BastaBugie n�275 del 14 dicembre 2012

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1 I SERMONI DI BENIGNI E LA DIVINA COSTITUZIONE
Il 17 dicembre il comico toscano in prima serata su RaiUno, con lo spettacolo ''La più bella del mondo'', proporrà una melensa pseudosaggezza che rischia di affascinare anche tanti cattolici
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Corrispondenza Romana
2 IL GOVERNO FRANCESE VUOLE REQUISIRE GLI IMMOBILI DELLA CHIESA PER OSPITARE I SENZATETTO
Tutte le scuse sono buone per attaccare la Chiesa (contraria al matrimonio gay introdotto da Hollande) per cercare di metterla a tacere quando i suoi interventi danno fastidio
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana
3 IL DISGUSTOSO VITTIMISMO DELLE FEMMINISTE
Si invoca l'inasprimento delle pene per il femminicidio, mentre la donna che schiaffeggia, colpisce, umilia e maltratta gli uomini è un modello costantemente alimentato dalla cultura dominante
Autore: Gibbì - Fonte: Ragioni Maschili
4 MA CHE DEMOCRAZIA D'EGITTO! L'OSSERVATORE ROMANO SMENTISCE IL MINISTRO ANDREA RICCARDI
Il fondatore della Comunità di Sant'Egidio esalta la democrazia del presidente Morsi, mentre c'è il rischio di una dittatura perché i Fratelli musulmani hanno la possibilità di farsi una costituzione su misura per imporre un controllo permanente sul paese
Fonte: Corrispondenza Romana
5 SCIVOLONE DI AVVENIRE CHE CITA L'ULTIMO LIBRO DEL PAPA PER ELIMINARE DAL PRESEPE IL BUE E L'ASINELLO...
... ma Benedetto XVI dice esattamente il contrario: ''Nessuna raffigurazione del presepe rinuncerà al bue e all'asino''
Autore: Robi Ronza - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana
6 DOPO IL GRANDE SUCCESSO DEL SIGNORE DEGLI ANELLI ECCO IL FILM ''LO HOBBIT: UN VIAGGIO INASPETTATO''
Gli hobbit, testimoni di virtù umane e cristiane
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: Zenit
7 IL MONDO DELLE RACCOLTE DI FONDI PER BENEFICENZA E' DIVENTATO UNA GIUNGLA: IL PAPA METTE ORDINE
Il parroco vende i biglietti di Natale dell'UNICEF, nonostante che questa organizzazione delle Nazioni Unite sia a favore degli anticoncezionali e dell'aborto? Da oggi potete rispondere che si tratta di pratiche non cattoliche vietate dal motu proprio del Papa
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana
8 ASIA BIBI, MADRE DI 5 FIGLI, RISCHIA DI ESSERE IMPICCATA PERCHE' CRISTIANA
A chi le offre la liberazione in cambio della conversione all'islam dice: ''preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musulmana''
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
9 IL VESCOVO DI VERONA LICENZIA GIOVANNI ZENONE, DIRETTORE DI FEDE E CULTURA: E' TROPPO CATTOLICO!
E' giusto che un Vescovo tolga l'insegnamento della religione cattolica ad un docente con più titoli degli altri, fedele alla Chiesa, assiduo alla preghiera, ai sacramenti e sposato con sei figli?
Autore: Francesca Castellaneta - Fonte: Riscossa Cristiana
10 OMELIA III DOMENICA DI AVVENTO - ANNO C - (Lc 3,10-18)
Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato
Fonte: Il Settimanale di Padre Pio

1 - I SERMONI DI BENIGNI E LA DIVINA COSTITUZIONE
Il 17 dicembre il comico toscano in prima serata su RaiUno, con lo spettacolo ''La più bella del mondo'', proporrà una melensa pseudosaggezza che rischia di affascinare anche tanti cattolici
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Corrispondenza Romana, 05/12/2012

Ci siamo, il 17 dicembre si sta avvicinando a gran passi. Passi lunghissimi come quelli che Roberto Benigni muove sul palco nello spot del suo nuovo spettacolo-evento che si intitolerà La più bella del mondo. Naturalmente, si sta parlando della Costituzione italiana, La-Co-sti-tu-zio-ne, l'unico testo sacro che, in quest'epoca post-comunista, post-democristiana, post-liberale, post-cattolica e ora con la nuova versione di Benigni anche post-comica, si mostra capace di mettere d'accordo tutti. Un condensato di saggezza civile che affascina anche tanti cattolici.
Non solo i sinistri eredi di quel dossettismo che tanto ardentemente aveva contribuito al parto, ma anche quel mondo neoconservatore invaghito della laicità, purché si presenti come "sana", che finirà a celebrare la breccia di Porta Pia con Pannella e Rosy Bindi. Alla grandiosità dell'evento "benignano" si presta solo la grandiosa platea della prima serata di "Raiuno" e così, la sera del 17 dicembre, il comico toscano parlerà al popolo italiano, raccogliendo sicuramente più pubblico di quanto farà a reti unificate il presidente Napolitano la sera del 31.
Che cosa dirà nel suo messaggio alla nazione Benigni lo aveva anticipato tempo fa al "Tg1": «Finora mi sono occupato di Dante. Qui siamo nel cielo degli uomini, a uno dei punti più alti raggiunti dagli uomini. In questo momento in cui ci stiamo perdendo, ci stiamo sperdendo davvero, bisogna andare a chiedere a chi ci ha indicato la strada da che parte andare. Gli autori della Costituzione ci hanno illuminato la strada della felicità con regole semplici semplici, i dodici principi fondamentali» che «tanti Stati hanno copiato». Enfasi dovuta, visto che non si sta parlando di un testo qualsiasi, ma della «Più bella del mondo».
Dopo decenni di purgatorio, La-Co-sti-tu-zio-ne è tornata in auge grazie anche al lavoro di gran sacerdoti come i presidenti della repubblica Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi, diventando uno dei miti di ritorno tra i più efficaci. Quando, in un pubblico dibattito, qualcuno non sa più che argomento mettere in campo per stoppare l'avversario, ecco che evoca La-Co-sti-tu-zio-ne. Basta questo per far venir giù dagli applausi una platea che va da Gianfranco Fini a Fausto Bertinotti passando per gli uffici diocesani della pastorale sociale. In altre parole, è diventata un luogo comune ideologico contro il quale non è possibile argomentare. Non può essere toccata, pena il sacrilegio, neanche per correggere un refuso. E a scuola si stanno preparando dei futuri cittadini pronti a tutto per difendere La più bella del mondo. Ragazzi che non rispettano più niente e nessuno, ghermiti dal nulla che avanza, ma illuminati dal dettato dei padri costituenti. Se un ragazzo osa dire in classe che prima viene Nostro Signore Gesù Cristo e poi i padri fondatori della Costituente, l'insegnante interverrà subito per spiegare che anche nel Vangelo si dice che bisogna dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Dimenticando che tutta la dotazione di Cesare viene da Dio, tanto che Gesù dice a Ponzio Pilato: «Tu non avresti nessun potere su di me se non ti fosse dato dall'alto».
Il percorso di avvicinamento alla sacralità delle fondamenta laiche della repubblica italiana è preciso. Si parte dagli insegnamenti scientifici, in cui Dio creatore è stato spazzato via grazie all'evoluzionismo e al materialismo. Poi si passa alla storia, dove si dimostra che le società più evolute hanno vittoriosamente visto l'eclisse di Dio come principio e come fine dell'agire umano grazie al pensiero dei veri filosofi. Quindi tocca alla letteratura, dove si insegnano autori sul genere di Alberto Moravia in cui l'unica cosa sacra che è rimasta è il proprio sesso. Nell'ora che sarebbe di religione cattolica, quando non si gioca a battaglia navale, si studia una blanda sociologia del fenomeno religioso in cui Dio è una variabile misurata in punti percentuali. Ciò che ancora bisognava togliere di mezzo è il sentimento cattolico che, a dispetto di tutti i più luminosi intellettuali laici, continua a sopravvivere nel popolo italiano.
Quel Dio che spunta spesso tra i discorsi più diversi come un campanile nel panorama del Bel Paese dà proprio fastidio. Ed ecco che, per radere a suolo il campanile, entra in campo La-Co-sti-tu-zio-ne, mito di ritorno fondante della laicità dello Stato. Giù il campanile e su il municipio. "Cari scolari" viene detto in soldoni ai ragazzi "se non siete laici, se non vi inchinate davanti allo Stato laico e non celebrate e diffondete la sua laicità non siete dei buoni cittadini italiani". Per rafforzare il concetto, tutto fa brodo: le vittorie ai Mondiali di calcio, le sgommate di Valentino Rossi con il tricolore sulle spalle, Rita Levi Montalcini icona eterna dei cervelli italiani, la Ferrari e Dolce&Gabbana ambasciatori del Made in Italy. Tutto nella grande pentola dove cuoce la ribollita laica. "Cari scolari" continua l'opera di melliflua laicizzazione "se volete diventare come loro bisogna che amiate La-Co-sti-tu-zione". Dove si sottintende "Non avrai altro dio al di fuori della laicità dello Stato". In effetti, Benigni è il cerimoniere più adatto.

