BastaBugie n�273 del 30 novembre 2012

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1 DICIAMO LA VERITA': NOI NON VOGLIAMO CONVERTIRCI
Come mai facciamo tanta resistenza alla conversione? Eppure accettare la croce è l'unica via per la vera felicità
Autore: Mauro Leonardi - Fonte: Studi Cattolici
2 FRATELLI MUSULMANI: CHI SONO, COSA VOGLIONO
Conosciamo il movimento islamista che è andato al potere in Egitto, Marocco e Tunisia e che influenza la politica di Algeria, Libia, Palestina e prossimamente Siria
Autore: Silvia Scaranari - Fonte: Il Timone
3 L'EUROPA BOCCIA LA MONETA SLOVACCA DA DUE EURO: CROCE E AUREOLA SONO SIMBOLI TROPPO CRISTIANI
Ma la Slovacchia va avanti e mantiene sulle monete i simboli cristiani, con l'appoggio della Chiesa Cattolica
Fonte: Corrispondenza Romana
4 L'INFANTILISMO DILAGANTE IMPEDISCE DI ABBRACCIARE LA PROPRIA VOCAZIONE
Se mi chiedi a quaranta anni qual è la tua vocazione, io ti posso rispondere al massimo qual era...
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
5 FUORI DELLA CHIESA NON C'E' SALVEZZA
Extra Ecclesiam nulla salus: un'incontestabile verità di fede, messa in discussione anche da cattolici succubi della mentalità relativista per cui tutte le religioni sarebbero buone...
Autore: Corrado Gnerre - Fonte: Radici Cristiane
6 LA CHIESA FRA LE TEMPESTE: IL NUOVO LIBRO DI DE MATTEI
Il primo millennio di storia della Chiesa nelle conversazioni del professor Roberto De Mattei a Radio Maria
Autore: Cristina Siccardi - Fonte: Corrispondenza Romana
7 CARI GIOVANI, ANDATE E FATE DISCEPOLI TUTTI I POPOLI!
Messaggio del Papa per la XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù del 2013 a Rio de Janeiro (Brasile)
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Libreria Editrice Vaticana
8 LETTERE ALLA REDAZIONE: RADIO CAPITAL VUOLE CHE LA CHIESA SCOMUNICHI BERLUSCONI
Va in onda sul tg0 la più trita faziosità... che però non prende mai di mira musulmani o centri sociali
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie
9 OMELIA I DOMENICA DI AVVENTO - ANNO C - (Lc 21, 25-28.34-36)
I vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita
Fonte: Il Settimanale di Padre Pio

1 - DICIAMO LA VERITA': NOI NON VOGLIAMO CONVERTIRCI
Come mai facciamo tanta resistenza alla conversione? Eppure accettare la croce è l'unica via per la vera felicità
Autore: Mauro Leonardi - Fonte: Studi Cattolici, aprile 2009 (n.578)

Qual è la parola sulla pace che solo il cristiano può dire? Tutti sappiamo che, in estrema sintesi, lo specifico cristiano è il segno della Croce: quel gesto che tracciamo sul nostro corpo dicendo con le labbra «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen». In quella assoluta semplicità ci sono i due misteri principali della nostra fede:
1) il mistero di Dio Uno e Trino, e
2) il mistero del Verbo che si incarna morendo e risorgendo.
E proprio alla croce ci conduce il Vangelo se lo interroghiamo a proposito di quale sia il cammino della pace.
 
1) LA VERA PACE
Dice Gesù: «Venite a me, voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11, 28-30).
Dobbiamo ammettere però che queste parole sono tutto il contrario di quello che avremmo desiderato ascoltare. Capire che il ristoro per la nostra vita, cioè la pace, scaturisce dal giogo di Cristo, cioè dalla croce, è veramente tutto il contrario di quello che ci saremmo aspettati, e quindi accettarlo richiede un nostro radicale cambiamento.
Noi infatti pensiamo esattamente il contrario; siamo convinti di essere affaticati e oppressi proprio a causa delle contrarietà grandi o piccole, ovvero dalle croci: non sospettiamo minimamente di essere ristorati dalla croce. Nella tradizione cristiana si è soliti chiamare questo radicale cambiamento con il termine dì conversione. Dunque, ecco la parola che solo il cristianesimo può dire: Dio può dare la pace solo se ci convertiamo.
 
2) CONVERSIONE: IL PROTAGONISTA È DIO
Conversione. Quante volte l'abbiamo sentito dire? Eppure spesso non è cambiato proprio nulla. Sappiamo, è dottrina cattolica chiaramente definita che la grazia ha l'assoluta priorità. Ciò è vero sia per la conversione iniziale, che per quella continua: la grazia precede, accompagna e segue in ogni passo. Il protagonista non è il mio sforzo umano e la mia volontà, ma Dio che suscita e richiede la mia corrispondenza. È sempre la grazia che ci previene e ci invita a pregare sinceramente, a confessarci bene.  
La confessione, che è veicolo fondamentale di conversione, non è il primo passo. È lo Spirito Santo che ci convince che siamo peccatori: la conversione non è frutto del lavoro «solo umano», per quanto ben fatto, della nostra corrispondenza alla Grazia. Tutto ciò è parte della dottrina di sempre, della fede cattolica. Nelle prossime righe però, vogliamo mettere a fuoco un aspetto, solo un aspetto, che riguarda proprio la nostra corrispondenza all'azione della grazia, che sappiamo essere sempre abbondante.

3) LA RINUNCIA AI GIOCATTOLI (ECCO PERCHÉ IO NON VOGLIO CONVERTIRMI)
Vogliamo parlare di una verità semplice e tremenda: a volte devo avere il coraggio di dirmi che io non voglio affatto convertirmi. Per farmi capire userò un esempio. Ho letto da qualche parte che i migliori psicoterapeuti dicono che le persone che vanno da loro per essere curate, a volte, in realtà, non vogliono realmente essere curate. Quello che cercano è un sollievo. Una cura sarebbe troppo dolorosa.
Quei medici cioè, mi viene da pensare, paragonano i malati a bimbi che si trastullano con i loro giocattoli e che vanno da loro solo per farsi riparare l'orsacchiotto quando si e rotto. È vero che affermano di voler guarire, cioè di voler uscire dall'asilo e di voler diventare grandi, ma in realtà non credono a quello che dicono. E finche si rimane in quell'atteggiamento, non si può essere curati, non si può finché si desidera solo che vengano aggiustati i propri giocattoli rotti.
"Ridatemi il mio lavoro. Ridatemi i miei soldi. Ridatemi il mio amore. Ridatemi la mia reputazione, il mio successo".
Ecco i giocattoli. Se ci pensiamo bene, che cos'è la conversione? Non è altro che scoprire che, quando abbiamo Dio, abbiamo tutto: liberarci dai giocattoli. Ma questo è proprio quello che non vogliamo.
Sei andato male all'università? Che t'importa, tanto hai Dio.
La tua fidanzata ti ha lasciato? Che t'importa, tanto hai Dio.
Hai perso il lavoro, i figli, il marito, la salute? Che t'importa, tanto hai Dio.
"Che m'importa? Scherziamo?! Io voglio che mi siano ridate la moglie, la salute, i figli, il successo. Io voglio avere una vita «normale». Come tutti. Una vita in cui possa, come un bimbo, trastullarmi innocentemente con le mie cose".
Ma i santi, quando ci parlano di conversione, non ci parlano di questo. Ci parlano di Dio e dicono che chi possiede Dio non manca di nulla. Chi possiede Dio ritiene il resto come un nulla.
"È un nulla. Ah sì? Beh, allora mi sono sbagliato. Non dovevo bussare a questa porta. Grazie per il disturbo, ma non mi interessa".
Ecco qual è a volte il nostro vero atteggiamento verso la conversione.
Ecco perché la verità tremenda è che, spesso, io non voglio convertirmi.

4) L'INQUIETUDINE CHE CI GUARISCE
A volte l'azione di Dio avviene attraverso cose che ci inquietano. In quei casi, è necessario scoprire pregando che non dobbiamo guarire da quella inquietudine ma è quell'inquietudine che ci guarisce. Quell'inquietudine, l'unica quiete che vuole turbare è delle cose della nostra vita che dobbiamo cambiare. «Non dobbiamo guarire dall'inquietudine, ma è l'inquietudine che ci guarisce».
Quest'affermazione, paradossale ripeto, si comprende se viene letta alla luce della parabola del figliol prodigo, considerata per eccellenza quella della conversione. È successo quello che tutti sappiamo ed è arrivato il momento nel quale il primo dei due figli, quello «prodigo», apre gli occhi sulla sua situazione. Il Vangelo di Luca dice: «Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: Quanti, salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati. Sì alzò e tornò da suo padre» (Le 15, 14-20).

5) PERCHÉ IL FIGLIO PRODIGO SI CONVERTE?
Vediamo da soli che la conversione radicale, che avviene nel figlio, non deriva per nulla da una riflessione su quello che è giusto o sbagliato, su ciò che è bene o male, sulla necessità di essere generosi e su quanto sia brutto essere egoisti. Niente di tutto ciò. Per carità, queste sono tutte cose molto importanti, ma le si può veramente capire solo dopo che ci si è convertiti. Ai fini della conversione non servono praticamente a nulla.
La conversione viene descritta esattamente così: «Ritornò in sé e disse: Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!». È come un risveglio, è una nuova comprensione. Ritornò in sé stesso, cioè «capì». A un certo punto a questo giovane uomo cadono le scaglie dagli occhi, e si rende conto che la vita che sta conducendo gli fa male.
È come se un pesce d'acqua dolce capisse che vivere nell'acqua salata gli fa male e quindi decidesse di lasciarla. Immaginiamo che un pesce di un grande fiume, un grande fiume americano o africano, arrivi per sbaglio alla foce e continui a nuotare in un'acqua che, con l' addentrarsi nell'oceano, diventa sempre più salata. Che cosa farebbe a un certo punto? Quello che faremmo tutti: tornare indietro. Che cosa diremmo di un pesce che non lo facesse? Che è strano, che è malato. Che il suo atteggiamento è incomprensibile. Ecco, il figliol prodigo è come un pesce d'acqua dolce che, resosi conto di nuotare in un liquido sempre più salato, ha deciso di invertire la rotta. Appunto di convertirsi.
Chiunque, leggendo la parabola, direbbe che sarebbe ben strano se il figliol prodigo non lo facesse. Sarebbe come un pesce d'acqua dolce che, inspiegabilmente, stando sempre peggio, continuasse a nuotare verso l'oceano. Gesù insegna qualcosa del genere anche in altre due parabole su che cos'è il regno di Dio.

