BastaBugie n�137 del 23 aprile 2010
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LA PROPAGANDA NAZISTA CONTRO I PRETI PEDOFILI
Nel 1937 Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich, organizza una campagna del regime nazista per screditare la Chiesa Cattolica coinvolgendola in un presunto scandalo di preti pedofili
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Avvenire
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FIREPROOF, IL FILM STUPENDO DEL 2009 (GARANTITO DA NOI) E GRANDE SUCCESSO NEGLI USA
Come salvare il proprio matrimonio spengendo l'incendio che rischia di rovinarlo!
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: Zenit
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IPAZIA DI AMENABAR, IL PESSIMO FILM CHE STA PER USCIRE IN ITALIA
Tanto per cambiare, la chiesa e' il cattivo
Autore: Alessandro Zaccuri - Fonte: Avvenire
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ADDIO A VIANELLO E BONGIORNO
Con voi scompare la televisione che fa servizio pubblico (vedi il caso Katyn)
Autore: Gigio Rancilio - Fonte: Avvenire
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RU486 NELLE REGIONI
Lo sterile dibattito sulle dichiarazioni dei neo eletti presidenti di Piemonte e Veneto
Fonte: Corrispondenza Romana
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L'ILLUSIONE TECNOLOGICA SVELATA DAL VULCANO ISLANDESE
Quando l'uomo si illude di imbrigliare la natura (errore che costò caro anche ad Hitler)
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: Avvenire
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INSEGNARE, SANTIFICARE E GOVERNARE
Quando il sacerdote agisce in persona di Cristo Capo
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Sito del Vaticano
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LETTERE ALLA REDAZIONE: SE ANCHE IN AMBIENTE CATTOLICO SI DUBITA DELLA SINDONE C'E' QUALCOSA CHE NON VA
Un consiglio per i catechisti, i parroci e i semplici fedeli
Autore: Giano Colli - Fonte: BastaBugie
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OMELIA PER LA IV DOMENICA TEMPO PASQUA - ANNO C - (Gv 10, 27-30)
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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LA PROPAGANDA NAZISTA CONTRO I PRETI PEDOFILI
Nel 1937 Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich, organizza una campagna del regime nazista per screditare la Chiesa Cattolica coinvolgendola in un presunto scandalo di preti pedofili
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Avvenire, 16 aprile 2010
"Ci sono casi di abusi sessuali che vengono alla luce ogni giorno contro un gran numero di membri del clero cattolico. Purtroppo non si può più parlare di casi individuali ma di una crisi morale collettiva che forse la storia culturale dell'umanità non ha mai conosciuto in una dimensione così spaventosa e sconcertante. Numerosi sacerdoti e religiosi sono rei confessi. Non c'è dubbio che le migliaia di casi venuti a conoscenza della giustizia rappresentino solo una piccola frazione dell'ammontare autentico, dal momento che molti molestatori sono stati coperti e nascosti dalla gerarchia". Un editoriale del New York Times del 2010? No: un discorso del 28 maggio 1937 di Joseph Goebbels (1897-1945), ministro della propaganda del Terzo Reich. Questo discorso, di grande risonanza internazionale, si situa al culmine di una campagna lanciata dal regime nazista per screditare la Chiesa Cattolica coinvolgendola in uno scandalo di preti pedofili. 276 religiosi e 49 sacerdoti secolari sono arrestati nel 1937. Gli arresti si susseguono in tutte le diocesi tedesche, in modo da tenere gli scandali sempre sulla prima pagina dei giornali. Il 10 marzo 1937 con l'enciclica Mit brennender Sorge papa Pio XI (1857-1939) condanna l'ideologia nazista. Alla fine dello stesso mese il Ministero della Propaganda guidato da Goebbels lancia la campagna contro gli abusi sessuali dei sacerdoti. La programmazione e la gestione di questa campagna è nota grazie a documenti la cui storia è all'altezza dei migliori romanzi di spionaggio. Nel 1937 il capo del servizio di controspionaggio militare tedesco è l'ammiraglio Wilhelm Canaris (1887-1945). È diventato gradualmente antinazista e sta maturando le convinzioni che lo porteranno a organizzare il fallito attentato a Hitler del 1944, in seguito al quale sarà impiccato nel 1945. Canaris disapprova le manovre di Goebbels contro la Chiesa e incarica l'avvocato cattolico Josef Müller (1878-1979) di portare a Roma una serie di documenti segretissimi sul tema. A diverse riprese Müller - prima di essere arrestato e internato nel campo di sterminio di Dachau, cui sopravvivrà diventando nel dopoguerra ministro della giustizia della Baviera - porta i documenti segreti a Pio XII (1876-1958), che chiede alla Compagnia di Gesù di studiarli. Con l'approvazione della segreteria di Stato le indagini sul complotto nazista contro la Chiesa sono affidate al gesuita tedesco Walter Mariaux (1894-1963), che dopo avere animato in Germania l'organizzazione antinazista Pauluskreis è stato prudentemente inviato come missionario in Brasile e in Argentina. Qui come dirigente della Congregazione Mariana esercita la sua influenza su tutta una generazione di laici cattolici, tra cui il noto pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), che frequenta un suo gruppo a San Paolo. Mariaux pubblica nel 1940 a Londra in inglese e nel 1941 a Buenos Aires in spagnolo, con lo pseudonimo di "Testis Fidelis", due volumi sulla persecuzione anti-cattolica nel Terzo Reich: oltre settecento pagine di documenti commentati, che suscitano una grande emozione in tutto il mondo. L'espressione "panico morale" è stata coniata dai sociologi solo negli anni 1970 per identificare un allarme sociale creato ad arte amplificando fatti reali ed esagerandone il numero attraverso statistiche folkloriche, nonché "scoprendo" e presentando come "nuovi" avvenimenti in realtà già noti e risalenti nel tempo. Alla base ci sono eventi reali, ma è il loro numero che è sistematicamente distorto. Anche senza avere a disposizione la sociologia moderna, Goebbels risponde all'enciclica Mit brennender Sorge nel 1937 con un'operazione da manuale di creazione di un panico morale. Come sempre nei panici morali, i fatti non sono totalmente inventati. Prima dell'enciclica vi erano stati in Germania alcuni casi di abusi su minori. Lo stesso Mariaux considera colpevoli un religioso di una scuola di Bad Reichenall, un professore laico, un giardiniere e un bidello condannati nel 1936, rilevando però che la sanzione decisa dal Ministero della Pubblica Istruzione della Baviera - la revoca dell'autorizzazione a gestire istituti scolastici a quattro ordini religiosi - è del tutto sproporzionata e si collega alla volontà del regime di stroncare le scuole cattoliche. Anche sul caso di alcuni francescani di Waldbreitbach, in