (fatte salve alcune eccezioni: per esempio l’Austria e la Francia, del resto molto secolarizzata, tra i Paesi cristiani, e l’Iran, tra quelli non cristiani, ma i dati sui Paesi islamici sono pochi). L’Italia, per esempio, con 6 suicidi ogni 100.000 persone, è molto indietro in questa triste classifica. In effetti, il cristianesimo insegna che la vita umana è preziosissima e il suicido è considerato un atto assai grave. Se poi si considera che il suicidio è anzitutto un atto di disperazione, cioè di perdita totale della speranza, si arriva a comprendere meglio perché i popoli di fede (o almeno tradizione) cristiana vi ricorrano in misura minore. Durante le prove più difficili della vita, infatti, il cristiano sa che può contare sul conforto non di una divinità lontana, ma di un Dio-Persona amorevole. Solo ad una Persona, infatti, ci si può rivolgere direttamente. Un Uomo-Dio che muore liberamente sulla croce, offrendo se stesso come modello di sofferente, come compagno per chi si trova nella sofferenza, nella malattia, nella disperazione e nella depressione. E che insegna che esse hanno una fecondità.
Fonte: Avvenire
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LONDRA, INFERMIERA CRISTIANA DISCRIMINATA
No al crocifisso, si al velo islamico
Autore: Elisabetta Del Soldato - Fonte: Avvenire, 31 marzo 2010
Per trentun anni Shirley Chaplin, un’infermiera di 54 anni, ha indossato sul posto di lavoro una catenina con una piccola croce al collo. Ma un anno fa i suoi superiori al Royal Devon and Exter Hospital, un ospedale nel sud dell’Inghilterra, le hanno chiesto di rimuoverla. Nello stesso ospedale ai medici e alle infermiere musulmane è permesso di indossare il velo. «Mi hanno detto che un paziente avrebbe potuto strapparmela dal collo e farmi male – ha dichiarato qualche giorno fa l’infermiera – . Che la catenina rappresentava un rischio alla mia salute. La porto da quando ho fatto la Cresima, lavoro in ospedale da oltre trent’anni e nessuno si è mai azzardato a tirarmela dal collo». Non è una questione di sicurezza, è andata avanti la Chaplin, che appoggiata dal Christian Legal Centre e da un gruppo di vescovi della Chiesa d’Inghilterra, ha ora deciso di portare il suo caso di fronte al tribunale del lavoro di Exeter. «Il problema è che i cristiani sono sempre più discriminati. Non capisco perché io non posso indossare la mia modesta catenina quando nello stesso ospedale diverse infermiere e medici musulmane possono indossare il velo». Che il fattore sicurezza fosse una scusa, la Chaplin lo capì quando alla sua proposta di indossare la croce come spilla e non come catenina, i suoi superiori le rifiutarono ancora una volta il permesso. «A quel punto capii di essere stata messa di fronte a una scelta: il lavoro o la fede. Non esitai». Non è il primo caso in cui dipendenti cristiani vengono discriminati sul posto di lavoro in Gran Bretagna. Poco più di un anno fa un’impiegata della British Airways, minacciata di licenziamento perché si era rifiutata di separarsi dalla sua catenina con croce, riuscì a vincere una lunga battaglia legale ed è di qualche mese fa la notizia che un’altra infermiera è stata redarguita sul posto di lavoro perché aveva chiesto ai pazienti se poteva pregare per loro. «Stiamo superando ogni limite – scriveva ieri il quotidiano The Daily Mail – . Per paura di offendere le persone di altre fedi stiamo rinnegando la nostra». La Chaplin non ha alcun dubbio di essere stata vittima di discriminazione. «Il crocifisso è un’espressione importantissima della mia fede e della mia devozione a Gesù Cristo. Se lo nascondessi metterei seriamente in dubbio le ragioni per cui lo indosso». L’infermiera, che è nonna di due bambine, sostiene che dopo essersi rifiutata di sbarazzarsi della catenina i suoi superiori l’hanno spostata di ruolo e relegata a un lavoro di ufficio, lontana dai contatti con i pazienti. Ha confessato che spera di andare in pensione alla fine di quest’anno ma prima di andarsene desidera che l’ospedale cambi il regolamento e permetta ai cristiani di indossare i simboli della loro fede. La vicenda ha sollevato preoccupazioni in Gran Bretagna al punto che sette vescovi anglicani, tra cui l’ex arcivescovo di Canterbury George Carey, hanno pubblicato una lettera di supporto sui giornali di domenica scorsa in cui hanno scritto che il caso della Chaplin «è un altro esempio di discriminazione contro la nostra fede» e in cui chiedono al governo «più azioni per proteggere i cristiani».
