BastaBugie n�107 del 02 ottobre 2009

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1 PRIMO GIORNO REGIONALE DEL TIMONE IN TOSCANA: SVELATE TUTTE LE BUGIE SU GALILEO E CONSEGNATO IL PREMIO VIVA MARIA! A CLAUDIA KOLL

Autore: Giano Colli - Fonte: BastaBugie
2 ALCUNE CONSIDERAZIONI SUI FIGLI DEI SOLDATI ITALIANI UCCISI IN AFGHANISTAN

Fonte: I Tre Sentieri
3 CITTADINANZA AGLI IMMIGRATI: ECCO PERCHE' FINI SBAGLIA

Autore: Massimo Introvigne - Fonte:
4 NORMAN BORLAUG, IL PADRE DELLA RIVOLUZIONE VERDE, CHE HA STRAPPATO ALLA MORTE PER FAME 245 MILIONI DI PERSONE

Autore: Maurizio Morabito - Fonte: Svipop
5 LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE COMPIE 60 ANNI: QUANDO AL CENTRO NON C'E' LA PERSONA UMANA, MA LO STATO

Autore: Bernardo Cervellera - Fonte:
6 UN SACERDOTE SCRIVE A UN ALTRO SACERDOTE A PROPOSITO DI GUERRA E POSIZIONI POLITICHE: IL NOSTRO DOVERE E' ESSERE PRETI DI TUTTI

Autore: don Achille Passalacqua - Fonte:
7 MESSAGGIO AI GIOVANI DURANTE IL VIAGGIO APOSTOLICO NELLA REPUBBLICA CECA

Autore: Benedetto XVI - Fonte: vatican.va
8 INTERVISTA A MONS. BRUNERO GHERARDINI: LA CORRETTA INTERPRETAZIONE DEL CONCILIO VATICANO II

Autore: Fabrizio Cannone - Fonte: Radici Cristiane
9 OMELIA PER LA XXVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - B - (Mc 10,2-16)

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - PRIMO GIORNO REGIONALE DEL TIMONE IN TOSCANA: SVELATE TUTTE LE BUGIE SU GALILEO E CONSEGNATO IL PREMIO VIVA MARIA! A CLAUDIA KOLL

Autore: Giano Colli - Fonte: BastaBugie

Sabato 19 settembre si è svolto presso il Centro Culturale "Amici del Timone" di Staggia Senese il 1' Giorno Regionale del Timone regionale. Organizzato in collaborazione con la rivista mensile di apologetica cattolica "Il Timone" e dagli altri centri culturali affiliati della Toscana.
La giornata è cominciata con la solenne Santa Messa pontificale celebrata la mattina nella chiesa di Staggia dall'Abate Zielinski vicepresidente della Pontificia commissione per i Beni Culturali della Chiesa e della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, alla presenza del Vicario Generale della Diocesi di Siena, mons. Giovanni Soldani e diversi sacerdoti. I numerosi fedeli hanno assistito in raccoglimento a questo momento di preghiera, comprendendo bene che solo affidandosi al Signore la battaglia in difesa della fede cattolica può avere successo.
Ha fatto  seguito un pranzo di comunità nei locali messi a disposizione dalla parrocchia, e poi bellissimi momenti di fraternità per le tante famiglie convenute da tutta la Toscana, con numerosi giovani e bambini, nella cornice di un bel pratino verde dove erano allestiti diversi stand con la migliore produzione dell'editoria cattolica.
Quindi c'è stata la interessantissima conferenza del professor Rino Cammilleri dal titolo "Tutte le bugie su Galileo". In occasione dell'anno internazionale dell'astronomia proclamato nel 2009 dall'ONU, a memoria dei 400 anni dall'utilizzazione astronomica da parte di Galileo del cannocchiale, Cammilleri, nota firma del Timone, ha messo in evidenza le inesattezze e le evidenti bugie che la cultura contemporanea insegna a scuola, in televisione e sui giornali sullo scienziato cattolico che ha dato origine alla scienza moderna. Galileo non si considerò mai avversario della Chiesa. Conservò la fede cattolica fino alla morte, fu amico per lungo tempo di papi e di cardinali, (il cardinale Maffeo Barberini, poi eletto Papa con il nome di Urbano VIII, fu suo grande ammiratore) e da molti religiosi fu protetto e incoraggiato nelle sue ricerche. Quando nel 1611 si recò a Roma fu ricevuto persino da Papa Paolo V, con il quale ebbe un lungo e caloroso colloquio. Anche dopo la sentenza del 1633, che, oltre all'abiura, lo "condannava" a recitare una volta la settimana i sette salmi penitenziali per un periodo di tre anni, fu ospitato nella villa del cardinale di Siena, Ascanio Piccolomini, uno dei tanti ecclesiastici che gli volevano bene. Quindi, si trasferì nella sua villa di Arcetri, detta "il gioiello", alla periferia di Firenze. Morì con la benedizione del Papa e ricevendo l'indulgenza plenaria, segno che la Chiesa non lo considerava certamente un avversario né lui considerava tale la Chiesa. Proprio una favola quella dell'inimicizia, della contrapposizione invincibile, dell'insanabile rottura tra lo scienziato pisano e la Chiesa cattolica. Una favola che per primo contesterebbe proprio lo scienziato pisano. Non va dimenticato, infatti, che al termine della sua vita movimentata, lasciò scritto che "in tutte le opere mie, non sarà chi trovar possa pur minima ombra di cosa che declini dalla pietà e dalla riverenza di Santa Chiesa".
Del resto la teoria eliocentrica (la Terra e i pianeti ruotano attorno al sole) non fu inventata da Galileo. Fu compiutamente enunciata da Copernico, sacerdote cattolico polacco, morto 21 anni prima della nascita di Galileo. Se Copernico decise di pubblicare i suoi studi solo l'anno della sua morte fu per timore di essere dileggiato dai colleghi di studi, non certo da uomini di Chiesa (i papi Clemente VII e Paolo III, cui l'opera di Copernico era dedicata), dai quali ebbe favori e incoraggiamenti.
Cammilleri ha infine ricordato che Galileo non portò alcuna prova scientifica che potesse sostenere senza ombra di dubbio la teoria eliocentrica. Per "provare" che la Terra ruotava intorno al sole sosteneva che le maree erano dovute allo "scuotimento" delle acque causato dal movimento terrestre. Ma questo argomento era scientificamente insostenibile. Avevano ragione i suoi "giudici inquisitoriali", i quali sapevano bene che le maree sono dovute all'attrazione lunare.
Infine il professore ha ricordato che Galileo non passò nemmeno un minuto in carcere, non venne mai torturato, non gli fu impedito di incontrare colleghi e religiosi, di scrivere, di studiare e di pubblicare libri. Fu con l'Illuminismo e con Voltaire che si riesumò il processo a Galileo, con lo scienziato che fu preso strumentalmente come "testimonial" del perseguitato dalla Chiesa, e da allora sono state scritte pagine di storia che di vero avevano ben poco.
Alla conferenza di Cammilleri è seguita la toccante testimonianza dell'attrice Claudia Koll, che con molta sincerità ha raccontato il suo avvicinamento a Dio, la rottura con un passato di errori e di sofferenza per trovare la luce della fede.
Ha raccontato la sua infanzia e il debutto al cinema. Dopo la partecipazione a molte fiction in televisione tra cui Linda e il brigadiere, ha presentato il Festival di Sanremo.
Dopo l'avvicinamento e coinvolgimento nella fede cattolica, ha radicalmente cambiato vita, continuando la propria professione scegliendo ruoli consoni al nuovo stile di vita.
Oggi è impegnata in vari progetti umanitari dislocati in molte parti del mondo, dall'Africa, al Myanmar, dove grazie all'associazione "Le Opere del Padre" viene dato sostegno a distanza a bambini, vengono costruite case accoglienza per disabili e viene portata promozione umana.
Claudia Koll dedica la propria vita all'annuncio del Vangelo di Gesù, soprattutto la sua divina misericordia, e ha dichiarato di sentirsi a casa nella Chiesa Cattolica che l'ha accolta come una mamma. La sua vita è profondamente segnata dalla partecipazione alla S. Messa  quotidiana e dai sacramenti della confessione e della comunione.
Alla fine della sua testimonianza, il direttore del Timone, Gianpaolo Barra ha consegnato all'attrice il Premio "Viva Maria!" dedicato alla Vergine del conforto che è conservata ad Arezzo. Il premio consisteva in un assegno di duemilacinquecento euro offerti dalla Fondazione Fides et Ratio che sostiene il Timone e con una perfetta riproduzione della Madonna del conforto di Arezzo. Evidente è stato il motivo che ha spinto gli organizzatori a chiamare "Viva Maria!" questo premio: come ai tempi di Napoleone, è in atto un attacco alla fede cattolica. Ora come allora c'è bisogno che ci sia un forte movimento di popolo di reazione che difenda la Chiesa da questi attacchi.
Ecco la motivazione del premio tratta dalla pergamena: "A Claudia Koll, attrice cinematografica e teatrale, perché come i Viva Maria! dell'insorgenza toscana, con la parola e con le opere, offre generosa testimonianza del lavoro da fare per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime".
Questa giornata, organizzata per la prima volta quest'anno, diverrà un appuntamento fisso al terzo sabato di settembre. Questo evento ha visto la partecipazione di oltre seicento persone convenute da tutta la Toscana, imponendosi come grande evento culturale, con la diffusione ampia di libri di cultura cattolica, ma si potrebbe dire tranquillamente di cultura vera, quella che non ricorre a forzature e strumentalizzazioni, il tutto grazie ai fornitissimi stands allestiti nel prato dietro la chiesa.

