BastaBugie n�264 del 28 settembre 2012
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IN INTERNET SI DIFFONDE LA NOTIZIA CHE GESU' ERA SPOSATO... MA, COME AL SOLITO, E' UNA BUFALA
In un papiro di dubbia provenienza si legge ''E Gesù disse loro: mia moglie''... ma è un testo apocrifo nato in ambito gnostico
Autore: Andrea Tornielli - Fonte: La Stampa
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LE TEORIE DI DARWIN E DEI SUOI SEGUACI SONO INSOSTENIBILI SIA PER LA FILOSOFIA CHE PER LA SCIENZA
Grande apprezzamento per la conferenza del professor Roberto De Mattei in occasione del 4° Giorno del Timone della Toscana
Fonte: Amici del Timone di Staggia Senese
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ESTRATTO DAL NUOVO LIBRO ''SPOSALA E MUORI PER LEI''
Ogni donna dovrebbe capire che il suo sposo è solo un uomo e non sarà mai in grado di soddisfarla pienamente... solo Dio basta
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Il Foglio
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MARTINI: IL CARDINALE DEI NON CREDENTI E DELLA TEOLOGIA DEL DUBBIO
Se è vero che ''dai frutti li riconoscerete'', proviamo ad analizzare quelli del defunto cardinale di Milano
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Corrispondenza Romana
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CARDINAL MARTINI: ANCORA UNA VOLTA I MEZZI DI COMUNICAZIONE SPARGONO FALSITA' E VELENI
Una volta capito il trucchetto è molto facile sapere dove sta la verità: dalla parte opposta
Autore: Gianpaolo Barra - Fonte: Il Timone
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INGHILTERRA: GENITORI TENUTI ALL'OSCURO SE LA FIGLIA MINORENNE ABORTISCE
Ecco il caso di una quindicenne di Salford: quando il predatore assume, con la protezione della legge di stato, le caritatevoli sembianze di un medico, di un'infermiera o di un'insegnante
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: Avvenire
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IN GERMANIA INTERI QUARTIERI SENZA CHIESE
Costruire chiese significa costruire comunità: dove sono le voci dei fedeli, dove sono le gerarchie, sempre così attente a tante altre questioni, ma evidentemente meno alla Casa di Dio?
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana
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L'EUGENETICA DI HITLER TORNA IN EUROPA A SUON DI SENTENZE E LEGGI INIQUE
La Corte Europea dei diritti dell'uomo intima all'Italia di eliminare i divieto di diagnosi pre impianto: ecco i frutti amari delle leggi sull'aborto e sulla fecondazione artificiale
Autore: Mario Palmaro - Fonte: Il Timone
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OMELIA XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - (Mc 9,38-43.45.47-48)
Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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IN INTERNET SI DIFFONDE LA NOTIZIA CHE GESU' ERA SPOSATO... MA, COME AL SOLITO, E' UNA BUFALA
In un papiro di dubbia provenienza si legge ''E Gesù disse loro: mia moglie''... ma è un testo apocrifo nato in ambito gnostico
Autore: Andrea Tornielli - Fonte: La Stampa, 20/09/2012
Un frammento di papiro scritto nel dialetto copto sahidico tipico del basso Egitto e sinora sconosciuto ha riaperto il dibattito sulla possibilità che Gesù fosse sposato. La professoressa Karen King, della Harvard Divinity School, in un convegno a Roma ha presentato il papiro nel quale si legge: «E Gesù disse loro: "Mia moglie...». Si tratta della prima e unica attestazione nella quale si parli di una «moglie» di Gesù. Il frammento è autentico o c'è la possibilità che si tratti di un falso? Nel suo studio, che sarà pubblicato nel gennaio 2013 nella rivista teologica di Harvard, la professoressa King afferma prudentemente di non poter dire una parola definitiva al riguardo, ma tutto lascia pensare che sia autentico: i pareri di diversi esperti escludono anche che si possa trattare di un testo aggiunto successivamente su un pezzo di papiro antico. Il frammento è piccolo, misura 4 cm. per 8, e sono leggibili solo degli spezzoni di frasi più lunghe. LA CITAZIONE DELLA «MOGLIE» CHE COSA PROVA? Karen King afferma: «Questo papiro non prova, ovvio, che Gesù fosse sposato ma ribadisce che la questione del suo eventuale matrimonio e della sua sessualità è stata più volte sollevata con infiammati dibattiti». A CHE EPOCA RISALE IL FRAMMENTO? Dalla grafia risulta scritto nella seconda metà del IV secolo. Ma i contenuti potrebbero aver avuto origine nella seconda metà del II secolo. Si può dunque ipotizzare un legame tra questo testo ed altri coevi, conosciuti come il vangelo di Tommaso o di Maria Maddalena. Testi per lo più nati in ambito gnostico. CHE COSA SONO I VANGELI «CANONICI»? Sono chiamati «canonici» i vangeli riconosciuti dalla Chiesa come autentici: sono quelli attribuiti agli evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Questi testi sono databili al I secolo: nel caso di Matteo e Giovanni si tratta di due apostoli, mentre Marco e Luca erano seguaci degli apostoli Pietro e Paolo. Anche se comunemente si pensa che il riconoscimento dei vangeli canonici e il rifiuto di altri definiti «apocrifi» sia dovuto a un'imposizione, in realtà i vangeli canonici erano quelli più diffusi fin dall'inizio nelle comunità cristiane, che ne riconoscevano l'origine apostolica e dunque il legame con i testimoni oculari della vita di Gesù. I vangeli canonici erano dunque già tali ben prima che venissero definiti così. Un frammento scoperto nella Biblioteca Vaticana da Ludovico Muratori attesta che già nell'anno 157, a Roma, venivano letti e venerati quei quattro vangeli. CHE COSA SONO INVECE GLI «APOCRIFI»? La parola «apocrifi», usata per indicare i vangeli non riconosciuti dalla Chiesa, è greca e significa «nascosti»: nel II secolo circolavano degli scritti diffusi nei circoli gnostici cristiani che venivano definiti in quel modo. Sono testi più tardivi, attraverso i quali si è tentato di ricostruire alcune parti della biografia del Nazareno o di interpretarne il pensiero. In genere, mentre i testi canonici sono scarni, essenziali, poco indulgenti con il miracolismo, gli apocrifi sono infarciti di elementi miracolistici e sensazionali. E in alcuni casi sono espressione del movimento filosofico-religioso dello gnosticismo, che credeva in un dualismo radicale, in una differenza abissale tra Dio e la realtà materiale. I VANGELI GNOSTICI HANNO VALORE STORICO? Il maggiore esperto italiano di questi testi, Luigi Moraldi, ha scritto: «I vangeli gnostici sono meditazioni su Gesù, sul suo messaggio, sulle reazioni che suscita in ogni credente, specie se intellettuale... Non sono raccolte di dati biografici su Gesù. Presuppongono nei lettori una conoscenza accurata sia dell'annunzio cristiano, sia dei primi sviluppi e approfondimenti». PERCHÉ LA CHIESA AFFERMA CHE GESÙ NON ERA SPOSATO? I vangeli canonici presentano Gesù come celibe. Anche se aveva scelto nella sua predicazione e nelle sue parabole molte volte dei personaggi femminili, e anche se aveva un gruppo di donne che lo seguiva, nessuna delle donne citate nei vangeli canonici viene presentata come sua moglie. In ogni caso, gli autori dei vangeli non presentano il celibato come superiore rispetto al matrimonio. Pietro era sposato (il vangelo parla della suocera), così come lo erano alcuni dei primi discepoli del Nazareno. Se Gesù fosse stato sposato, affermano molti autorevoli biblisti, gli evangelisti l'avrebbero semplicemente scritto. COM'È POSSIBILE CHE GESÙ NON FOSSE SPOSATO, MENTRE I MAESTRI RELIGIOSI DELL'EBRAISMO INVECE LO ERANO? Anche all'epoca di Gesù non erano poi così rare le eccezioni alla regola del matrimonio: c'era la comunità degli esseni, che viveva a Qumran, ed era composta da celibi.