6) UNA QUESTIONE DI FURBIZIA
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra» (Mt 13, 44-46).
Anche in questi due casi il cambiamento non avviene grazie alla riflessione su che cosa sia essere generosi, o distaccati dai beni, perché non si può dire che l'atteggiamento degli uomini che vendono tutto per comprare il campo sia di quel tipo. Sono semplicemente furbi. Intelligenti. Per essere esatti hanno il comportamento di chi sa approfittare del colpo di fortuna che hanno avuto. Pagano dieci un campo che vale diecimila; pagano cento una perla che, collocata sul giusto mercato, vale centomila.
Quanto abbiamo visto finora, evidenzia che la conversione può essere descritta come un'azione che fa vivere meglio e fin da subito chi la compie. Un gesto che è nel proprio interesse. Il figliol prodigo della parabola sta per morire di fame ma, attraverso la conversione, cioè attraverso il ritorno alla casa del padre, si salva la vita. L'uomo che compra il campo e il mercante che acquista la perla vendono entrambi tutto quello che hanno e così, fin da subito, accrescono il loro patrimonio.

7) PERCHÉ SONO POCHI QUELLI CHE SI CONVERTONO?
A queste considerazioni, però, si può facilmente ribattere dicendo: se le cose stanno così, perché sono così pochi quelli che si convertono? Lo capiremo, se riflettiamo con calma su quelle parole che abbiamo già scritto: «Non è dall'inquietudine che dobbiamo guarire ma è l'inquietudine che ci guarisce».
Lo smarrimento della pace non è il nostro nemico peggiore ma il nostro miglior amico. L'inquietudine è un sintomo. Per capirlo basta un esempio. Se io avessi la febbre a trentotto, mi curerei. Starei a casa al caldo, magari anche a letto, e mi curerei. Non andrei al lavoro, e curerei l'influenza. Naturalmente non curerei la febbre, ma l'influenza. La febbre è un sintomo, un utilissimo segnale che il corpo mi invia.
La metafora della febbre può essere applicata all'inquietudine e alla mancanza di pace. Se provo angoscia mentendo, perché mentire? Dio è il Dio della verità e in lui trovo la pace. Però, lo vediamo, spesso non è così: molti sono quelli che mentono e continuano a scegliere l'angoscia. Perché? È semplice: quello che ho detto poche righe più sopra riguardo all'influenza non è vero: noi, quando abbiamo trentotto, spesso non ci curiamo. Sappiamo che dovremmo farlo, consigliamo a tutti di farlo, ma noi non lo facciamo.
Il motivo è che la sofferenza che proviamo andando a lavorare con un po' di febbre, non è nulla rispetto alla sofferenza che temiamo di provare nell'eventualità di venir licenziati, o di non fare un esame, o di scoprire che i miei colleghi, o nostro marito, nostra moglie, i nostri figli possono fare tranquillamente a meno di noi. Gli esempi potrebbero essere molti.
In realtà quindi, è solo una verità parziale affermare che non diamo retta alla sofferenza dovuta alla febbre. Spesso la verità completa è che c'è un'altra angoscia ben più importante da affrontare, rispetto alla quale quella della febbre influenzale è una bazzecola. Convertirsi è possibile se ci si rende conto delle inquietudini profonde, senza nome, che ci avvinghiano. Fino a quando questo non succede, ecco che farò finta di non avere la febbre. Andrò avanti senza ascoltare.
L'esempio della febbre ci aiuta anche a capire un po' meglio che cosa significa essere bambini. I bambini che hanno la febbre a trentotto, infatti, stanno a letto. Sono ben contenti di farsi fare le coccole da mamma e papa e di non andare a scuola. I bambini non provano nessun senso di colpa nel curarsi l'influenza e possono avere tutte le «ricadute» che vogliono. Non devono dimostrare niente a nessuno e l'unica paura che hanno è quella di essere abbandonati dai genitori. Se quella non c'è, non temono nulla.
Ecco perché Gesù dice: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18, 3). Siamo arrivati al punto. Prima abbiamo detto che la conversione è facile per quelli che la scelgono. Adesso possiamo aggiungere che è molto difficile sceglierla finché non si scopre che noi siamo bambini, ossia che Dio è creatore e Padre.
È proprio questo il pensiero che da forza al figlio prodigo: «Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre!». Quel giovane, in mezzo alla terribile carestia, che si abbatte sul paese, pensa che suo padre sia più forte della carestia. Stima infinitamente suo padre e pensa che sia più forte e previdente delle avversità. Questo significa che ci si può convertire solo quando si scopre di essere figli, cioè bambini.
E così abbiamo il nostro pesciolino d'acqua dolce che, pur sentendo che l'acqua diventa sempre più salata, continua ad allontanarsi dalla foce e a immergersi nel mare. Sperimenta sofferenza, sta sempre peggio, ma il meccanismo di correzione non scatta. Per qualche misteriosa ragione, ritiene che cambiare la direzione del suo movimento e tornare verso la sorgente possa solo portarlo verso il peggio. Il male reale che sta sperimentando è un po' meglio del peggio immaginario che è convinto di stare fuggendo. Per qualche motivo le situazioni più temute sono quelle sconosciute.

8) CREATORE E PADRE
L'unico modo che conosco di risolvere questo perverso meccanismo è la consapevolezza che Dio è Creatore e Padre. Insisto sull'opportunità di affiancare le due verità di fede della creazione e della filiazione divina, perché nostro Padre Dio è un Padre che gioisce della nostra vita, tanto è vero che l'ha fatta. È proprio lo stesso ordine di verità alle quali abbiamo fatto riferimento quando abbiamo detto che il figliol prodigo si rende conto che la vita che sta conducendo «gli fa male».
Naturalmente non bisogna confondere la salute fisica e psicologica con quella spirituale della salvezza eterna, ma quanto voglio sottolineare è che la paternità divina è in continuità con la creazione. Come il neonato piange se perde il contatto con i genitori, così si rassicura quando viene di nuovo preso in braccio. Forse il nostro pesciolino non riesce a riconoscere che quanto gli accade gli fa male perché si sente un apolide, uno senza nessuno, un esiliato che ovunque si trovi è un estraneo.
La soluzione sarà scoprire che, a meno che non lo si voglia liberamente, non siamo fuori dall'abbraccio di un Dio nostro Padre e nostro Creatore. Ciò è possibile se scopriamo il modo in cui il nostro Dio, nostro Padre e nostro Creatore, ci viene incontro, esaudendo veramente i nostri più profondi desideri ma in un modo sorprendente e misterioso. Abramo è angosciato perché il suo sogno di avere un figlio pare che non si realizzi: «Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli» (Gn 15, 2). Il Signore gli risponde: «"Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" [...] "Tale sarà la tua discendenza"» (Gn 15, 5).
Sappiamo tutti che questa promessa si realizzerà passando attraverso il dramma del sacrificio di Isacco. Nella scrittura ci sono molti esempi del genere. Ne vogliamo citare solo un altro, ed è la promessa di Cristo a Pietro quando Gesù dice al pescatore di Galilea: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5, 10).
Quelle parole, non dimentichiamolo, vengono pronunciate dopo che è avvenuta la prima pesca miracolosa. Il sogno di un pescatore è pescare. Ed è proprio questo, quello che Cristo gli vuole dire. Gli vuole dire questo ma non solo questo. «Pescatore di uomini»: per noi che veniamo dopo è chiaro che cosa significa. Vuol dire apostolo, apostolato, Chiesa, e così via. Ma qui siamo all'inizio della vita pubblica di Gesù.
Pietro sta compiendo faticosamente i primi passi dietro a Cristo. Quello che Gesù vuol dire è sicuramente quello che Pietro può capire anche se non è solo quello. E Pietro può capire un sì esistenzialmente pieno e veritiero al desiderio profondo del suo cuore. A quel desiderio che quella notte non era stato esaudito e che perciò gli aveva procurato l'inquietudine e l'angoscia che prova ogni uomo che deve mantenere la propria famiglia con il lavoro e che fallisce.
È vero, quelle parole di Cristo hanno anche un aspetto misterioso: «pescatore di uomini». Pietro può pensare solo che sia un modo di Cristo per esprimere qualcosa di ancor più bello. Qualcosa di straordinariamente traboccante. Di inimmaginabile. Ma le parole di Cristo, lo sappiamo, riguardano non solo i desideri che conosciamo, ma anche quelli più misteriosi. Quelli per i quali noi stessi non troviamo parole.