Fonte: Avvenire, 31 marzo 2010
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ABOLIRE IL 25 APRILE
Una proposta controcorrente per la vera concordia nazionale
Fonte L'Ottimista, 21 aprile 2010
Cosa si festeggia il 25 aprile? La “Liberazione”. Ora, che l’Italia è stata liberata dai tedeschi è verissimo, e allora se si volesse festeggiare questo sarebbe doveroso invitare rappresentanze di quelle nazioni, dagli Stati Uniti alla Polonia, dal Marocco, all’Inghilterra, all’Australia, che lasciarono sul nostro suolo, per la nostra libertà, migliaia e migliaia di caduti. Ma purtroppo non si festeggia solo questo, e oltretutto di quanti diedero la loro vita per il nostro Paese, ce ne freghiamo. Si festeggia anche la fine di una guerra civile, una spietata macelleria fra italiani, che peraltro non finì affatto il 25 aprile, perché ebbe, lo vedremo tra poco, lunghi strascichi. In questo siamo davvero un Paese unico, ma non certo in senso positivo. Si vuole scordare una banale realtà. Dalla seconda guerra mondiale l’Italia uscì sconfitta, e duramente. Purtroppo i governanti dell’epoca, il Maresciallo Badoglio e la sua corte, non ebbero neanche la dignità di comportarsi da sconfitti. Dopo aver tradito l’alleato tedesco (piaccia o meno, così fu; non per questo giustifichiamo ciò che combinò la Germania nell’ultimo conflitto), vollero servilmente buttare altre vite nel carnaio, con quella qualifica bislacca di “cobelligeranti” con gli Alleati ex-nemici, che servì soprattutto ai politici riemergenti per farsi una verginità antifascista. Ma se già questa vergogna sarebbe più che sufficiente per farci tacere per decenni, in più l’Italia fu anche teatro di una crudelissima guerra civile, con italiani che si ammazzarono tra di loro. La parte più importante della Resistenza fu costituita dai primi nuclei di militari, sbandati dopo l’8 settembre e riorganizzati da ufficiali che si consideravano ancora vincolati dal giuramento al Re. Ma di questi si parla poco o nulla. La Resistenza nella “vulgata” divenne presto monopolio della parte più sanguinaria, che non esitò ad ammazzare non solo tedeschi, non solo fascisti, ma anche gli antifascisti anticomunisti. Il partito comunista giocò le sue carte, condusse la sua propria guerra che era, peraltro dichiaratamente, una guerra per realizzare la folle utopia marxista, per asservire l’Italia al giogo di Mosca. Il 25 aprile entrò a Milano un animoso comandante partigiano, l’avvocato Sandro Pertini, alla testa di una colonna di valorosi. Venivano a liberare Milano, ma da uomini saggi avevano giustamente atteso che Milano fosse liberata dagli americani, che il Duce fosse scappato, che i tedeschi, ancora asserragliati all’Hotel Regina, avessero fatto con gli americani patti ben precisi per tornarsene a casa loro. E quindi divenne facile poi fare gli eroi contro i fascisti sbandati. Bande di sconfitti, animati solo dal loro odio fazioso, sfogavano livori antichi e potevano ammazzare senza più correr rischi. I comunisti, che già nel periodo bellico, con il terrorismo dei GAP avevano provocato infinite sofferenze alla popolazione (bersaglio delle inevitabili rappresaglie tedesche, inevitabili anche perché i vigliacchi “gappisti” si tenevano ben nascosti…) furono lesti nell’organizzare “Tribunali del Popolo”, che in poco più di un mese fucilarono, dopo processi farsa, senza difesa e senza appello, un enorme numero di fascisti, o anche di semplici avversari. Si parla di cifre che oscillano tra i cinquemila e i quindicimila morti. Piazza Loreto a