Fonte: BastaBugie

2 - ALCUNE CONSIDERAZIONI SUI FIGLI DEI SOLDATI ITALIANI UCCISI IN AFGHANISTAN

Fonte I Tre Sentieri, 25 settembre 2009

Vedendo recentemente le immagini dei due bambini che hanno perso i loro papà, soldati in Afghanistan, ci siamo tutti un po’ commossi. I due bambini (sette e due anni) presenziavano al funerale ben sapendo (certamente il più grandicello con più consapevolezza) che dentro quelle bare c’era anche il loro genitore.
 Abbiamo letto e sentito in questi giorni tanti commenti di giornalisti ed opinionisti. Ci hanno lungamente parlato della sofferenza di questi due bambini, una sofferenza – a sentir loro - di una gravità enorme. Qualcuno si è anche cimentato sulle possibili conseguenze psicologiche di una così grande tragedia.
 Indubbiamente, perdere un genitore è un dolore enorme. Non avere più – fisicamente - una figura genitoriale di riferimento nella crescita e per la crescita è una mancanza non lieve. Forse solo chi ci è passato può davvero capire. Così come è giusto e doveroso cercare di sopperire affettivamente a questa pesante mancanza.
 Ciò che però è inaccettabile è il non voler capire da parte dei “grandi” maestri di pensiero contemporanei, cioè dei tanti giornalisti, opinionisti, intellettuali, i quali pontificano sulle colonne dei giornali più prestigiosi. Un non voler capire che diviene inevitabilmente ipocrisia.
 A cosa ci riferiamo? Al fatto che alla commozione per quei due poveri bambini non si accompagna una più doverosa commozione per quei tanti, tantissimi (innumerevoli) bambini che vedono sfasciare le proprie famiglie. 
 Se non si hanno pregiudizi ideologici (ma questa è la grande questione!) tutti gli esperti di psicologia riconoscono che il trauma di vedersi separare i propri genitori è molto più difficilmente recuperabile del trauma della morte prematura di un proprio genitore.
 Può sembrare strano: nel caso di divorzio dei genitori, entrambi sono ancora fisicamente presenti. Il papà lo si può vedere il “fine settimana” e poi, eventualmente, trascorrere con lui l’estate; ma quando uno dei due muore, non lo si può vedere più. Perché dunque il trauma dei genitori separati è più duro rispetto al rimanere orfani? La spiegazione è molto semplice. Nel primo caso il figlio non mette in discussione se stesso; sa che se il papà (o la mamma) non c’è più non è perché essi non si vogliano più bene, ma per un altro motivo, indipendente dalle loro volontà. Nel secondo caso, invece, il figlio, vedendosi separare i genitori, mette inconsciamente in discussione se stesso, sa di essere “frutto” di un amore finito, svanito, ch’era meglio non ci fosse mai stato. Ecco , il punto è proprio questo: sapere di esistere in conseguenza di qualcosa ch’era meglio non ci fosse mai stato, sapere che il proprio vivere è esito di un amore che è divenuto sofferenza, dolore…e perfino odio.
 I dati lo confermano molto bene. Gli orfani ci sono sempre stati, anzi ieri più di oggi, perché un tempo era molto più frequente morire giovani; eppure non si constatavano patologie di insicurezza tra i giovani quanto lo si possa constatare oggi, per giunta soprattutto nei contesti culturali in cui è più frequente lo sfascio delle famiglie.
 Chi volesse saperne di più, soprattutto riguardo ai dati scientifici di studi sull’argomento, ovvero che dimostrano quanto i figli soffrano molto di più per la separazione dei genitori piuttosto che per la morte prematura di uno dei due, può documentarsi sul numero 32 del settimanale “ Il Timone ”, anno VI, aprile 2004.
   L’augurio (che è una certezza) che facciamo a quei due bambini e che, malgrado il dolore che porteranno sempre con loro, riusciranno sicuramente a trasformare il  disagio in una maturazione significativa. Sapere che il papà è morto per una causa giusta vuol dire trovarsi sempre accanto a sé quel grande insegnamento e quella grande testimonianza... cosa incomparabilmente diversa dal sapere che il proprio papà esiste sì, ma che vigliaccamente ha rinnegato il suo amore per ricostruirsi egoisticamente una nuova vita.
 Ovviamente tutto questo non viene detto... perché tutto questo suonerebbe come un macigno nei confronti della cultura dominante che ha fatto dell’effimero e del piacere egoistico il proprio vessillo.