Renania, Mariaux rimane aperto all'ipotesi di una colpevolezza degli accusati, benché storici successivi non abbiano escluso una montatura nazista. I casi - pochissimi ma reali - avevano determinato una fermissima reazione dell'episcopato. Il 2 giugno 1936 il vescovo di Münster, il beato Clemens August von Galen (1878-1946) - l'anima della resistenza cattolica al nazismo, beatificato nel 2005 da Benedetto XVI - fa leggere nelle Messe domenicali una dichiarazione dove esprime "il dolore e la tristezza" per gli "abominevoli delitti" che "coprono d'ignominia la nostra Santa Chiesa". Il 20 agosto 1936 dopo i fatti di Waldbreitbach l'episcopato tedesco pubblica una lettera pastorale collettiva nella quale "condanna severamente" i responsabili e sottolinea la collaborazione della Chiesa con i tribunali dello Stato. Alla fine del 1936 le severe misure prese - a fronte di pochissimi casi, alcuni dei quali dubbi - dai vescovi tedeschi sembrano avere risolto i problemi reali. Sommessamente, i vescovi fanno anche rilevare che fra i maestri delle scuole di Stato e nella stessa organizzazione giovanile del regime, la Hitlerjugend, i casi di condanne per abusi sessuali sono molto più numerosi che nel clero cattolico. È l'enciclica contro il nazismo di Pio XI che determina la grande campagna del 1937. Mariaux lo prova pubblicando istruzioni dettagliatissime inviate da Goebbels pochi giorni dopo la pubblicazione della Mit brennender Sorge alla GESTAPO, la polizia politica del Terzo Reich, e soprattutto ai giornalisti, invitati a "riscoprire" i casi giudicati nel 1936, e anche episodi più antichi, riproponendoli costantemente all'opinione pubblica. Alla GESTAPO Goebbels ordina di trovare comunque testimoni che accusino un certo numero di sacerdoti, minacciandoli di arresto immediato se non collaborano, anche quando si tratta di bambini. La frase proverbiale "c'è un giudice a Berlino", che nella tradizione tedesca indica una fiducia nell'indipendenza della magistratura dai potenti di turno, vale però - entro certi limiti - perfino nel Terzo Reich. Dei 325 sacerdoti e religiosi arrestati dopo l'enciclica solo 21 sono condannati. È pressoché certo che fra questi ci siano degli innocenti calunniati. Quasi tutti finiranno nei campi di sterminio, dove molti moriranno. Il tentativo di squalificare la Chiesa Cattolica su scala internazionale tramite le accuse di immoralità e pedofilia ai sacerdoti, invece, non riuscirà. Grazie al coraggio di Canaris e dei suoi amici e alla persistenza del gesuita detective Mariaux la verità verrà fuori già durante la guerra. La perfidia della campagna di Goebbels susciterà più indignazione dell'eventuale colpevolezza di alcuni religiosi. Il padre di tutti i panici morali in materia di preti pedofili scoppierà in mano agli stessi propagandisti del nazismo che avevano cercato di organizzarlo.
DOSSIER "SACERDOTI ALLA GOGNA" Accusati ingiustamente, poi assolti Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: Avvenire, 16 aprile 2010
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FIREPROOF, IL FILM STUPENDO DEL 2009 (GARANTITO DA NOI) E GRANDE SUCCESSO NEGLI USA
Come salvare il proprio matrimonio spengendo l'incendio che rischia di rovinarlo!
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: Zenit, 19 gennaio 2010
Il fenomeno della dissoluzione matrimoniale si va sempre più diffondendo. In Italia ogni anno si contano, tra separazioni e divorzi, oltre 130 mila nuovi casi (356 ogni giorno). Secondo i dati Istat del 2007, ci sono state 81.359 separazioni (+1,2% rispetto al 2006) e 50.669 divorzi (+2,3%). I figli coinvolti sono 100.252 nelle separazioni e 49.087 nei divorzi. Insieme alle sofferenze, a disagi, alle spese, quello che fa più impressione è il disfacimento del tessuto sociale. Per far fronte a questa emorragia, la Chiesa Cattolica ha da anni attivato una pastorale per i divorziati e sta lavorando sodo nella preparazione al matrimonio. Intervistato da ZENIT don Marcello di Fulvio, responsabile dell'ufficio comunicazioni sociali della Diocesi di Palestrina, ha spiegato che nel lavoro di educazione e formazione è stato molto utile la proiezione del film "Fireproof" (...). Il film, uscito nelle sale in Italia lo scorso luglio, e ora disponibile anche in formato Home Video, racconta la storia di Caleb Holt, un vigile del fuoco, il quale vive tenendo sempre in mente una massima del padre: "Mai lasciare indietro il tuo compagno". Mentre si prodiga per salvare vite umane, Caleb non è abbastanza sensibile e gentile per salvare il suo matrimonio, che dopo sette anni rischia di naufragare. In maniera assolutamente veritiera il film mostra i litigi tra Caleb e sua moglie Catherine. I due sembrano non comprendersi più, ed anche quando Caleb su consiglio del padre si comporta più gentilmente, Catherine, tentata da un medico, non riesce a capirlo. A questo punto la "Prova del fuoco" diventa una sfida ad amare di più. Consigliato e sfidato dal padre, Caleb non accetta l'idea della separazione e del successivo divorzio, si mette in gioco e comincia a seguire un programma di 40 giorni, come dettato dal libro "La sfida dell'amore". Una sorta di educazione all'amore gratuito e incondizionato, con la pratica di esercizi quotidiani per contrastare il proprio egoismo e sviluppare una più vasta capacità di amare. Nonostante gli sforzi di Caleb, a causa di equivoci e tentazioni, Catherine respinge continuamente le attenzioni di suo marito e arriva a chiedergli il divorzio. Ma proprio nel momento più duro Caleb trova la fede, si rinnova, gode del sostegno dei suoi genitori che lo spingono a non mollare e a migliorarsi. (...) Quando è uscito negli Stati Uniti, Fireproof ha fatto segnare un incredibile esordio, con oltre due milioni di dollari incassati al suo primo giorno di programmazione, avendo a disposizione meno di 900 sale. Il film è scritto e diretto da Alex Kendrick, un pastore battista, regista di "Affrontando i Giganti", un altro film che nel 2006, pur essendo costato appena 100,000 dollari, riuscì ad incassare negli Usa ben 10 milioni di dollari. Don Marcello di Fulvio ha detto a ZENIT di essere rimasto colpito da come il film e il libro guidino "verso un percorso di fede matrimoniale, sottolineando l'importanza della indissolubilità del matrimonio". Secondo il responsabile della comunicazione della Diocesi di Palestrina, il film oltre ad essere fatto cinematograficamente molto bene è adatto anche ai giovani che si accingono a sposarsi. "Offre molti spunti di riflessione catechistici senza mai annoiare o cadere in una forma di bigottismo che lo renderebbero poco credibile", ha commentato il sacerdote. "In un panorama cinematografico italiano che si vanta di distribuire volgari cinepanettoni - ha concluso don Marcello - questo è un film che parla della famiglia con ben altri concetti, per questo credo che sia da diffondere e da valorizzare".