Fonte: Studi Cattolici, aprile 2009 (n.578)

2 - FRATELLI MUSULMANI: CHI SONO, COSA VOGLIONO
Conosciamo il movimento islamista che è andato al potere in Egitto, Marocco e Tunisia e che influenza la politica di Algeria, Libia, Palestina e prossimamente Siria
Autore: Silvia Scaranari - Fonte: Il Timone, n.117 novembre 2012

Per comprendere qualcosa dei Fratelli Musulmani di cui molto si scrive anche sulla stampa italiana bisogna partire dall'auto definizione dell'islam: Islam din wa dunya wa dawla (islam religione, società e Stato), secondo la quale l'islam affonda le sue radici nella stessa rivelazione che Allah ha donato all'uomo.
L'islam basa la sua esistenza su un libro, il Corano, che ritiene dettato direttamente da Allah, attraverso il suo arcangelo Gabriele, al "profeta" Muhammad con una pretesa di assolutezza che nessun altro testo sacro immagina neanche lontanamente di attribuirsi. Nel Corano vi sarebbe tutto quanto può servire all'uomo: sia quello che deve credere, sia quello che deve fare. Nelle diverse sure (114 capitoli da cui è formato il testo) troviamo non solo i punti fondamentali della fede, ma anche le regole di comportamento sociale e di organizzazione politica, la cosiddetta shan'a, la retta via per ottenere la salvezza eterna, da cui i giuris-periti hanno attinto nei primi secoli per definire il diritto musulmano.
Per sintetizzare al massimo, nel Corano è contenuto sia il Credo di una religione che la Costituzione di uno Stato, uniti ad un forte spirito di missione verso tutto il mondo. Lo Stato islamico lecito è quello che adotta la shari'a come base dei suoi codici penale e civile e amministrativo e quindi è din wa dawla ovvero la umma, il califfato, che riunisce tutti i credenti in un'unica realtà socio-politico-religiosa.
Secondo la tradizione islamica, questa unificazione si è realizzata concretamente in modo perfetto durante la vita di Maometto e, imperfettamente, con i primi quattro califfi: Muhammad dopo essere fuggito nella città di Yatrfb, che da lui prese il nome di Medina, stabilì la costituzione medinese che rappresenta la realizzazione della civiltà islamica completa, ove gli aspetti religiosi sono anche sociali e politici. L'organizzazione medinese resta oggi come ieri il punto ideale di riferimento di tutta la comunità e a questo ideale si rifà il mondo del riformismo islamico. La differenza si ritrova solo nell'intensità di speranza di realizzazione concreta o ancora nelle modalità di realizzazione di questo ideale. Nella storia degli ultimi due secoli il problema della creazione di uno Stato islamico è stato dibattuto ampiamente e sono state prospettate soluzioni diverse facendo sorgere nel mondo occidentale le categorie di islam modernista o filo-occidentale e islam conservatore, fondamentalista, integralista o moderato, categorie nate in Occidente che poco rispecchiano la vera natura dell'islam.
In questo contesto si pongono i Fratelli Musulmani, un movimento che nasce proprio dal dibattito sullo Stato musulmano, nel periodo successivo alla Prima guerra mondiale e allo smembramento dell'Impero ottomano, quando incominciano a emergere in modo significativo le aspirazioni dei Paesi arabi all'indipendenza dalla sottomissione agli Stati europei.
 
ORIGINI E DIFFUSIONE
Nascono ufficialmente nel 1928 ad opera di un maestro elementare egiziano molto vicino al locale movimento sufi, Hasar al-Banna' (1906-1949), nella cittadina di I Isma'iliyya in Egitto. Oggi sono diffusi in tutto il Medio Oriente e nel Nord Africa, anche se in certi Paesi usano altre denominazioni.
Alla fine degli anni Venti del secolo scorso, il mondo islamico cercava di reagire alla presenza dell'Occidente, nella speranza di rifondare una realtà chiaramente islamica. Contro il processo di secolarizzazione culturale e di sfruttamento economico imputato agli occidentali, Hasan al-Bannà' propone una ripresa degli insegnamenti coranici più rigorosa, nella convinzione di poter migliorare le condizioni dei lavoratori egiziani prima e di tutti i musulmani poi. L'auspicio è ricostruire uno Stato coerente con le indicazioni del Corano, in cui vengano rispettati i diritti di Allah e quelli del muslim. Per ottenere questo si deve affrontare un vero e proprio jihàd, una lotta per conformare i costumi, la devozione e le istituzioni politiche alla legge islamica.
Sin dall'inizio, M Hasan al-Banna' e i suoi seguaci privilegiano l'insegnamento, il mondo della sanità e delle attività sociali in genere, e organizzano incontri di preghiera e di lettura dei classici teorici del diritto islamico. Prendono le distanze dall'insegnamento degli "ulama" e applicano un ponte fra tradizionalismo e modernità in modo pragmatico. L'educazione del buon musulmano avrebbe prodotto la riforma della famiglia e questa della società e dello Stato permettendo l'instaurazione dello Stato islamico in modo graduale, pacifico, come una ineluttabile necessità del popolo.
Presto si organizzano (nel 1936 sono circa 20.000) e cercano di influire direttamente sulle decisioni politiche attaccando violentemente i politici locali accusati di essere asserviti all'Occidente e di aver tradito l'islam. L'organizzazione si articola differenziando i ruoli e le appartenenze. Nascono i Propagandisti estivi e i Rover (scout) fondati per attrarre i giovanissimi e proporre loro nuovi valori come virilità, coraggio, cavalleria, perseveranza contro l'inerzia delle vecchie generazioni. Nel 1937 vengono costituiti i Battaglioni degli ausiliari di Allah, un gruppo di fratelli zelanti con preparazione fisica e militare, allo scopo di entrare in politica come parlamentari.
Lo stesso anno Hasan al-Banna' incarica cinque fratelli di fondare l'Apparato speciale, un esercito islamico segreto, forte, autofinanziato, pronto a attaccare gli ebrei, persuaso che i deboli governi arabi non sarebbero stati in grado di recuperare le terre occupate da Israele in Palestina. Il movimento è pronto per una transizione su posizioni politiche più radicali. Sayyd Qutb (1906-1966), scrittore, critico, giornalista, rientrato da un viaggio negli USA entra nel movimento e assume, negli anni Quaranta, il ruolo di ideologo del gruppo spingendolo inesorabilmente verso posizioni più violente.

L'USO DELLA VIOLENZA
Dopo aver partecipato alle elezioni del 1945 con notevole successo, vengono esclusi dal Governo a causa di brogli. Aumenta così lo zelo rivoluzionario e molti partecipano alla guerra Palestinese nel 1948. Temendone la forza, il governo egiziano di re Fuad II ordina lo scioglimento del partito, ma senza grande convinzione. Poco dopo, un attivista assassina il primo ministro egiziano e con questo il movimento manifesta di aver scelto la strada della violenza. A violenza risponde violenza: Hasan al-Banna' viene a sua volta ucciso due mesi dopo, probabilmente per ordine del governo. Nel 1952 il colpo di Stato dei Liberi Ufficiali depone la monarchia egiziana e instaura la Repubblica. Nel 1954 i Fratelli Musulmani sono accusati di aver organizzato l'attentato al Presidente egiziano Gamal Abdel Nasser (1918-1970), quindi vengono sciolti e duramente repressi in tutto l'Egitto. Sayyd Qutb, catturato e condannato, subisce vari anni di carcere durante i quali scrive le opere principali (All'ombra del Corano e Pietre Miliari), quindi viene rilasciato ma, dopo poco, verrà accusato di un tentativo di colpo di Stato e impiccato il 26 agosto 1966.
I Fratelli Musulmani hanno sempre tentato di aumentare il potere politico facendo eleggere propri esponenti in partiti diversi, come il piccolo Partito Socialista dei lavoratori. Dal 1970, con l'avvento del presidente Sadat (1918-1981), che si definisce "il Presidente credente", godono di maggiore libertà e accentuano la da'wa (la missione), intensificando la re-islamizzazione dal basso, creando reti di sostegno come scuole, ospedali, ricoveri, sindacati, centri di preghiera, scuole coraniche, una forte rete di comunicazione, servizi di assistenza ai più poveri, con un rigoroso rispetto delle norme islamiche e una netta separazione fra donne e uomini, ottenendo così un forte consenso popolare.

I SUCCESSI POLITICI
Dal 1981 il movimento continua a svilupparsi fino a ottenere nelle elezioni del 2005 l'elezione di 88 deputati. Successo ripetuto il 28 novembre 2010, anche se i candidati si ritirano al secondo turno per protestare contro Mubarak, accusato di brogli. Durante le prime proteste di piazza Tahrir al Cairo, nel gennaio 2011, i Fratelli Musulmani tengono una posizione defilata per poi presentarsi con forza alle elezioni parlamentari a novembre, ottenendo 235 seggi su 498, e poi alle presidenziali del giugno 2012, quando il loro candidato Mohamed Morsi diventa Presidente del Paese islamico più popoloso della zona mediterranea. Nel frattempo, gli sviluppi delle cosiddette primavere arabe portavano al potere anche in Marocco e in Tunisia partiti o movimenti che rientrano in senso lato nella famiglia spirituale dei Fratelli Musulmani. Pur non vittoriosi nelle ultime elezioni del 2012, partiti affini hanno una notevole importanza nella vita politica dell'Algeria e della Libia. La branca palestinese dei Fratelli Musulmani, Hamas, ha vinto le ultime elezioni tenute in Palestina, nel 2006, e controlla la Striscia di Gaza. Infine, i Fratelli Musulmani sono il gruppo più rappresentativo dell'opposizione siriana che lotta contro il governo Assad.

Fonte: Il Timone, n.117 novembre 2012

3 - L'EUROPA BOCCIA LA MONETA SLOVACCA DA DUE EURO: CROCE E AUREOLA SONO SIMBOLI TROPPO CRISTIANI
Ma la Slovacchia va avanti e mantiene sulle monete i simboli cristiani, con l'appoggio della Chiesa Cattolica
Fonte Corrispondenza Romana, 22/11/2012

Nel 2013 la Slovacchia celebrerà il giubileo per i 1.150 anni dalla predicazione di Cirillo e Metodio. Una moneta celebrativa voleva i due santi con croce e aureola. Ma l'Europa ha bloccato tutto: non viene rispettata la "neutralità religiosa". La croce e l'aureola dei santi sono simboli troppo cristiani per essere ammessi nel consesso europeo. Scrive il Foglio: «I particolari del bozzetto giudicati intollerabili agli occhi degli euroburocrati sono la croce [raffigurata sui paramenti dei santi] e l'aureola attorno al capo dei due predicatori. La Banca nazionale slovacca lo ha quindi dovuto far modificare, e ora i due santi senza aureola tengono, con aria giustamente affranta, una croce a doppio braccio, che è poi l'emblema nazionale che campeggia anche nella bandiera».