Fonte: La Stampa, 20/09/2012
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LE TEORIE DI DARWIN E DEI SUOI SEGUACI SONO INSOSTENIBILI SIA PER LA FILOSOFIA CHE PER LA SCIENZA
Grande apprezzamento per la conferenza del professor Roberto De Mattei in occasione del 4° Giorno del Timone della Toscana
Fonte Amici del Timone di Staggia Senese, 24 settembre 2012
Sabato 15 settembre 2012 si è svolto a Staggia Senese il 4° Giorno del Timone della Toscana: ancora una volta, ospiti di alto livello ed interessanti argomenti di cultura e di fede. Il professor Roberto De Mattei, direttore del mensile Radici Cristiane e Preside della Facoltà di Scienze Storiche dell'Università Europea di Roma, ha tenuto la conferenza dal titolo "Evoluzionismo fallito". Il professore, già vicedirettore del C.N.R. (Consiglio Nazionale delle Ricerche), ha affrontato il tema dell'evoluzionismo: oggi è molto difficile parlarne, in quanto viene insegnato nella scuole e nei mezzi di comunicazione come un dogma intoccabile scientificamente dimostrato. Egli aveva già trattato tale argomento nel libro "Evoluzionismo: tramonto di un'ipotesi" nel quale erano raccolti i contributi di scienziati di varie discipline che avevano partecipato a un convegno internazionale da lui organizzato al CNR (per un resoconto del convegno: https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=839). Il professore aveva anche sostenuto un dibattito pubblico con il matematico, ateo, Odifreddi. Egli ha innanzitutto spazzato via un equivoco ricorrente, secondo cui solo gli scienziati potrebbero discutere di questo argomento; un'obiezione infatti che gli viene fatta di frequente è che lui, essendo uno storico, non avrebbe voce in capitolo. Invece tutti possono trattare questo argomento, semplicemente usando la propria ragione, in quanto l'evoluzionismo non riguarda una precisa disciplina scientifica. Infatti il sapere è oggi caratterizzato dalle specializzazioni, cosicché si è persa la capacità di avere una visione d'insieme. La capacità di abbracciare campi diversi appartiene al filosofo, in particolare al filosofo della natura. La ragione applicata alle realtà materiali fa parte dell'ambito della scienza, mentre applicata alle realtà immateriali fa parte dell'ambito della filosofia. Per parlare di evoluzionismo, occorre rispondere a domande riguardanti l'origine del mondo, della vita e in particolare dell'uomo, quindi occorre anche parlare dell'esistenza di Dio. E così, chiunque voglia discutere di questo argomento si deve rifare sì alla scienza, ma anche alla filosofia. Basta, appunto, utilizzare la propria ragione e il buon senso. Anche la fede dà il suo contributo alla comprensione della realtà. Le verità di fede, infatti, non contraddicono le verità razionali e scientifiche, anzi ne aiutano la comprensione. Non si può prescindere dal versetto della Genesi in cui è scritto: "In principio Dio creò il cielo e la terra" e il passo in cui viene raccontato come Dio plasmi Adamo dal fango ed Eva da un suo fianco. L'evoluzionismo è la visione filosofica secondo cui l'universo e tutta la materia sarebbero in continua evoluzione da forme imperfette a forme sempre più perfette e l'uomo farebbe parte di questo processo. Noi non ce ne accorgiamo, ma ormai le nostre idee e il nostro linguaggio sono imbevuti di questo modo di pensare. Eppure quella evoluzionista è soltanto una teoria, cioè non è dimostrata scientificamente. Secondo il metodo galileiano perché le ipotesi si trasformino in leggi universali occorre che siano sperimentabili e verificabili sempre, ovunque e da tutti. Non è mai stata provata l'ipotesi evoluzionista, secondo cui gli uomini sarebbero il prodotto di miliardi e miliardi di anni di mutazioni dalla materia inerte alla materia vivente e poi dall'essere vivente meno complesso a quello più complesso. Sarebbe come dire che, vedendo in un garage una moto accanto a una bicicletta, fossi certo che la moto è nata da trasformazioni progressive della bicicletta. L'affermazione "L'uomo deriva dalla scimmia", ha spiegato De Mattei, è un'affermazione immaginaria, perché riguarda un passato che non è dimostrato né dal metodo scientifico, basato sulla riproducibilità, né da quello storico, basato sulle testimonianze. La trasformazione dalla scimmia all'uomo non può essere né riprodotta sperimentalmente, né testimoniata da alcuno. Sorgono infatti troppe domande che restano senza risposta: perché le scimmie esistono ancora accanto agli uomini e perché invece non c'è traccia degli ominidi, cioè degli esseri di passaggio fra la scimmia e l'uomo? E ancora: perché il processo evolutivo si è arrestato e l'uomo non evolve più? In realtà l'unica certezza che abbiamo è che non c'è minima traccia di tale processo nella realtà. La teoria evoluzionista parte dal rifiuto della fissità della specie, per cui si sarebbe passati da una specie animale all'altra, arrivando poi fino alla specie umana. Sappiamo che la specie è una classe di esseri viventi all'interno della quale c'è trasmissione ereditaria e fecondità; invece fra specie diverse non è possibile scambiarsi i caratteri genetici, né riprodursi. La scoperta del dna ha dimostrato e avvalorato questa stabilità, tanto che in laboratorio è possibile produrre variazioni all'interno della stessa specie, ma non fra specie diverse. Si possono trasformare i caratteri secondari, ma mai trasformare una specie in un'altra. Quindi le modifiche all'interno della specie esistono e si definiscono microevoluzione. Al contrario la macroevoluzione, cioè il passaggio da una specie a un'altra, non è mai stata dimostrata. Gli anelli di congiunzione delle trasformazioni da una specie a un'altra non sono mai stati trovati e nessun esperimento scientifico li ha mai riprodotti. Il motivo è semplice: non esiste la possibilità di passare da una specie a un'altra. Esistono dei confini che delimitano le specie perché esiste un ordine, delle leggi che determinano le barriere genetiche tra le specie, per evitare il caos. Possiamo anche riconoscere una scala di perfezione per classificare gli esseri viventi, cosicché possiamo dire che un uomo è più perfetto di un verme, ma ogni essere vivente è perfetto in se stesso, nella sua struttura. Ogni morfologia raggiunge nella sua complessità la sua massima perfezione. Ad esempio un microbo nella sua complessità non è inferiore ad una pianta. Tuttavia esiste una distanza tale fra loro che nessun esperimento ha mai potuto colmare. Gli evoluzionisti, ha continuato il professore, si dichiarano anti creazionisti, ma in realtà trasferiscono l'azione creatrice da Dio alla materia stessa, la quale secondo loro si auto crea. Ma a questo potere attribuito alla materia si possono opporre due obiezioni. Prima obiezione: come ha fatto la materia inerte a dare origine alla materia vivente? Gli evoluzionisti rispondono: in modo casuale. Ma la complessità degli organismi viventi è tale che non è possibile che non ci sia un progetto e quindi un progettista. Sarebbe come se un orologio fosse ottenuto agitando a caso in una scatola i pezzi di cui è composto. Anche agitando i pezzi infinite volte non si otterrebbe mai l'orologio intero perfettamente funzionante. Come sperimentiamo ogni giorno nella vita di ciascuno, il caso genera caos. Quindi la complessità degli organismi viventi non può essere data dal caso, ma da un progetto e da un progettista intelligente che lo ha pensato. La vita si spiega sul piano biologico e il biologo può spiegarci quali materie sono viventi, non come e perché hanno avuto luogo. Gli evoluzionisti spiegano ancora che tutto ha avuto origine perché una materia iniziale esplodendo si è diffusa. Ma ecco la seconda obiezione: qual è l'origine di quella materia iniziale che è esplosa? E poi: chi l'ha fatta esplodere? Nessuno scienziato può spiegare come possa essere nata la materia dal nulla. Ci vuole più fede, ha concluso De Mattei, per credere che dal nulla possa nascere qualcosa, piuttosto che per credere in un Dio creatore. Infine il professore ci ha spiegato che esistono i catto-evoluzionisti (o teo-evoluzionisti), i quali per salvare la teoria evoluzionista e cercare di armonizzarla con la fede cattolica affermano che Dio ha dato la scintilla, creando la materia iniziale, per poi lasciare il passo all'evoluzione. Rifiutano così il materialismo dell'evoluzionismo filosofico, ma di fatto negano alcuni dei massimi dogmi della fede, come il monogenismo, secondo il quale tutti gli uomini hanno origine dalla creazione diretta di Dio di un'unica coppia iniziale. Il poligenismo, al contrario, afferma che gli uomini deriverebbero da diverse coppie di ominidi. Insomma Adamo ed Eva non simboleggiano la collettività, come ritengono alcuni, altrimenti non avrebbe senso parlare della trasmissione del peccato originale da Adamo ed Eva a tutti gli uomini e le donne. Dai poligenisti viene negata non solo la Genesi, ma anche alcuni passi di San Paolo in cui egli, parlando del peccato originale, afferma l'esistenza di un'unica coppia iniziale da cui poi è scaturito tutto il genere umano. Un lunghissimo applauso ha concluso l'intervento del professore, segno che il pubblico ha gradito la chiarezza e il coraggio dell'esposizione.