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Fonte: Corrispondenza Romana, 05/12/2012

2 - IL GOVERNO FRANCESE VUOLE REQUISIRE GLI IMMOBILI DELLA CHIESA PER OSPITARE I SENZATETTO
Tutte le scuse sono buone per attaccare la Chiesa (contraria al matrimonio gay introdotto da Hollande) per cercare di metterla a tacere quando i suoi interventi danno fastidio
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 07/12/2012

Il ministro delle Abitazioni del governo socialista francese, la signora Cécile Duflot, si preoccupa per il gelido inverno alle porte, che rischia di riproporre lo scandalo dei senzatetto che muoiono di freddo per strada, nonostante un'assistenza pubblica che dovrebbe essere ampiamente sostenuta da tasse che, se pure non sono ai livelli record italiani, sono pur sempre tra le più alte in Europa. E la signora ministro pensa di avere trovato la soluzione. Minaccia una «dimostrazione d'autorità» e un'azione «senza mollezza» per requisire gli immobili della Chiesa Cattolica e usarli per ospitare i senzatetto.
Perbacco, deve aver pensato la signora ministro, la soluzione era semplice, chissà perché non ci aveva pensato nessuno prima. I barboni muoiono? È colpa della Chiesa, che ha tanti spazi vuoti nelle chiese e nei conventi dove potrebbero stare al caldo. Se non si è provveduto prima, dev'essere stata colpa della «mollezza» dei governi precedenti. Per fortuna che ora è arrivato il governo socialista che invece - come si diceva una volta, con altre espressioni, in Italia - punta tutto sul duro.
Peccato che sia tutta una bufala. Perché la Chiesa Cattolica non ha aspettato i colpi di genio della signora ministra per essere, già da anni, la maggiore organizzazione che ospita senza tetto in Francia. Cifre alla mano, in questo settore la sua carità privata è molto più efficiente dell'assistenza pubblica dello Stato. Ogni notte a Parigi ventisei parrocchie aprono i loro locali ai senzatetto, cui offrono anche la cena e la colazione. Non si contano gli istituti religiosi che si sono specializzati nel soccorso notturno a chi dorme in strada. Forse la ministra potrebbe visitare i mille metri quadrati messi a disposizione dalle suore benedettine di Notre-Dame de Jouarre (Seine-et-Marne), dove i senzatetto non sono solo alloggiati e nutriti, ma amorevolmente accolti dalle religiose.
Come un comunicato dell'arcivescovo di Parigi, del Secours Catholique e della Conferenza dei religiosi e religiose di Francia ha fatto puntualmente notare, la Chiesa potrebbe fare ancora di più se non si trovasse di fronte a ostacoli burocratici che qualche volta derivano da una sorda ostilità anticlericale diffusa in settori dell'amministrazione francese. Ma soprattutto - lo hanno spiegato ancora i vescovi in un comunicato - i senzatetto non muoiono tanto per mancanza di spazi dove dormire, ma per mancanza di personale competente che li convinca a usufruire degli spazi, li accompagni e li aiuti. Migliaia di volontari cattolici sono sulle strade per questo tutte le notti. Molto di meno fa, appunto, lo Stato.
La verità allora è la solita: non solo fa freddo, ma tira una brutta aria per la libertà religiosa in Francia. Si moltiplicano le manifestazioni d'intolleranza, perché un laicismo antico spesso di marca massonica si salda con le azioni di lobby che non tollerano la ferma opposizione della Chiesa al riconoscimento del matrimonio omosessuale, caposaldo della politica dei «diritti» del governo Hollande. Ecco allora che tutte le scuse sono buone per attaccare la Chiesa, e oggi prendere di mira il suo patrimonio immobiliare, tra tasse e minacce di requisizioni, è diventato uno dei modi principali per cercare di metterla a tacere quando i suoi interventi danno fastidio.

Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 07/12/2012

3 - IL DISGUSTOSO VITTIMISMO DELLE FEMMINISTE
Si invoca l'inasprimento delle pene per il femminicidio, mentre la donna che schiaffeggia, colpisce, umilia e maltratta gli uomini è un modello costantemente alimentato dalla cultura dominante
Autore: Gibbì - Fonte: Ragioni Maschili, 08/12/2012