Milano ebbe l’osceno spettacolo del Duce appeso testa in giù, insieme ad altri gerarchi e alla sua amante, Claretta Petacci, tutti ammazzati dopo la loro cattura a Dongo. Per inciso: motivi per ammazzare Mussolini, ce n’erano tanti. Uno dei principali senza dubbio era costituito dal fatto che nella colonna di fascisti in fuga si trovava anche il tesoro della Repubblica Sociale. I morti non parlano, così come non parlarono un’altra decina di persone che sul c.d. “oro di Dongo” la sapevano lunga. Il PCI poté acquistarsi il palazzo di via Botteghe Oscure a Roma. Ma la furia omicida dei comunisti non si era esaurita il 25 aprile. Sicuri ormai dell’impunità, i comunisti andarono avanti per anni a regolar conti con gli oppositori che consideravano più pericolosi. Chi non ricorda la strage di Schio? Chi non ricorda la famigerata Volante Rossa? Chi non ricorda la strage di preti, andata avanti fino al1951? E allora, per amor di Patria, non potremmo piantarla di festeggiare questa sconfitta? Ripeto: sconfitta. Perché l’Italia perse la guerra, e perché una guerra civile è sempre e solo una sconfitta per tutte le parti in conflitto, perché scava solchi di odio tra quanti dovrebbero essere invece affratellati dall’amor di Patria. Se le vecchie cariatidi vogliono riunirsi, fasciarsi di bandiere rosse e gridare “no al fascismo” (sempre che non gli caschi la dentiera), lasciamoli fare. Che male fanno? Ma perché un grande Paese come l’Italia deve, una volta l’anno, assistere a queste manifestazioni che stanno tra il tragico e il grottesco, con selve di bandiere rosse, da sempre simbolo di morte e di sangue? Perché ogni anno dobbiamo fare “festa nazionale” quando questa viene monopolizzata dai rappresentanti della più grande associazione per delinquere che abbia mai afflitto il mondo, il partito comunista? Piantiamola, per favore, cerchiamo di essere seri e finalmente, realmente, uniti almeno dall'amore comune per il nostro Paese. Il giudizio sul fascismo lo ha dato e lo darà la Storia, il giudizio sull’odio può essere sempre e solo negativo. Abolire il 25 aprile come giorno di festa potrebbe essere finalmente il primo serio passo verso una vera concordia nazionale.
Fonte: L'Ottimista, 21 aprile 2010
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NON CI E' PIACIUTO IL SANT'AGOSTINO DELLA RAI TRASMESSO A GENNAIO
Poco fedele alla vita del santo, che pure sarebbe stata interessante (anche dal punto di vista televisivo)
Autore: Andrea Conti - Fonte: Notiziario "La compagnia di San Galgano", gennaio-marzo 2010
Nella programmazione della prima serata di domenica 31 gennaio e lunedì primo febbraio, la televisione di stato ha trasmesso un film in due puntate che avrebbe dovuto illustrare al pubblico la vita di una delle più straordinarie figure della storia del Cattolicesimo, e, più in generale, della storia del pensiero umano, quella di Aurelio Agostino, sant’Agostino. La televisione di stato si è vantata della trasmissione come di una grande operazione culturale, e se ne è compiaciuta per il successo ottenuto. In realtà ciò che mi è apparso evidente fin dalla visione delle prime scene del film, è che ben poco della vita del grande filosofo e teologo nonché grande santo del Cattolicesimo, sia stata riconoscibile in esso. Innanzitutto Agostino è presentato come un avvocato che compie una brillante carriera fino ad essere ammesso alla corte dell’imperatore a Milano. Purtroppo ciò non corrisponde assolutamente alla verità: Agostino non fu mai avvocato; fu maestro di lettere e di