Nota di BastaBugie: per maggiori informazioni sul film ''fireproof'', vedere il trailer, la colonna sonora, le clip commentate del film e molto altro, clicca nel link qui sotto: http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=22
Fonte: Zenit, 19 gennaio 2010
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IPAZIA DI AMENABAR, IL PESSIMO FILM CHE STA PER USCIRE IN ITALIA
Tanto per cambiare, la chiesa e' il cattivo
Autore: Alessandro Zaccuri - Fonte: Avvenire, 14 aprile 2010
Fa sempre piacere dibattere del IV secolo. Significa che ci si trova in compagnia di persone istruite, capaci di distinguere il IV secolo dal III, o dal V. Il XXI, poi, risulta immediatamente fuori discussione, anche se questo comporta un indubbio sacrificio, perché sì, ammettiamolo: quell’epoca remota assomiglia al tempo in cui viviamo. Un’epoca di transizione, incerta e a tratti confusa, esposta al rischio della violenza, alla tentazione dello scontro frontale. Impossibile da iscrivere in un cerchio, la figura geometrica che, nella finzione cinematografica, risulta l’emblema ossessivo di Ipazia, la grande pensatrice neoplatonica protagonista di Agora, il film di Alejandro Amenábar in arrivo nelle sale italiane il 23 aprile. Programmazione tormentata, questa della nuova pellicola del regista di The Others e Mare dentro, tanto da suscitare una petizione online alla quale hanno aderito intellettuali di grido, tutti egualmente preoccupati dal fatto che l’uscita di Agora in Italia fosse ostacolata dal suo contenuto potenzialmente anticristiano. Insomma, il film dalle nostre parti non si sarebbe potuto vedere perché sgradito alla Chiesa. Argomentazione speciosa, considerato che molte altre pellicole hanno faticato e faticano a trovare un distributore in Italia (La strada, tratto dal capolavoro di Cormac McCarthy, ha avuto vita difficile, e di The Blind Side, per cui la sventurata Sandra Bullock ha appena ricevuto un Oscar, si sa già che non arriverà mai nelle sale: in entrambi i casi si tratta, tra l’altro, di film cristianamente ineccepibili...). Fatto sta che l’appello ha avuto esito più che positivo e adesso il debutto di Agora è accompagnato da una serie di eventi culturali senza precedenti: un convegno oggi pomeriggio a Roma presso l’Enciclopedia Italiana, un altro il 20 aprile a Milano nella sede della Banca Popolare, un dibattito il 21 a Genova. Ogni volta, relatori di tutto rispetto, da Luciano Canfora a Silvia Ronchey, da Umberto Eco a Eva Cantarella, da Franco Cardini allo stesso Amenábar. Giusto, si dirà, perché il film si basa su un robusto lavoro di ricerca storica ed è opportuno riportare l’attenzione su una figura come quella di Ipazia, ancora ignorata da un’ampia parte del pubblico. Ci sono due modi, però, di affrontare il passato, due criteri non necessariamente contraddittori, ma che chiedono almeno di essere riconosciuti e distinti. Il primo è lo sguardo che potremmo definire dell’esattezza. Quanto è precisa, per esempio, la ricostruzione dell’Alessandria del IV secolo che fa da sfondo ad Agora? Altro che precisa è precisissima, in alcuni momenti addirittura ammirevole (l’impatto visivo, sia detto con chiarezza, risulta il pregio maggiore del film). Anche la sceneggiatura, inoltre, è sufficientemente smaliziata da evitare le forzature più grossolane. Basti considerare la cautela con cui il vescovo Cirillo viene presentato quale mandante morale e non quale diretto responsabile dell’uccisione di Ipazia, interpretata dall’attrice Rachel Weisz. Come se non bastasse, le circostanze dell’assassinio da parte dei fanatici cristiani sono addirittura edulcorate rispetto alla narrazione di Socrate Scolastico, l’autore ecclesiastico a cui si devono le informazioni sul terribile episodio. Ma c’è un altro criterio, un secondo punto di vista che si può adottare nei confronti del passato, ed è quello dell’analogia. Ecco, senza questo diverso inquadramento prospettico forse non ci sarebbe stata nessuna petizione per Agora. Anzi, forse non ci sarebbe stato neppure Agora. Dopo una prima parte tutto sommato equilibrata e coinvolgente nel descrivere il marasma dell’Alessandria tardo-antica, nella quale credenze vecchie e nuove si intrecciano in una rete pressoché inestricabile di conflitti, con la scena madre della distruzione della Biblioteca da parte dei cristiani il film cambia bruscamente di tono e il gioco delle analogie si fa più evidente. Cirillo e i suoi seguaci, i monaci parabolani, si presentano come una sorta di Gestapo, la Chiesa è una congrega oscurantista e misogina (ma perché anche qui, come già nel Codice Da Vinci, ci si dimentica sempre della Vergine Maria?), la fede appare di volta in volta come una scelta opportunistica, come una fuga dalla realtà, mai come un tormento. La stessa Ipazia lo afferma con chiarezza quando, invitata a battezzarsi, sostiene che non potrebbe mai smettere di revocare in dubbio ciò in cui crede. Illuminismo scientifico contro cieco fideismo, dunque, con tanti saluti alla complessa elaborazione teologica che, proprio nel IV secolo, comporta una continua riconsiderazione di una tradizione ancora recente. Del resto, è così che funziona l’analogia: prende quel che serve e respinge tutto il resto. Il risultato è che, al di là delle raffinatezze filologiche di cui Agora è costellato, l’impressione generale che lo spettatore ne ricava è di una Chiesa arrogante e spietata, che si fa scudo del nome di Dio per compiere stragi e perseguitare innocenti. Una tesi che, finalmente, rientra nel cerchio tanto amato da questa Ipazia cinematografica. D’accordo, l’intento di Amenábar sarà anche stato quello di mettere in guardia contro i fondamentalismi. Ma allora, petizione per petizione, non si potrebbe chiedere al regista di dedicare il suo prossimo film alle persecuzioni dei cristiani in Paesi come il Pakistan? Saremmo nel XXI secolo e non nel IV, saremmo quaggiù sulla Terra e non lassù, nel cielo stellato che occupa tanta parte di Agora. E potremmo, per una volta, accontentarci dell’esattezza senza più preoccuparci dell’analogia.