NEUTRALITÀ RELIGIOSA
La notizia è stata data dalla televisione della Repubblica slovacca quando l'immagine era già stata modificata. Le motivazioni europee sono queste: una moneta che potrebbe circolare in tutta l'Unione Europea deve essere "neutrale" dal punto di vista religioso. Il problema è che Cirillo e Metodio non sono affatto neutrali, essendo santi cristiani. Del resto, «se la Slovacchia è Europa il merito è anche dei poveri Cirillo e Metodio – proclamati patroni d'Europa da Giovanni Paolo II: è forse questo che non garba a Bruxelles? – i quali certo non andarono da quelle parti per fare trekking o a passare le acque».

CIRILLO E METODIO DECLASSATI
L'imposizione della modifica della moneta che doveva essere lanciata per il giubileo del 2013 ha preoccupato molto l'episcopato slovacco, che ha dichiarato tramite il suo portavoce: «La rinuncia ai simboli essenziali delle immagini dei santi Costantino-Cirillo e Metodio sulle monete commemorative sta divenendo una svolta culturale e una mancanza di rispetto per la propria storia». Qualcuno in patria ha anche declassato Cirillo e Metodio, affermando che al tempo della predicazione non erano ancora santi, dunque togliere l'aureola è storiograficamente corretto.

Nota di BastaBugie: il 29 novembre è stato pubblicato, sempre da Corrispondenza Romana, un articolo che aggiorna la situazione. Eccolo.

Il non voler rappresentare i santi Cirillo e Metodio con i simboli religiosi che li caratterizzano è una mancanza di rispetto nei confronti degli abitanti della Slovacchia e dei valori cristiani.
Per questo motivo la Conferenza episcopale slovacca accoglie con favore il fatto che la Banca centrale slovacca abbia cambiato la sua intenzione a riguardo e che il design recentemente approvato della moneta commemorativa rispetti ora le radici cristiane della nazione.
Secondo Anton Ziolkovský, segretario esecutivo della Conferenza episcopale, non si possono separare i santi Cirillo e Metodio dalla loro missione: "Ringraziamo tutti coloro che, con il loro sostegno, hanno contribuito a questo cambio e speriamo che le nostre legittime motivazioni siano ora rispettate anche dalla Commissione europea (Ce)".
Il design originario della moneta commemorativa, che sarà emessa in occasione del 1150° anniversario dell'arrivo dei fratelli di Tessalonica nella regione della Grande Moravia, era stato respinto dalla Ce e da diversi Stati membri che avevano chiesto di eliminare l'aureola e le croci dai vestiti.
La Banca centrale slovacca, che aveva inizialmente assecondato la richiesta, dopo le proteste giunte dalla Chiesa cattolica, da diverse istituzioni e da eminenti figure della vita sociale e politica slovacca, ha infine deciso di insistere sul design originario mantenendo i simboli religiosi.

Fonte: Corrispondenza Romana, 22/11/2012

4 - L'INFANTILISMO DILAGANTE IMPEDISCE DI ABBRACCIARE LA PROPRIA VOCAZIONE
Se mi chiedi a quaranta anni qual è la tua vocazione, io ti posso rispondere al massimo qual era...
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 14/11/2012

Prendere appunti alla presentazione di un libro è normale. Se il libro lo si è scritto forse non è normalissimo. Se la presentazione del proprio libro è la numero cinquanta o sessanta o forse più, allora la cosa richiede l'intervento di un medico, ma di uno bravo.
Il fatto è che a introdurmi lunedì sera era don Fabio Rosini, il che peraltro è già un po' assurdo di per sé, perché quello famoso è lui. Per dire, è come se Robert De Niro salisse sul palco e dicesse: "signore e signori, ecco a voi il mio elettricista!". Comunque, così è successo, ed è stata per me una gioia immensa.
Responsabile del servizio alle vocazioni della Diocesi di Roma, particolarmente allenato a stanare le persone nei nodi decisivi della loro vita, don Fabio è stato superlativo in tutto, ma a mio parere ha dato il meglio parlando dell'infantilismo dilagante, quello che impedisce agli uomini e alle donne (cominciamo a chiamarli così, basta con ragazzi e ragazze) di oggi di abbracciare la propria vocazione al momento giusto, e con decisione. "Se mi chiedi a quaranta anni qual è la tua vocazione – ha detto – io ti posso rispondere al massimo qual era!"
L'infantilismo dilaga. Siamo cresciuti comodi, imbolsiti dai comfort, passiamo direttamente dal ciuccio al gadget tecnologico, e, istupiditi dalle comodità, tendiamo a dimenticare che la vita va data, va persa, va sacrificata, sennò ci marcisce tra le mani senza portare frutto.
San Francesco fece la sua sintesi davanti al crocifisso verso i 23, 24 anni, stessa età in cui Einstein elaborò la teoria della relatività. Non possiamo aspettare tutta la vita per fruttificare.
Ma a nessuno di noi piace perderla, la vita, e promettendoci benessere facile ci hanno cresciuti senza insegnarcelo. Siamo una generazione senza padri, perché è lui, il padre, che ci insegna a morire, mentre la madre insegna a vivere. Lo ricorda don Fabio, citando "Quello che gli uomini non dicono", il fondamentale libro di Roberto Marchesini. La madre dice il sì alla vita, il padre il no che ci insegna a morire.
Il padre, ancora, è il senso della realtà. E la realtà è che nella partita della vita non sempre sei tu che tiri la palla. Anzi, il servizio non ce l'hai mai, tu puoi solo rispondere.
Il senso della realtà è quello che ci guarisce, e ci converte. Dicono gli studiosi dell'età evolutiva che dopo i dodici anni un ragazzino dovrebbe smettere di dire "non è colpa mia", e assumersi responsabilità. Be', io conosco un sacco di gente che continua a dire "non è colpa mia" anche dopo avere abbondantemente triplato la boa dei dodici. Invece partire dal reale, e non volerlo più cambiare (il che non significa ovviamente essere passivi) ci fa incredibilmente bene. Ci ricorda che non siamo noi arbitri della realtà, che non siamo noi a potere né a dover dire come debbano andare le cose. E alla fine è anche molto rilassante sapere di non essere Dio.

Fonte: Blog di Costanza Miriano, 14/11/2012

5 - FUORI DELLA CHIESA NON C'E' SALVEZZA
Extra Ecclesiam nulla salus: un'incontestabile verità di fede, messa in discussione anche da cattolici succubi della mentalità relativista per cui tutte le religioni sarebbero buone...
Autore: Corrado Gnerre - Fonte: Radici Cristiane, dicembre 2011

Domanda: Sono una donna molto anziana (ho più di ottant'anni). Quando feci il catechismo ricordo che si diceva che al di fuori della Chiesa non vi è possibilità di salvezza. Ora sembra che nessuno più affermi una tal cosa. È cambiata la dottrina? Ma se è davvero cambiata, chi ci dice che ciò che si afferma oggi sia più vero rispetto a ciò che si affermava ai miei tempi? Aiutatemi a capire. (Maria Gabriella, Teramo)
Gentile Maria Gabriella, stia tranquilla. La dottrina cattolica non è affatto cambiata. Piuttosto si è da tempo diffusa, anche all'interno degli ambienti cattolici, una mentalità di tipo relativista (tutte le religioni sono buone).
L'Extra Ecclesiam nulla salus è un'incontestabile verità di fede, è lo è perché è stata continuamente ripetuta dai Padri e dal Magistero. Di esempi se ne potrebbero fare tanti. Le cito Pio XII che dice: «Ora tra le cose che la Chiesa ha sempre predicate e che non cesserà mai dall'insegnare, vi è pure questa infallibile dichiarazione che dice che non vi è salvezza fuori della Chiesa» (Lettera al Sant'Officio, dell'8/11/1949). Queste parole sono importanti perché un papa dice chiaramente che la verità dell'Extra Ecclesiam nulla salus non solo sarà sempre insegnata ma è anche una dichiarazione infallibile.
Il Beato Giovanni XXIII, il Papa del Concilio Vaticano II, dice: «(...) gli uomini possono sicuramente raggiungere la salvezza, solamente quando sono a lui [il Romano Pontefice] congiunti, poiché il Romano Pontefice è il Vicario di Cristo e rappresenta in terra la sua persona» (Omelia nel giorno della sua incoronazione, 4/11/1958). E lo stesso Concilio Vaticano II afferma: «Il santo Concilio (...) basandosi sulla sacra Scrittura e sulla Tradizione, insegna che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza» (Lumen gentium, 14).
Poi, cara lettrice – diciamolo francamente – è un problema di logica. Se la Chiesa non fosse necessaria per la salvezza, quale sarebbe il motivo per cui Gesù ha comandato di andare fino agli estremi confini della Terra? (Mt. 16,15-16).
Rimane però una domanda: ma chi si trova senza colpa personale fuori della Chiesa, può, per questo, essere condannato? La Chiesa Cattolica da sempre (non è una novità degli ultimi tempi) ha affermato che chi si trova fuori della Chiesa senza colpa, non può, per questo, essere condannato.
S'ipotizzano due possibili "ignoranze": la cosiddetta "dotta ignoranza" e la cosiddetta "ignoranza invincibile". Per dotta ignoranza (significativa contraddizione: "dotta"/"ignoranza") s'intende quella situazione in cui non si è mai ricevuto l'annuncio cristiano, per cui si è in uno stato d'ignoranza incolpevole, ma nello stesso tempo si desidera intimamente (ecco perché si parla d'ignoranza "dotta") aderire alla Verità che purtroppo non si conosce.
Per ignoranza invincibile s'intende invece quella situazione in cui si è ricevuto l'annuncio cristiano, ma lo stato d'ignoranza è tale (invincibile appunto) che non si può superare. Il beato Papa Pio IX, un papa non certo del periodo post-conciliare, afferma nell'enciclica Singolari quidam del 17/3/1856: «(...) nella Chiesa Cattolica, per il fatto che essa conserva il vero culto, vi è il santuario inviolabile della fede stessa, e il tempio di Dio, fuori del quale, salvo la scusa di una invincibile ignoranza, non si può sperare né la vita né la salvezza».
Si presenta adesso una questione: se ci si può salvare perché senza colpa si è fuori della Chiesa Cattolica, allora viene meno il "Fuori della Chiesa non c'è salvezza"...
E invece non c'è contraddizione. Condizione necessaria per far parte della Chiesa è ricevere il battesimo. Ma non esiste solo il "battesimo-di-acqua" (quello che viene amministrato ordinariamente), esistono anche il "battesimo-di-sangue" e il "battesimo-di-desiderio". Il battesimo-di-sangue riguarda il martirio subìto senza che ancora si è ricevuto il Battesimo. Il battesimo-di-desiderio invece è quando un adulto in attesa di ricevere il battesimo dovesse morire improvvisamente.
Prendiamo in considerazione quest'ultimo tipo di battesimo. Colui o colei che si trova nella situazione della dotta ignoranza o dell'ignoranza invincibile ha un desiderio di aderire al vero Dio; è un desiderio implicito e non esplicito, ma è ugualmente un desiderio. Dunque, non è formalmente nella Chiesa, ma lo è sostanzialmente. E lo è sostanzialmente grazie a una sorta di battesimo-di-desiderio.
In questo modo viene tanto salvaguardato il principio giusto che possano salvarsi coloro che in buona fede non sono cattolici, quanto il principio dell'Extra Ecclesiam nulla salus. A proposito del desiderio implicito, Papa san Pio X, nel suo celebre Catechismo, dice: «Chi, trovandosi senza sua colpa, ossia in buona fede, fuori della Chiesa, avesse ricevuto il Battesimo, o ne avesse il desiderio almeno implicito; cercasse inoltre sinceramente la verità e compisse la volontà di Dio come meglio può; benché separato dal corpo della Chiesa, sarebbe unito all'anima di lei e quindi in via di salute».
Rimane ancora un'altra questione: qual è il criterio che il Signore utilizza per capire se un'anima desidera davvero aderire a Lui? Vi è da dire che qui c'è molta confusione. Spesso si dice: se qualcuno senza colpa non è cattolico, è bene che pratichi "bene" la propria religione. Ciò è invece sbagliato.
Se il desiderio implicito di aderire al vero Dio si deve esprimere con lo sforzo di praticare bene la propria (falsa) religione, allora ciò significherebbe che ogni religione è di per sé "via di salvezza"; e se così fosse, verrebbe meno l'esclusivismo salvifico della Redenzione di Cristo.
Piuttosto il criterio è un altro: lo sforzo riguarda non la pratica della propria religione, ma l'adesione alla legge naturale. Certamente possono salvarsi anche i musulmani, gli induisti, i buddisti... incolpevoli per il loro non essere cristiani, ma non grazie all'essere musulmani, induisti e buddisti, bensì malgrado siano musulmani, induisti, buddisti ... o quant'altro.