eloquenza, poi di grammatica e di retorica, in definitiva un insegnante nelle scuole pubbliche dell’epoca. Gli episodi, che nel film hanno gran peso, in cui Agostino è rappresentato come avvocato a Cartagine e come influente personalità della corte imperiale, sono del tutto immaginari e non si sono mai verificati in realtà. E che dire dei personaggi dei film? La maggior parte di essi, sono parti della fantasia degli sceneggiatori e del regista. Perché non hanno trovato spazio nella sceneggiatura personaggi reali, come il “vescovo” dei manichei Fausto, che tanto deluse Agostino da convincerlo ad abbandonare quella setta? O perché, nel film, non siano stati inseriti i due grandi amici di Agostino, Nebrido e soprattutto Alipio, compartecipi della sua conversione e con i quali coabitò per molti mesi a Milano? O perché sia stato ignorata l’amicizia, pur così importante nella vita – quella vera – del santo, con il filosofo cristiano Simpliciano ... Mi domando che bisogno ci fosse di creare personaggi di fantasia, quando queste figure storiche avrebbero potuto sostenere benissimo l’onere di una sceneggiatura cinematografica ed avrebbero avuto tutte le carte in regola per suscitare il gradimento del pubblico? Anche di quello meno raffinato. Del tutto assenti le vicende, dolorosissime per Agostino, della morte di madre, Monica, e del figlio Adeodato. In tutto il film risuona la parola “verità”, ma in realtà ben poco spazio è stato dato al travaglio spirituale di Agostino e la sua stessa conversione, appare piuttosto sfocata: nessun cenno al lungo ritiro in solitudine, alla fondazione di una comunità monastica; nessun cenno alla sua elezione a vescovo, avvenuta a furor di popolo... E sfocato, in ultima analisi, appare proprio l’incontro con la Verità, che per Agostino si concretizzò – come si concretizza per ogni cristiano – nell’incontro con una Persona, Nostro Signore Gesù Cristo. Desta addirittura sorpresa che poco spazio sia stato dato anche agli aspetti sentimentali o, per così dire, erotici, della vita di Agostino: trattati in modo blandamente convenzionale (E, conoscendo la disinvoltura con cui certe tematiche si trattano nelle produzioni televisive per assecondare le pruderie del pubblico moderno, francamente, mi sarei aspettato l’esatto contrario!), questi aspetti, nelle pagine delle celeberrime, “Confessioni”, l’autobiografia del santo, hanno una presenza molto più marcata. Ora io posso ben comprendere che condensare in un film la vita di una delle più eminenti figure della storia del pensiero e della fede, non possa che essere un compito arduo, ma allo stesso tempo, mi domando: perché si è scelto di fare un film su un personaggio storico, quando poi la vita di questo stesso personaggio è stata completamente reinventata? Oltretutto proprio la vita di sant’Agostino, intensissima e complessa, che senza alcuna modifica, avrebbe potuto affascinare il grande pubblico, anche quello meno colto. Purtroppo questa delusione si ripete ogni qual volta viene proiettato un film su un soggetto religioso, sia esso su una figura biblica, su un grande santo, su un protagonista della storia della Chiesa. Ebbene in questi film, si tenta di contrabbandare qualche scena zuccherosa come l’essenza del Cristianesimo... In realtà, a me sembra proprio che, contrariamente a ciò che può sembrare, in queste opere cinematografiche manchi del tutto l’anima cristiana, ed io sono convinto che ciò avvenga perché in esse è assente la realtà dei fatti. E forse, assente è anche un po’ la forza artistica.