Fonte: Avvenire, 14 aprile 2010
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ADDIO A VIANELLO E BONGIORNO
Con voi scompare la televisione che fa servizio pubblico (vedi il caso Katyn)
Autore: Gigio Rancilio - Fonte: Avvenire, 16 aprile 2010
La tv dei Vianello e dei Bongiorno – solo per fermarci agli ultimi due grandi che ci hanno lasciato – non è morta. Anche se la rimpiangiamo con dolore ancor più pungente in questi casi luttuosi, quella tv esiste ancora. È la famosa televisione da servizio pubblico. Quella che rispetta i telespettatori, che li fa divertire con garbo e che, spesso, li aiuta persino a crescere. Questa tv non è morta. Ma, sempre più spesso, viene tenuta ai margini dei palinsesti. Piazzata in orari e su canali «di nicchia», magari per dare un contentino a certi politici e al tempo stesso non infastidirne altri. Per spiegarci meglio, vi chiediamo di immaginare per qualche secondo un ipotetico quiz tv, con un conduttore qualunque e un concorrente qualunque. Ma con una domanda precisa: «I grandi della terra domenica sono attesi a Cracovia per le esequie del presidente polacco Lech Kaczynki e della moglie Maria, morti sabato mentre erano diretti a Katyn per commemorare le vittime polacche dell’eccidio sovietico del 1940. Crede sia giusto che la Rai mandi in onda sabato il recente film di Wajda su Katyn, che ha svelato quel crimine, negato per anni?». La risposta non si farebbe attendere: «Certo. E sarebbe bello se lo facesse precedere o seguire da una parte giornalistica che ricostruisca gli avvenimenti, fino ai giorni nostri». Il pubblico a questo punto probabilmente applaudirebbe. Il conduttore si congratulerebbe col concorrente. E la sigla finale darebbe il giusto suggello ad una puntata felice. Fin qui la fantasia. Nella realtà invece a chiedere al direttore generale della Rai di trasmettere «Katyn» è stato il capogruppo del Pdl al senato Gasparri, con una lettera. La risposta è arrivata dopo qualche ora. «Lo manderemo alle 21.30 su Rainews 24». Cioè su un canale, potenzialmente seguito da tutti i possessori del digitale terrestre (più o meno il 35% del totale), ma nei fatti seguito da un pubblico che oscilla attorno all’1% (meno di 200mila spettatori, quando tocca le punte massime). «Katyn merita la prima serata su Raiuno. Così si fa il servizio pubblico» ha replicato Gasparri, ignorato dai grandi giornali. «È un bel film che ha riscritto con esattezza una verità che altri hanno per troppo tempo voluto occultare». Il punto sta proprio qui. Che qualunque scelta del servizio pubblico in questo Paese sembra dover essere per forza «politica». Un gesto «contro». Come se trasmettere un film come «Katyn» su Raiuno (o Raidue o Raitre) fosse un colpo da rifilare alla sinistra e non un momento di buona televisione e buon cinema. Per lo stesso motivo, se fosse stato programmato su uno dei canali Rai più visti, qualcuno in una qualche sinistra avrebbe probabilmente gridato alla strumentalizzazione. Il risultato è un pastrocchio. Non potendo scontentare un importante esponente della maggioranza (e il ministro dei Beni culturali Bondi, che si è subito unito alla richiesta di Gasparri) la Rai ha tentato di accontentare un po’ tutti. «Katyn va in onda, ma su Rainews24». Cioè, un po’ defilato. Così da non disturbare troppo. Peccato che così facendo non si sia tenuto conto di un terzo soggetto, quello che per un servizio pubblico dovrebbe essere il più importante: i cittadini. Tanto più che «Katyn» – forse lo ricorderete, visto che fu questo giornale a denunciarlo – è già stato penalizzato nei cinema. Considerato troppo poco commerciale ha trovato una sua degna collocazione grazie soprattutto allo sforzo di illuminati gestori di cinema d’essai e parrocchiali. Anche per questo il servizio pubblico avrebbe potuto e dovuto fare di più. In fondo a regolare gli obblighi della Rai verso lo Stato (cioè, verso ognuno di noi) c’è anche un Contratto di ben 43 articoli. Alcuni dei quali sembrano scritti apposta per la vicenda «Katyn». Per maggiori informazioni: http://www.filmgarantiti.it/it/index.php
Fonte: Avvenire, 16 aprile 2010
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RU486 NELLE REGIONI
Lo sterile dibattito sulle dichiarazioni dei neo eletti presidenti di Piemonte e Veneto
Fonte Corrispondenza Romana, 17/4/2010
Il recente polverone scatenato dalle dichiarazioni dei neo eletti presidenti Cota e Zaia, rispettivamente alle regioni Piemonte e Veneto, sulla somministrazione della pillola Ru486 nelle strutture sanitarie pubbliche, getta luce sulla vera posta in gioco nel dibattito politico sull’aborto volontario. I governatori leghisti hanno promesso battaglia nei confronti della pillola abortiva, la cui commercializzazione è stata recentemente autorizzata dall’Aifa, facendo chiaramente intendere che utilizzeranno tutti gli strumenti legislativi a loro disposizione per impedirne l’arrivo negli ospedali delle loro regioni e dunque la somministrazione. Curiosamente, le reazioni del mondo pro-life alla coraggiosa iniziativa sono state fredde se non ambigue, quando addirittura ostili. Interpellata al riguardo, il sottosegretario alla salute ed esponente di spicco dei pro-life italiani Eugenia Roccella, non ha pensato di meglio che rimproverare gli esponenti della lega di tirare in ballo l’autonomia regionale solo quando fa loro comodo, ed auspicare che si giunga ad un protocollo di utilizzo della Ru486 condiviso da tutte le regioni. Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc, pur dichiarandosi schierato sempre dalla parte della vita, condanna le esternazioni dei governatori leghisti, colpevoli di agire in contrasto con una legge dello stato che, secondo il suo giudizio, gli uomini delle istituzioni devono applicare (“Avvenire”, 3 aprile 2010). L’iniziativa anti Ru486 dei neo presidenti, sebbene non sia rivolta a contrastare l’aborto legale ma a tutelare la salute della donna, mette in discussione, sfiorandolo appena, il vero fondamento dell’ideologia abortista, ossia il principio di autodeterminazone della donna. Solo l’idea che la “libera” scelta di decidere se terminare o proseguire una gravidanza possa subire delle limitazioni (in questo caso la possibilità di optare per l’aborto chimico anziché per quello chirurgico), costituisce un autentico attentato al dogma dell’autodeterminazione che scatena immediate reazioni, sia da parte del mondo femminista, laicista ed anticattolico, che da quello istituzionalmente più vicino alle posizioni in difesa della vita; mentre le prime assumono i contorni di una protesta rabbiosa e scomposta, le seconde risultano più “felpate” e apparentemente meno aggressive. Pur tuttavia, entrambe contengono il veleno mortifero dell’ideologia che imprigiona il dibattito politico in uno sterile e penosissimo “chiacchiericcio”, avente come scopo il ripristino del minacciato equilibrio. Cosicché, mentre ogni giorno negli ospedali italiani si consuma sotto silenzio l’olocausto di centinaia di esseri umani innocenti sacrificati sull’altare dell’autodeterminazione femminile, gli esponenti politici e di spicco del mondo cattolico e pro-life polemizzano con la parte avversa circa l’opportunità di somministrare la pillola Ru486 in regime di ricovero ordinario oppure in day hospital, avendo come obiettivo il corretto equilibrio tra la salvaguardia della salute psicofisica della donna ed il rispetto della intoccabile legge 194.
Fonte: Corrispondenza Romana, 17/4/2010
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L'ILLUSIONE TECNOLOGICA SVELATA DAL VULCANO ISLANDESE
Quando l'uomo si illude di imbrigliare la natura (errore che costò caro anche ad Hitler)
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: Avvenire, 17 aprile 2010
Chiudere gli spazi aerei è stata senz’altro cosa saggia viste le possibili conseguenze per la sicurezza, eppure tra noi tutti prevalgono generalmente incredulità e sgomento per un fatto che appare incomprensibile: come mai le nostre tecnologie così sofisticate, le nostre potenti e ramificate infrastrutture si dimostrano così vulnerabili? Del resto, su scala ben più ridotta, è una questione che si ripropone spesso: lo scorso dicembre l’eccessivo freddo provocò il blocco di quattro treni nel tunnel della Manica; in marzo 50 navi restarono bloccate tra i ghiacci del Mar Baltico; e anche in Italia episodi di treni bloccati dal ghiaccio o dall’eccessivo calore non sono rari. Per non parlare dell’incidente accaduto la scorsa settimana al treno in Val Venosta o del ciclico riproporsi di terremoti e alluvioni che in pochi istanti spazzano via vite e strutture. In questi casi è poi diventata usuale la caccia al responsabile e all’incompetente di turno. In realtà il problema non sta nella tecnologia e neanche, salvo alcuni casi, in chi la maneggia. Il problema sta piuttosto nella nostra concezione di natura che è andata sviluppandosi in coincidenza del grande progresso scientifico e tecnologico del ventesimo secolo. Siamo pervasi di uno strano senso di onnipotenza che ci dà l’illusione di poter governare la natura a nostro piacimento, fino a pensare di poter decidere il clima per decreto legge. Così ad esempio è diffusa l’idea che la natura sia sostanzialmente statica, che abbia un suo equilibrio normale. E solo fattori esterni, ad esempio l’intervento umano, possono provocare cambiamenti di questo equilibrio. L’equilibrio della natura viene così fatto coincidere con le medie e le probabilità, al punto che ogni discostamento dalla media genera allarme. È un errore di prospettiva che costò caro anche ad Adolf Hitler – un altro che di onnipotenza se ne intendeva –, il quale attaccò la Russia perché i meteorologi del Terzo Reich, in base agli studi statistici del passato, gli avevano garantito che dopo due inverni freddi consecutivi sarebbe stato impossibile averne un terzo. E invece il 1941 fu l’anno più freddo del secolo e quell’inverno si rivelò particolarmente rigido oltre che in anticipo. Così la natura ricordò alla sua maniera che non è la probabilità a guidarla. Allo stesso modo terremoti e vulcani accadono perché la natura è dinamica, e la crosta terrestre è da sempre in continuo movimento. Un evento come quello di questi giorni può essere allora 'provvidenziale' perché ci ricorda che lo stesso sviluppo tecnologico ha la radice nel riconoscimento della superiore potenza della natura, le cui caratteristiche fondamentali sono l’unicità e la variabilità. Per questo nel corso dei millenni l’uomo, con la sua intelligenza, ha tentato di sviluppare dei sistemi di adattamento alle diverse condizioni climatiche e ambientali, a cominciare dal riparo: dalla grotta si è passati alla palafitta e via via lungo i millenni fino alle attuali abitazioni costruite con sistemi anti-sismici. Le nostre sofisticate infrastrutture tecnologiche sono utilissime in questa opera di adattamento, ma guai a dimenticare il nostro limite. Chi pensa, o induce a pensare, di poter «normalizzare» la natura e, più in generale, di poter controllare la realtà, prepara solo tragedie: non possiamo imprigionare i fiumi, fermare le coste, costruire sui vulcani e lungo le rive, far crescere città prevedendo solo asfalto e cemento, stabilizzare il clima e il livello dei mari, impedire terremoti ed eruzioni vulcaniche. Accettare qualche giorno di disagio (e anche perdite economiche che vanno messe nel conto) per gli aerei costretti a terra è il primo passo per ritrovare la giusta prospettiva. Cioè, quella più aderente alla realtà.