Fonte: Radici Cristiane, dicembre 2011

6 - LA CHIESA FRA LE TEMPESTE: IL NUOVO LIBRO DI DE MATTEI
Il primo millennio di storia della Chiesa nelle conversazioni del professor Roberto De Mattei a Radio Maria
Autore: Cristina Siccardi - Fonte: Corrispondenza Romana, 22/11/2012

La vita della Chiesa è continuamente esposta a rischi esterni ed interni, a volte essa si deve difendere da nemici fuori dalle sue mura e a volte da nemici intra muros. Ci sono periodi storici nei quali la Sposa di Cristo appare al mondo vittoriosa, altre volte i suoi abiti sono orribilmente macchiati e lacerati, le vengono inferte ferite sanguinanti e profonde. Oggi viviamo il tempo in cui la Chiesa si trova in una profonda crisi, nella quale molti cattolici e purtroppo molti pastori hanno smarrito la rotta perché hanno deciso di seguire orientamenti comodi, ideologici, fasulli e mondani, che non richiedono sacrifici ed assecondano illusorie chimere.
Di fronte al desolante e spesso sconcertante panorama, nel quale l'errore ha obnubilato molte menti, le lamentazioni e il pessimismo non sono necessari, bensì sono indispensabili persone e strumenti in grado di farci comprendere che nella Chiesa, anche quando essa è sotto l'attacco violento delle tempeste, lo Spirito Santo continua a soffiare e ad operare servendosi di anime profondamente legate a Dio, pronte a fronteggiare una battaglia destinata ad essere vinta, indipendentemente dalla forza dei nemici, proprio perché, come sostiene san Paolo, la nostra battaglia è sì contro gli angeli decaduti e Satana in persona, ma è per e con Nostro Signore Gesù Cristo. Ecco, allora, che uno strumento come La Chiesa fra le tempeste. Il primo millennio di storia della Chiesa nelle conversazioni a Radio Maria (Sugarco Edizioni, Milano 2012, pp. 170, € 16.00), proposto dal professor Roberto de Mattei, non risulta importante solo per la precisa carrellata storica ivi contenuta, ma anche perché presenta la prova di come la Chiesa sia sempre riemersa, nonostante la ferocia degli attacchi che ha dovuto subire nel suo cammino.
Pazienza, combattimento, perseveranza, abnegazione e sacrificio sono la reale dimostrazione di chi ama fedelmente la Chiesa. Afferma de Mattei: «Noi non possiamo salvare la Chiesa, possiamo amarla e servirla, imitando l'esempio di tutti coloro che nel corso della storia per essa hanno dato la vita. Chi pretende di salvare la Chiesa vuole costruire una Chiesa secondo la propria opinione, diversa da quella di Cristo. La Chiesa istituita da Gesù Cristo è monarchica perché fondata sul primato di Pietro ed è gerarchica perché i vescovi, in unione con il Papa, esercitano in essa un supremo potere di governo e di santificazione. Né il Papa né i vescovi possono cambiare la legge del Vangelo tramandata da Gesù stesso. (…). La crisi attuale non nasce da questo modello di dottrina e di vita, che la Tradizione ci consegna, ma dall'allontanamento da esso. Tutti gli eresiarchi, nel corso dei secoli, hanno propugnato una pseudo-riforma della Chiesa che ne sfigurasse il volto. Ma l'unica vera riforma è quella di riscoprire la Tradizione, che non è altro che il perenne insegnamento di Cristo, e viverla con coerenza, come hanno fatto i santi. Nelle epoche difficili della Chiesa sono stati i santi, non gli eretici, a salvarla» (pp. 16-17).
Le anime sante e pronte all'immolazione (fino al martirio, a volte morale a volte fisico) si comportano come Teseo, che riuscì a trovare la via di fuga dal labirinto grazie al gomitolo che Arianna gli aveva consegnato. Il gomitolo della Chiesa è la Tradizione. Dunque a chi guardare per trovare forza ed esempio? «Da parte nostra imitiamo sant'Atanasio e tutti i santi, anche sconosciuti, che levarono la fiaccola della fede nel IV secolo, anche a costo di esser definiti fanatici e intransigenti, e chiediamo la loro protezione e quella della Madonna, Auxilium Christianorum, per affrontare le prove che verranno» (p. 53), così come la invocarono san Pio V (Battaglia di Lepanto), Innocenzo XI (liberazione di Vienna dall'assedio dei Turchi), Pio VII (liberazione dalla prigionia napoleonica) e san Giovanni Bosco, che lottò al fianco di Maria Ausiliatrice contro il liberalismo, la Massoneria e le idee protestanti.

Fonte: Corrispondenza Romana, 22/11/2012

7 - CARI GIOVANI, ANDATE E FATE DISCEPOLI TUTTI I POPOLI!
Messaggio del Papa per la XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù del 2013 a Rio de Janeiro (Brasile)
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Libreria Editrice Vaticana, 18/10/2012

Cari giovani,
vorrei far giungere a tutti voi il mio saluto pieno di gioia e di affetto. Sono certo che molti di voi sono tornati dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid maggiormente «radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede» (cfr Col 2,7). Quest'anno, nelle varie Diocesi, abbiamo celebrato la gioia di essere cristiani, ispirati dal tema: «Siate sempre lieti nel Signore!» (Fil 4,4). E ora ci stiamo preparando alla prossima Giornata Mondiale, che si celebrerà a Rio de Janeiro, in Brasile, nel luglio 2013.
Desidero anzitutto rinnovarvi l'invito a partecipare a questo importante appuntamento. La celebre statua del Cristo Redentore, che domina quella bella città brasiliana, ne sarà il simbolo eloquente: le sue braccia aperte sono il segno dell'accoglienza che il Signore riserverà a tutti coloro che verranno a Lui e il suo cuore raffigura l'immenso amore che Egli ha per ciascuno e per ciascuna di voi. Lasciatevi attrarre da Lui! Vivete questa esperienza di incontro con Cristo, insieme ai tanti altri giovani che convergeranno a Rio per il prossimo incontro mondiale! Lasciatevi amare da Lui e sarete i testimoni di cui il mondo ha bisogno.
Vi invito a prepararvi alla Giornata Mondiale di Rio de Janeiro meditando fin d'ora sul tema dell'incontro: «Andate e fate discepoli tutti i popoli!» (cfr Mt 28,19). Si tratta della grande esortazione missionaria che Cristo ha lasciato alla Chiesa intera e che rimane attuale ancora oggi, dopo duemila anni. Ora questo mandato deve risuonare con forza nel vostro cuore. L'anno di preparazione all'incontro di Rio coincide con l'Anno della fede, all'inizio del quale il Sinodo dei Vescovi ha dedicato i suoi lavori a «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». Perciò sono contento che anche voi, cari giovani, siate coinvolti in questo slancio missionario di tutta la Chiesa: far conoscere Cristo è il dono più prezioso che potete fare agli altri.