Il postino suona ad un campanello, poi ad un altro e ad un altro ancora, ma oltre a consegnare le lettere si intrattiene con le varie casalinghe annoiate che gli offrono disinvoltamente del cibo e (forse) le proprie grazie. Una volta tornato a casa il postino si ritrova con la moglie la quale, davanti al rifiuto del marito di mangiare i suoi manicaretti, gli rompe un bicchiere in testa in modo feroce.
Non è la scena di un film o una vicenda di cronaca, ma la rapida sequenza di una pubblicità televisiva che, a mia memoria, qualche tempo fa reclamizzava una gomma da masticare.
Si tratta in realtà solo di un esempio, tra i molti possibili, di come la rappresentazione della violenza femminile sia non solo ammessa senza problemi in numerosi contesti mediatici, ma anche utilizzata con una certa disinvoltura in quella fabbrica di luoghi comuni che è il mondo della pubblicità.
Una ricerca mirata su youtube può dare conferma di quanto dico e, comunque, la gamma degli esempi è molto più vasta.
Non sembra necessario scomodare titoli, autori o attori di situazioni in cui una qualche lei, sempre arrabbiata con un qualunque lui, tira ceffoni, getta bevande in faccia, sbraita, scalcia, minaccia, spintona, aggredisce, mortifica, urla e strepita; in alcuni casi spara e uccide, in altri si limita ad assassinare l'amor proprio dell'altro, come nella famosa scena dell'orgasmo simulato di Meg Ryan (non a caso diventato una scena cult) o nella comicità ossessivamente misandrica della Littizzetto (non a caso diventata personaggio cult).
Di casi simili ne incontriamo quotidianamente, nei film e nelle fiction, nei racconti e nelle cronache, nella vita comune e, appunto, anche nelle banali pubblicità a cui siamo oramai avvezzi.
Ben lontano dal suscitare contrarietà o fastidio, la donna che schiaffeggia, colpisce, umilia e maltratta gli uomini è infatti un modello ben radicato, popolare e vincente, costantemente alimentato da una rabbia verso il «maschio» sempre viva ed attuale, sempre giustificata in qualche modo diretto o indiretto ed apparentemente inestinguibile.
Se poi la violenza femminile ha anche risvolti comici che ridicolizzano la figura maschile, aggiungendo al danno anche la beffa, allora tanto meglio; l'effetto sarà per molti/e ancora più gratificante e completo, praticamente un trionfo.
Sin qui i termini di un (ri)sentimento sociale molto comune ma non altrettanto chiaro nelle sue intime (e in qualche caso sadiche) ragioni particolari; ma, soprattutto, un fenomeno volutamente ignorato dalla cultura egemone, anche nelle sue dimensioni e profondità generali.
Si deve, quindi, sicuramente essere riconoscenti agli autori dell'Indagine conoscitiva sulla violenza verso il maschile - pubblicato sulla Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, nei giorni scorsi - per avere quantomeno cominciato ufficialmente ad intaccare quel tabù pressoché intangibile che è rappresentato dallo stereotipo dominante della donna vittima.
I risultati dell'indagine condotta con i metodi del sondaggio, poi tradotti in cifre e percentuali statistiche, rivelano infatti una realtà femminile molto diversa e decisamente molto meno angelicata e vittimizzata di quanto si vorrebbe.
Il dato che impressiona maggiormente, tra i molti disponibili al relativo link, è che tutti i 1.058 soggetti maschili in età adulta intervistati nel contesto della ricerca hanno dichiarato di avere subito, almeno una volta, qualche violenza fisica da parte di una donna (item A8); ossia tutti - nessuno escluso, prima o poi, e lo confermo anche personalmente - hanno (abbiamo) avuto a che fare con i modi maneschi e intolleranti di una qualche tizia dai nervi bollenti, modi resi ancora più insopportabili dalla pratica impunità dietro alla quale si esprimono e si riparano questo tipo di escandescenze femminili.
Ma non solo di violenza fisica si tratta, in quanto la ricerca esamina anche altre situazioni che lasciano sbalorditi per l'ampiezza e la profondità del fenomeno dichiarato: il 63,1% del campione ha sostenuto di aver subito almeno un episodio di violenza fisica, il 48,7% violenza sessuale, il 77,2% violenza psicologica o economica e il 31,9% di aver subito almeno un atto persecutorio nel corso della propria vita.
Le proiezioni statistiche conclusive dicono che a fronte dei 14 milioni di donne sottoposte ad abusi e violenze - come si va raccontando da diversi anni - ci sarebbero pertanto circa 5 milioni di uomini sottoposti a violenze fisiche, quasi 4 milioni di uomini sottoposti a violenze sessuali, oltre 6 milioni di uomini violentati psicologicamente e oltre 2 milioni e mezzo di uomini che hanno subito atti persecutori.
Naturalmente, le dimensioni eclatanti di questi numeri (tutti considerati) inducono a più di qualche perplessità.
Prima delle quali è quella che abbiamo già espresso a suo tempo quando, richiamando l'attenzione sull'artificioso e deformante presupposto ideologico dell'uguaglianza tra i sessi, abbiamo sostenuto che il punto nodale non è «stabilire chi sia più violento tra maschi e femmine e con quale frequenza, dato che, com'è evidente, la mano di una donna non sarà mai tanto pesante ed intimidatoria come quella di un uomo».
Mettersi a competere con il mondo femminile (e femminista) sul piano del vittimismo non appare, in questo come in altri casi, un'idea né particolarmente brillante, né particolarmente dignitosa.
Ma se è vero che la violenza femminile non raggiunge lo stesso grado di pericolosità potenziale di quella maschile, tranne che in rari casi criminali, questo non significa affatto che la donna media non sia capace di risentimento, odio e violenza come un uomo; anzi, sicuramente di più, in quanto a differenza di ogni uomo ogni donna sembra essere socialmente esonerata dall'esercizio obbligatorio e disciplinante del self-control.
Che è poi in effetti l'elemento che emerge con particolare forza dall'indagine, laddove si consideri che la percezione dominante degli intervistati - con la quale si devono comunque fare i conti - è quella di un mondo femminile che si atteggia al rapporto con l'altro sesso con una libertà di comportamenti pressoché assoluta ed un senso del rispetto assai raro; entrambi presupposti di una violenza auto-indulgente che trova nell'inferiorità fisica una giustificazione per esprimersi senza tanti limiti e senza tanti riguardi.
Il che è ovviamente inaccettabile.
Resta un'ultima considerazione a riguardo dell'entità delle cifre.