Fonte: Avvenire, 17 aprile 2010
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INSEGNARE, SANTIFICARE E GOVERNARE
Quando il sacerdote agisce in persona di Cristo Capo
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Sito del Vaticano, 14 aprile 2010
Cari amici, in questo periodo pasquale, che ci conduce alla Pentecoste e ci avvia anche alle celebrazioni di chiusura dell'Anno Sacerdotale, in programma il 9, 10 e 11 giugno prossimo, mi è caro dedicare ancora alcune riflessioni al tema del Ministero ordinato, soffermandomi sulla realtà feconda della configurazione del sacerdote a Cristo Capo, nell'esercizio dei tria munera che riceve, cioè dei tre uffici di insegnare, santificare e governare. Per capire che cosa significhi agire in persona Christi Capitis - in persona di Cristo Capo - da parte del sacerdote, e per capire anche quali conseguenze derivino dal compito di rappresentare il Signore, specialmente nell'esercizio di questi tre uffici, bisogna chiarire anzitutto che cosa si intenda per "rappresentanza". Il sacerdote rappresenta Cristo. Cosa vuol dire, cosa significa "rappresentare" qualcuno? Nel linguaggio comune, vuol dire – generalmente - ricevere una delega da una persona per essere presente al suo posto, parlare e agire al suo posto, perché colui che viene rappresentato è assente dall'azione concreta. Ci domandiamo: il sacerdote rappresenta il Signore nello stesso modo? La risposta è no, perché nella Chiesa Cristo non è mai assente, la Chiesa è il suo corpo vivo e il Capo della Chiesa è lui, presente ed operante in essa. Cristo non è mai assente, anzi è presente in un modo totalmente libero dai limiti dello spazio e del tempo, grazie all'evento della Risurrezione, che contempliamo in modo speciale in questo tempo di Pasqua. Pertanto, il sacerdote che agisce in persona Christi Capitis e in rappresentanza del Signore, non agisce mai in nome di un assente, ma nella Persona stessa di Cristo Risorto, che si rende presente con la sua azione realmente efficace. Agisce realmente e realizza ciò che il sacerdote non potrebbe fare: la consacrazione del vino e del pane perché siano realmente presenza del Signore, l'assoluzione dei peccati. Il Signore rende presente la sua propria azione nella persona che compie tali gesti. Questi tre compiti del sacerdote - che la Tradizione ha identificato nelle diverse parole di missione del Signore: insegnare, santificare e governare - nella loro distinzione e nella loro profonda unità sono una specificazione di questa rappresentazione efficace. Essi sono in realtà le tre azioni del Cristo risorto, lo stesso che oggi nella Chiesa e nel mondo insegna e così crea fede, riunisce il suo popolo, crea presenza della verità e costruisce realmente la comunione della Chiesa universale; e santifica e guida. Il primo compito del quale vorrei parlare oggi è il munus docendi, cioè quello di insegnare. Oggi, in piena emergenza educativa, il munus docendi della Chiesa, esercitato concretamente attraverso il ministero di ciascun sacerdote, risulta particolarmente importante. Viviamo in una grande confusione circa le scelte fondamentali della nostra vita e gli interrogativi su che cosa sia il mondo, da dove viene, dove andiamo, che cosa dobbiamo fare per compiere il bene, come dobbiamo vivere, quali sono i valori realmente pertinenti. In relazione a tutto questo esistono tante filosofie contrastanti, che nascono e scompaiono, creando una confusione circa le decisioni fondamentali, come vivere, perché non sappiamo più, comunemente, da che cosa e per che cosa siamo fatti e dove andiamo. In questa situazione si realizza la parola del Signore, che ebbe compassione della folla perché erano come pecore senza pastore. (cfr Mc 6, 34). Il Signore aveva fatto questa constatazione quando aveva visto le migliaia di persone che lo seguivano nel deserto perché, nella diversità delle correnti di quel tempo, non sapevano più quale fosse il vero senso della Scrittura, che cosa diceva Dio. Il Signore, mosso da compassione, ha interpretato la parola di Dio, egli stesso è la parola di Dio, e ha dato così un orientamento. Questa è la funzione in persona Christi del sacerdote: rendere presente, nella confusione e nel disorientamento dei nostri tempi, la luce della parola di Dio, la luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo. Quindi il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie, proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola, il suo modo di vivere e di andare avanti. Per il sacerdote vale quanto Cristo ha detto di se stesso: "La mia dottrina non è mia" (Gv, 7, 16); Cristo, cioè, non propone se stesso, ma, da Figlio, è la voce, la parola del Padre. Anche il sacerdote deve sempre dire e agire così: "la mia dottrina non è mia, non propago le mie idee o quanto mi piace, ma sono bocca e cuore di Cristo e rendo presente questa unica e comune dottrina, che ha creato la Chiesa universale e che crea vita eterna". Questo fatto, che il sacerdote cioè non inventa, non crea e non proclama proprie idee in quanto la dottrina che annuncia non è sua, ma di Cristo, non significa, d'altra parte, che egli sia neutro, quasi come un portavoce che legge un testo di cui, forse, non si appropria. Anche in questo caso vale il modello di Cristo, il quale ha detto: Io non sono da me e non vivo per me, ma vengo dal Padre e vivo per il Padre. Perciò, in questa profonda identificazione, la dottrina di Cristo è quella del Padre e lui stesso è uno col Padre. Il sacerdote che annuncia la parola di Cristo, la fede della Chiesa e non le proprie idee, deve anche dire: Io non vivo da me e per me, ma vivo con Cristo e da Cristo e perciò quanto Cristo ci ha detto diventa mia parola anche se non è mia. La vita del sacerdote deve identificarsi con Cristo e, in questo modo, la parola non propria diventa, tuttavia, una parola profondamente personale. Sant'Agostino, su questo tema, parlando dei sacerdoti, ha detto: "E noi che cosa siamo? Ministri (di Cristo), suoi servitori; perché quanto distribuiamo a voi non è cosa nostra, ma lo tiriamo fuori dalla sua dispensa. E anche noi viviamo di essa, perché siamo servi come voi" (Discorso 229/E, 4). L'insegnamento che il sacerdote è chiamato ad offrire, le verità della fede, devono essere interiorizzate e vissute in un intenso cammino spirituale personale, così che realmente il sacerdote entri in una profonda, interiore comunione con Cristo stesso. Il sacerdote crede, accoglie e cerca di vivere, prima di tutto come proprio, quanto il Signore ha insegnato e la Chiesa ha trasmesso, in quel percorso di immedesimazione con il proprio ministero di cui san Giovanni Maria Vianney è testimone esemplare (cfr Lettera per l'indizione dell'Anno Sacerdotale). "Uniti nella medesima carità – afferma ancora