1. UNA CHIAMATA PRESSANTE
La storia ci ha mostrato quanti giovani, attraverso il dono generoso di se stessi, hanno contribuito grandemente al Regno di Dio e allo sviluppo di questo mondo, annunciando il Vangelo. Con grande entusiasmo, essi hanno portato la Buona Notizia dell'Amore di Dio manifestato in Cristo, con mezzi e possibilità ben inferiori a quelli di cui disponiamo al giorno d'oggi. Penso, per esempio, al Beato José de Anchieta, giovane gesuita spagnolo del XVI secolo, partito in missione per il Brasile quando aveva meno di vent'anni e divenuto un grande apostolo del Nuovo Mondo. Ma penso anche a quanti di voi si dedicano generosamente alla missione della Chiesa: ne ho avuto una sorprendente testimonianza alla Giornata Mondiale di Madrid, in particolare nell'incontro con i volontari.
Oggi non pochi giovani dubitano profondamente che la vita sia un bene e non vedono chiarezza nel loro cammino. Più in generale, di fronte alle difficoltà del mondo contemporaneo, molti si chiedono: io che cosa posso fare? La luce della fede illumina questa oscurità, ci fa comprendere che ogni esistenza ha un valore inestimabile, perché frutto dell'amore di Dio. Egli ama anche chi si è allontanato da Lui o lo ha dimenticato: ha pazienza e attende; anzi, ha donato il suo Figlio, morto e risorto, per liberarci radicalmente dal male. E Cristo ha inviato i suoi discepoli per portare a tutti i popoli questo annuncio gioioso di salvezza e di vita nuova.
La Chiesa, nel continuare questa missione di evangelizzazione, conta anche su di voi. Cari giovani, voi siete i primi missionari tra i vostri coetanei! Alla fine del Concilio Ecumenico Vaticano II, di cui quest'anno celebriamo il 50° anniversario, il Servo di Dio Paolo VI consegnò ai giovani e alle giovani del mondo un Messaggio che si apriva con queste parole: «È a voi, giovani uomini e donne del mondo intero, che il Concilio vuole rivolgere il suo ultimo messaggio. Perché siete voi che raccoglierete la fiaccola dalle mani dei vostri padri e vivrete nel mondo nel momento delle più gigantesche trasformazioni della sua storia. Siete voi che, raccogliendo il meglio dell'esempio e dell'insegnamento dei vostri genitori e dei vostri maestri, formerete la società di domani: voi vi salverete o perirete con essa». E concludeva con un appello: «Costruite nell'entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!» (Messaggio ai giovani, 8 dicembre 1965).
Cari amici, questo invito è di grande attualità. Stiamo attraversando un periodo storico molto particolare: il progresso tecnico ci ha offerto possibilità inedite di interazione tra uomini e tra popolazioni, ma la globalizzazione di queste relazioni sarà positiva e farà crescere il mondo in umanità solo se sarà fondata non sul materialismo ma sull'amore, l'unica realtà capace di colmare il cuore di ciascuno e di unire le persone. Dio è amore. L'uomo che dimentica Dio è senza speranza e diventa incapace di amare il suo simile. Per questo è urgente testimoniare la presenza di Dio affinché ognuno possa sperimentarla: è in gioco la salvezza dell'umanità e la salvezza di ciascuno di noi. Chiunque comprenda questa necessità, non potrà che esclamare con san Paolo: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16).

2. DIVENTATE DISCEPOLI DI CRISTO
Questa chiamata missionaria vi viene rivolta anche per un'altra ragione: è necessaria per il nostro cammino di fede personale. Il Beato Giovanni Paolo II scriveva: «La fede si rafforza donandola» (Enc. Redemptoris missio, 2). Annunciando il Vangelo voi stessi crescete nel radicarvi sempre più profondamente in Cristo, diventate cristiani maturi. L'impegno missionario è una dimensione essenziale della fede: non si è veri credenti senza evangelizzare. E l'annuncio del Vangelo non può che essere la conseguenza della gioia di avere incontrato Cristo e di aver trovato in Lui la roccia su cui costruire la propria esistenza. Impegnandovi a servire gli altri e ad annunciare loro il Vangelo, la vostra vita, spesso frammentata tra diverse attività, troverà la sua unità nel Signore, costruirete anche voi stessi, crescerete e maturerete in umanità.
Ma che cosa vuol dire essere missionari? Significa anzitutto essere discepoli di Cristo, ascoltare sempre di nuovo l'invito a seguirlo, l'invito a guardare a Lui: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Un discepolo, in effetti, è una persona che si pone all'ascolto della Parola di Gesù (cfr Lc 10,39), riconosciuto come il Maestro che ci ha amati fino al dono della vita. Si tratta dunque, per ciascuno di voi, di lasciarsi plasmare ogni giorno dalla Parola di Dio: essa vi renderà amici del Signore Gesù e capaci di far entrare altri giovani in questa amicizia con Lui.
Vi consiglio di fare memoria dei doni ricevuti da Dio per trasmetterli a vostra volta. Imparate a rileggere la vostra storia personale, prendete coscienza anche della meravigliosa eredità delle generazioni che vi hanno preceduto: tanti credenti ci hanno trasmesso la fede con coraggio, affrontando prove e incomprensioni. Non dimentichiamolo mai: facciamo parte di una catena immensa di uomini e donne che ci hanno trasmesso la verità della fede e contano su di noi affinché altri la ricevano. L'essere missionari presuppone la conoscenza di questo patrimonio ricevuto, che è la fede della Chiesa: è necessario conoscere ciò in cui si crede, per poterlo annunciare. Come ho scritto nell'introduzione di YouCat, il Catechismo per giovani che vi ho donato all'Incontro Mondiale di Madrid, «dovete conoscere la vostra fede con la stessa precisione con cui uno specialista di informatica conosce il sistema operativo di un computer; dovete conoscerla come un musicista conosce il suo pezzo; sì, dovete essere ben più profondamente radicati nella fede della generazione dei vostri genitori, per poter resistere con forza e decisione alle sfide e alle tentazioni di questo tempo.» (Premessa).

3. ANDATE!
Gesù ha inviato i suoi discepoli in missione con questo mandato: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato» (Mc 16,15-16). Evangelizzare significa portare ad altri la Buona Notizia della salvezza e questa Buona Notizia è una persona: Gesù Cristo. Quando lo incontro, quando scopro fino a che punto sono amato da Dio e salvato da Lui, nasce in me non solo il desiderio, ma la necessità di farlo conoscere ad altri. All'inizio del Vangelo di Giovanni vediamo Andrea il quale, dopo aver incontrato Gesù, si affretta a condurre da Lui suo fratello Simone (cfr 1,40-42). L'evangelizzazione parte sempre dall'incontro con il Signore Gesù: chi si è avvicinato a Lui e ha fatto esperienza del suo amore vuole subito condividere la bellezza di questo incontro e la gioia che nasce da questa amicizia. Più conosciamo Cristo, più desideriamo annunciarlo. Più parliamo con Lui, più desideriamo parlare di Lui. Più ne siamo conquistati, più desideriamo condurre gli altri a Lui.
Mediante il Battesimo, che ci genera a vita nuova, lo Spirito Santo prende dimora in noi e infiamma la nostra mente e il nostro cuore: è Lui che ci guida a conoscere Dio e ad entrare in amicizia sempre più profonda con Cristo; è lo Spirito che ci spinge a fare il bene, a servire gli altri, a donare noi stessi. Attraverso la Confermazione, poi, siamo fortificati dai suoi doni per testimoniare in modo sempre più maturo il Vangelo. È dunque lo Spirito d'amore l'anima della missione: ci spinge ad uscire da noi stessi, per «andare» ed evangelizzare. Cari giovani, lasciatevi condurre dalla forza dell'amore di Dio, lasciate che questo amore vinca la tendenza a chiudersi nel proprio mondo, nei propri problemi, nelle proprie abitudini; abbiate il coraggio di «partire» da voi stessi per «andare» verso gli altri e guidarli all'incontro con Dio.

4. RAGGIUNGETE TUTTI I POPOLI
Cristo risorto ha mandato i suoi discepoli a testimoniare la sua presenza salvifica a tutti i popoli, perché Dio nel suo amore sovrabbondante, vuole che tutti siano salvi e nessuno sia perduto. Con il sacrificio di amore della Croce, Gesù ha aperto la strada affinché ogni uomo e ogni donna possa conoscere Dio ed entrare in comunione di amore con Lui. E ha costituito una comunità di discepoli per portare l'annuncio di salvezza del Vangelo fino ai confini della terra, per raggiungere gli uomini e le donne di ogni luogo e di ogni tempo. Facciamo nostro questo desiderio di Dio!
Cari amici, volgete gli occhi e guardate intorno a voi: tanti giovani hanno perduto il senso della loro esistenza. Andate! Cristo ha bisogno anche di voi. Lasciatevi coinvolgere dal suo amore, siate strumenti di questo amore immenso, perché giunga a tutti, specialmente ai «lontani». Alcuni sono lontani geograficamente, altri invece sono lontani perché la loro cultura non lascia spazio a Dio; alcuni non hanno ancora accolto il Vangelo personalmente, altri invece, pur avendolo ricevuto, vivono come se Dio non esistesse. A tutti apriamo la porta del nostro cuore; cerchiamo di entrare in dialogo, nella semplicità e nel rispetto: questo dialogo, se vissuto in una vera amicizia, porterà frutto. I «popoli» ai quali siamo inviati non sono soltanto gli altri Paesi del mondo, ma anche i diversi ambiti di vita: le famiglie, i quartieri, gli ambienti di studio o di lavoro, i gruppi di amici e i luoghi del tempo libero. L'annuncio gioioso del Vangelo è destinato a tutti gli ambiti della nostra vita, senza alcun limite.
Vorrei sottolineare due campi in cui il vostro impegno missionario deve farsi ancora più attento. Il primo è quello delle comunicazioni sociali, in particolare il mondo di internet. Come ho già avuto modo di dirvi, cari giovani, «sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita! [...] A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito della evangelizzazione di questo "continente digitale"» (Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24 maggio 2009). Sappiate dunque usare con saggezza questo mezzo, considerando anche le insidie che esso contiene, in particolare il rischio della dipendenza, di confondere il mondo reale con quello virtuale, di sostituire l'incontro e il dialogo diretto con le persone con i contatti in rete.
Il secondo ambito è quello della mobilità. Oggi sono sempre più numerosi i giovani che viaggiano, sia per motivi di studio o di lavoro, sia per divertimento. Ma penso anche a tutti i movimenti migratori, con cui milioni di persone, spesso giovani, si trasferiscono e cambiano Regione o Paese per motivi economici o sociali. Anche questi fenomeni possono diventare occasioni provvidenziali per la diffusione del Vangelo. Cari giovani, non abbiate paura di testimoniare la vostra fede anche in questi contesti: è un dono prezioso per chi incontrate comunicare la gioia dell'incontro con Cristo.