Se è vero che i dati appaiono gonfiati oltremisura - comunque distanti dalla nostra percezione ordinaria della realtà - è altrettanto vero che questa stessa incongruenza dovrebbe riguardare, a maggior ragione, la più attrezzata ricerca sulla violenza contro le donne condotta nel 2006 dall'ISTAT (quella che avrebbe fissato in 14 milioni, appunto, il numero delle "vittimizzate"); ciò in ragione del fatto che identiche sono le modalità d'approccio al problema, identici gli strumenti euristici utilizzati (ossia, le ipotesi qualitative d'indagine) nonché la metodologia di raccolta dei dati attraverso interviste guidate.
In una sorta di inattesa legge del contrappasso, la tanto invocata parità di genere conduce insomma ad un bivio obbligato: o la definizione "extralarge" di violenza viene presa per buona in assoluto, tanto per i maschi quanto per le femmine, portando così alla descrizione di un mondo dominato dagli abusi e dalle sopraffazioni in una sorta di apocalisse quotidiana; oppure le metodologie d'indagine sociologica utilizzate tanto per la ricerca ISTAT del 2006 quanto per l'attuale indagine conoscitiva sono oggettivamente inadeguate e prive della necessaria calibratura e solidità scientifica.
Nel qual caso dovrebbe essere la stessa nozione di violenza ad essere ripensata, pur nella consapevolezza della sua irriducibile complessità, per depurarla delle enormi scorie ideologiche, formalistiche e vittimistiche da cui appare obiettivamente gravata, ed essere nuovamente misurata con gli occhi puliti della scoperta e gli strumenti adeguati del rigore scientifico.

DOSSIER "FEMMINICIDIO"
L'emergenza che non esiste

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Fonte: Ragioni Maschili, 08/12/2012

4 - MA CHE DEMOCRAZIA D'EGITTO! L'OSSERVATORE ROMANO SMENTISCE IL MINISTRO ANDREA RICCARDI
Il fondatore della Comunità di Sant'Egidio esalta la democrazia del presidente Morsi, mentre c'è il rischio di una dittatura perché i Fratelli musulmani hanno la possibilità di farsi una costituzione su misura per imporre un controllo permanente sul paese
Fonte Corrispondenza Romana, 30/11/2012

Il titolo di testa de "L'Osservatore Romano" dato alle stampe nel primo pomeriggio di martedì 27 novembre è inequivoco. In Egitto è in atto una "svolta autoritaria" contro la quale l'opposizione combatte una battaglia disperata.
Ma per il ministro e fondatore della Comunità di Sant'Egidio Andrea Riccardi non è così.
In visita al Cairo in questi stessi giorni, Riccardi ha tenuto lunedì 26 novembre una conferenza all'università di Al-Azhar che è stata tutto un inno alla democrazia trionfante in quel paese.
"Sono molto contento – ha detto Riccardi – che oggi ci sia un Egitto democratico, forte non solo del prestigio della sua storia millenaria e del suo posto tra le nazioni, ma anche del prestigio della libertà".
Grazie alla primavera araba – ha proseguito –, "il Mediterraneo è divenuto un mare tutto democratico. Oggi la democrazia si sviluppa nei paesi mediterranei e ne informa la vita politica e sociale".
E riferendosi in particolare al paese che l'ospitava, ha detto ancora:
"L'Egitto ha una storia di tolleranza. Ma oggi questi aspetti della vita sociale e della storia sono maturati e realizzati in un regime pienamente democratico con istituzioni parlamentari ed elettive. Questa democrazia è nuova ma, d'altra parte, ha radici antiche. In particolare si nota in Egitto e nel mondo arabo un forte rapporto tra la politica democratica e l'islam".
Riccardi ha eletto a faro di libero pensiero anche l'università nella quale parlava:
"Parlo di questo in un luogo alto come l'università di Al-Azhar che, anche in tempi difficili, è stata sempre un faro di religione e di cultura. Anzi qui, ad Al-Azhar, si è sempre creduto che la pratica e lo studio della fede producessero cultura. Al-Azhar, nei secoli, non solo ha conservato la fede, ma ha anche mantenuto viva la cultura con l'umanesimo".
Accanto a lui c'era il grande imam di Al-Azhar, Ahmed Al-Tayyeb, uno che Riccardi conosce bene, per averlo avuto più volte ospite nelle parate multireligiose organizzate ogni anno dalla Comunità di Sant'Egidio.
Non importa che Al-Tayyeb sia lo stesso che, pur avendo firmato nel 2007 la "lettera dei 138 saggi musulmani" a Benedetto XVI, non si è trattenuto dall'approvare pubblicamente gli atti terroristici contro i civili in Israele e dall'attaccare furiosamente lo stesso papa per la preghiera da lui levata per le vittime della strage nella chiesa copta di Alessandria d'Egitto, alla fine del 2010.
Martedì 27 novembre "Avvenire" ha pubblicato su un'intera pagina la conferenza di Riccardi al Cairo, col titolo: "Mediterraneo, mare di democrazia".
Ma lo stesso giorno, oltre che su "L'Osservatore Romano", una diagnosi diametralmente opposta è uscita anche in un editoriale di prima pagina di Angelo Panebianco sul "Corriere della Sera".
Il professore Panebianco ha preso le mosse dal "colpo di Stato con cui il presidente egiziano Mohammed Morsi ha concentrato nelle proprie mani tutti i poteri".
E ha proseguito:
"I Fratelli musulmani hanno vinto le elezioni parlamentari dello scorso gennaio. Il presidente Morsi è stato scelto dagli elettori in giugno. Non basta per dire che l'Egitto è una democrazia? No. Perché la democrazia non richiede solo che i governanti siano stati liberamente votati da una maggioranza. Richiede anche che i diritti delle opposizioni siano rispettati ed esista sempre per loro la possibilità di battere in nuove elezioni i governanti in carica. La democrazia è, prima di tutto, un meccanismo per la sostituzione dei governanti tramite elezioni anziché rivolte armate. Ma se si creano condizioni che rendono impossibile per l'opposizione sfidare elettoralmente la maggioranza, allora la democrazia non c'è".
E ancora:
"Sappiamo che di dittatura in questo momento si tratta e che i Fratelli musulmani hanno ora tutte le chiavi, ivi compresa la possibilità di farsi una costituzione su misura, per imporre un controllo permanente sul paese. [...] La mossa di Morsi rischia di pregiudicare il futuro dell'Egitto. Ci sono là oggi le condizioni per l'instaurazione di una dittatura permanente. Si aggiunga anche che se nei Fratelli musulmani convivono, secondo gli esperti, correnti più pragmatiche e correnti intransigenti, va anche messa in conto la pressione esercitata dai salafiti (reduci da un ottimo successo elettorale), la corrente più radicale, e violenta, dell'islam sunnita. [...] Se l'Egitto evolverà in dittatura islamica, ciò influenzerà tutto il Medio Oriente".