sant'Agostino - siamo tutti uditori di colui che è per noi nel cielo l'unico Maestro" (Enarr. in Ps. 131, 1, 7). Quella del sacerdote, di conseguenza, non di rado potrebbe sembrare "voce di uno che grida nel deserto" (Mc 1,3), ma proprio in questo consiste la sua forza profetica: nel non essere mai omologato, né omologabile, ad alcuna cultura o mentalità dominante, ma nel mostrare l'unica novità capace di operare un autentico e profondo rinnovamento dell'uomo, cioè che Cristo è il Vivente, è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita del mondo e ci dona la verità, il modo di vivere. Nella preparazione attenta della predicazione festiva, senza escludere quella feriale, nello sforzo di formazione catechetica, nelle scuole, nelle istituzioni accademiche e, in modo speciale, attraverso quel libro non scritto che è la sua stessa vita, il sacerdote è sempre "docente", insegna. Ma non con la presunzione di chi impone proprie verità, bensì con l'umile e lieta certezza di chi ha incontrato la Verità, ne è stato afferrato e trasformato, e perciò non può fare a meno di annunciarla. Il sacerdozio, infatti, nessuno lo può scegliere da sé, non è un modo per raggiungere una sicurezza nella vita, per conquistare una posizione sociale: nessuno può darselo, né cercarlo da sé. Il sacerdozio è risposta alla chiamata del Signore, alla sua volontà, per diventare annunciatori non di una verità personale, ma della sua verità. Cari confratelli sacerdoti, il Popolo cristiano domanda di ascoltare dai nostri insegnamenti la genuina dottrina ecclesiale, attraverso la quale poter rinnovare l'incontro con Cristo che dona la gioia, la pace, la salvezza. La Sacra Scrittura, gli scritti dei Padri e dei Dottori della Chiesa, il Catechismo della Chiesa Cattolica costituiscono, a tale riguardo, dei punti di riferimento imprescindibili nell'esercizio del munus docendi, così essenziale per la conversione, il cammino di fede e la salvezza degli uomini. "Ordinazione sacerdotale significa: essere immersi [...] nella Verità" (Omelia per la Messa Crismale, 9 aprile 2009), quella Verità che non è semplicemente un concetto o un insieme di idee da trasmettere e assimilare, ma che è la Persona di Cristo, con la quale, per la quale e nella quale vivere e così, necessariamente, nasce anche l'attualità e la comprensibilità dell'annuncio. Solo questa consapevolezza di una Verità fatta Persona nell'Incarnazione del Figlio giustifica il mandato missionario: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). Solo se è la Verità è destinato ad ogni creatura, non è una imposizione di qualcosa, ma l'apertura del cuore a ciò per cui è creato. Cari fratelli e sorelle, il Signore ha affidato ai Sacerdoti un grande compito: essere annunciatori della Sua Parola, della Verità che salva; essere sua voce nel mondo per portare ciò che giova al vero bene delle anime e all'autentico cammino di fede (cfr 1Cor 6,12). San Giovanni Maria Vianney sia di esempio per tutti i Sacerdoti. Egli era uomo di grande sapienza ed eroica forza nel resistere alle pressioni culturali e sociali del suo tempo per poter condurre le anime a Dio: semplicità, fedeltà ed immediatezza erano le caratteristiche essenziali della sua predicazione, trasparenza della sua fede e della sua santità. Il Popolo cristiano ne era edificato e, come accade per gli autentici maestri di ogni tempo, vi riconosceva la luce della Verità. Vi riconosceva, in definitiva, ciò che si dovrebbe sempre riconoscere in un sacerdote: la voce del Buon Pastore.
DOSSIER "BENEDETTO XVI" Discorsi e omelie del Papa teologo Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: Sito del Vaticano, 14 aprile 2010
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LETTERE ALLA REDAZIONE: SE ANCHE IN AMBIENTE CATTOLICO SI DUBITA DELLA SINDONE C'E' QUALCOSA CHE NON VA
Un consiglio per i catechisti, i parroci e i semplici fedeli
Autore: Giano Colli - Fonte: BastaBugie, 20 aprile 2010
Gentile redazione di BASTABUGIE, ricevo da tempo i vostri begli articoli che leggo come prendendo una boccata d'aria fresca. Sono una catechista di una parrocchia del Piemonte che sopporta e combatte l'impostazione ormai troppo laicista degli ambienti catechistici delle nostre diocesi. Ultimamente sono rimasta colpita negativamente dall'impronta gelida di un inserto della rivista cui faremmo riferimento noi catechisti (Dossier Catechista di ELLEDICI per non fare nomi), sulla Sindone, che non solo aveva un approccio assolutamente freddo e tecnico da cui era evidente la presa di distanza dalla autenticità della Sindone, ma che ometteva di descrivere, quasi faziosamente, alcuni fondamentali studi che ne rivelano l'autenticità, esaltando la prova del C14 che è stata da tempo negata. Al di là di questo episodio, vorrei chiedervi: avete notizia di qualche sana e tradizionale rivista a cui potrei proporre al mio parroco di abbonarsi, come documentazione per i catechisti? Una rivista in cui respirare il vero catechismo tradizionale, che possano raddrizzare le menti dei catechisti sprovveduti e rafforzare nei nostri ragazzi il deposito della nostra fede, così minacciata da mode filo protestanti? Grazie. Annalisa
Cara Annalisa, purtroppo la sua situazione è comune a tanti semplici cattolici che avvertono almeno un certo imbarazzo nelle posizioni che circolano in ambienti che dovrebbero essere cattolici. Tra l'altro il caso che lei descrive è sintomatico. La Sindone, di cui ha parlato Antonio Socci nel numero passato di BASTABUGIE, è ormai scientificamente inattaccabile. Proprio la prova del C14 ha dimostrato quanto la scienza, se non applica il metodo scientifico, può diventare ideologia ed essere utilizzata per dimostrare le proprie tesi aprioristiche. Comunque per rispondere alla sua domanda e cioè a quale rivista ci si può abbonare per rafforzare la nostra fede (con argomenti razionali e che trattano gli argomenti di cui si parla quotidianamente su televisione e giornali) e che sia indicata per i catechisti, per i sacerdoti, ma anche per chiunque voglia stare aggiornato, mantenendo però fermi i principi cristiani e cattolici: la risposta c'è. Ed è il mensile cattolico "Il Timone". Chi non lo conosce può farsi inviare una copia gratuita, richiedendola tramite il sito internet www.iltimone.org cliccando su "Richiesta copia saggio" sulla colonna di sinistra. Coloro ai quali abbiamo consigliato di richiedere la copia saggio, sono poi diventati abbonati e sostenitori convinti di questa bellissima rivista che noi della redazione di BASTABUGIE abbiamo come modello ed esempio. Tra l'altro molti dei nostri articoli sono scritti da coloro che collaborano con questa preziosa rivista di apologetica. Ecco il motivo per cui non possiamo fare a meno che consigliarla calorosamente a tutti i nostri lettori.