5. FATE DISCEPOLI!
Penso che abbiate sperimentato più volte la difficoltà di coinvolgere i vostri coetanei nell'esperienza di fede. Spesso avrete constatato come in molti giovani, specialmente in certe fasi del cammino della vita, ci sia il desiderio di conoscere Cristo e di vivere i valori del Vangelo, ma questo sia accompagnato dal sentirsi inadeguati e incapaci. Che cosa fare? Anzitutto la vostra vicinanza e la vostra semplice testimonianza saranno un canale attraverso il quale Dio potrà toccare il loro cuore. L'annuncio di Cristo non passa solamente attraverso le parole, ma deve coinvolgere tutta la vita e tradursi in gesti di amore. L'essere evangelizzatori nasce dall'amore che Cristo ha infuso in noi; il nostro amore, quindi, deve conformarsi sempre di più al suo. Come il buon Samaritano, dobbiamo essere sempre attenti a chi incontriamo, saper ascoltare, comprendere, aiutare, per condurre chi è alla ricerca della verità e del senso della vita alla casa di Dio che è la Chiesa, dove c'è speranza e salvezza (cfr Lc 10,29-37). Cari amici, non dimenticate mai che il primo atto di amore che potete fare verso il prossimo è quello di condividere la sorgente della nostra speranza: chi non dà Dio, dà troppo poco! Ai suoi apostoli Gesù comanda: «Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). I mezzi che abbiamo per «fare discepoli» sono principalmente il Battesimo e la catechesi. Ciò significa che dobbiamo condurre le persone che stiamo evangelizzando a incontrare Cristo vivente, in particolare nella sua Parola e nei Sacramenti: così potranno credere in Lui, conosceranno Dio e vivranno della sua grazia. Vorrei che ciascuno si chiedesse: ho mai avuto il coraggio di proporre il Battesimo a giovani che non l'hanno ancora ricevuto? Ho invitato qualcuno a seguire un cammino di scoperta della fede cristiana? Cari amici, non temete di proporre ai vostri coetanei l'incontro con Cristo. Invocate lo Spirito Santo: Egli vi guiderà ad entrare sempre più nella conoscenza e nell'amore di Cristo e vi renderà creativi nel trasmettere il Vangelo.

6. SALDI NELLA FEDE
Di fronte alle difficoltà della missione di evangelizzare, talvolta sarete tentati di dire come il profeta Geremia: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Ma anche a voi Dio risponde: «Non dire: "Sono giovane". Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò» (Ger 1,6-7). Quando vi sentite inadeguati, incapaci, deboli nell'annunciare e testimoniare la fede, non abbiate timore. L'evangelizzazione non è una nostra iniziativa e non dipende anzitutto dai nostri talenti, ma è una risposta fiduciosa e obbediente alla chiamata di Dio, e perciò si basa non sulla nostra forza, ma sulla sua. Lo ha sperimentato l'apostolo Paolo: «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2 Cor 4,7).
Per questo vi invito a radicarvi nella preghiera e nei Sacramenti. L'evangelizzazione autentica nasce sempre dalla preghiera ed è sostenuta da essa: dobbiamo prima parlare con Dio per poter parlare di Dio. E nella preghiera, affidiamo al Signore le persone a cui siamo inviati, supplicandolo di toccare loro il cuore; domandiamo allo Spirito Santo di renderci suoi strumenti per la loro salvezza; chiediamo a Cristo di mettere le parole sulle nostre labbra e di farci segni del suo amore. E, più in generale, preghiamo per la missione di tutta la Chiesa, secondo la richiesta esplicita di Gesù: «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Mt 9,38). Sappiate trovare nell'Eucaristia la sorgente della vostra vita di fede e della vostra testimonianza cristiana, partecipando con fedeltà alla Messa domenicale e ogni volta che potete nella settimana. Ricorrete frequentemente al Sacramento della Riconciliazione: è un incontro prezioso con la misericordia di Dio che ci accoglie, ci perdona e rinnova i nostri cuori nella carità. E non esitate a ricevere il Sacramento della Confermazione o Cresima se non l'avete ricevuto, preparandovi con cura e impegno. Con l'Eucaristia, esso è il Sacramento della missione, perché ci dona la forza e l'amore dello Spirito Santo per professare senza paura la fede. Vi incoraggio inoltre a praticare l'adorazione eucaristica: sostare in ascolto e dialogo con Gesù presente nel Sacramento diventa punto di partenza di nuovo slancio missionario.
Se seguirete questo cammino, Cristo stesso vi donerà la capacità di essere pienamente fedeli alla sua Parola e di testimoniarlo con lealtà e coraggio. A volte sarete chiamati a dare prova di perseveranza, in particolare quando la Parola di Dio susciterà chiusure od opposizioni. In certe regioni del mondo, alcuni di voi vivono la sofferenza di non poter testimoniare pubblicamente la fede in Cristo, per mancanza di libertà religiosa. E c'è chi ha già pagato anche con la vita il prezzo della propria appartenenza alla Chiesa. Vi incoraggio a restare saldi nella fede, sicuri che Cristo è accanto a voi in ogni prova. Egli vi ripete: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,11-12).

7. CON TUTTA LA CHIESA
Cari giovani, per restare saldi nella confessione della fede cristiana là dove siete inviati, avete bisogno della Chiesa. Nessuno può essere testimone del Vangelo da solo. Gesù ha inviato i suoi discepoli in missione insieme: «fate discepoli» è rivolto al plurale. È dunque sempre come membri della comunità cristiana che noi offriamo la nostra testimonianza, e la nostra missione è resa feconda dalla comunione che viviamo nella Chiesa: dall'unità e dall'amore che abbiamo gli uni per gli altri ci riconosceranno come discepoli di Cristo (cfr Gv 13,35). Sono grato al Signore per la preziosa opera di evangelizzazione che svolgono le nostre comunità cristiane, le nostre parrocchie, i nostri movimenti ecclesiali. I frutti di questa evangelizzazione appartengono a tutta la Chiesa: «uno semina e l'altro miete», diceva Gesù (Gv 4,37).
A tale proposito, non posso che rendere grazie per il grande dono dei missionari, che dedicano tutta la loro vita ad annunciare il Vangelo sino ai confini della terra. Allo stesso modo benedico il Signore per i sacerdoti e i consacrati, che offrono interamente se stessi affinché Gesù Cristo sia annunciato e amato. Desidero qui incoraggiare i giovani che sono chiamati da Dio, a impegnarsi con entusiasmo in queste vocazioni: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35). A coloro che lasciano tutto per seguirlo, Gesù ha promesso il centuplo e la vita eterna! (cfr Mt 19,29).
Rendo grazie anche per tutti i fedeli laici che si adoperano per vivere il loro quotidiano come missione là dove sono, in famiglia o sul lavoro, affinché Cristo sia amato e servito e cresca il Regno di Dio. Penso in particolare a quanti operano nel campo dell'educazione, della sanità, dell'impresa, della politica e dell'economia e in tanti altri ambiti dell'apostolato dei laici. Cristo ha bisogno del vostro impegno e della vostra testimonianza. Nulla - né le difficoltà, né le incomprensioni - vi faccia rinunciare a portare il Vangelo di Cristo nei luoghi in cui vi trovate: ognuno di voi è prezioso nel grande mosaico dell'evangelizzazione!

8. «ECCOMI, SIGNORE!»
In conclusione, cari giovani, vorrei invitarvi ad ascoltare nel profondo di voi stessi la chiamata di Gesù ad annunciare il suo Vangelo. Come mostra la grande statua di Cristo Redentore a Rio de Janeiro, il suo cuore è aperto all'amore verso tutti, senza distinzioni, e le sue braccia sono tese per raggiungere ciascuno. Siate voi il cuore e le braccia di Gesù! Andate a testimoniare il suo amore, siate i nuovi missionari animati dall'amore e dall'accoglienza! Seguite l'esempio dei grandi missionari della Chiesa, come san Francesco Saverio e tanti altri.
Al termine della Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid, ho benedetto alcuni giovani di diversi continenti che partivano in missione. Essi rappresentavano i tantissimi giovani che, riecheggiando il profeta Isaia, dicono al Signore: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8). La Chiesa ha fiducia in voi e vi è profondamente grata per la gioia e il dinamismo che portate: usate i vostri talenti con generosità al servizio dell'annuncio del Vangelo! Sappiamo che lo Spirito Santo si dona a coloro che, in umiltà di cuore, si rendono disponibili a tale annuncio. E non abbiate paura: Gesù, Salvatore del mondo, è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20)!
Questo appello, che rivolgo ai giovani di tutta la terra, assume un rilievo particolare per voi, cari giovani dell'America Latina! Infatti, alla V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano che si è svolta ad Aparecida nel 2007, i Vescovi hanno lanciato una «missione continentale». E i giovani, che in quel continente costituiscono la maggioranza della popolazione, rappresentano una forza importante e preziosa per la Chiesa e per la società. Siate dunque voi i primi missionari! Ora che la Giornata Mondiale della Gioventù fa il suo ritorno in America Latina, esorto tutti i giovani del continente: trasmettete ai vostri coetanei del mondo intero l'entusiasmo della vostra fede!
La Vergine Maria, Stella della Nuova Evangelizzazione, invocata anche con i titoli di Nostra Signora di Aparecida e Nostra Signora di Guadalupe, accompagni ciascuno di voi nella sua missione di testimone dell'amore di Dio. A tutti, con particolare affetto, imparto la mia Benedizione Apostolica.