Nota di BastaBugie: per vedere il video su YouTube "Evoluzionismo: il tramonto di un'ipotesi" con l'intervento del prof. De Mattei a Staggia Senese durante il 4° Giorno del Timone della Toscana, clicca qui sotto http://www.amicideltimone-staggia.it/it/edizioni.php?id=54
Fonte: Amici del Timone di Staggia Senese, 24 settembre 2012
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ESTRATTO DAL NUOVO LIBRO ''SPOSALA E MUORI PER LEI''
Ogni donna dovrebbe capire che il suo sposo è solo un uomo e non sarà mai in grado di soddisfarla pienamente... solo Dio basta
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Il Foglio, 19/09/2012
Adesso che ci penso, che sia io a dare consigli su come dire agli uomini di sposarsi è poco credibile, ma ormai è tardi per dirlo alla casa editrice. Non so come fare, a questo punto. Dovrei svelare che io al mio, di marito, ho teso una sorta di agguato, organizzandogli un matrimonio distratto, un po' sottinteso. È vero, gli ho dato appuntamento in una chiesetta e, sì, è vero, avevamo fatto il corso prematrimoniale. Forse lui avrebbe potuto anche sospettare qualcosa, ma per il resto – invitati, lista, vestiti, viaggio – ho scelto un profilo così basso (per dire, le bomboniere le ha cotte in forno mia sorella) che era difficile mettersi in agitazione. Quella mattina, tra pochissime persone, ho cominciato facendo la vaga, a porgli domande tipo "vuoi andare a sciare? vuoi che Jeff Buckley abbia il posto che si merita nella storia della musica? vuoi tu prendermi in sposa? vuoi che la Roma vinca lo scudetto?" "sì ok lo voglio…qual era la penultima che hai detto?". Ho consultato un mio amico docente di diritto canonico e dice che comunque è valido. Da allora la grazia del sacramento è deflagrata nella nostra vita, facendo nuove tutte le cose. Già, perché il sacramento ha una potenza che noi non possiamo neanche immaginare, a volte segreta e nascosta; può agire in un modo che forse solo quando avremo raggiunto la nostra patria eterna capiremo, un modo potentissimo che però ha bisogno di partire dal sì della nostra libertà. Il nostro sì può essere anche timido, tentennante, la nostra scelta può anche essere fatta con una coscienza ridicola, ma Dio non scherza mai. E poi, più noi agiamo da persone serie con lui, più lui è serio con noi, e ci risponde con una prontezza sconvolgente, senza mai farsi battere in generosità. Se la gente sapesse, davanti alle chiese ci sarebbe la fila di persone che chiedono di sposarsi, altro che numero dei matrimoni in caduta libera. Invece conosco tantissime donne – e dico donne perché stava a noi, prima che ci perdessimo, custodire la chiamata dell'uomo all'amore – zitelle (rifiuto la parola single) o pluridivorziate che hanno bruciato la loro vita e il loro amore dietro chiacchiere psicologoidi e modernoidi, cose tipo trovare se stessi, seguire il proprio istinto, guarirsi le ferite, lasciarsi guidare dai segni, dal destino e quelle cose col karma di cui non capisco un tubo: tutto ovviamente facendo a meno di Dio, che sarebbe l'unico che queste cose – guarirci, realizzarci, trovarci – le potrebbe fare per noi. Da quando invece le scienze umane hanno preso la follia generale come punto di partenza, come fisiologico su cui costruire e progettare la persona standard, come hardware su cui configurare il sistema operativo della società è iniziato il declino accelerato della nostra civiltà nel suo insieme. In particolare in tutti i luoghi e i modi e i momenti possibili – mi sembra che sia questa la battaglia del secolo – si cerca di negare che il matrimonio tra un uomo e una donna (o la vita consacrata, che è un modo ancora più intimo e profondo di sposare qualcuno) corrisponda al desiderio profondo del cuore umano: tutti cominciano una storia pensando che sarà per sempre, e che la simbiosi provata in certi momenti possa, debba durare per sempre. Il fatto è che nel matrimonio si parte, si dovrebbe partire, dalla domanda "chi sono io, chi è l'uomo", per arrivare – chi prima, chi anche dopo molti anni di matrimonio – a capire che lo sposo è solo umano e non sarà in grado di soddisfarti pienamente. "Non sono io – scrive C.S. Lewis – io sono solo un promemoria. Guarda. Guarda. Cosa ti ricordo?" Allora il matrimonio diventa un'elettrizzante avventura verso l'eterno, del quale l'altro è promemoria con la sua bellezza, la via che Dio ha scelto per prendersi cura di te, per amarti, ma anche per farti attraversare quel mistero che riguarda la vita di ognuno, la croce. La croce è il segno di ogni chiamata, anche di quella matrimoniale, perché l'amore è anche un lutto, un disgusto, una delusione, una indifferenza, una fatica e una pesantezza abbracciati. Il problema è: come convincere un uomo della grandezza della scelta del matrimonio, come farlo innamorare dell'idea di morire per qualcosa di così poco eroico? Perché le donne questo desiderio di stabilità, se non lo soffocano sotto pile di giornali e film infarciti di ideologia dell'indipendenza femminista, lo riconoscono più facilmente in sé. Per dire, Michelle Pfeiffer, che vuole trovarsi accanto Robert Redford al suo risveglio, quando lui risponde "Finora mi ci hai sempre trovato, anche se non so come hai fatto.", replica: "Sì, ma ho bisogno di sapere che ti ci devi far trovare per legge". Qualcuno sosterrà che l'esempio non fa testo, perché, siamo seri, chi non direbbe una cosa del genere a Robert Redford? Il problema, Robert o no, è che un uomo può essere pronto a dare la vita, preferibilmente tutta insieme, per un ideale, una guerra, una squadra al limite, ma convincerlo a morire piano piano è difficile. Difficile fargli vedere l'eroismo, la grandezza, l'anticonformismo di decidere di lottare per la sua famiglia, di salvare il mondo una pratica alla volta, come Mister Incredibile che si mette a fare il liquidatore di assicurazioni, di morire per una moglie umana, umanissima (o anche subumana, quando, per dire, tenta di prelevare dal bancomat con la tessera della profumeria, o gli fa una telefonata transoceanica da sotto al divano per dirgli che c'è un pipistrello in casa. E comunque era una falena). Quanto alle donne, devono sempre verificare se, tante volte, ne possano (o ne avrebbero potuto) trovare uno un po' più. Segue elenco di aggettivi a scelta. Profondo, nobile, spiritualmente elevato ma anche aitante, brillante, bello, ricco ma nobilmente disinteressato al denaro, fine psicologo, filosofo ma anche un po' idraulico, stabile e calmo ma deciso all'occorrenza, fine conoscitore della Bibbia, possibilmente dei testi almeno almeno in latino, ma anche della più vivace leva registica contemporanea, sportivo, capace di ascoltare, rude ma innamorato, ordinato ma creativo, un po' gastroenterologo ma non ipocondriaco, amante della letteratura e dell'arte ma pratico, falegname e filologo, in grado di ricordare date e particolari dei primi appuntamenti ma fieramente concreto, capace di sbrigare le faccende domestiche ma anche di fare le tracce per l'impianto elettrico, accudente coi figli ma autorevole. La donna deve fare un cammino di conversione non dico per pretendere di meno, ma per valorizzare quello che c'è, imparando a partire dal reale. L'uomo invece al contrario fa fatica a volare un po' più alto. A vedere la bellezza e la grandezza della sua chiamata. [...] Difficile trovare chi esalta la famiglia come un gioco per veri duri, una sfida fantastica e avvincente dove è obbligatorio, tra le altre cose, continuare a sedursi e ridere tantissimo, anche quando si fa fatica. Perché la fatica si fa, ma l'amore ha una sola misura: quello a cui si è pronti a rinunciare. [...]