Fonte: Corrispondenza Romana, 30/11/2012

5 - SCIVOLONE DI AVVENIRE CHE CITA L'ULTIMO LIBRO DEL PAPA PER ELIMINARE DAL PRESEPE IL BUE E L'ASINELLO...
... ma Benedetto XVI dice esattamente il contrario: ''Nessuna raffigurazione del presepe rinuncerà al bue e all'asino''
Autore: Robi Ronza - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 06/12/2012

"Com'è il presepe del Papa? Quest'anno possiamo rispondere con più sicurezza, perché Benedetto XVI ha appena scritto un libro su L'infanzia di Gesù nel quale descrive come dev'essere stata quella famosa notte a Betlemme. Dunque, anzitutto non c'erano il bue e l'asinello (…)". Così comincia, sulla prima pagina del numero uscito ieri di Popotus, il periodico supplemento di Avvenire dedicato ai bambini, un maldestro articolo dal titolo "Evviva il presepe! (Quello giusto)". Il concetto viene ulteriormente ribadito da un disegno caricaturale a piè di pagina raffigurante il bue e l'asino che si allontanano dalla capanna della Natività salutati dalla Sacra Famiglia e da un pastore. E nell'articolo, dopo aver messo in questione anche il rango regale dei Magi e la coda della stella cometa, si conclude che occorre cominciare di conseguenza  a "correggere" il presepio. Dunque via il bue, via l'asino, eccetera, eccetera.
Ebbene, nel suo L'infanzia di Gesù, pur al termine di approfondimenti come sempre tanto illuminanti quanto acuti, Benedetto XVI dice esattamente il contrario: "Nessuna raffigurazione del presepe rinuncerà al bue e all'asino", cfr. alla pag. 83 dell'edizione italiana. E d'altra parte  i due animali, che sulla prima pagina di Popotus se ne vanno facendo (si fa per dire) "ciao, ciao" con la manina, campeggiano invece tranquilli nel presepio su carta da incollare, colorare e ritagliare che qualche pagina più in là viene offerto ai piccoli lettori: segno di un certo scoordinamento, questa volta positivo, fra coloro che hanno curato le varie parti della pubblicazione.
D'altra parte, con buona pace di chi ha scritto "Evviva il presepe! (Quello giusto)", che nei Vangeli non si accenni al bue e all'asino, i Magi non siano anche re e la stella sia senza la coda non è una notizia: è un po' la scoperta dell'acqua calda. Chiunque li legga con un minimo di attenzione se ne accorge da solo. E ovviamente al riguardo non è questo il centro della riflessione di Benedetto XVI. Egli si sofferma piuttosto sui motivi che sono all'origine della tradizione iconografica consolidata che vede ad esempio un bue e un asino presenti sulla scena della Natività e così via. Trattandosi invece di un "giornale di attualità per bambini" conta piuttosto in questo caso il segnale negativo, perché in filigrana scettico, che viene dato dall'articolo in questione. E per questo motivo, diversamente dal solito, non passerò questo numero di Popotus ai miei nipotini.
Varrebbe piuttosto la pena, sullo spunto delle pagine de L'infanzia di Gesù sull'argomento, di aiutare i bambini (e gli adulti) a mettersi in salvo da versioni confuse ed estemporanee del presepe prendendo le mosse dalla sua tradizione autentica. Non mancano buoni lavori cui ispirarsi in proposito, ma per parte mia continuo a ritenere magistrale il bel volume di Nando e Gioia Lanzi Il Presepe e i suoi personaggi, edito da Jaca Book nel 2007.

Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 06/12/2012

6 - DOPO IL GRANDE SUCCESSO DEL SIGNORE DEGLI ANELLI ECCO IL FILM ''LO HOBBIT: UN VIAGGIO INASPETTATO''
Gli hobbit, testimoni di virtù umane e cristiane
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: Zenit, 5 dicembre 2012

LO HOBBIT: UN "PREQUEL" DE IL SIGNORE DEGLI ANELLI, UNA FIABA PER BAMBINI, O UN'OPERA MINORE DEL GRANDE TOLKIEN?
Paolo Gulisano (autore di "La Mappa dello Hobbit" ed. Ancora): Questa storia è molto più che un prequel del Signore degli Anelli, come molti dei lettori- o spettatori- più recenti potrebbe credere. Non è una storia- come molto spesso accade nel caso dei prequel, appunto- per spiegare a posteriori gli antecedenti, i segreti, i misteri di un'opera.. Il racconto delle avventure di Bilbo Baggins e di altri personaggi ormai familiari ai lettori della saga dell'Anello, come Gandalf, Gollum, Elrond, nani ed elfi, uscì dalla fantasia di Tolkien molto tempo prima che le vicende della Guerra dell'Anello venissero immaginate. In realtà, il Signore degli Anelli fu concepito come il seguito de Lo Hobbit, e per molto tempo, nella corrispondenza che intercorreva tra Tolkien e l'editore, il libro in gestazione veniva chiamato "il nuovo Hobbit".
"In un buco della terra viveva un Hobbit". Questa strana frase venne improvvisamente alla mente del giovane professore che in un caldo pomeriggio estivo, nella sua casa di Oxford, correggeva i compiti di ammissione all'università. Uno degli esaminandi aveva lasciato il suo elaborato di letteratura inglese in bianco, e il professor Tolkien, per una misteriosa ispirazione, scrisse su quel foglio bianco quella frase. Era nato un nome, Hobbit, e in breve tempo il nome sarebbe diventato un personaggio, la più originale creatura del vasto mondo fantastico del più geniale scrittore di Letteratura dell'Immaginario. Senza quel buffo personaggio, lo Hobbit, probabilmente tutto l'universo fantastico che Tolkien andava elaborando da anni non avrebbe mai conosciuto la pubblicazione.
LEI SCRIVE NEL SUO SAGGIO CHE IL LIBRO NACQUE NON SOLO DALL'ERUDITA CONOSCENZA DEI MITI E DELLE LEGGENDE ANTICHE DEL SUO AUTORE, MA ANCHE DALLA SUA ESPERIENZA DI PADRE...
Esatto. Tolkien raccontava ai propri quattro figli storie di buffi personaggi: Mister Bliss, il cagnolino Roverandom, ed infine favole dove coraggiosi piccoli protagonisti, come gli Hobbit, si battevano contro il male. La storia era nata certamente,nelle intenzioni dello scrittore, come una fiaba per bambini, narrata con un tono colloquiale in cui il narratore si rivolge ai piccoli lettore invitandoli ad avventurarsi loro stessi nella storia. Nel corso dei diversi anni di preparazione del libro, tuttavia, il racconto si arricchì progressivamente dei contenuti del Legendarium tolkieniano.
Era una storia dal sapore antico, in cui si avvertiva l'eco delle antiche leggende, e in più arricchita di un piacevolissimo tipo di quella gioia che qualche anno prima Gilbert Chesterton aveva lamentato essere la grande assente dalla narrativa moderna: "Nella sua sostanza, la letteratura contemporanea è quasi totalmente priva di elementi gioiosi. E penso che sia giusto dire, parlando genericamente, che non è abbastanza infantile per essere gioiosa". Tolkien possedeva questo spirito infantile, inteso non come puerilità, ma come capacità di guardare alla realtà con occhi di bambino, pieni di domanda e di stupore
ANCHE LO HOBBIT, COME IL SIGNORE DEGLI ANELLI, È CARICO DI SIMBOLOGIE CRISTIANE?
Ne Lo Hobbit appare per la prima volta il grande tema della rinuncia, del sacrificio, che per Tolkien era una delle più grandi virtù, una delle forme più alte di eroismo, tema che sarà sviluppato profondamente nelSignore degli Anelli. La rinuncia Al possesso di qualcosa, non per masochismo, non per un "di meno", ma per guadagnare "un di più" di umanità e di virtù. Bilbo Baggins della Contea è la testimonianza di come si possa divenire eroi, pur non essendo grandi e grossi, pur non appartenendo ad una élite, affrontando le sfide che la vita pone di fronte, per quanto insormontabili esse possano apparire.
L'avventura che aveva vissuto gli aveva inoltre insegnato che le grandi imprese non sono opera di un eroe solitario, ma di una compagnia. L'amicizia fu per Tolkien uno dei sentimenti più importanti della vita, e così anche i suoi personaggi la coltivano con passione. La compagnia reciproca è una delle cose più gratificanti. E' condivisione di interessi, di sentimenti, e anche di avvenimenti. E' correzione fraterna, e magari richiamo all'essenziale, come quando, alla fine della storia, ricordando le avventure trascorse insieme, Gandalf rammenta a Bilbo i suoi limiti, dopo aver valorizzato tutti i suoi meriti: "Sei una bravissima persona, signor Baggins, e io ti sono molto affezionato, ma in fondo sei solo una creatura in un mondo molto vasto!" "Grazie al cielo! disse Bilbo ridendo".