Fonte: Libreria Editrice Vaticana, 18/10/2012

8 - LETTERE ALLA REDAZIONE: RADIO CAPITAL VUOLE CHE LA CHIESA SCOMUNICHI BERLUSCONI
Va in onda sul tg0 la più trita faziosità... che però non prende mai di mira musulmani o centri sociali
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie, 12/11/2012

Gentile redazione di BastaBugie,
stasera su Radio Capital una delle puntate più sguaiate che abbia mai sentito. Ogni tanto ascolto questo programma (tg0, mi pare si chiami) , tanto per sentire fino a che punto può arrivare l'odio e la faziosità a senso unico. Ma stasera hanno superato se stessi.
Ce l'avevano con la Chiesa Cattolica e la sua etica sessuale. In particolare erano arrabbiati per il divieto (ribadito recentemente) ai rapporti prematrimoniali. La norma veniva definita come sbagliata, inutile, assurda, medioevale, ecc. ecc.
I due conduttori radiofonici dettavano i loro "precetti" ai "cattolici", manco fossero loro il Papa. O Gesù Cristo disceso sulla terra. Criticavano il "dogmatismo" della Chiesa, senza accorgersi che loro erano altrettanto (se non più) dogmatici, spacciando le loro tesi come la "verità" indiscutibili.
Avrei voluto chiamare e dire loro che preferivo mille volte fidarmi della dottrina secolare della Chiesa piuttosto che delle idee di due cretini che sproloquiano da un microfono, a pagamento. E avrei chiesto come facevano ad ostentare tanta sicurezza che i rapporti prematrimoniali non avessero effetti negativi, come invece sostiene la Chiesa (da 2 millenni). Ma il numero per telefonare non lo dicono mai.
Dopodiché i due continuavano, ancora più arroganti e presuntuosi affermando che "I cattolici se ne infischiano della dottrina della Chiesa e fanno quello che vogliono come tutti gli altri. Abortiscono e fanno sesso, né più né meno delle persone non cattoliche".
Come facessero a sparare delle affermazioni così apodittiche con tanta sicurezza non è dato saperlo. E comunque c'era qualcosa di strano e sospetto nella loro filippica. Infatti, se erano veramente convinti che le indicazione della Chiesa non vengono seguite da nessuno, perché se la prendevano tanto?
La spiegazione del loro odio anticlericale è emersa chiara subito dopo: "La Chiesa criminalizza il sesso e poi non dice nulla sulle porcherie che fanno i politici. Non parla contro i ladri, il capitalismo, il caso Ruby, Berlusconi, ecc, ecc.".
Ecco qui la ragione di tanto odio ecclesiastico!! La Chiesa non critica abbastanza Berlusconi. Ed ecco qui la dimostrazione che l'odio acceca e rende idioti. Infatti dire che la Chiesa dovrebbe criticare Berlusconi invece che dare precetti sul sesso, significa dire una scemenza clamorosa. Cioè confondere due livelli diversi. Un conto infatti è il livello dei precetti generali. Un conto è l'accusa ad personam o a soggetti determinati e specifici. Il primo è compito della Chiesa. Il secondo molto meno. Si condanna il peccato, ma non si giudicano i peccatori. Quest' ultima competenza non è della Chiesa, ma di Dio.
Ma è proprio questo il punto. Evidentemente lo Zucconi si crede il Padreterno. A lui interessa non stabilire dei valori, ma accusare e sputare veleno e odio contro persone specifiche e i suoi nemici politici. Chissà, forse lo faranno papa al prossimo concistoro. Coi soldi di De Benedetti magari ci riesce.
Un'ultima considerazione. Mi piacerebbe vedere se in una delle prossime puntate di TG0 i due "fustigatori di costumi" avranno il coraggio di sputare sentenze anche contro l'Islam e le predicazioni dei vari Imam. Potrebbero parlare, ad esempio, della condizione femminile , disastrosa dove dominano i Musulmani (anche in Italia).
Oppure potrebbero fare una puntata sui ladri dei Centri Sociali, che solo a Milano occupano (cioè rubano) una ventina di edifici privato o pubblici, che non sono di loro proprietà e che non hanno nessun diritto di occupare (ovviamente appoggiati dai politici di sinistra e coperti da giornalisti tipo Zucconi).
Ma sicuramente il coraggio di fare questi attacchi Zucconi e l'altro non ce l' avranno mai. Meglio prendersela con la Chiesa Cattolica.
Angelo

Caro Angelo,
la storia è sempre la stessa: la Chiesa viene percepita come non alla moda e controcorrente. Il che è semplicemente vero: la Chiesa annuncia da duemila anni la Verità per cui le mode passano, mentre l'insegnamento perenne della Chiesa, custode fedele del Deposito della Fede, cioè della rivelazione di Dio, resta sempre valido e sempre lo stesso.
Mi chiedo quale autorevolezza avrebbe una Chiesa che come una banderuola cambiasse idea ogni volta che cambia il vento della storia.
Comunque per ulteriori approfondimenti rimando a due articoli da noi pubblicati in passato con il relativo link.
BERLUSCONI PUO' FARE LA COMUNIONE?
Le regole della Chiesa valgono per tutti, senza eccezioni!
di Giano Colli (articolo del 4 giugno 2010)
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=129
LA REPUBBLICA SI COPRE DI RIDICOLO E INVOCA LA SCOMUNICA DI BERLUSCONI: MA SE LA CHIESA SCOMUNICASSE I PECCATORI SAREMMO TUTTI FUORI
Che adesso a bacchettare i festini con prostitute sia il giornale alfiere dell'aborto, della Ru 486, dell'eutanasia, della diagnosi preimpianto, è esilarante fino alle lacrime
di Costanza Miriano (articolo del 7 ottobre 2011)
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=1970

DOSSIER "LETTERE ALLA REDAZIONE"
Le risposte del direttore ai lettori

Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!

Fonte: Redazione di BastaBugie, 12/11/2012

9 - OMELIA I DOMENICA DI AVVENTO - ANNO C - (Lc 21, 25-28.34-36)
I vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita
Fonte Il Settimanale di Padre Pio, (omelia per il 02/12/2012)

È iniziato l'Avvento, ovvero il Tempo che ci prepara a festeggiare il Natale del Signore. In questo Tempo la Chiesa ci invita a riflettere sulla venuta del Signore. Vi è stata una prima venuta del Figlio di Dio sulla terra, a Betlemme. Questa prima venuta si è verificata nel silenzio e nel nascondimento: il Figlio di Dio è sceso su questa terra prendendo carne nel grembo della Vergine Maria. La Sacra Scrittura paragona questa discesa a quella della rugiada che irrora la terra, oppure a un germoglio che spunta da un ramo. Questa prima venuta è avvenuta nella povertà e nell'umiltà per insegnare a noi la via da percorrere se vogliamo raggiungere il Cielo.
Vi è poi una seconda venuta che ci sarà alla fine dei tempi. Quest'ultima venuta sarà contraddistinta dalla gloria e dalla maestà: il Figlio di Dio verrà per giudicare il mondo intero e vi sarà la definitiva vittoria del bene sul male.
Di queste due venute parlano le letture di oggi. La prima lettura si riferisce alla prima venuta. Il profeta Geremia, infatti, afferma: «In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra» (Ger 33,15). Della seconda venuta ci parla il Vangelo: «Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria» (Lc 21,27). Per prepararci a questa venuta, il Vangelo ci esorta a pregare con perseveranza: «Vegliate in ogni momento pregando» (Lc 21,36).
Nessuno sa quando Gesù verrà nella gloria. Una cosa sola è certa: quel giorno verrà all'improvviso, quando meno ce lo aspetteremo. Il Signore dice: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso» (Lc 21,34). Ogni giorno dobbiamo essere pronti per l'incontro con Dio. Del resto, quando verrà la nostra ultima ora, quella per noi sarà la fine e dovremo rendere conto a Dio della nostra vita. Poco importa sapere quando verrà la fine del mondo! I vizi e i peccati appesantiscono il nostro cuore e ci impediscono di pensare al Cielo.
Per prepararci all'incontro con Gesù, san Paolo, nella seconda lettura di oggi, ci esorta a comportarci rettamente, ricercando la nostra santificazione e l'amore fraterno. Egli, infatti, così scrive ai Tessalonicesi: «Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell'amore fra di voi e verso tutti [...] per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità» (1Ts 3,12-13).
Se faremo così anche noi, non avremo nulla da temere da quel giorno che verrà all'improvviso. Sarà un giorno di gioia per tutti quelli che amano il Signore, e un giorno di condanna per tutti quelli che moriranno in peccato mortale. Pertanto, la Chiesa ci esorta a confessarci spesso e a confessarci bene, sinceramente, con vivo pentimento e sincero proposito di non peccare più.
Il modo migliore per vivere il Tempo dell'Avvento è quello di riordinare la nostra coscienza con un buon esame di coscienza, con una buona Confessione e con una preghiera più generosa.
Un proposito molto bello potrebbe essere quello di leggere e meditare quotidianamente le letture della Messa. Da questa meditazione scaturiranno certamente dei propositi di miglioramento. Un altro proposito ci viene indicato dalla Colletta, ovvero dalla preghiera iniziale della Messa. Con quella preghiera abbiamo chiesto a Dio di suscitare in noi la volontà di andare incontro a Gesù con le buone opere. Il campo delle opere buone è sconfinato. L'Avvento sarà il tempo propizio per individuare cosa potremo fare concretamente.
Riassumendo, possiamo dire che la preghiera e le opere buone devono essere il nostro proposito: allora il Natale che si sta avvicinando sarà il più bello della nostra vita, e Gesù tornerà a nascere nel nostro cuore.

Fonte: Il Settimanale di Padre Pio, (omelia per il 02/12/2012)

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