Fonte: Il Foglio, 19/09/2012
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MARTINI: IL CARDINALE DEI NON CREDENTI E DELLA TEOLOGIA DEL DUBBIO
Se è vero che ''dai frutti li riconoscerete'', proviamo ad analizzare quelli del defunto cardinale di Milano
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Corrispondenza Romana, 21/09/2012
A forza di interpretare la Scrittura a proprio estro, come ha insegnato il cardinale Carlo Maria Martini e prima di lui Lutero e prima ancora Valdo e prima di loro uno stuolo per nulla originale di eretici, troppi cattolici hanno finito per praticare al contrario il chiarissimo monito evangelico che invita a essere candidi come colombe e astuti come serpenti. Perché solo gente candida come serpenti e astuta come colombe può applicarsi al tentativo di sottrarre il cardinale Martini all'uso che il mondo ne sta facendo dopo la sua morte. Solo un'astuzia spuntata e un candore ingrigito possono condurre un cattolico a non rendersi conto che il mondo sta facendo dell'arcivescovo, in morte, l'uso che lui stesso aveva scelto in vita. Non deve proprio stupire se il primo frutto pubblico post mortem dell'opera del cardinale è la notizia della proposta di legge sul fine vita elaborata da Furio Colombo e intitolata proprio "Legge Martini". [...] Parlare del cardinale Martini, del suo pensiero e della sua opera dentro la Chiesa vorrebbe dire affrontare senza ipocrisie passi intessuti di tragedia come questo. Senza esimersi dal pregare generosamente per la sua anima, poiché nessuno, tranne Dio, sa dove si trovi e quale sia il suo destino. E, invece, per mesi e forse per anni, si dovranno sorbire lenzuolate di giornali, di libri, di siti, di radio, di tv cattoliche che spiegheranno come e qualmente il cardinale non ha detto ciò che ora il mondo gli fa dire e non ha fatto quello che il ora il mondo gli fa fare. Come se, a suo tempo, il cardinale si fosse mai degnato di ritrarsi, anche solo di un passo, dal ruolo di papa alternativo che il mondo laico, in solido con quello cattoprogressita, gli ha attribuito. Non lo ha mai fatto e, anzi, ha sempre contribuito ad alimentare tale vulgata con il pensiero e l'azione. La questione del fine vita è solo l'ultimo degli esempi, eclatante come lo sono tutti gli altri. L'abolizione del celibato sacerdotale e il sacerdozio femminile, le aperture su convivenze, sugli omosessuali e la comunione ai divorziati risposati, la collegialità, il conciliarismo e la contestazione del primato petrino, l'esaltazione di figure come Lutero e il fiancheggiamento dei preti cosiddetti scomodi e quindi accolti in tutti i salotti che contano: sono tutte scelte meditate e praticate che hanno incontrato il plauso del mondo e ora non c'è più tempo per ritrattarle. Eppure c'è chi spiega e spiegherà che il cardinale non voleva dire quello che ha detto e, anzi, metterà in guardia le avanguardie del mondo e del progressismo cattolico dal fare un uso indebito della sua eredità. Come dire, l'ermeneutica della continuità applicata al martinismo, una dottrina che, prima ancora che essere un contenuto, consiste in un metodo fondato sull'esercizio del dubbio e dell'ambiguità. Pane per qualsiasi ermeneuta deciso a trarne ciò che vuole, ma impossibile da digerire per chiunque legga il magistero martiniano alla luce dell'ortodossia. Uno degli esiti più eclatanti di tale pensiero si è mostrato nella "Cattedra di non credenti", un'intrapresa culturale che ha contribuito gagliardamente alla devastazione dottrinale della diocesi di Milano e poi, per contagio, del resto d'Italia e non solo. Nel 2002, in un discorso agli studenti del Pontificio Istituto Biblico, il cardinale la ricordava così: "(...) la 'Cattedra dei non credenti' (...) non è di per sé un'iniziativa biblica, ma nasce dalla Scrittura. 'Dice l'empio: non c'è Dio', dunque ascoltiamo l'empio. Cioè chiamiamo in cattedra i non credenti a spiegarci perché non credono. Poi non facciamo con loro un dibattito apologetico o una conferenza, cerchiamo di ascoltarci. Con la percezione che c'è in ciascuno di noi, almeno in me, una duplice personalità: un credente e un non credente che continuamente fa obiezioni, pone domande, problemi". Non può passare inosservata l'evidente autocertificazione di schizofrenia dottrinale e spirituale sottoscritta da Martini. Una vera e propria patologia pericolosa per qualunque fedele, ma addirittura sciagurata per un pastore che dovrebbe confermare nella fede il proprio gregge. Eppure è proprio questo il cuore dell'azione pastorale e dottrinale dell'arcivescovo di Milano, il quale usò più volte le stesse parole e gli stessi concetti per illustrarlo. Su "Il nostro tempo" del 17 ottobre 1993, esaltava il dubbio come "quell'esercizio dello spirito che in questi anni a Milano ha avuto il nome un po' provocatorio di 'Cattedra di non credenti'. (...) Ho organizzato questi incontri partendo dall'ipotesi che c'è in ciascuno di noi una parte credente e una non credente, o almeno resistente alla fede. (...) I due si parlano, si contrastano, si confrontano. Ciascuno di noi dà poi la prevalenza all'uno o all'altro dei due atteggiamenti, ma quello opposto gli rimane dentro. Il non credente sente una domanda di certezza, il credente viene vessato dalle ombre del dubbio". E' evidentissimo che, secondo le stesse parole del cardinale, dal confronto, è proprio il credente, "vessato dalle ombre del dubbio", a uscire malridotto dal confronto. Perché è proprio questo l'esito della dottrina e della pastorale martiniana: la destrutturazione della fede. Un esito disumano in cui non esistono più certezze e punti riferimento che ha come corrispettivo iconografico l'incomprensibile arte moderna. Ma, fatti salvi i dubbi involontari che possono sorgere nell'intelletto riguardo alla verità proposta dalla fede, poiché questa rimane oscura alla ragione, chi crede non è un povero cieco che brancola inutilmente nel caos. Il credente ha il preciso dovere di rigettare il dubbio, poiché la fede non poggia sull'evidenza della ragione, ma sulla veracità di Dio. Nella Summa Teologica (II II, q.4, a. 8, ad 2), San Tommaso spiega che "A parità di condizioni vedere è più certo che ascoltare. Quando però colui dal quale si ascolta supera di molto la perfezione di chi vede, allora udire è più certo che vedere. Come un uomo di cultura modesta è più certo di ciò che ascolta da una persona dottissima che di ciò che a lui può apparire secondo la sua ragione. E un uomo è molto più certo di ciò che ascolta da Dio, il quale non può ingannarsi, che di quanto egli vede con la sua propria ragione ingannevole". Abbandonato questo criterio, il metodo della "Cattedra dei non credenti" ha infranto anche un altro chiarissimo ammonimento deposto dalla sapienza e dalla fede di San Tommaso nella Summa, il cui articolo 7 della questione 11 (II II) porta l'inequivocabile titolo "Se si debba disputare pubblicamente con gli infedeli". La risposta del santo dottore inizia così: "Nelle dispute sulla fede si devono considerare due cose: una a proposito di chi affronta la disputa, l'altra a proposito degli ascoltatori. A proposito di chi disputa dobbiamo considerare l'intenzione. Se infatti uno disputasse perché dubita della fede, senza avere come presupposto la certezza della sua verità, ma volendola raggiungere con degli argomenti, peccherebbe indubbiamente, in quanto incredulo e dubbioso sulle cose di fede. Se invece disputa sulla fede per confutare, o per pio esercizio, fa una cosa lodevole". Come al solito, implacabile nella sua chiarezza e nella sua lucidità, Tommaso mostra che il contenuto e il metodo della "Cattedra dei non credenti" cadono sotto il caso di chi disputa "perché dubita della fede". Con l'aggravante tutta moderna della volontà di rimanere nel dubbio. Poi, l'articolo della Summa procede parlando del pubblico: "E a proposito degli ascoltatori si deve vedere se coloro che ascoltano la disputa sono istruiti e fermi nelle cose della fede, oppure sono delle persona semplici e titubanti. Infatti nel disputare sulle cose di fede dinanzi a persone istruite e ferme nel credere