Nota di BastaBugie: per maggiori informazioni e per vedere il trailer del film "Lo Hobbit: un viaggio inaspettato" clicca qui sotto
http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=34

Fonte: Zenit, 5 dicembre 2012

7 - IL MONDO DELLE RACCOLTE DI FONDI PER BENEFICENZA E' DIVENTATO UNA GIUNGLA: IL PAPA METTE ORDINE
Il parroco vende i biglietti di Natale dell'UNICEF, nonostante che questa organizzazione delle Nazioni Unite sia a favore degli anticoncezionali e dell'aborto? Da oggi potete rispondere che si tratta di pratiche non cattoliche vietate dal motu proprio del Papa
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 04/12/2012

Il parroco vi invita a un evento dove si vendono i biglietti di Natale dell'UNICEF, noncurante del fatto che questa organizzazione delle Nazioni Unite è a favore degli anticoncezionali e dell'aborto? In oratorio si raccolgono offerte per quell'ordine di suore americano che si dichiara a favore del matrimonio omosessuale e della politica abortista del presidente Obama? Da oggi potete rispondere, senza timore di sbagliarvi, che si tratta di pratiche non cattoliche, vietate dal Papa, e su cui il vescovo ha il dovere di vigilare. Tutto questo infatti sta scritto, nero su bianco, nel motu proprio «Sul servizio della carità» di Benedetto XVI, formalmente datato 11 novembre 2012 e pubblicato nei giorni scorsi.
Fin dalla sua prima enciclica «Deus caritas est», del 2005, il Papa aveva rivelato che, certo, Dio è «caritas», amore e carità, ma su quello che fa la Caritas nella propria diocesi ciascun vescovo farebbe bene a vigilare. E che il mondo delle raccolte di fondi e della beneficenza cattolica è diventato una giungla, dove è obbligatorio mettere ordine prima che scoppi il prossimo scandalo. Questo avveniva, appunto, nel 2005, ma come sempre il Pontefice ha parlato e ben pochi gli hanno dato retta. Ecco allora che, passati sette anni, Benedetto XVI ci riprova con un motu proprio che detta norme piuttosto precise e stringenti sul tema.
Il Papa ricorda anzitutto, citando la «Deus caritas est», che la carità è uno dei tre servizi fondamentali della Chiesa, insieme alla predicazione della verità e della liturgia. Ma questi tre ambiti non vanno mai separati. «L'intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l'uno dall'altro».
Dunque a differenza delle organizzazioni umanitarie generiche quelle cattoliche devono offrire «all'uomo contemporaneo non solo aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell'anima». Se offrono solo l'aiuto materiale, e si dimenticano della buona dottrina, forse fanno anche del bene a modo loro ma non sono organizzazioni cattoliche.
La «prima responsabilità» e la garanzia data ai fedeli che le organizzazioni che sollecitano le loro offerte sono davvero cattoliche spetta ai vescovi. La carità, infatti, «è strettamente collegata alla natura diaconale della Chiesa e del ministero episcopale». Il diritto canonico fino a oggi si è occupato abbastanza poco di questo aspetto. È una lacuna che il nuovo motu proprio intende colmare.
Qual è il criterio che i vescovi devono applicare? Il Pontefice lo riprende ancora dalla «Deus caritas est»: «nell'attività caritativa, le tante organizzazioni cattoliche non devono limitarsi ad una mera raccolta o distribuzione di fondi, ma devono sempre avere una speciale attenzione per la persona che è nel bisogno e svolgere, altresì, una preziosa funzione pedagogica nella comunità cristiana», annunciando sistematicamente la fede e la buona dottrina. «L'attività caritativa della Chiesa, infatti, a tutti i livelli, deve evitare il rischio di dissolversi nella comune organizzazione assistenziale, divenendone una semplice variante».
Accanto alle Caritas diocesane e alle istituzioni analoghe, espressioni ufficiali della Chiesa di cui i vescovi sono direttamente responsabili, oggi esistono numerose organizzazioni che sono frutto della libertà di associazione che il Concilio Ecumenico Vaticano II riconosce ai laici, di cui i presuli devono rispettare la «legittima autonomia». Tuttavia, se queste associazioni laicali si presentano come cattoliche o richiedono e ottengono il sostegno di vescovi o sacerdoti, allora «occorre garantire che la loro gestione sia realizzata in accordo con le esigenze dell'insegnamento della Chiesa e con le intenzioni dei fedeli, e che rispettino anche le legittime norme date dall'autorità civile». Pertanto anche qui deve scattare la vigilanza del vescovo, per evitare anzitutto che - per malizia o per imperizia - si violino le leggi civili dando origine a scandali che colpiscono l'immagine della Chiesa, e in secondo luogo perché non siano presentate ai fedeli come cattoliche organizzazioni le cui idee e pubblicazioni sono in contrasto con la dottrina cattolica, il che oggi avviene più spesso sul terreno dei principi che il Papa chiama non negoziabili e che riguardano la vita e la famiglia.
Il motu proprio dispone che, se un'associazione o fondazione caritativa liberamente promossa da fedeli cattolici sollecita aiuti dichiarandosi cattolica o presentandosi nelle parrocchie, deve «sottoporre i propri Statuti all'approvazione della competente autorità ecclesiastica ed osservare le norme» del nuovo documento. Questo vale anche per le associazioni e fondazioni promosse da ordini religiosi. Il documento tiene conto che oggi non si può dare per scontato che un'opera di carità promossa, anziché da laici, da religiosi o da suore rispetti sempre la buona dottrina. Anche queste associazioni, come tutte le altre, «sono tenute a seguire nella propria attività i principi cattolici e non possono accettare impegni che in qualche misura possano condizionare l'osservanza dei suddetti principi».
«Un organismo caritativo può usare la denominazione di "cattolico" solo con il consenso scritto dell'autorità competente», che ne dovrà valutare la dottrina e non solo l'origine. «Spetta al rispettivo Vescovo diocesano vigilare», e prevenire anche eventuali violazioni della legge degli Stati.
C'è di più. Una volta approvate dal vescovo, le organizzazioni caritative che si presentano come cattoliche o chiedono aiuto alle parrocchie «sono tenute a selezionare i propri operatori tra persone che condividano, o almeno rispettino, l'identità cattolica di queste opere». Non solo un'organizzazione caritativa cattolica non può essere abortista o distribuire anticoncezionali in Africa - sembrerebbe ovvio, ma purtroppo non lo è - ma non può neanche assumere personale magari qualificato sul piano professionale ma noto per le sue posizioni in favore dell'aborto o della pillola anticoncezionale. «È dovere del Vescovo diocesano e dei rispettivi parroci evitare che in questa materia i fedeli possano essere indotti in errore o in malintesi, sicché dovranno impedire che attraverso le strutture parrocchiali o diocesane vengano pubblicizzate iniziative che, pur presentandosi con finalità di carità, proponessero scelte o metodi contrari all'insegnamento della Chiesa».
Il vescovo non può disinteressarsi di queste materie. Con il motu proprio diventa direttamente responsabile del fatto che le offerte raccolte tramite le parrocchie o la diocesi siano usate per il fine che è stato indicato ai fedeli, e deve anche accertarsi  che gli organismi cattolici approvati non «siano finanziati da enti o istituzioni che perseguono fini in contrasto con la dottrina della Chiesa. Parimenti, per non dare scandalo ai fedeli, il Vescovo diocesano deve evitare che organismi caritativi accettino contributi per iniziative che, nella finalità o nei mezzi per raggiungerle, non corrispondano alla dottrina della Chiesa». L'esempio della distribuzione di anticoncezionali in Africa o altrove, o del sostegno a ospedali dove si praticano aborti, corrisponde a casi concreti e viene subito alla mente.
Il Papa conosce certamente anche l'ampia letteratura che documenta come - anche quando le organizzazioni caritative sono gestite in modo assolutamente onesto - solo una percentuale minoritaria delle offerte raccolte arriva ai destinatari indicati ai donatori perché la maggioranza del denaro serve a coprire le spese di gestione, gli stipendi al personale e le campagne pubblicitarie. Ecco allora la raccomandazione che, quando si tratta di organizzazioni cattoliche, «il Vescovo curi che la gestione delle iniziative da lui dipendenti sia testimonianza di sobrietà cristiana. A tale scopo vigilerà affinché stipendi e spese di gestione, pur rispondendo alle esigenze della giustizia ed ai necessari profili professionali, siano debitamente proporzionate ad analoghe spese della propria Curia diocesana»: dove, com'è noto, gli stipendi che corrono sono molto modesti.
Che cosa deve fare il vescovo se un organismo che si dice cattolico non rispetta la dottrina proposta dal Magistero? Può accontentarsi di ammonirlo blandamente dietro le quinte? Non proprio, risponde il Papa. «Il Vescovo diocesano è tenuto, se necessario, a rendere pubblico ai propri fedeli il fatto che l'attività d'un determinato organismo di carità non risponda più alle esigenze dell'insegnamento della Chiesa, proibendo allora l'uso del nome "cattolico" ed adottando i provvedimenti pertinenti ove si profilassero responsabilità personali». In breve, il vescovo ha «il dovere» - non solo il diritto - di «vigilare perché le attività realizzate nella propria diocesi si svolgano conformemente alla disciplina ecclesiastica, proibendole o adottando eventualmente i provvedimenti necessari se non la rispettassero». Dove non provvedesse il vescovo, la competenza è attribuita al Pontifico Consiglio «Cor Unum», che deve anche vigilare sugli organismi internazionali.
La clausola di autorità di rito aggiunta da Benedetto XVI al motu proprio - «ordino che sia osservato in tutte le sue parti, nonostante qualsiasi cosa contraria, anche se degna di particolare menzione, e stabilisco che venga promulgato mediante la pubblicazione sul quotidiano "L'Osservatore Romano", ed entri in vigore il giorno 10 dicembre 2012» - esclude che si tratti di semplici consigli. Sono norme canoniche, che vanno osservate. Alla prossima raccolta di fondi in parrocchia per organismi caritativi - non importa se promossi da sacerdoti o ordini religiosi - favorevoli agli anticoncezionali o all'aborto, o che si schierano in politica in modo difforme dalla dottrina sociale della Chiesa, il fedele avrà un vero diritto di chiedere che queste attività cessino immediatamente e di rivolgersi al vescovo perché le norme del motu proprio siano tempestivamente applicate.

Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 04/12/2012

8 - ASIA BIBI, MADRE DI 5 FIGLI, RISCHIA DI ESSERE IMPICCATA PERCHE' CRISTIANA
A chi le offre la liberazione in cambio della conversione all'islam dice: ''preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musulmana''
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 9 dicembre 2012

Asia Bibi, una madre di cinque figli, è in carcere da tre anni ed è stata condannata a morte per impiccagione perché cristiana a 1700 anni esatti dall'Editto di Costantino.
La libertà di coscienza, cioè il riconoscimento pubblico della dignità umana, cominciò proprio quel giorno di febbraio del 313.
Il primo seme (ancora tanta strada c'era da fare) fu proprio quell'Editto di Milano, firmato da Costantino, a cui è dedicata la grande mostra che si è appena aperta a Palazzo Reale del capoluogo lombardo.
L'editto concedeva "anche ai cristiani, come a tutti, la libertà di seguire la religione preferita" e decretò quindi "che non si debba vietare a nessuno la libera facoltà di aderire, vuoi alla fede dei cristiani, vuoi a quella religione che ciascuno reputi più adatta a se stesso".
Da lì, pian piano, sarebbero nate tutte le libertà (infatti con quella dichiarazione di fatto iniziava a nascere anche la laicità dello Stato, perché il potere non poteva più essere divinizzato).
Eppure oggi, a 1700 anni da quella storica svolta, i cristiani nel mondo continuano ad essere perseguitati e massacrati per la loro fede in Gesù Cristo. Anzi, lo sono oggi più ancora che nell'antica Roma.
Il caso simbolo è appunto quello di Asia Bibi, una madre di cinque figli. Dal giugno 2009 è rinchiusa in una cella senza finestre nel carcere di Sheikhupura in Pakistan. Ha subito atrocità e umiliazioni ed è stata condannata a morte per la sola "colpa" di essere cristiana.
In questo paese a stragrande maggioranza musulmana infatti il regime fondamentalista da anni ha varato la terrificante "legge sulla blasfemia" che è come un spada di Damocle sui cristiani, la cui vita, i cui figli, i cui beni sono così alla mercé di chiunque li denunci di aver offeso Maometto.
Ieri "Avvenire" ha pubblicato una lettera di Asia Bibi dove fra l'altro si legge: "Un giudice, l'onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nella mia cella e, dopo avermi condannata a un morte orribile, mi ha offerto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all'islam".
Questa mamma coraggio gli ha risposto: "preferisco morire da cristiana, che uscire dal carcere da musulmana. 'Sono stata condannata perché cristiana - gli ho detto -. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui' ".
Sono parole impressionanti, pronunciate da una povera donna inerme, alla mercé dei suoi aguzzini, con cinque figli piccoli che l'aspettano in una povera casa.
Parole che sembrano davvero tratte dagli "Atti dei martiri" dei primi secoli cristiani.
Là in Pakistan del resto perfino uno dei pochi cristiani importanti come Shahbaz Bhatti e un saggio governatore musulmano (di idee liberali) come Salman Taseer sono stati ferocemente assassinati per aver chiesto pubblicamente l'abolizione dell'assurda "legge sulla blasfemia" e la liberazione di Asia Bibi.
C'è qualcuno in Occidente, dove tutti strologhiamo, stando comodi al caldo (e ci piace pure fare i "martiri" per la minima controversia), che sa commuoversi per questo vero e drammatico atto di eroismo?
C'è un municipio che esporrà l'immagine di Asia Bibi o - trattandosi di una cristiana - non interessa a nessuno?
Noi cristiani, semplici fedeli, sacerdoti, religiosi, vescovi e alti prelati ci sentiamo davvero toccati da una testimonianza così?
E se fosse chiesto a noi di rischiare - non dico la vita, ma - qualcosa per la nostra fede, saremmo pronti a dire di sì o rinnegheremmo Gesù Cristo?
E i nostri giornali e i nostri intellettuali, sempre pronti a firmare appelli per tutte le cause "politically correct", anche meritevoli come quelle di Salman Rushdie o di Sakineh, emetteranno almeno un vagito per Asia Bibi?
Dove sono tutti quei seguaci di Voltaire i quali amano ripetere quella frase (che Voltaire non ha mai pronunciato) secondo cui - pur non condividendo le idee dell'avversario - bisogna essere disposti a dare la vita per permettergli di professarle?
Non ne ho mai visti di eroi simili dalle nostre parti. Dove, del resto, non è chiesto così tanto, ma basterebbe una innocua presa di posizione.
Perché il Pakistan non è proprio un paesello sperduto, ma una potenza nucleare di 180 milioni di abitanti - il sesto più popoloso del mondo - con un peso geopolitico molto forte.
Per inciso, la potenza ad esso avversa è l'India e anche lì i cristiani non se la passano per niente bene: basti ricordare le atrocità commesse contro di loro da fondamentalisti indù in Orissa.
D'altra parte quello di Asia Bibi è solo uno dei tantissimi casi di cristiani perseguitati. La voce di Benedetto XVI è l'unica ad alzarsi in loro difesa (e in difesa di tutti i perseguitati). Ma sembra del tutto inascoltata. I cristiani sono tornati ad essere "la spazzatura del mondo".
Il 5 novembre scorso Angela Merkel ha sottolineato che "il cristianesimo è la religione più perseguitata del mondo". Ebbene, è stata subissata da critiche, anche da associazioni che si occupano di diritti umani. Perché non è "politically correct" affermare una cosa simile.
Eppure la benemerita associazione "Aiuto alla Chiesa che soffre", nel suo "Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo", ha rilevato che tre casi di discriminazione su quattro (cioè il 75 per cento) riguardano i cristiani.
D'altra parte il Novecento è stato per i cristiani un'immane macelleria. Certo, è stato un secolo di genocidi per tanti altri gruppi umani - a cominciare dal caso più satanico, la Shoah - ma fortunatamente si tratta di orrori universalmente riconosciuti, denunciati e aborriti come tali da tutti noi.
Solo i cristiani pare non abbiano diritto a essere annoverati fra le vittime e i perseguitati. Loro e la Chiesa devono stare sempre e solo sul banco degli accusati o degli irrisi. E senza lamentarsi.
Eppure i cristiani nel Novecento sono stati massacrati a tutte le latitudini e sotto tutti i regimi. E i dati sono impressionanti e sconosciuti.
Quando, dieci anni fa, scrissi un libro su queste persecuzioni ("I nuovi perseguitati", Piemme), cercai dei dati statistici ufficiali, di fonte neutra.
Dunque consultai la ricerca sociologica più autorevole, appena uscita presso Oxford University Press, ovvero la "World Christian Encyclopedia" di David B. Barrett, George T. Kurian e Todd M. Johnson.
Da cui appresi che, nei duemila anni di storia cristiana, si potevano quantificare in circa 70 milioni coloro che erano stati ammazzati, per via diretta o indiretta, a causa della loro fede in Gesù. Ma 45 milioni e mezzo erano martiri del XX secolo.
E tuttora ogni anno le vittime si contano in migliaia. Erano (e sono) dati sconvolgenti, però ignorati dai media.
A 1700 anni dall'Editto di Costantino che introdusse nel mondo la libertà di coscienza, una donna cristiana, condannata a morte solo per la sua fede, dal buio del suo carcere, scrive adesso parole che dovrebbero emozionare tutti.
Parole che sembrano arrivare dai primi secoli cristiani e che mostrano ancora oggi che il cristianesimo entrò nel mondo con un annuncio rivoluzionario: mentre le religioni pagane sacralizzavano il Potere, Gesù Cristo sacralizzava la dignità e la libertà di ogni singolo, piccolo essere umano.
"Gesù, nostro Signore e Salvatore" scrive Asia Bibi "ci ama come esseri liberi e credo che la libertà di coscienza sia uno dei tesori più preziosi che il nostro Creatore ci ha dato, un tesoro che dobbiamo proteggere".
Ecco perché il caso di Asia Bibi riguarda chiunque abbia a cuore la propria libertà.

Nota di BastaBugie: ecco il testo completo della lettera scritta da Asia Bibi e pubblicato l'8 dicembre 2012 su Avvenire.
Mi chiamo Asia Noreen Bibi. Scrivo agli uomini e alle donne di buona volontà dalla mia cella senza finestre, nel modulo di isolamento della prigione di Sheikhupura, in Pakistan, e non so se leggerete mai questa lettera. Sono rinchiusa qui dal giugno del 2009. Sono stata condannata a morte mediante impiccagione per blasfemia contro il profeta Maometto.
Dio sa che è una sentenza ingiusta e che il mio unico delitto, in questo mio grande Paese che amo tanto, è di essere cattolica. Non so se queste parole usciranno da questa prigione. Se il Signore misericordioso vuole che ciò avvenga, chiedo agli spagnoli (il 15 dicembre, il marito di Asia ritirerà a Madrid il premio dell’associazione HazteOir, ndr) di pregare per me e intercedere presso il presidente del mio bellissimo Paese affinché io possa recuperare la libertà e tornare dalla mia famiglia che mi manca tanto. Sono sposata con un uomo buono che si chiama Ashiq Masih. Abbiamo cinque figli, benedizione del cielo: un maschio, Imran, e quattro ragazze, Nasima, Isha, Sidra e la piccola Isham. Voglio soltanto tornare da loro, vedere il loro sorriso e riportare la serenità. Stanno soffrendo a causa mia, perché sanno che sono in prigione senza giustizia. E temono per la mia vita. Un giudice, l’onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nella mia cella e, dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha offerto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam. Io l’ho ringraziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta onestà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musulmana. «Sono stata condannata perché cristiana - gli ho detto -. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui».
Due uomini giusti sono stati assassinati per aver chiesto per me giustizia e libertà. Il loro destino mi tormenta il cuore. Salman Taseer, governatore della mia regione, il Punjab, venne assassinato il 4 gennaio 2011 da un membro della sua scorta, semplicemente perché aveva chiesto al governo che fossi rilasciata e perché si era opposto alla legge sulla blasfemia in vigore in Pakistan. Due mesi dopo un ministro del governo nazionale, Shahbaz Bhatti, cristiano come me, fu ucciso per lo stesso motivo. Circondarono la sua auto e gli spararono con ferocia.
Mi chiedo quante altre persone debbano morire a causa della giustizia. Prego in ogni momento perché Dio misericordioso illumini il giudizio delle nostre autorità e le leggi ristabiliscano l’antica armonia che ha sempre regnato fra persone di differenti religioni nel mio grande Paese. Gesù, nostro Signore e Salvatore, ci ama come esseri liberi e credo che la libertà di coscienza sia uno dei tesori più preziosi che il nostro Creatore ci ha dato, un tesoro che dobbiamo proteggere. Ho provato una grande emozione quando ho saputo che il Santo Padre Benedetto XVI era intervenuto a mio favore. Dio mi permetta di vivere abbastanza per andare in pellegrinaggio fino a Roma e, se possibile, ringraziarlo personalmente.
Penso alla mia famiglia, lo faccio in ogni momento. Vivo con il ricordo di mio marito e dei miei figli e chiedo a Dio misericordioso che mi permetta di tornare da loro. Amico o amica a cui scrivo, non so se questa lettera ti giungerà mai. Ma se accadrà, ricordati che ci sono persone nel mondo che sono perseguitate a causa della loro fede e - se puoi - prega il Signore per noi e scrivi al presidente del Pakistan per chiedergli che mi faccia ritornare dai miei familiari. Se leggi questa lettera, è perché Dio lo avrà reso possibile. Lui, che è buono e giusto, ti colmi con la sua Grazia.

DOSSIER "CRISTIANI IN PAKISTAN"
Asia Bibi, Shahbaz Bhatti, ecc.