Fonte: I Tre Sentieri, 25 settembre 2009

3 - CITTADINANZA AGLI IMMIGRATI: ECCO PERCHE' FINI SBAGLIA

Autore: Massimo Introvigne - Fonte:

Il dado è tratto. Dopo tanti annunci, venti deputati finiani – insieme a trenta dell’opposizione – hanno presentato una proposta di legge che permette agli extracomunitari di diventare cittadini italiani dopo soli cinque anni di residenza, passando un test d’integrazione. La proposta piace a tanta sinistra. Ma è sbagliata. Avrebbe i suoi principali effetti su circa un milione d’immigrati musulmani. Altri extracomunitari sono statisticamente minoritari o, come i cinesi, preferiscono tenersi la cittadinanza del Paese di origine.
Non sarà politicamente corretto, ma è dunque dei musulmani – e di religione – che si deve parlare. I deputati che ci raccontano che la proposta sulla cittadinanza è laica e la religione non c’entra ingannano se stessi e gli elettori. Oggi i musulmani cittadini italiani sono meno di diecimila. Molti sono fasulli: sono italiani che hanno finto di convertirsi all’islam per potere sposare donne musulmane – cui diversamente i consolati dei Paesi di origine avrebbero negato le carte – ma si sono dimenticati della conversione dopo il matrimonio. Con la nuova legge i cittadini italiani musulmani passerebbero potenzialmente da qualche migliaio a centinaia di migliaia. Siamo pronti a questa radicale modifica della nozione di cittadino italiano? Non lo siamo. Nessuno lo è. Nessuna civiltà nella storia è riuscita a fronteggiare senza esserne distrutta l’acquisizione come cittadini in così poco tempo di così tante persone portatrici di una cultura e di una religione sia radicalmente diverse sia forti. Diverso era il caso dei barbari dell’antichità, che portavano in Europa eserciti forti ma una cultura debole; o degli irlandesi e italiani emigrati in passato negli Stati Uniti il cui cattolicesimo era diverso dal protestantesimo maggioritario in America ma non così radicalmente diverso com’è l’islam rispetto alla mentalità italiana di oggi. Ci raccontano che negli Stati Uniti i musulmani diventano cittadini con una norma simile a quella di Fini e si integrano senza problemi. Ma i cittadini musulmani di origine straniera in America sono due milioni. Se ce ne fossero in una percentuale sul totale della popolazione simile a quella degli immigrati islamici in Italia sarebbero quaranta milioni, non due, e neppure l’esperienza americana riuscirebbe ad assimilarne così tanti.
C’è un’altra ragione più profonda per andare con i piedi di piombo sulla cittadinanza. Per difendere la propria cultura e integrare nuovi cittadini bisogna, almeno, volerlo. Non è affatto sicuro che l’Italia di oggi abbia le idee chiare su quale cultura voglia difendere e proporre agli immigrati. Quale sarà il contenuto del “test d’integrazione civica”? Le radici cristiane dell’Europa o la mentalità di “Repubblica”? Senza dimenticare che in Gran Bretagna e Francia fior di terroristi arrestati mentre preparavano attentati erano cittadini che avevano passato a pieni voti i test d’integrazione, della cui serietà si può dunque dubitare.
Infine una domanda. Gli amici del presidente Fini chiedono più democrazia in Italia. I sondaggi ci assicurano che la grande maggioranza degli italiani non vuole l’accesso facile alla cittadinanza per gli extracomunitari. Ignorare l’opinione della maggioranza degli elettori è per caso una nuova forma di democrazia?