non c'è alcun pericolo. Se invece si tratta di gente semplice bisogna distinguere. Infatti questi ascoltatori o sono sollecitati e combattuti dagli infedeli, per esempio dagli Ebrei, dagli eretici o dai pagani che tentano di corromperne la fede, oppure sono tranquilli come avviene nelle regioni in cui non ci sono gli infedeli. Nel primo caso è necessario disputare pubblicamente sulle cose di fede: purché vi siano delle persone capaci e preparate, che possano confutare gli errori. (...) Invece nel secondo caso è pericoloso disputare pubblicamente sulla fede dinanzi a persone semplici, la cui fede è più ferma per il fatto che non hanno mai ascoltato qualcosa di diverso da ciò che credono. Perciò non conviene che essi ascoltino i discorsi degli infedeli che discutono contro la fede". Anche su questo versante, pare chiarissimo come l'iniziativa del cardinale contravvenga all'insegnamento tomista e sia andata a turbare la fede di chi non avrebbe proprio avuto bisogno di essere "vessato dal dubbio". Senza contare che non uno degli interlocutori non credenti portati in cattedra da Martini abbia dato mostra di aprirsi alla fede cattolica. Non uno dei grandi intellettuali agnostici, atei, eretici o di altre religioni che lo hanno osannato in vita e in morte l'hanno trovato così attraente da arrendersi a Cristo. Del resto, il cardinale non lo chiedeva. Impugnando il dubbio come un pastorale, ha sempre preferito viaggiare sul filo dell'ambiguità pensando bene di sospingere le pecore oltre gli steccati dell'ovile e soprattutto, di mantenervi fuori quelle che già erano uscite. A volte in manifesto contrasto con la dottrina cattolica, altre mantenendosi un passo indietro e alimentando l'eresia altrui, basta che circolasse. Tra i casi recenti più celebri, va ricordato quello del libro di Vito Mancuso, L'anima e il suo destino. Un'operina che demolisce il concetto di peccato originale, la resurrezione di Gesù, il ritorno del Salvatore nella gloria, l'eternità dell'inferno, Dio come fonte della salvezza, le Sacre Scritture come parola di Dio, l'intervento divino nella storia e definisce il purgatorio una "salutare invenzione". Là dove le tesi di Mancuso non coincidono con quanto detto da Nostro Signore e da San Paolo è presto fatto: sono Nostro Signore e San Paolo a sbagliarsi. Quanto alla morale sessuale, il professore ha sistemato tutto mettendo sotto il compressore la dottrina della Humanae Vitae sulla contraccezione: "Occorre guardare in faccia la realtà per quello che è, non per quello che si vorrebbe che fosse, e la realtà è che i rapporti sessuali sono praticati largamente al di fuori del matrimonio e a partire da giovanissima età". Su "Civiltà cattolica", padre Corrado Marucci, dopo aver stroncato il libello mancusiano, ha concluso: "Se per teologia si intende la riflessione dell'intelletto umano illuminato dalla fede sulla Sacra Scrittura e sulle definizioni della Chiesa, allora il nostro giudizio complessivo su questa opera non può che essere negativo. L'assenza quasi totale di una teologia biblica e della recente letteratura teologica non italiana, oltre all'assunzione più o meno esplicita di numerose premesse filosoficamente erronee o perlomeno fantasiose, conduce l'Autore a negare o perlomeno svuotare di significato circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica. A fronte di una relativa povertà di dati autenticamente teologici, la tecnica di accumulare citazioni da tutto lo scibile umano, oltre al rischio di distorcerne il senso reale ai propri fini poiché esse fanno parte di assetti logici a volte del tutto diversi, non corrisponde affatto alla metodologia teologica tradizionale". Eppure, nella prefazione, l'ex arcivescovo di Milano raccomanda vivamente il libro, anche se vi ravvisa concetti "che non sempre collimano con l'insegnamento tradizionale e talvolta con quello ufficiale della Chiesa". Un colpo di genio, con quell'apparente innocente "non sempre", il cardinale ha trovato il pertugio per il genere di operazione in cui è sempre stato maestro: smarcarsi da un'eventuale ricognizione della Congregazione per la Dottrina della fede e, nel contempo, aprire grazie ad altri un'autostrada diretta verso l'eterodossia conclamata. Come al solito, grazie al dubbio. "Sarà difficile parlare di questi argomenti senza tenere conto di quanto tu hai detto con penetrazione coraggiosa" dice il cardinale al vecchio pupillo. "Anche quelli che ritengono di avere punti di riferimento saldissimi possono leggere le tue pagine con frutto, perché almeno saranno indotti o a mettere in discussione le loro certezze o saranno portati ad approfondirle, a chiarirle, a confermarle". In questo modo, nel corso dei decenni, Martini ha prodotto un instancabile lavorìo che ne ha fatto l'icona delle icone del progressismo cattolico, il cardinalissimo che a Milano ha impietosamente oscurato il cardinale successore e il successore del successore per chissà quanti mandati. Ne ha fatto il Grande Antagonista che ha sempre colto l'occasione giusta per esercitare il suo magistero alternativo: vuoi l'intervista, vuoi l'opera di esegesi, vuoi la raccolta di riflessioni, vuoi il dialogo con un spalla che le spari grosse e gli permetta di andare oltre fingendo di ritrarsi. Sono esemplari, da questo punto di vista, le 96 paginette di Siamo tutti sulla stessa barca, firmate con don Luigi Verzé e piene della solita roba: la morale sessuale della Chiesa da buttare, i divorziati risposati da ammettere alla comunione, il celibato dei sacerdoti da mandare a ramengo, l'ottusità dell'etica cattolica da scrollarsi di dosso, e poi la sinodalità, l'apertura al mondo, il popolo di Dio che elegge direttamente i vescovi come se fossero dei borgomastri. Tutto spruzzato di snobistico orrore per "le fiumane di gente" che "quando arriva il Papa, hanno più o meno il valore delle carnevalate". Il fremito clerical-chic del dialogo con l'antico nemico don Verzé è giusto una carezza consegnata dal cardinale ai suoi seguaci, un discorso della Luna per chi avrebbe voluto vederlo Papa al posto di Benedetto XVI. Il cardinale, con uno sparring partner come il fondatore del San Raffaele, ha buon gioco a mostrare con studiata ritrosia il suo disegno di una nuova Chiesa. A un don Verzé sicuro che quando Cristo tornerà sulla terra troverà ancora la fede perché ci sarà ancora il San Raffaele, risponde evocando le zone grigie dell'etica su cui ama tanto avventurarsi senza portare un solo contributo per discernere il bianco dal nero. A un don Verzé che parla di morale cristiana incongruente col mondo confida con rammarico che, in effetti, "oggi ci sono non poche prescrizioni e norme che non sempre vengono capite dal semplice fedele". A un don Verzé ossessionato da una Chiesa che non rincorre abbastanza velocemente la scienza consegna i suoi "non so", "non voglio giudicare" vuoti di dottrina e di speranza. Il cardinale sta un'ottava sotto il prete manager, ma tra le righe il colpo d'ala c'è: per rimettere un po' d'ordine in questa barca, caro il mio don Verzé, "non basta un semplice sacerdote o un vescovo. Bisogna che tutta la Chiesa si metta a riflettere su questi casi". Per farla corta, urge un Concilio Vaticano III. Chi altri, se non il Cardinale Antagonista, avrebbe potuto evocarlo senza cadere nel ridicolo? Anzi, potendo vantare di averlo addirittura sognato fin dal Sinodo per l'Europa del 1999. Ma per arrivarci, non basta enunciare una nuova dottrina, serve un metodo per farla passare nell'opinione pubblica. E il metodo consta nella ripetuta pubblicazione di opere e operine, di cui quella con don Verzé è solo un esemplare fra i tanti. [...] Per vanificare l'erezione del mito martinista sarebbe stato necessario un gesto difforme da parte della gerarchia, la carità nei confronti di ogni peccatore associata all'affermazione della verità là dove venga violata. Ma non si è visto. Al mondo è stato offerto lo spettacolo mediatico di una Chiesa associata al mondo nella canonizzazione del principe degli antagonisti: proprio l'unica operazione che il mondo, da solo, non avrebbe potuto fare.