DOSSIER "LETTERE ALLA REDAZIONE" Le risposte del direttore ai lettori Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: BastaBugie, 20 aprile 2010
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OMELIA PER LA IV DOMENICA TEMPO PASQUA - ANNO C - (Gv 10, 27-30)
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 25 aprile 2010)
Il Vangelo di oggi ci offre della parole molto consolanti, tra le più belle di tutta la Sacra Scrittura. Gesù, parlando delle sue pecorelle, ci assicura: “Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano” (Gv 10,28). Promesse grandissime. Affinché si realizzino, la condizione è quella di ascoltare la sua voce. Gesù lo dice chiaramente: “ Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (GV 10,27). Dunque, se vogliamo anche noi essere pecorelle del Signore, se anche noi vogliamo appartenere al suo gregge, dobbiamo ascoltare la sua voce. Come possiamo ascoltarla? In tre modi. Prima di tutto leggendo la Sacra Scrittura. Gesù ci parla nel Vangelo. Ignorare la Scrittura significa ignorare Cristo. Sant'Antonio da Padova, per averla assiduamente meditata, conosceva a memoria più o meno tutta la Bibbia. Da parte nostra cerchiamo ogni giorno di annotarci le frasi della Scrittura che maggiormente ci colpiscono. Sarà proprio con quelle frasi che Gesù vorrà parlare al nostro cuore: cerchiamo di memorizzarle e di ruminarle continuamente dentro di noi. Ne seguiranno delle belle riflessioni che nutriranno la nostra anima. Questo è il primo e più importante modo di ascoltare la voce del Signore. Ma domandiamoci: quanti di noi hanno letto attentamente tutto il Vangelo? Forse pochi. Da oggi in poi impegniamoci di più. Inoltre dobbiamo ascoltare la Chiesa, il Papa, i vescovi. “Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me”. E' la chiesa a insegnarci cosa è bene e cosa è peccato, non la nostra testa. Chi disprezza il Magistero della Chiesa disprezza Gesù Cristo. Pensiamo alla morale familiare: quante critiche alla Chiesa! Ma non ascoltando la voce della Chiesa ci chiudiamo alla voce del Signore. Un altro modo è quello di ascoltare le ispirazioni interiori. Ogni cristiano si deve abituare ad un po' di tempo di meditazione quotidiana. Quando preghiamo siamo noi a parlare a Dio; quando meditiamo è Dio che parla al nostro cuore. Il momento più bello di una mamma di famiglia, una volta, era quello di alzarsi molto presto alla mattina, quando la città ancora dormiva, e di mettersi a pensare e a pregare. Erano momenti bellissimi ed era proprio grazie a quella ora di silenzio che riusciva ad affrontare il peso della giornata. Santa Gemma Galgani e Santa Teresina, quando erano bambine, amavano molto starsene in silenzio e mettersi a pensare...ed era proprio in quel silenzio che Dio parlava al loro cuore e donava loro delle celesti ispirazioni. Dobbiamo abituarci al silenzio e alla riflessione così da trovare il consiglio per ogni nostro problema. San Giuseppe Moscati, celebre medico, iniziava la sua giornata con due ore di preghiera, la Comunione e la meditazione, e dopo andava all'Università a insegnare e all'ospedale per le visite mediche. E, prima di ogni diagnosi difficile, metteva le mani in tasca e stringeva la corona del Rosario. Impariamo anche noi a organizzare la nostra giornata nel silenzio e nella preghiera. Nella prima lettura di oggi abbiamo ascoltato come i giudei non vollero ascoltare la Parola di Dio. Proprio per quella loro chiusura di cuore e per aver respinto la Parola del Signore, Paolo e Barnaba iniziarono a rivolgersi ai pagani. Il testo degli Atti degli Apostoli riporta che i pagani, nell'udire la Parola di Dio, si rallegrarono e credettero alla predicazione. A volte c'è il rischio di fare la fine di quei giudei: pur frequentando la Messa tutte le domeniche, abbiamo il cuore chiuso e non vogliamo ascoltare la voce del Signore che ci parla attraverso la voce dei legittimi Pastori. Quei giudei si opposero alla Parola di Paolo e di Barnaba; noi rischiamo di opporci alla parola del Papa, al Magistero della Chiesa. A volte capita che sono proprio i lontani ad ascoltare questa voce, proprio come avvenne per i pagani che accolsero la predicazione dei due Apostoli. Ricordiamolo sempre: in ultima analisi, il segno per vedere se stiamo veramente ascoltando la voce del Signore e non la nostra testa è quello di vedere se accogliamo con docilità l'insegnamento della Chiesa
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 25 aprile 2010)
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