4 - NORMAN BORLAUG, IL PADRE DELLA RIVOLUZIONE VERDE, CHE HA STRAPPATO ALLA MORTE PER FAME 245 MILIONI DI PERSONE

Autore: Maurizio Morabito - Fonte: Svipop, 24 settembre 2009

Norman Borlaug è morto, il 12 settembre scorso: un Carneade, in alcuni ambienti. In altri, un Angelo sulla Terra, e in altri ancora (curiosamente, per gli stessi motivi) un Diavolo.
Cosa ha fatto dunque di speciale questo Nobel per la Pace 1970, premiato negli USA anche con la Medaglia della Libertà del Presidente e la Medaglia d’Oro del Congresso, e in India con il “Padma Vibhushan”, la seconda più alta onorificenza per un civile? Ha “semplicemente” salvato la vita a 245 milioni di persone. Oh, e i frutti del suo lavoro sfamano adesso circa metà dell'umanità.
E per questo, ovviamente, è stato pure criticato. Come diceva la canzone: “sei buono…e ti tirano le pietre”.
In realtà è difficile riuscire a sopravvalutare l’importanza di Norman Ernest Borlaug. Nato in Iowa nel 1914, ha vissuto in prima persona la tragedia delle tempeste di polvere che mandarono tantissimi agricoltori americani sul lastrico negli anni ’30. E così si è trovato ben piazzato per comprendere le drammatiche richieste da parte del governo messicano quando intorno al 1944 chiese aiuto alla Rockefeller Foundation per uscire da un terribile ciclo di continue carestie.
Borlaug infatti conteneva in sé le migliori caratteristiche per affrontare il problema, incluse conoscenze pratiche ma anche teoriche dell’agricoltura (grazie all’incoraggiamento del nonno, andò all’Università quando la maggior parte dei suoi coetanei dopo l'obbligo scolastico tornava semplicemente a lavorare la terra); e la consapevolezza che la "Fame nel Mondo" non è un concetto astratto, o un problema da risolvere con mirabolanti dichiarazioni o impossibili target.
E' anzi un problema estremamente concreto che milioni devono affrontare come principale preoccupazione quotidiana. E la cui soluzione dipende non tanto dal cambiamento della società o dei costumi, quanto dall’inventiva e dedizione di persone come Borlaug.
Certo in questa storia ci sono anche altre personalità, come per esempio il Prof. Elvin C Stakman, esperto in malattie delle piante che convinse il trentenne Borlaug ad abbandonare una carriera sicura alla DuPont per lavorare con la Rockefeller Foundation. E che sicuramente ebbe un ruolo nel primo successo di Borlaug, la creazione di varietà di grano resistenti alla loro peggiore malattia, causata da un fungo.
Immaginiamo però la sorpresa di contadini e funzionari messicani quando dopo pochissimi anni, le nuove varietà mostrarono incredibili capacità di aumentare i raccolti. Eppure, era solo l’inizio. Negli anni '50, infatti, grazie al lavoro di Borlaug e dei suoi collaboratori furono create varietà “semi-nane” ancora più spettacolari, piccole ma con i chicchi di dimensioni normali, e capaci di produrne quantità strabilianti (tre o quattro volte di più del solito) grazie anche all’uso di azoto come fertilizzante.
Una volta che queste idee furono applicate al riso, il cibo di base per quasi metà della popolazione umana, ecco allora che Borlaug si trovò a essere indicato come il Padre della “Rivoluzione Verde”. Il Messico divenne ben presto esportatore di cereali. Anche India e Pakistan riuscirono in pochi anni a diventare autosufficienti. Successi dopo successi anche in Cina, Brasile, le Filippine, insomma un po’ ovunque.
E se fosse vero che Cina e India abbiano… seminato con Borlaug quanto ora sta dando frutto nella loro spinta a diventare potenze di livello mondiale? Come scrive il New York Times, la Rivoluzione Verde di Borlaug avrebbe allora “cambiato il corso della Storia”.
E allora perché viene criticato? Ufficialmente, per aver contribuito a far nascere una società non-ecosostenibile. Per esempio l’indiana Vandana Shiva ha detto nel 1991, che “nel percepire i limiti della natura come limitazioni alla produttività che andavano rimosse, [Borlaug e gli altri esperti americani] hanno diffuso pratiche [agricole] ecologicamente distruttive e insostenibili”. Addirittura.
Aspettiamoci allora giudizi molto aspri contro l’inventore della ruota, per aver aiutato la specie umana a spostarsi velocemente, e anche contro il povero Archimede e la sua pompa a vite, responsabile di una irrigazione che va al di là della mera speranza in piogge regolari.
Borlaug, infaticabile lavoratore fino quasi alla fine, aveva una risposta semplice ai suoi critici. Diceva loro che è facile parlare quando uno fa parte della elite, e non deve preoccuparsi da dove mai venga il prossimo pasto. E ripetutamente dimostrava invece un approccio pragmatico ai problemi ambientali: come disse nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel:
“Il destino della civiltà dipende dalla [capacità di] provvedere uno standard di vita decente a tutta l’umanità”. E quindi “la prima, essenziale componente della giustizia sociale è cibo adeguato per tutta l’umanità”. E infine: “Alcuni critici hanno detto che la rivoluzione verde ha creato più problemi di quanti ne abbia risolti. Questo non lo posso accettare, perché credo che sia molto meglio per l'umanità essere alle prese con nuovi problemi causati dall’abbondanza, piuttosto che con il vecchio problema della fame”.
Di fronte al rischio di tragedia impellente dunque, Borlaug non si mise a scrivere libri, fare conferenze o organizzare comitati politici internazionali. Non pubblicò decaloghi per rendere più virtuose le persone o la società, e non organizzò concerti per sensibilizzare le masse. Non si mise neanche in testa di zittire chi non credeva nella possibilità di quella tragedia.
Invece, si mise a lavorare per evitare quella tragedia. Lavorare, affrontare i problemi, risolverli? Un’idea che oggi potrebbe risultare rivoluzionaria...
Borlaug ebbe insomma fiducia nelle capacità sue e degli altri, collaboratori e agricoltori dal Messico all’India alla Cina, e politici e funzionari: dunque, nelle capacità della migliore umanità di trovare in sé una soluzione. Perché è questo che va fatto quando si vuole evitare un rischio, specie se è un rischio per l’umanità tutta.
Borlaug era preoccupato di fronte alla questione della sovrappopopolazione, che egli definiva addirittura come il “Population Monster”. A Stoccolma si augurò che cambiasse “il percorso auto-distruttore lungo la strada della crescita irresponsabile della popolazione” e che si trovasse un modo per “regolare il tasso di crescita a livelli che consentano un livello decente di vita per tutta l'umanità”.
Ma a differenza del maltusiano Paul R Ehrlich, e di tanti nostri contemporanei “profeti di sventura”, la preoccupazione di Borlaug non gli impedì di affermare il suo ottimismo ”per il futuro dell'umanità, perché in tutte le popolazioni biologiche ci sono dispositivi innati per regolare la crescita della popolazione per la capacità di carico dell'ambiente”.
Nel discorso a Stoccolma, Burlaug arrivò ad augurarsi che un giorno si possa avverare la profezia di Isaia (35, 1 e seguenti): "Il deserto e la terra arida si rallegreranno, la solitudine gioirà e fiorirà come la rosa... Il luogo arido diventerà uno stagno e la terra assetata sorgenti d'acqua".
La sua speranza era basata nel credere fermamente che “l'uomo è potenzialmente un essere razionale [capace di] sviluppare e applicare le competenze scientifiche e tecnologiche [per] il benessere del genere umano in tutto il mondo". Insomma, come si dice, l'uomo è la soluzione, non il problema...