Fonte: Corrispondenza Romana, 21/09/2012
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CARDINAL MARTINI: ANCORA UNA VOLTA I MEZZI DI COMUNICAZIONE SPARGONO FALSITA' E VELENI
Una volta capito il trucchetto è molto facile sapere dove sta la verità: dalla parte opposta
Autore: Gianpaolo Barra - Fonte: Il Timone, settembre-ottobre 2012 (n. 116)
Capita di rado, ma succede: talvolta bisogna essere grati a stampa, televisione e siti internet che avversano la fede, la Chiesa, la cultura e i valori che scaturiscono dal Vangelo e dalla legge naturale. Sì, perché ci consentono, con un'elementare operazione logica, di chiarire le idee, fugare i dubbi, riconoscere il bene e il vero nonché, di conseguenza, smascherare il male e individuare l'errore. Basta semplicemente prender nota dei giudizi positivi – o negativi – che esprimono in merito a fatti, opinioni e uomini e rovesciarli nel loro esatto contrario. E il gioco è fatto. Una ghiotta occasione per applicare questo metodo si è vista recentemente, quando è giunta notizia della morte del cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano per oltre un ventennio. Subito, i mezzi di informazione laici e laicisti hanno gareggiato tra loro nel magnificarlo, riconoscendogli il merito – "merito", secondo la loro valutazione – di una lunga serie di affermazioni, di prese di posizione e di convinzioni non conformi alla visione del mondo e dell'uomo che la Chiesa propone. Per esempio, l'opinione che in determinati casi, quando vi siano buona fede, inclinazioni manifeste o abitudini consolidate, si possano benignamente comprendere scelte come quella delle relazioni omosessuali, con l'aggiunta che lo Stato ha il dovere di favorirle per debellare la consuetudine dei rapporti occasionali. Approfittando evidentemente del fatto che il cardinale non può replicare né precisare, il mondo laicista gli ha attribuito dichiarazioni favorevoli all'uso del profilattico come male minore nella lotta all'Aids, alla fecondazione omologa ed eterologa, all'adozione di embrioni da parte di donne single, alle unioni civili. E su aborto ed eutanasia, che il cardinale ha sempre condannato, stampa, tivù e siti internet gli hanno riconosciuto posizioni piuttosto benevole, tendenti a giustificare, almeno in certi casi, il primato della coscienza personale, anche se ciò dovesse condurre a scelte condannate dalla Chiesa. Persino in materia di dottrina e disciplina, a Martini è stato tributato un caloroso elogio dal mondo laicista, per la sua propensione a riconsiderare, per esempio, la possibilità del "sacerdozio" femminile – che la Chiesa, invece, ritiene contrario alla verità insegnata da Gesù Cristo – e del celibato sacerdotale. Non è questo il luogo per distinguere quanto vi sia di interessato e malevolo nella strategia dei media laicisti e quanto, invece, sia oggettivamente ascrivibile allo scomparso arcivescovo, che ha contribuito, forse suo malgrado, a "dar fuoco" a queste polveri. Resta però il fatto che il mondo laicista, elencandone i "meriti", ha manifestato per l'ennesima volta le cose che apprezza ed auspica. Così facendo, però, ci viene offerto il destro per andare sul sicuro. Chi vuole, infatti, rimanere fedele al Papa e alla Chiesa basta che professi l'esatto contrario e lo metta in pratica. Una regola, questa, utile anche a vescovi e cardinali. È vero che per dissipare dubbi, conoscere la verità e fulminare gli errori abbiamo il Catechismo. Ma qualche volta può essere utile considerare ciò che apprezzano i suoi "nemici". E fare esattamente il contrario. Non è una bella fortuna?
Fonte: Il Timone, settembre-ottobre 2012 (n. 116)
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INGHILTERRA: GENITORI TENUTI ALL'OSCURO SE LA FIGLIA MINORENNE ABORTISCE
Ecco il caso di una quindicenne di Salford: quando il predatore assume, con la protezione della legge di stato, le caritatevoli sembianze di un medico, di un'infermiera o di un'insegnante
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: Avvenire, 05/07/2012
Da tempo si va profilando il rischio che l'orizzonte socio-culturale britannico possa diventare il nostro in un prossimo futuro. E non è un bell'orizzonte. Eccone una riprova. Recentemente una quindicenne inglese di Salford, sospettando uno stato di gravidanza, ha deciso di recarsi in ospedale, dove ha ricevuto dagli operatori sanitari la conferma di aspettare effettivamente un bambino. Trattandosi di una gravidanza indesiderata, l'aborto è parso l'unica opzione possibile. I medici dell'ospedale hanno deciso di rispettare la volontà della ragazzina di non coinvolgere i propri genitori nella decisione di abortire, e si sono limitati a mettere al corrente della circostanza la scuola. Qui la quindicenne ha trovato la comprensione degli insegnanti, che hanno discusso con lei la delicata questione e assecondato la sua reticenza nei confronti della famiglia, concedendole il permesso di assentarsi per abortire e standole vicini quando si è recata in clinica per l'operazione. Tutto regolare, perché secondo la legge inglese (quella che alcuni additano come modello anche per l'Italia...) gli insegnanti, i medici e gli infermieri possono fornire consulenza in campo sessuale o nei trattamenti sanitari – compreso l'aborto – a ragazze minorenni tenendo all'oscuro i genitori. John Merry, responsabile del competente dipartimento dell'amministrazione comunale di Salford, ha difeso l'operato degli insegnanti, spiegando che «hanno correttamente ottemperato alle chiare e vincolanti disposizioni previste dalle linee guida nazionali in questi casi». Michaela Ashton, dell'organizzazione Life, ha invece criticato il comportamento dell'istituto scolastico, accusando gli stessi docenti di «aver nascosto e concorso a determinare un evento grave, controverso, e potenzialmente dannoso nella vita della figlia e di due genitori». «Il fatto che la legge glielo consenta – secondo la Ashton – non significa che sia anche moralmente giusto». È il problema di sempre: la scelta tra la legge di Dio e quella degli uomini. In Gran Bretagna, peraltro, il vezzo di tenere all'oscuro i genitori è ormai diventato la regola. È di quest'anno, ad esempio, la notizia dell'iniziativa adottata in nove scuole di Southampton per consentire di impiantare a studentesse minorenni un contraccettivo ormonale sottocutaneo (una piccola placca lunga circa quattro centimetri che, inserita nella parte interna del braccio, rilascia un ormone capace di bloccare l'ovulazione). Tra le giovanissime, sono state coinvolte anche alcune tredicenni, senza che i genitori ne fossero a conoscenza. Si tratta di uno dei tanti provvedimenti adottati dalle scuole dopo che il governo di Sua Maestà ha sollecitato la necessità di arginare il dilagare delle gravidanze indesiderate tra le adolescenti. Il fatto è che la famiglia non può essere espropriata, nemmeno attraverso una legge ingiusta, della sua funzione essenziale di luogo dell'educazione nel quale l'individuo acquisisce il senso di appartenenza e sviluppa la propria coscienza, ossia il sentimento di sé come responsabilità verso qualcosa di più grande. In questo senso la famiglia diventa «initium sive particula civitatis», cellula della società e il suo principio, secondo la celebre definizione di quel campione di realismo cristiano che fu sant'Agostino. Pensando a ciò che è accaduto alla povera quindicenne di Salford, torna alla mente un'altra immagine del grande vescovo di Ippona, mutuata dalla natura: la madre paragonata alla chioccia, che copre con la carezza delle sue piume i teneri nati, e raccoglie intorno a sé con voce rotta i pulcini pigolanti, mentre quelli che fuggono le sue carezzevoli ali «praeda fiunt alitibus», cadono preda di uccelli rapaci. Oggi può persino accadere che il predatore assuma le caritatevoli sembianze di un medico, di un'infermiera o di un'insegnante.