Fonte: Notiziario "La compagnia di San Galgano", gennaio-marzo 2010
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UN ESEMPIO DI VERO ECUMENISMO
Il caso degli anglicani che stanno tornando alla Chiesa Cattolica
Autore: Corrado Gnerre - Fonte: Radici Cristine, Febbraio/Marzo 2010
Purtroppo possono esserci due tipi di ecumenismo. Il “purtroppo” sarà subito chiaro. C’è un ecumenismo corretto, che è quello che mira al dialogo, non per il dialogo in sé, ma per realizzare l’unità tra i cristiani che, inevitabilmente, deve prefiggersi il ritorno alla Chiesa Cattolica Apostolica e Romana, l’unica chiesa voluta e fondata da Cristo. C’è poi (ecco il mio “purtroppo”) un altro tipo di ecumenismo, quello che oggi è presente nell’immaginario di molti fedeli e anche di molti teologi ed ecclesiastici, ovvero un ecumenismo che dovrebbe servire solo formare una sorta di “super-chiesa”, secondo la nota convinzione del cosiddetto Consiglio Ecumenico delle Chiese, nato ad Amsterdam nel 1948. Al fondo di questo tipo di ecumenismo vi è la convinzione secondo cui l’unica santa Chiesa voluta da Gesù, pur esistendo, non si sarebbe ancora manifestata in modo visibile. Ad essere visibili sarebbero solo le tante chiese separate fra loro; per cui l’unità visibile dei cristiani si realizzerà solo grazie alla confluenza di tutte le “chiese” cristiane in una nuova Chiesa visibile, diversa ma anche più perfetta. Si tratta di un’affermazione inaccettabile, perché l’unica santa Chiesa voluta e fondata da Gesù esiste già in modo visibile, ed è appunto la Chiesa Cattolica. L’unità dei cristiani va sì auspicata, ma deve realizzarsi con il riconoscimento da parte di tutte le comunità cristiane della Chiesa Cattolica e quindi della necessità di ritornare ad essa. Va detto che Gesù ha voluto e fondato una chiesa “visibile” a tutti fino alla fine del mondo, come la «città posta sul monte» (Mt. 5,14). Ora, se questa Chiesa oggi fosse invisibile, vorrebbe dire che Gesù avrebbe detto il falso e che la sua missione sarebbe fallita. Fu proprio nel periodo in cui stava per nascere il Consiglio Ecumenico delle Chiese – precisamente nel 1943 – che Pio XII scrisse nella Mystici Corporis: «Si allontanano dalla verità divina coloro che immaginano la Chiesa come se non potesse raggiungersi né vedersi, quasi che fosse una cosa “pneumatica” come dicono, per la quale molte comunità di cristiani, sebbene vicendevolmente separate per fede, tuttavia sarebbero congiunte tra loro da un vincolo invisibile». Solo la Chiesa Cattolica ha storicamente conservato nei secoli il collegamento con Pietro. Solo la Chiesa Cattolica si è preservata “Una” come Gesù promise quando disse: «un solo ovile e un solo Pastore» (Gv. 10,16). Solo nella Chiesa Cattolica si è conservata davvero intatta la stessa dottrina. Infatti: la Chiesa Ortodossa nacque definitivamente nel 1054, il Protestantesimo nel 1517 e l’Anglicanesimo nel 1534. Veniamo adesso al ritorno degli anglicani. Indico tre punti importanti. 1. Indubbiamente ciò che è avvenuto è un fatto positivo, anche perché costituisce un precedente che può aprire prospettive molto interessanti in merito al numero di conversioni alla Chiesa Cattolica. 2. Va evitato, però, di trattare questo avvenimento esclusivamente alla luce della libertà di coscienza. Molti, infatti, spinti da convinzioni iper-ecumeniche (nel senso di quell’ecumenismo “scorretto” di cui ho parlato prima) e dimentichi della dottrina tradizionale che vuole la Chiesa Cattolica come unica realtà salvifica, hanno cercato di spiegare l’accaduto solo motivandolo come questione di libertà di coscienza; trascurando, invece, l’obbligo morale di aderire alla Chiesa Cattolica e quindi, per gli scismatici ed eretici, di ritornarvi. 3. Bisogna convincersi che a rendere legittima una scelta di adesione alla Chiesa Cattolica non può essere solo lo scandalo e quindi il rifiuto di aberrazioni ormai frequenti nella “Chiesa” anglicana come l’ordinazione femminile o i matrimoni gay, ma – appunto – il riconoscimento della verità cattolica. Non a caso tra i punti (su alcuni occorrerebbe un’adeguata spiegazione per evitare errate interpretazioni) della Costituzione apostolica Anglicanorum Coetibus (documento con cui si regola il ritorno di questi anglicani) vi è anche l’adesione al Catechismo della Chiesa Cattolica.