Fonte: Svipop, 24 settembre 2009

5 - LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE COMPIE 60 ANNI: QUANDO AL CENTRO NON C'E' LA PERSONA UMANA, MA LO STATO

Autore: Bernardo Cervellera - Fonte:

Domani la Repubblica popolare compie 60 anni. Le feste preparate in Cina saranno ancora più solenni di quelle dei Giochi olimpici, un osanna allo splendore raggiunto dal Paese sotto la guida del Partito comunista (Pcc). La cerimonia in piazza Tiananmen prevede un discorso del presidente Hu Jintao e una mastodontica parata militare, con armamenti e tecnologie missilistiche 'nazionali'. Ma la popolazione di Pechino non potrà prendervi parte. «Per questioni di sicurezza» gli abitanti devono restare in casa, non devono invitare amici, non devono neppure affacciarsi ai balconi durante la parata. Sempre per motivi di «sicurezza», è vietato fare volare piccioni addomesticati e aquiloni. Almeno 800mila 'spie' sono sguinzagliate nella capitale per vigilare su tutto: il giorno di festa si tramuta in uno stato di assedio, in cui il Pcc si difende dai suoi concittadini. I membri anziani del Partito sono delusi: il Pcc non è più amato come un tempo; in 60 anni si è trasformato da avanguardia sociale a oppressore; è divenuto un’oligarchia che usa l’economia per mantenere il dominio politico e usa quest’ultimo per accrescere i suoi benefici materiali. Certo, sono evidenti i grandi successi: una crescita del Pil a due cifre per decenni; città divenute metropoli avanzatissime; commercio globale. Ma sono evidenti pure i grandi fallimenti: una società in cui lo Stato controlla oltre il 70% dell’economia, frenando la creatività e garantendo promozioni e favori senza alcun merito; diffusa corruzione, che arriva a sottrarre allo Stato fino al 3% del Prodotto interno lordo; mancanza di sostegno sociale a poveri, pensionati, disoccupati; strutture sanitarie ed educative allo sfacelo; genitori che mettono in vendita i loro organi per pagare l’università ai figli; inquinamento, soprusi, sequestri di terre e di case da parte di membri del Partito. La svolta è avvenuta con Deng Xiaoping, che ha voluto le riforme economiche del Paese, le 4 modernizzazioni (esercito, scienza, agricoltura, industria), bloccando le riforme politiche e soprattutto 'la quinta modernizzazione': la democrazia.
  Nel bene e nel male, la Cina di oggi è frutto di questo handicap: uno status invidiabile dal punto di vista economico; una condizione da paria sui diritti umani. Ancora dopo 30 anni dalle riforme di Deng, il Paese non gode di libertà di stampa, di associazione, di parola, di religione; i poteri esecutivo, giudiziario, legislativo sono tutti sotto il controllo del Pcc.
  Hu Jintao continua sulla stessa linea, esaltando la «sicurezza» e frenando i tentativi di introdurre la «corrotta democrazia occidentale». Eppure, il popolo non si rassegna. Lo scorso anno vi sono stati oltre 100mila 'incidenti di massa', ossia proteste di centinaia o migliaia di persone che chiedono giustizia per soprusi, per salari non pagati, per l’inquinamento o sequestri di terreni. Tali 'incidenti' hanno portato a incendi di sedi del Partito e della polizia, a scontri a fuoco, arresti e vittime. Per salvare la sua supremazia, il Pcc continua a imprigionare e a far morire la gente del popolo, proprio quel 'popolo' cui appartiene la 'Repubblica popolare cinese' fondata 60 anni fa. E 'fra il popolo' è nata in questi decenni una società civile sempre più attenta ai propri diritti: attivisti, giornalisti, avvocati, consumatori, madri, impiegati denunciano le malefatte dei quadri del Partito; si appellano per la salute dei loro figli avvelenati (come nel caso del latte alla melamina); difendono le loro prerogative sulla proprietà; affermano il diritto alla libertà religiosa; esigono di votare per esprimere la proprie preferenze a favore dell’uno o dell’altro leader. Molti di loro vengono messi in prigione, ma solo ascoltando questo popolo la Cina potrà avere un futuro stabile. Alla crescita della società civile hanno contribuito anche molte vittime della persecuzione religiosa. Fin dai tempi di Mao, personalità cristiane che lavoravano per il popolo – e che all’inizio avevano perfino guardato con simpatia l’arrivo dei comunisti – si sono trovate a resistere alla 'divinizzazione' del potere, salvaguardando la libertà di coscienza.
  Grazie a cristiani cattolici e protestanti sta crescendo una coscienza sociale che pone al centro la persona con i suoi diritti inalienabili e non lo Stato (o la supremazia del Partito).
  Personalità come Gao Zhisheng, Liu Xiaobo, Han Dongfang, Hu Jia hanno scoperto la fede cristiana come la base del valore assoluto della persona, come la forza della loro dissidenza e della difesa dei diritti umani.


6 - UN SACERDOTE SCRIVE A UN ALTRO SACERDOTE A PROPOSITO DI GUERRA E POSIZIONI POLITICHE: IL NOSTRO DOVERE E' ESSERE PRETI DI TUTTI

Autore: don Achille Passalacqua - Fonte:

Caro don Giorgio De Capitani, vorrei, attraverso Avvenire, indirizzarti questa lettera aperta, in ordine alle tue recenti dichiarazioni nei confronti dei nostri caduti a Kabul. Io sono un sacerdote siciliano di 53 anni, amo la pace e non mi piace la guerra.
  Per principio. Ma leggendo le tue parole di odio e di disprezzo ('mercenari') verso gli uomini in divisa morti in Afghanistan, ho sentito il bisogno di ricordarti che noi preti siamo nella Chiesa, per il mondo, la presenza di Cristo: «Dio ama tanto il mondo da mandare il suo Unigenito non per giudicare il mondo ma per salvarlo» (Gv 3,16).
  Quando Gesù fu pregato di intervenire per guarire il servo del centurione, poteva dire «È un mercenario, un occupante imperialista». E avrebbe detto il vero. Invece cambiò il programma della giornata e si avviò verso la casa del 'mercenario', anzi guarì il servo (e anche su questo tu al suo posto avresti tenuto un comizio) prima di giungere a destinazione.
  Ancora oggi, nella Messa, prima di accostarci alla Comunione riecheggiamo le parole del centurione «non sono degno che tu entri nella mia casa, di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito». Alla fine il militare nemico del popolo si beccò un encomio solenne «hai una fede grande grande».
  Nel Vangelo il mercenario è la fotocopia del Pastore. Mentre questi conosce, ama e nutre tutte le sue pecore, fino a dare la vita per salvarle dai lupi, il mercenario scappa, perché non gli importa nulla delle pecore (cfr. Gv 10). Caro fratello, non si può essere pastori, selezionando nel gregge i giusti (quelli che votano chi piace a te) e tutti gli altri: questo compete al Signore Gesù nel giorno del giudizio (cfr. Mt 25). Altrimenti rischi di diventare tu il mercenario a cui interessano solo 'alcune' pecore, disprezzando e oltraggiando al contempo tutte le altre che non la pensano come te.
  La libertà dei figli di Dio ti consente, se lo vuoi, di fare il tribuno, il sindacalista, il no global, ma non ti consente di disprezzare, da prete, nessuno dei tuoi fratelli, il loro dolore, la loro dignità, il loro bisogno di costruire un futuro seppur rischiando la vita, come fanno i militari, non solo quelli di Kabul, ma tutti quelli che con una divisa proteggono te, la tua libertà, la tua professione di fede per uno stipendio di fame.
  Il mio fraterno amico Pino Puglisi sapeva cosa rischiava, ma cercò fino all’ultimo di dialogare perfino coi mafiosi, per spiegare loro il male che facevano, principalmente ai loro figli. Non se ne stava a chattare, linkare, bloggare, youtubare, ma come don Mazzolari «voleva bene anche a Giuda» e ogni giorno «faceva qualcosa» per il suo gregge.
  Mai una parola di odio, mai un filo di rancore verso chi ogni giorno gli faceva sapere che era sgradito, sempre benedicendo e mai maledicendo nessuno. E la mafia lo uccise. Era un mercenario? No, riscuoteva il tuo stesso stipendio dall’8 per mille ed era sempre pieno di debiti per aiutare il prossimo. Se l’è cercata? No, ma ha accettato con l’amore di Cristo Sacerdote i colpi di pistola di Cosa nostra. Non era un 'prete scomodo', era un 'prete vero'. E tu? Fraternamente.