Fonte: Avvenire, 05/07/2012
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IN GERMANIA INTERI QUARTIERI SENZA CHIESE
Costruire chiese significa costruire comunità: dove sono le voci dei fedeli, dove sono le gerarchie, sempre così attente a tante altre questioni, ma evidentemente meno alla Casa di Dio?
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana, 24/08/2012
In Germania la scristianizzazione passa attraverso l'architettura: a lanciare l'allarme, è il sito d'informazione cattolico "Kreuz.net", che nell'edizione on line del 18 agosto evidenzia con preoccupazione come nei nuovi quartieri tedeschi – incredibilmente – non vi sia più posto per le chiese. Non sono proprio state pensate, né progettate, ed è come se fossero state estromesse dal tessuto urbano. E si cita in proposito un articolo del giornalista Dankwart Guratzsch, apparso nelle pagine di cultura del quotidiano "Die Welt", in cui si fanno esempi concreti: a Stoccarda, dove è stata edificata una frazione di 12 mila abitanti. Senza chiesa. Ad Amburgo, un nuovo centro per altri 12 mila residenti. Senza chiesa. Anzi, qui per poter realizzare la nuova urbanizzazione, ne son state chiuse 19, probabilmente "d'intralcio"… Così, di botto. Sparite. Il pretesto è l'assenza di richieste in tal senso. Nessuno le avrebbe mai reclamate, né pretese. Siccome però qualche malumore, sì, c'è stato, ecco accontentati i riottosi: attrezzando loro alla bell'e meglio una misera cappellina con una trentina di sedie in tutto, seminascosta al piano terra di un grigio edificio, ch'è sede solo di uffici. In realtà, è impossibile pensare a semplici sviste o ad innocenti interventi tampone: è chiaro come tutto questo sia stato pianificato, per far sparire il più possibile i segni della fede. In modo peraltro metodico, crudele, spietato. «Costruire chiese significa costruire comunità – commenta il giornalista Guratzsch –. Quando ai credenti si toglie la testimonianza visibile, il riconoscimento pubblico dei loro Valori, anche ai loro occhi questi s'indeboliscono e perdono efficacia». Un concetto, questo, che ha un precedente illustre: l'8 giugno del 2005 a Roma, presso Palazzo Doria-Pamphili, il Card. Mauro Piacenza, all'epoca Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, disse nel corso di una relazione: «La costruzione di una chiesa edificio è evento ecclesiale, poiché simboleggia l'edificazione stessa della comunità cristiana, che 'pregusta' le realtà celesti». Guratzsch, nel suo articolo, ricorda come anche ai tempi della DDR, la Germania comunista, si facesse lo stesso: le chiese venivano demolite, per umiliare, oltraggiare, isolare la religione ed inculcare l'ateismo. Con una differenza: allora era l'ideologia a dettar legge, il potere era totalmente nelle mani dei persecutori dei cristiani. Ma oggi come mai non si levano voci contrarie? Dove sono le voci dei fedeli, dove sono le gerarchie, sempre così attente a tante altre questioni, ma evidentemente meno alla Casa di Dio? Risuonano le parole di Cristo: «Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc. 18, 8).
Fonte: Corrispondenza Romana, 24/08/2012
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L'EUGENETICA DI HITLER TORNA IN EUROPA A SUON DI SENTENZE E LEGGI INIQUE
La Corte Europea dei diritti dell'uomo intima all'Italia di eliminare i divieto di diagnosi pre impianto: ecco i frutti amari delle leggi sull'aborto e sulla fecondazione artificiale
Autore: Mario Palmaro - Fonte: Il Timone, settembre-ottobre 2012 (n. 116)
Vietare la diagnosi genetica preimpianto nella fecondazione artificiale è contrario all'articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. Lo ha stabilito la Grande Chambre, la Corte Europea dei diritti dell'uomo, rispondendo al ricorso presentato da una coppia di italiani. La sentenza dice anche che la legge 40 sui figli in provetta è incoerente con la legge 194 sull'aborto, poiché quest'ultima da 34 anni permette l'aborto eugenetico. Il ragionamento della corte è: se si possono eliminare dei nascituri perché "imperfetti" con l'aborto, non si vede per quale ragione impedire eliminare degli embrioni difettosi in provetta prima di impiantarli nel corpo di una donna. Fin qui il succo della sentenza, che ha fatto molto discutere in Italia.
LA NATURA IDEOLOGICA DELLA SENTENZA E LE SUE PECCHE TECNICO GIURIDICHE Va subito detto che la decisione della Grande Chambre è il prodotto di una ben precisa visione ideologica e politica: i giudici della Corte sono abortisti e favorevoli all'eugenetica predicata nell'Inghilterra di fine '800, praticata dai Paesi scandinavi negli anni '30, ed elogiata ed emulata da Adolf Hitler e dal Nazismo nel '900. Partendo da questa visione, essi usano in modo politico una sentenza, per smantellare quei (piccoli) ostacoli che la legge 40 oppone alla selezione eugenetica degli embrioni umani. Si deve aggiungere – come ha osservato il magistrato di Cassazione Giacomo Rocchi - che la Corte sorvola completamente sul fatto che i ricorrenti italiani non avevano promosso alcuna causa in Italia, mentre il ricorso alla Grande Chambre è permesso solo dopo aver esperito ogni grado di giudizio nel proprio Paese. Lo scopo di questa iniziativa è quindi politico-giuridico: ottenere una decisione della Corte Europea che costringa i giudici italiani e la Corte costituzionale a permettere la diagnosi genetica reimpianto. Pratica barbara che comporta il sezionamento dell'embrione, ancora formato da un piccolo numero di cellule, e nel prelevamento di una o due cellule: l'esito dell'analisi genetica sulle cellule prelevate è, di solito, di carattere probabilistico e non dà certezze; inoltre spesso gli embrioni – sani o malati che siano – muoiono per il solo fatto di essere stati sottoposti al prelievo. Va aggiunto che la coppia di ricorrenti è fertile, e quindi in base alla legge italiana non ha alcun diritto di accedere alla provetta, né tanto meno di pretendere la diagnosi preimpianto. Insomma: sul piano tecnico giuridico la sentenza della Corte Europea fa acqua da tutte le parti.
LE "VERITÀ" CONTENUTE NELLA SENTENZA Detto tutto il male possibile su questa sentenza, dobbiamo però ammettere che essa contiene alcune verità. La prima e più importante è che i giudici europei hanno ragione da vendere quando ci rinfacciano di avere nel nostro ordinamento una legge – la 194 del 1978 – che è eugenetica. Quella legge stabilisce che una madre può decidere in modo insindacabile la soppressione di suo figlio se questi è handicappato o portatore di una malattia. La legge 194 ricorre all'escamotage giuridico di far transitare tale decisione per la via tortuosa del pericolo per la salute psicofisica della madre; ma ciò nulla toglie alla natura eugenetica di tale aborto, che infatti produce l'uccisione di un numero incalcolabile di nascituri disabili. Seconda verità: entrando dentro questa logica perversa, i giudici fanno un'affermazione difficilmente contestabile. E cioè: poiché voi italiani avete stabilito che un feto handicappato si può uccidere a norma di legge e a spese dello stato, perché con la legge 40/2004 volete impedire la diagnosi pre impianto, che permetterebbe di non impiantare (eliminandoli prima) degli embrioni portatori di handicap o di varie patologie? Solo arrampicandosi sui vetri si può trovare un'obiezione logica a questa domanda. La verità è che la legge 40 tenta con alcuni articoli ad hoc di introdurre delle garanzie per l'embrione, ma che questo tentativo offre il fianco ad attacchi e censure di ogni genere. Terza osservazione: è un fatto – e molti cattolici lo ignorano – che la legge 40 contenga nei suoi articoli un esplicito rinvio alla legge 194: all'articolo 14 si scrive che "è vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194." E il 4° comma del medesimo articolo recita che "ai fini della presente legge sulla procreazione medicalmente assistita è vietata la riduzione embrionaria di gravidanze plurime, salvo nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194". Questo significa due cose: la prima, che la legge 40 si auto-subordina alla legge 194, e in caso di conflitto, si proclama soccombente rispetto alla legge sull'aborto, che evidentemente non vuole contestare né contrastare. Secondo: che per quanto riguarda la crioconservazione, la soppressione di embrioni e l'aborto selettivo (definito riduzione embrionaria) la legge 194 prevale sulla legge 40. Queste verità devono essere dichiarate e non nascoste, per evitare che anche fra i cattolici prevalga una visione angelica ed edulcorata della legge 40, che è – come appena dimostrato – una nipotina della legge italiana sull'aborto.