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Fonte: Libero, 9 dicembre 2012

9 - IL VESCOVO DI VERONA LICENZIA GIOVANNI ZENONE, DIRETTORE DI FEDE E CULTURA: E' TROPPO CATTOLICO!
E' giusto che un Vescovo tolga l'insegnamento della religione cattolica ad un docente con più titoli degli altri, fedele alla Chiesa, assiduo alla preghiera, ai sacramenti e sposato con sei figli?
Autore: Francesca Castellaneta - Fonte: Riscossa Cristiana, 06/12/2012

Può un Vescovo togliere l'insegnamento della religione cattolica ad un docente con più titoli degli altri, fedele alla Chiesa, assiduo alla preghiera, ai sacramenti, sposato con sei figli? Può far relegare quell'insegnante al ruolo di bidello in una biblioteca raddoppiando le sue ore di lavoro? Può umiliarlo così nella sua vocazione?  Può una Diocesi motivare la rimozione con presunte "carenze pedagogiche e didattiche", nonostante il fatto che personalità della cultura e della Chiesa Cattolica (tra cui Padre Giovanni Cavalcoli, già Officiale della Segreteria di Stato della Santa Sede) siano intervenuti a suo sostegno e che almeno tre dei suoi alunni abbiano manifestato la volontà di entrare in Seminario?
Sì che può. Nonostante il premio "Attilio Mordini" ricevuto dal Professore dall'Associazione Europea Scuola e Professionalità docente nel 2008, nonostante il premio Vaticano "Giuseppe Sciacca" che tre mesi dopo la rimozione gli veniva attribuito dal Cardinale Castrillon Hoyos con la seguente motivazione: "Docente di straordinaria perizia e qualità pedagogiche, ha dato impulso alla diffusione di una sana cultura teologica e storica, scevra da compromessi ideologici e unicamente orientata a superiori finalità spirituali
nel rispetto della verità oggettiva, secondo il perenne insegnamento del Magistero della Chiesa", nonostante l'apprezzamento e la benedizione di Papa Bendetto XVI che conserva nel suo studio privato più d'un libro pubblicato dalla casa editrice che Zenone dirige.
È accaduto a Giovanni Zenone, il quale, oltre che insegnante, è direttore di "Fede & Cultura": 280 titoli pubblicati negli ultimi sette anni, per diffondere nell'intero Paese gli insegnamenti cristiani. Tra questi, uno degli ultimi s'intitola "Da servo di Pannella a figlio libero di Dio", di Danilo Quinto, con prefazione di Mons. Luigi Negri, e sta riscuotendo un grande successo. Nel mese di ottobre, il Vescovo di Verona, Mons. Giuseppe Zenti, ha confermato alla madre di Zenone la decisione presa due anni fa di estromettere suo figlio dall'insegnamento. Non sono bastati due anni di "espiazione" oppure sono sopraggiunti nuovi motivi? Magari proprio la pubblicazione del libro di Quinto? Può essere, considerato il numero di "amici" che i radicali annoverano dappertutto, anche tra i cattolici e gli ecclesiastici.
Finora, Zenone ha ubbidito alla decisione, in silenzio. Non si è ribellato. Ha fatto ricorso al Vescovo ma è stato respinto. Ha sofferto soprattutto sul piano esistenziale. "Mi hanno sottratto, con una motivazione paradossale, una parte essenziale della mia vita – racconta – quella legata alla formazione umana e spirituale dei giovani". Mentre i militanti di ideologie secolarizzate e anticlericali minacciano e cercano di condizionare gli insegnanti di religione, con questo licenziamento è come se il vescovo di Verona desse ragione a Pannella e torto a un insegnante cattolico di prim'ordine che fa un'opera apologetica di portata nazionale. Ha ragione Paolo VI: il fumo di Satana è entrato nella Chiesa. E non da una fessura: dal portone principale della cattedrale.
Zenone ha sofferto anche perché ora deve sottrarre molte ore alla famiglia numerosa e al suo lavoro di editore, rischiando di mettere in una grave crisi economica questa realtà.
È inspiegabile lo zelo e la durezza con cui alcuni funzionari della Diocesi di Verona si sono accaniti contro  Giovanni Zenone, senza prendere in alcuna considerazione le numerose eccezioni giuridiche e procedurali presentate dal suo legale Abbondio Dal Bon. "Non mi resta – sostiene Zenone – che procedere con un ricorso canonico alla Santa Sede e uno civile per contrastare e respingere quella che appare come una gravissima ingiustizia. Per ora, appare come una storia di persecuzione, incomprensibile e deleteria per l'immagine e l'identità di una Diocesi intera.

Fonte: Riscossa Cristiana, 06/12/2012

10 - OMELIA III DOMENICA DI AVVENTO - ANNO C - (Lc 3,10-18)
Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato
Fonte Il Settimanale di Padre Pio, (omelia per il 16/12/2012)

Siamo giunti alla terza domenica di Avvento che è chiamata anche la domenica della gioia. È chiamata in questo modo perché il Natale si avvicina e le letture della Messa ci invitano all'esultanza. Il profeta Sofonia così annuncia: «Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme» (3,14). Questo invito alla letizia è rivolto a ciascuno di noi. Dobbiamo gioire perché è stata revocata la nostra condanna (cf Sof 3,15) e Gesù viene a salvarci. A queste parole fanno eco quelle di san Paolo Apostolo che, scrivendo ai Filippesi, così esorta: «Siate sempre lieti nel Signore. [...]. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). Ormai il Natale è vicino e noi dobbiamo preparare i nostri cuori al Signore che viene.
Per vivere anche noi la gioia dobbiamo fare la Volontà di Dio. Questo è quanto ci insegna il Vangelo di oggi. Le folle andavano da Giovanni Battista per chiedere a lui una parola di vita. Per ben tre volte il brano dell'evangelista Luca riporta questa domanda: «Che cosa dobbiamo fare?» (3,10).
La prima volta il Battista risponde: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (Lc 3,11); la seconda volta, rispondendo ai pubblicani, dice: «Non esigete nulla più di quanto vi è stato fissato» (Lc 3,13); la terza volta, rivolgendosi ai soldati, insegna: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno» (Lc 3,14). Da queste risposte impariamo che se vogliamo gioire anche noi nel Signore e a Lui piacere dobbiamo osservare i Comandamenti di Dio, praticare la carità fraterna, rispettare il prossimo e non commettere ingiustizie.
Dio che è Amore è venuto a portare l'amore su questa terra e solo amando Dio e il prossimo potremo anche noi essere felici. Ogni peccato è un'offesa all'amore, una mancanza all'amore. Ai giorni d'oggi, ciò che manca veramente ai nostri cuori è proprio l'amore. Siamo dominati dall'egoismo che è esattamente il contrario dell'amore e il contrario della gioia. E così, commettendo peccati su peccati, noi ci condanniamo alla tristezza e alla delusione.
Guardiamo i Santi se vogliamo imparare ad amare. Nessuno più di loro ha amato su questa terra; nessuno più di loro ha gioito. Così è stato san Francesco d'Assisi, il quale all'inizio della sua conversione ha posto al Signore la domanda del Vangelo: «Che cosa devo fare?». Egli pensava di trovare la gioia nel diventare un cavaliere valoroso; invece la voce del Signore lo invitava sempre di più ad abbandonare tutto e servirlo nella povertà e nella letizia.
Oltre all'osservanza dei suoi Comandamenti, Dio domanda a ciascuna delle sue creature qualcosa di particolare: una missione da svolgere per il bene di tutti. Ognuno di noi è unico e irripetibile e deve chiedere ogni giorno al Signore di comprendere quale è questa sua Volontà. San Francesco comprese e divenne la persona più felice di questo mondo. Ora tocca a noi. Da chi dobbiamo farci aiutare per comprendere la risposta? Dal sacerdote a cui abbiamo affidato la direzione della nostra vita. Il Signore si serve proprio di loro per manifestare la sua Volontà.
Per ottenere tutto questo, affidiamoci alla Madonna, alla «Causa della nostra Letizia», come la invochiamo nelle Litanie lauretane. Preghiamola ogni giorno con il Santo Rosario e domandiamole l'inestimabile grazia di trovare un direttore spirituale, fermo e deciso, che ci incammini per la retta strada che conduce alla gioia eterna.

Fonte: Il Settimanale di Padre Pio, (omelia per il 16/12/2012)

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