7 - MESSAGGIO AI GIOVANI DURANTE IL VIAGGIO APOSTOLICO NELLA REPUBBLICA CECA

Autore: Benedetto XVI - Fonte: vatican.va, 28 settembre 2009

Cari giovani!
Al termine di questa celebrazione, mi rivolgo direttamente a voi e innanzitutto vi saluto con affetto. Siete venuti numerosi da tutto il Paese e anche dai Paesi vicini; vi siete “accampati” qui ieri sera e avete pernottato nelle tende, facendo insieme un’esperienza di fede e di fraternità. Grazie per questa vostra presenza, che mi fa sentire l’entusiasmo e la generosità che sono propri della giovinezza. Con voi anche il Papa si sente giovane! Un ringraziamento particolare rivolgo al vostro rappresentante per le sue parole e per il meraviglioso dono.
Cari amici, non è difficile costatare che in ogni giovane c’è un’aspirazione alla felicità, talvolta mescolata ad un senso di inquietudine; un’aspirazione che spesso però l’attuale società dei consumi sfrutta in modo falso e alienante. Occorre invece valutare seriamente l’anelito alla felicità che esige una risposta vera ed esaustiva. Nella vostra età infatti si compiono le prime grandi scelte, capaci di orientare la vita verso il bene o verso il male. Purtroppo non sono pochi i vostri coetanei che si lasciano attrarre da illusori miraggi di paradisi artificiali per ritrovarsi poi in una triste solitudine. Ci sono però anche tanti ragazzi e ragazze che vogliono trasformare, come ha detto il vostro portavoce, la dottrina nell’azione per dare un senso pieno alla loro vita. Vi invito tutti a guardare all’esperienza di sant’Agostino, il quale diceva che il cuore di ogni persona è inquieto fino a quando non trova ciò che veramente cerca. Ed egli scoprì che solo Gesù Cristo era la risposta soddisfacente al desiderio, suo e di ogni uomo, di una vita felice, piena di significato e di valore (cfr Confessioni I,1,1).
Come ha fatto con lui, il Signore viene incontro a ciascuno di voi. Bussa alla porta della vostra libertà e chiede di essere accolto come amico. Vi vuole rendere felici, riempirvi di umanità e di dignità. La fede cristiana è questo: l’incontro con Cristo, Persona viva che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. E quando il cuore di un giovane si apre ai suoi divini disegni, non fa troppa fatica a riconoscere e seguire la sua voce. Il Signore infatti chiama ciascuno per nome e ad ognuno vuole affidare una specifica missione nella Chiesa e nella società. Cari giovani, prendete consapevolezza che il Battesimo vi ha resi figli di Dio e membri del suo Corpo che è la Chiesa. Gesù vi rinnova costantemente l’invito ad essere suoi discepoli e suoi testimoni. Molti di voi li chiama al matrimonio e la preparazione a questo Sacramento costituisce un vero cammino vocazionale. Considerate allora seriamente la chiamata divina a costituire una famiglia cristiana e la vostra giovinezza sia il tempo in cui costruire con senso di responsabilità il vostro futuro. La società ha bisogno di famiglie cristiane, di famiglie sante!
Se poi il Signore vi chiama a seguirlo nel sacerdozio ministeriale o nella vita consacrata, non esitate a rispondere al suo invito. In particolare, in quest’Anno Sacerdotale, mi appello a voi, giovani: siate attenti e disponibili alla chiamata di Gesù ad offrire la vita al servizio di Dio e del suo popolo. La Chiesa, anche in questo Paese, ha bisogno di numerosi e santi sacerdoti e di persone totalmente consacrate al servizio di Cristo, Speranza del mondo.
La speranza! Questa parola, su cui torno spesso, si coniuga proprio con la giovinezza. Voi, cari giovani, siete la speranza della Chiesa! Essa attende che voi vi facciate messaggeri della speranza, com’è avvenuto l’anno scorso, in Australia, per la Giornata Mondiale della Gioventù, grande manifestazione di fede giovanile, che ho potuto vivere personalmente e alla quale alcuni di voi hanno preso parte. Molti di più potrete venire a Madrid, nell’agosto 2011. Vi invito fin da ora a questo grande raduno dei giovani con Cristo nella Chiesa.
Cari amici, grazie ancora per la vostra presenza e grazie per il vostro dono: il libro con le foto che raccontano la vita dei giovani nelle vostre diocesi. Grazie anche per il segno della vostra solidarietà verso i giovani dell’Africa, che mi avete voluto consegnare. Il Papa vi chiede di vivere con gioia ed entusiasmo la vostra fede; di crescere nell’unità tra di voi e con Cristo; di pregare e di essere assidui nella pratica dei Sacramenti, in particolare dell’Eucaristia e della Confessione; di curare la vostra formazione cristiana rimanendo sempre docili agli insegnamenti dei vostri Pastori. Vi guidi su questo cammino san Venceslao con il suo esempio e la sua intercessione, e sempre vi protegga la Vergine Maria, Madre di Gesù e Madre nostra. Vi benedico tutti con affetto!