FECONDAZIONE ARTIFICIALE ED EUGENETICA: UN MATRIMONIO INDISSOLUBILE Questo clima intra-cattolico di apologetica della legge 40 impedisce di vedere un fatto fondamentale, che dà ragione alla Grande Chambre: e cioè la natura intrinsecamente eugenetica di ogni fecondazione artificiale. Con essa l'uomo non è generato da un atto intimo degli sposi, diventa un prodotto, diventa una cosa, e come tale è privo di valore in sé. Dunque diventa misurabile, manipolabile, congelabile, uccidibile. Del resto, chi confeziona e vende un prodotto, ha il dovere di consegnarlo al cliente integro e senza difetti. La legge 40 rappresenta uno sforzo "volontaristico" di separare la pratica della Fivet in forma omologa da questa cosificazione dell'uomo-embrione. Ma è destinata a fallire, perché il cerchio non può diventare quadrato, e le gambe dei cani non si possono rendere diritte. C'è un legno storto intrinseco alla Fivet, e nessuna legge umana può raddrizzarlo. Da otto anni nel mondo cattolico – salvo lodevoli e maltrattate eccezioni - si fanno barricate per difendere la legge 40, dimenticandosi di gridare dai tetti il male contenuto in ogni fecondazione artificiale. Un grave vulnus al dovere di insegnare, sempre, la verità. Nel frattempo, i famosi "paletti" della legge 40 vengono colpiti e affondati uno a uno. Senza dimenticare che, anche con i paletti, ogni anno si provoca la morte di 9 embrioni su 10 per avere un bambino in braccio.
I COMMENTI IN ITALIA Questo clima trova conferma nei commenti seguiti alla sentenza della Grande Chambre: da un lato, la prevedibile euforia degli ambienti abortisti; dall'altro, l'imbarazzo del mondo pro-life prevalente, che pare ossessionato dalla difesa della legge 40 più che dal dovere di contrastare senza se e senza ma ogni fecondazione artificiale e ogni aborto volontario. Ma c'è di più: da qualche anno in Italia si è attenuata, o addirittura si è estinta, la denuncia della legge 194 come legge gravemente iniqua; se è smesso di dichiarare che la si vuole abolire; si è cominciato a dire che in fondo la scelta è della donna, e che al massimo si potrebbe dichiarare illecito l'aborto, ma depenalizzandolo. Chi rimane sulle barricate contro la legge sull'aborto è emarginato come pericoloso integralista all'interno dello stesso mondo pro-life. Del resto, la Marcia per la Vita svoltasi a Roma nel maggio di quest'anno è il sintomo clamoroso di questo malessere diffuso. Ora, la sentenza della Corte Europea smaschera questa fase di grave tiepidezza della cultura pro-life italiana. In verità, su una cosa la Grande Chambre sbaglia: la legge 40 e la legge 194 non sono affatto incoerenti, ma perfettamente consequenziali: tanto la fivet quanto l'aborto riducono il concepito a un oggetto che si può distruggere a piacimento, e nessuna "regolamentazione" può impedire questo esito intrinseco.
CHE POSSIAMO FARE? Il Governo Monti pare intenzionato a impugnare la sentenza della Grande Chambre, e questa è certo una buona risposta politica. Ma a ciascuno di noi, al mondo cattolico, ai suoi pastori, e alle associazioni pro-life, è richiesto molto di più. Occorre abbandonare il linguaggio flautato e politicamente corretto con il quale si difendono le leggi ingiuste in nome del male minore. E bisogna tornare ad eleggere come propria bandiera e stile le parole pronunciate da Benedetto XVI a Castel Gandolfo il 29 agosto di quest'anno; "Cari fratelli e sorelle, celebrare il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l'amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni".
Fonte: Il Timone, settembre-ottobre 2012 (n. 116)
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OMELIA XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - (Mc 9,38-43.45.47-48)
Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 30/09/2012)
La pagina del Vangelo di questa domenica è ricca di insegnamenti. Prima di tutto essa ci insegna a guardarci dal brutto peccato della gelosia. Questo difetto lo possiamo riscontrare sia nell'atteggiamento di quel giovane che, nella prima lettura, voleva che Mosè impedisse a Eldad e a Medad di profetizzare; e sia nell'apostolo Giovanni, il quale desiderava che Gesù impedisse ad un tale di scacciare i demoni, per il semplice fatto che non era dei loro. Nella prima lettura, Mosè rispose: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore!» (Nm 11,29); nel Vangelo, invece, Gesù risponde: «Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,39-40). Il messaggio che riceviamo da questi due episodi è molto importante: dobbiamo apprezzare tutto il bene che il prossimo opera, come se fosse nostro, e dobbiamo, per questo, ringraziare il Signore. Il rattristarsi per questo bene operato dal prossimo non è certamente un buon segno ed è, purtroppo, una mancanza di carità molto diffusa anche da parte di quelli che pregano e frequentano la Messa alla domenica. Impariamo a ringraziare il Signore per tutto il bene che vediamo attorno a noi: il Signore premierà questo nostro sentimento di carità, donandoci lo stesso bene che ammiriamo nel prossimo. Il secondo insegnamento riguarda invece la triste realtà dello scandalo. Gesù dice: «Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare» (Mc 9,42). Queste parole sono tra le più severe che Gesù abbia pronunciato in tutto il Vangelo e, ai nostri giorni, sono più che mai attuali. Quanti scandali rovinano le anime! Lo scandalo è un bruttissimo peccato, in quanto trascina nel male tutti quelli che lo subiscono. Scandalizzare significa spingere al male con il proprio cattivo esempio. Guardiamoci da questo brutto peccato e proponiamoci di dare sempre buon esempio a tutti. Ai nostri giorni si dà scandalo in tanti modi: nel parlare, nel comportarsi, nel vestire indecentemente, nel proporre modelli di vita contrari al Vangelo. I moderni mezzi di comunicazione non fanno altro che orientare l'opinione pubblica verso questi esempi sbagliati. Il cristiano deve reagire e opporsi in tutti i modi. Il Vangelo di oggi ci insegna a fuggire risolutamente tutte le occasioni prossime di peccato, ovvero tutte quelle situazioni che ci espongono imprudentemente al peccato. In questo senso devono essere lette le severe parole di Gesù: «Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile» (Mc 9,43). Non sono parole da prendere alla lettera, esse si devono intendere come la necessità di fuggire le occasioni prossime di peccato. San Filippo Neri insegnava che, di fronte a queste occasioni prossime di peccato, chi ha coraggio fugge, chi è debole vi rimane e cade miseramente. Nessuno si deve sopravvalutare. Siamo tutti deboli e, se finora non siamo caduti in certi peccati, non è certo per merito nostro, ma perché il Signore ci ha sostenuti per riguardo alla nostra debolezza; ma, se ci esponiamo imprudentemente al pericolo, come a quello di frequentare amicizie equivoche, di vedere spettacoli immorali, non potremo confidare nell'aiuto di Dio, il quale fugge quando noi ci esponiamo temerariamente al male, dando per scontato che comunque Dio ci aiuterà. L'umiltà e la prudenza ci devono sempre guidare. Per non cadere nei grandi peccati è cosa fondamentale dare importanza anche alle più piccole cose. Mi spiego meglio: se un cristiano inizia a sorvolare sui piccoli peccati, dicendo che comunque sono cose da nulla, prima o poi cadrà anche nei più grandi peccati. Bisogna spegnere la scintilla finché è piccola, altrimenti essa si trasformerà in un grande incendio. Se si inizia a togliere una piccola piastrella, prima o poi verrà via tutto il pavimento; se si comincia a cedere nelle piccole cose, senza un minimo pentimento, si finirà con l'offendere il Signore nelle cose più gravi. L'ultimo insegnamento riguarda la carità. Gesù dice: «Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa» (Mc 9,41). Il Signore ricompensa anche il più piccolo gesto d'amore: facciamo in modo che le nostre giornate ne siano piene.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 30/09/2012)
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