Fonte: Radici Cristine, Febbraio/Marzo 2010
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OMELIA PER LA V DOMENICA TEMPO PASQUA - ANNO C - (Gv 13,31-35)
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 2 maggio 2010)
Il Vangelo di questa quinta domenica di Pasqua ci insegna quella che deve essere la misura del nostro amore fraterno. L’esempio che dobbiamo imitare è molto grande, il più grande che potessimo avere. Non dobbiamo amare il prossimo come lo ama una qualsiasi persona buona, ma come Gesù ci ha amati e continuamente ci ama. Comprendiamo subito una cosa: non riusciremo mai ad uguagliare l’amore di Gesù. Per quale motivo, dunque, Egli ci dice: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34)? La risposta penso sia soltanto una: Gesù ci dice di imitare un modello irraggiungibile per farci comprendere che dobbiamo e possiamo sempre migliorare e crescere nella carità. Non ci sarà mai un momento nel quale potremo dire di amare abbastanza. Com’è che Gesù ci ha amati? Ci ha amati fino a morire in Croce per noi, fino al Sacrificio supremo, fino al dono dell’Eucaristia, e fino a donarci, dall’alto della Croce, quanto aveva di più caro: la Madre sua quale Madre nostra tenerissima. Poteva dimostrarci un amore più grande? Certamente no! Egli ha dato tutto: la sua vita e il suo amore per noi. Sul suo esempio, dobbiamo amarci gli uni gli altri. A questa scuola divina, comprenderemo facilmente che la prova sicura dell’autentica carità è il sacrificio. Infatti, solo chi ama è disposto a sacrificarsi per una persona, fino a donare tutta la sua vita. Così fanno i genitori con i figli, così fanno le persone che si amano autenticamente e non sono accecate dall’egoismo. L’egoismo è l’esatto contrario dell’amore. L’amore è donazione; l’egoismo è solo ricerca del proprio tornaconto. Pensiamo a quante famiglie si sfasciano. Per quale motivo tante divisioni? Si sta insieme solo fino a quando ci è utile, ma quando c’è da affrontare qualche sacrificio, allora si molla tutto. Non era Gesù la misura dell’amore, ma unicamente il nostro io. Dobbiamo un po’ tutti convertirci dall’egoismo all’amore. Tanti si illudono di amare; ma, in realtà, cercano solo il proprio benessere. Se di fronte al sacrificio noi non amiamo più, allora significa che in realtà non abbiamo mai amato, ma abbiamo unicamente cercato il nostro io nelle consolazioni e nei benefici che ci venivano dalle persone che ci illudevamo di amare. È regola infallibile che i veri amici si vedono solo al momento della prova. Di questi veri amici, purtroppo, ce ne sono sempre molto pochi. Amare, dunque, costa sacrificio, e non può essere diversamente. Sospinti da questo amore per il prossimo, Paolo e Barnaba predicavano il Vangelo fra molte difficoltà e opposizioni. I due Santi non badavano però a tali persecuzioni perché dicevano: «Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (At 14,22). Da loro impariamo che, se veramente vogliamo bene al nostro prossimo, innanzitutto dobbiamo ricercare il loro bene spirituale, la loro salvezza eterna. Per salvare le anime, Paolo e Barnaba non badavano ai sacrifici che inevitabilmente dovevano affrontare. Tutto era poco in paragone alla salvezza dei fratelli. Si sarebbero poi riposati in Paradiso; ma, finché erano su questa terra, c’era da lottare. Una volta lasciata questa terra, avremo la giusta ricompensa. San Giovanni, nella seconda lettura di oggi, ci dice che in Paradiso Dio «asciugherà ogni lacrima [...] non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno» (Ap 21, 4). Pensiamo spesso al Paradiso e comportiamoci in modo da meritarlo.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 2 maggio 2010)
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