Fonte: vatican.va, 28 settembre 2009

8 - INTERVISTA A MONS. BRUNERO GHERARDINI: LA CORRETTA INTERPRETAZIONE DEL CONCILIO VATICANO II

Autore: Fabrizio Cannone - Fonte: Radici Cristiane, 2 ottobre 2009

Mons. Brunero Gherardini è considerato uno degli ultimi rappresentanti della scuola romana di teologia, quella, per intenderci, cui appartennero i grandi teologi italiani del ’900 tra cui ci piace ricordare alcune figure come il card. Ottaviani e il card. Parente, mons. Piolanti e i padri Fabro, Spiazzi, Composta.
Docente emerito di Ecclesiologia ed Ecumenismo presso la Pontificia Università Lateranense, detta l’Università del Papa, mons. Gherardini ha un curriculum di pubblicazioni, anche in altre lingue, che non permette alcun breve excursus. È un teologo, un ecclesiologo e un mariologo di fama internazionale, ottimo conoscitore di Lutero e della Riforma, ma anche studioso appassionato della filosofia moderna, specie tedesca e francese.
Attualmente, fra i molti impegni, oltre ad essere canonico di san Pietro, dirige la prestigiosa rivista di teologia Divinitas, e ha l’onore di essere succeduto al Piolanti nella Postulazione della Causa del beato Pio IX.
L’ultimo lavoro di mons. Brunero Gherardini, pur affrontando un argomento molto delicato, sta ottenendo un grande successo: Concilio Ecumenico Vaticano II – Un discorso da fare (Casa Mariana Editrice, Frigento 2009), con Lettera Prefazione di mons. Mario Oliveri, vescovo di Imperia-Albenga e premessa di mons. Albert Malcolm Ranjith, arcivescovo segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Ne abbiamo parlato con lui in questa intervista.
COME LE È VENUTA L’IDEA, MONSIGNORE, DI SCRIVERE QUESTO LIBRO?
Una premessa: ho sempre rifiutato interviste. Se faccio oggi un’eccezione, è perché son legato da stima profonda e amicizia con il prof. Roberto de Mattei, direttore di “Radici Cristiane” e perché desidero pubblicamente ringraziare il Signore per la grande accoglienza che sta riscuotendo il  mio libro.
Mi domanda non quando ma come. Risposta semplice: via via che i documenti, uscendo dall’Aula conciliare, diventavano oggetto d’interpretazioni non univoche e il cosiddetto post-Concilio se ne impadroniva per darne interpretazioni spesso insostenibili sul piano teologico e su quello storico.
Tale ho sempre considerato, ancor prima che il Ratzinger d’allora ne parlasse, l’interpretazione di un Concilio di rottura, e quindi di una nuova Chiesa, o se si vuole della vera Chiesa, finalmente alla luce del sole, come se la Chiesa dei venti secoli precedenti fosse una non-Chiesa o l’anti-Chiesa.
IL COSIDDETTO “SPIRITO DEL CONCILIO” SEMBRA ESSERE IL GRANDE NEMICO DELL’ERMENEUTICA DELLA CONTINUITÀ TRA TRADIZIONE E RIFORME DI CUI È FAUTORE PAPA RATZINGER. MA QUESTO FAMOSO SPIRITO CONCILIARE, QUASI MITICO “UNGEIST”, NASCE DA UNA LETTURA IMPROPRIA DEI TESTI POI APPROVATI, COMPIUTA DA MINORANZE ERETIZZANTI, O DA LACUNE E AMBIGUITÀ PRESENTI NEI TESTI?
Come certamente anche lei sa, lo “spirito del Concilio” fu quello al quale, purtroppo in modo declamatorio, il Concilio stesso s’appellò più volte, sia richiamandosi ai precedenti Concili, sia determinando il valore dei propri documenti.
Contro questo “spirito” fu subito invocato un “contro spirito” da parte dei novatori per dare ai documenti conciliari un’interpretazione di rottura. La sua domanda vorrebbe anche sapere se questo Ungeist avesse radici nell’Aula conciliare: è noto che minoranze e maggioranze si fronteggiavano sulla base di una mal capita modernità, che alcuni fra i Padri conciliari, e loro teologi di sostegno, traducevano la dottrina di sempre in termini storicistici, sottoponendola all’immanentismo, all’esistenzialismo, al liberalismo. Da ciò le ambiguità, non moltissime ma gravi, di alcuni testi.  
È POSSIBILE ED È LECITO, SECONDO LEI, CHIEDERE AL PAPA E ALLA SANTA SEDE LA REVISIONE, LA RETTIFICA O L’AGGIUSTAMENTO DEI TESTI CONCILIARI COME ESSI FIGURANO NEGLI ACTA (SOTTO FORMA DI NOTA PRAEVIA, PER ESEMPIO O SUL SENSO DI UNA PROPOSIZIONE COME NELL’AUCTOREM FIDEI DI PIO VI PER RENDERLI PIÙ CHIARAMENTE CONFORMI ALLA TRADIZIONE DOGMATICA DI CUI SI DICONO ESPRESSIONE?
Sia ben chiaro, una supplica (almeno fino a che non se ne dimostri l’irragionevolezza) è sempre possibile e lecita. La mia non chiede né revisioni, né rettifiche, ma precisazioni di senso sulla base di una discussione critica ampia e rigorosa, dominata dal riferimento costante alla forza vitale della Tradizione rettamente intesa.
La Nota praevia non è un “aggiustamento” ma l’indicazione del senso da dare al III capitolo della Lumen gentium; quanto alla Auctorem fidei, non so a quale proposizione si richiami: forse alla prima sulle “verità più importanti” o alla 67ª sulla Sacra Scrittura. 
MAI COME IN QUESTI 40 ANNI POST-CONCILIARI SI È TANTO PARLATO DI PAROLA DI DIO, EPPURE MAI, FORSE, IN 20 SECOLI CRISTIANI, SI È ASSISTITO A UNA SUA MANOMISSIONE COSÌ GRAVE, UNIVERSALE E PERVASIVA.
IN CHE MODO SI POTREBBE OPERARE, ANCHE DAL BASSO, PER UNA RIAFFERMAZIONE DELLA DOGMATICA CATTOLICA INTEGRALE, CIOÈ NON ADATTATA ALLA MUTEVOLE CULTURA UMANA E LONTANA DAL PROTESTANTICO PRIMATO DELLA SCRITTURA?
Con il coraggio di riaffermare la dottrina di sempre, nel senso datole dalla fede “sub ductu Ecclesiae”.
NELLA FINALE “SUPPLICA AL SANTO PADRE” LEI, MONSIGNORE, PONE DEGLI INTERROGATIVI SERISSIMI SULLA DOGMATICITÀ DEL CONCILIO E SUL VALORE DEI SUOI ATTI. IL DIALOGO TRA LA SANTA SEDE E LA FRATERNITÀ SAN PIO X OPPURE I CONGRESSI E GLI STUDI SUL CONCILIO DA LEI PROPOSTI, IN CHE MODO POTREBBERO PORTARE AL CHIARIMENTO DOTTRINALE AUSPICATO, IN MODO CHE “L’AUTOEUTANASIA DEL CATTOLICESIMO” (DEL NOCE) VENGA A CONCLUDERSI?
I miei “interrogativi serissimi” sono un richiamo ai limiti dogmatici entro i quali il Vaticano II fu convocato e i Padri si mossero.
Se un richiamo del genere venisse oggi dal Supremo Pastore e Maestro della Chiesa universale avrebbe l’effetto di ricomporre immediatamente l’unità all’interno della stessa Chiesa.
Non appartengo alla Fraternità San Pio X ma auspico di cuore che possa anch’essa sentirsi a casa propria nella Chiesa, proprio sulla base di una comune e pacificamente recepita nozione dogmatica di Tradizione. 
I congressi e gli studi che propongo, e che avrebbero un peso eccezionale se fossero promossi dalla Santa Sede, dovrebbero far piazza pulita dell’ermeneutica della rottura, sulla base della scienza e della fede di ieri, di oggi e di sempre.

