BastaBugie n�108 del 09 ottobre 2009
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PERICOLO IN ITALIA: LE CONSEGUENZE DEL COSIDDETTO REATO DI OMOFOBIA
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radici Cristiane
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OBAMA E LA RIFORMA SANITARIA AMERICANA: ECCO LE RAGIONI PER UCCIDERE LA NONNA
Autore: Mattia Ferraresi - Fonte: Il Foglio
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RIVOLUZIONE FRANCESE: LIBERTE', EGALITE', FRATERNITE', TI S'AMMAZZE'...
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: I Santi militari
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IN PREPARAZIONE UN FILM AMERICANO SULLA MADONNA DI GUADALUPE
Autore: Lorenzo Fazzini - Fonte:
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LA VERGINE DI GUADALUPE
Il miracolo che cambiò il corso degli eventi in America
Autore: Enrico Salomi - Fonte: IL TIMONE - Gennaio - Febbraio 2000 (pag. 24-25)
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IL VERO SAN FRANCESCO
Il santo di Assisi era un pacifista ed ecologista? Un Bonaccione che parla agli uccellini? No di certo!
Autore: Vittorio messori - Fonte: Pensare la storia
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IL PROF. ANTONINO ZICHICHI RICEVE IL PREMIO FIDES ET RATIO AL GIORNO REGIONALE DEL TIMONE DELL'EMILIA ROMAGNA
Autore: Domenico Mucci - Fonte: ZENIT
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LETTERE ALLA REDAZIONE: IL QUINTO COMANDAMENTO VIETA DI UCCIDERE SEMPRE? I CASI DELLA LEGITTIMA DIFESA E DELLA GUERRA GIUSTA
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BASTABUGIE
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OMELIA PER LA XXVIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - B - (Mc 10,17-30)
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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PERICOLO IN ITALIA: LE CONSEGUENZE DEL COSIDDETTO REATO DI OMOFOBIA
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radici Cristiane, Ottobre 2009
È in discussione alla Camera la proposta di legge n. C-1568 contro l’omofobia, presentata dal Partito Democratico, a prima firma Paola Concia. La proposta prevede l’inserimento nel Codice Penale di «reati commessi per finalità di discriminazione o di odio fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere». Con l’appoggio del PDL, o di settori trasversali di esso, il progetto, giacente in commissione Giustizia alla Camera dal gennaio scorso, potrebbe avere un’accelerazione e passare rapidamente all’altro ramo del Parlamento per essere trasformato in legge. Il testo ha già avuto l’appoggio del Presidente della Commissione Giustizia Giulia Bongiorno (PDL), che, contro la consuetudine, ne ha affidato l’incarico di relatore alla stessa Concia, e quello del ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna, secondo cui la linea del governo e del suo Ministero è quella di prevedere aggravanti per i reati con finalità di discriminazione sessuale. L’iniziativa recepisce una risoluzione del Parlamento Europeo del 18 gennaio 2006 in cui l’omofobia è definita «una paura e un’avversione irrazionale nei confronti dell’omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio». Come “pregiudizio” si intende ogni giudizio morale contrario all’omosessualità e alle deviazioni in campo sessuale. Quando esso si esprime in scritti o discorsi pubblici che non pongano su un piano di assoluta eguaglianza ogni tendenza e orientamento sessuale, può essere considerato come contrario al rispetto dei diritti dell’uomo ed essere oggetto di sanzioni penali. Lo stesso principio è enunciato dall’art. 21 della Carta fondamentale dei Diritti del cittadino di Nizza, resa giuridicamente vincolante dal Trattato europeo di Lisbona. Se questa legge passasse e fosse applicata in modo coerente, sarebbe impossibile, o quanto meno rischioso, criticare l’omosessualità e presentare la famiglia naturale come “superiore” alle unioni omosessuali. Un’istituzione ecclesiastica non potrebbe rifiutarsi di designare come suo rappresentante una persona che non faccia mistero delle sue tendenze omosessuali. Nessuno Stato, ma anche nessuna Chiesa, potrebbe rifiutare di celebrare un matrimonio di coppie dello stesso sesso. Catechismi e libri sacri che condannano l’omosessualità come peccato “contro-natura” potrebbero essere ritirati dal commercio. Se non si conoscono ancora i futuri orientamenti del nuovo Parlamento Europeo, negli Stati Uniti, il 29 giugno 2009 il Presidente Obama ha ricevuto alla Casa Bianca circa 250 leader e attivisti delle principali organizzazioni gay, lesbiche e transgender, in occasione dei 40 anni della nascita del movimento per la difesa dei diritti omosessuali. Lo stesso Obama, in un’intervista pubblicata il 3 luglio da Avvenire, ha affermato che la comunità gay-lesbica degli Stati Uniti viene «ferita da alcuni insegnamenti della Chiesa cattolica e della dottrina cristiana in generale». La posizione di Obama sui temi cruciali di natura morale è notoriamente antitetica a quella della Chiesa e delle altre confessioni cristiane americane e il presidente americano si sforza di propagandare, anche all’estero, il suo “messianismo” sincretista. Essa è destinata ad avere ricadute anche in Italia e in Europa influenzando le decisioni dei nostri uomini politici. Nel nostro Paese ancora non esiste il reato di “omofobia”, ma la censura sociale applicata contro chiunque manifesti il suo rifiuto per il vizio contro-natura, è violenta e immediata. L’atteggiamento di tutti coloro che professano la legge naturale, cattolici o non, è sempre più cauto e misurato nelle espressioni. Quanti sono