Fonte: Radici Cristiane, 2 ottobre 2009

9 - OMELIA PER LA XXVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - B - (Mc 10,2-16)

Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 4 ottobre 2009)

La prima lettura di questa domenica e il Santo Vangelo ci fanno comprendere la santità del matrimonio, così come è uscito dal Cuore di Dio. Prima di tutto, la prima lettura ci fa comprendere che il matrimonio non è una istituzione umana suscettibile di cambiamenti dettati dal volere dell’uomo, ma è di fondazione divina. Il matrimonio è stato istituito da Dio con la creazione della prima coppia, di Adamo ed Eva. Il testo della Genesi dice espressamente: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda» (Gen 2,18). Inoltre dice: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne» (Gen 2,24). Queste parole significano che lo sposo e la sposa sono una sola cosa, sono un’unità inscindibile; esse significano inoltre che gli sposi sono tra di loro complementari: uno completa l’altra, e viceversa.
Il Vangelo prosegue l’insegnamento della prima lettura. Rispondendo alle insidiose domande dei farisei, i quali cercavano di coglierlo in fallo, Gesù rispose che ai tempi di Mosè Dio permise il ripudio della moglie a causa della durezza del loro cuore, ma che all’inizio della creazione non era così. Quindi Gesù cita il brano della Genesi che abbiamo letto prima e conclude in questo modo: «Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Mc 10,9). Sono parole molto chiare che ribadiscono che nessuna istituzione umana può sciogliere un matrimonio. A questo proposito spesso si fa molta confusione dicendo che la Sacra Rota di fatto scioglie i matrimoni. Ciò non è esatto. Né la Sacra Rota e nemmeno il Papa possono sciogliere un matrimonio. La Sacra Rota, in seguito a una accurata indagine, sulla base di testimonianze giurate, dichiara se quel matrimonio esiste o se, agli occhi di Dio, non c’è mai stato; e, in questo secondo caso non lo annulla, ma lo dichiara nullo, ovvero mai esistito. Infatti, se mancano dei requisiti che gli sposi devono avere quando si presentano davanti all’altare, quel matrimonio non esiste. Solo la morte scioglie un matrimonio validamente celebrato e, in questo caso, uno si può risposare.
La famiglia è la cellula della società: se essa è malata, anche la società sarà in crisi. Ai giorni d’oggi la famiglia voluta da Dio, quella autentica, è minacciata dal divorzio e da altre forme di convivenza che si allontanano anni luce dal volere del Creatore. Per comprendere il matrimonio dobbiamo guardare alla vita di quei cristiani che si sono santificati per mezzo del vincolo coniugale. Tra questi Santi cristiani ci furono i beati Luigi Beltrame Quattrocchi e Maria Corsini, marito e moglie, lui siciliano e lei toscana, vissuti a Roma.
Non è certo possibile riassumere in poche parole la loro straordinaria vicenda umana e spirituale. La loro esistenza di sposi fu un cammino di santità, un andare insieme verso Dio. Si amarono di vero cuore, mettendo Gesù al primo posto nella loro vita. Il loro segreto fu la preghiera. Ogni mattina si recavano a Messa insieme alla Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Maria Corsini ricordava che, usciti di chiesa, lo sposo le dava il “buon-giorno”, come se la giornata soltanto allora avesse il ragionevole inizio. Verso sera recitavano insieme il Santo Rosario, erano assidui all’adorazione eucaristica e la loro famiglia era consacrata al Sacro Cuore di Gesù solennemente intronizzato al posto d’onore nella sala da pranzo.
Nel 1917 divennero terziari francescani e nel corso della loro vita non mancarono mai di accompagnare gli ammalati, secondo le loro possibilità, a Loreto e a Lourdes col treno dell’UNITALSI, lui come barelliere, lei come infermiera. Il loro esempio, la loro profonda vita di fede, la pratica quotidiana della preghiera in famiglia, ebbero di certo i propri effetti sui figli, che si sentirono tutti e quattro chiamati dal Signore alla vita consacrata. E ciò non senza ragione, perché «la famiglia che è aperta ai valori spirituali, che serve i fratelli nella gioia, che adempie con generosa fedeltà i suoi compiti ed è consapevole della sua quotidiana partecipazione al mistero della Croce gloriosa di Cristo, diventa il primo e il miglior seminario della vocazione alla vita di consacrazione al Regno di Dio», come giustamente ha sostenuto il papa Giovanni Paolo II.
Nel progetto di Dio il matrimonio è vocazione alla santità e offre tutti i mezzi per raggiungerla. E il segreto per vivere bene questa vocazione è dato dalla preghiera e dal saper affrontare gli inevitabili sacrifici della vita, per amore di Dio e per amore della famiglia.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 4 ottobre 2009)

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