i vescovi, o i parroci che, esercitando il loro ministero pastorale, sono disposti a ricordare che l’omosessualità è un peccato che, nelle parole del Catechismo di San Pio X, «grida vendetta al cospetto di Dio»? Quanti, tra i fautori della riscoperta dei testi scritturistici e patristici, farebbero proprie le parole di fuoco con cui la Sacra Scrittura e i Padri della Chiesa bollavano l’omosessualità come un’“abominio” (Levitico, 20,13)? Il timore è quello di cadere sotto la ghigliottina del “politicamente corretto”, come accadde a Rocco Buttiglione, mancato Commissario europeo nel 2004, proprio a causa delle sue convinzioni morali in materia. Nel recente “caso Boffo”, né la stampa cattolica né quella laica o laicista, ha voluto andare a fondo sulla presunta omosessualità del direttore di Avvenire, per accusarlo o scagionarlo, perché ciò avrebbe significato ammissione del fatto che l’omosessualità è comunque una “colpa”. L’“autocensura” è palpabile, perché esiste una “lobby” omosessualista annidata ovunque e pronta, ovunque, a scatenare il linciaggio mediatico. Su Il Giornale del 3 settembre, Luigi Mascheroni ha messo in rilievo il potere di GLBT, l’acronimo utilizzato per riferirsi a gay, lesbiche, bisessuali e transessuali: «Una lobby potente e ricca. Anzi, secondo un dossier del 2006 della rivista Tempi, ricchissima: la lobby omosessuale internazionale, che ha le sue roccaforti a New York, Washington, San Francisco e Bruxelles, è sempre più influente. Riceve finanziamenti sia dalle grandi corporation americane, sia dai governi e dalle istituzioni internazionali, spesso sotto forma di donazioni a Ong o fondi per la lotta all’Aids». La potenza politico-economica dei gruppi omosessualisti, secondo Mascheroni, è tale da influenzare le istituzioni e il costume, come in Italia si tenta, non solo attraverso il ruolo di associazioni come Arcigay e Arcilesbiche, ma soprattutto grazie all’influenza esercitata da persone di orientamento omosessuale in settori chiave della società, quali le arti, la politica, lo spettacolo. La moda, la televisione e il cinema sono gli ambiti sociali privilegiati della lobby omosessuale. All’ultimo festival di Venezia, conclusosi lo scorso 12 settembre, il tema ricorrente dei film in rassegna è stato l’omosessualità. Prima della proiezione del film, A single man di Tom Ford, che si è aggiudicato il Queer Lion attribuito dalla comunità Gay alla migliore opera omo, lesbica o trans, il presidente onorario dell’arcigay Franco Grillini e alcuni esponenti politici di sinistra hanno tenuto un sit-in contro l’omofobia. Chi volesse liquidare queste manifestazioni come episodi folkloristici, dimenticherebbe che la Rivoluzione contro la morale cristiana, negli ultimi quarant’anni, è avanzata proprio attraverso la dialettica, tra gesti simbolici e provocatori e iniziative parlamentari tese ad allargare il consenso ai tiepidi e “moderati”. Se il reato contro l’omofobia, che l’allora premier D’Alema tentò invano di imporre nel novembre 1999, fosse varato dal governo di centro-destra, sarebbe uno scandalo e un’occasione di profonda riflessione per l’elettorato cattolico, continuamente tradito dai propri rappresentanti in nome dell’aberrante principio del “politicamente corretto”.
Fonte: Radici Cristiane, Ottobre 2009
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OBAMA E LA RIFORMA SANITARIA AMERICANA: ECCO LE RAGIONI PER UCCIDERE LA NONNA
Autore: Mattia Ferraresi - Fonte: Il Foglio, 20/09/09
L’assassinio della nonna è un punto della riforma sanitaria americana che le parti rifiutano di discutere. Repubblicani e democratici stanno usando stili diversi per intorbidire il problema ineludibile del fine vita: i primi urlano, i secondi glissano. Durante l’estate una parte del mondo conservatore ha lanciato anatemi incandescenti su una presunta e implicita deriva della riforma sanitaria di Barack Obama verso l’eutanasia. Il senatore Charles Grassley dice che Obama vuole “staccare la spina alla nonna”; Sarah Palin ha fissato la comune definizione di “death panel”, la commissione del consultorio federale che secondo i critici convoglierebbe il rapporto privato fra paziente, medico e famiglia in una struttura burocratica che più o meno tacitamente propenderebbe per l’interruzione delle terapie. La Casa Bianca si è preoccupata di smentire tutto, ha evitato di affrontare il problema culturale che sta sotto ai dettagli clinici e ha sedato il dibattito su quali responsabilità lo stato possa e debba assumersi nella gestione di un affare privato che deborda nello spazio dell’etica pubblica. La copertina dell’ultimo numero di Newsweek, il settimanale che da qualche mese si occupa di idee per sottrarsi all’abbraccio nullista dei magazine popolari, è dedicata alla “morte della nonna”. Sullo sfondo bianco penzola una spina, naturalmente staccata. Il messaggio “iperbolico”, come dice il direttore, Jon Meacham, è che la questione della morte non può non essere l’oggetto di un dibattito franco, anche a costo di apparire cinici. Il riassunto rozzo della tesi è: se il trenta per cento del programma di copertura agli anziani viene usato per pagare le cure degli ultimi sei mesi di vita, il sistema non reggerà a lungo. “Il bisogno di risparmiare sulle cure agli anziani è l’elefante nella stanza della riforma sanitaria: tutti lo vedono ma nessuno ne vuole parlare”, scrive Evan Thomas. Nell’editoriale di Meacham si scopre che per due volte l’autore ha contribuito a decidere per la morte di un parente stretto. In un linguaggio limpido, ostentatamente esplicito, si trovano racconti in prima persona sulla nonna malata di cancro o lo zio costretto a letto da una patologia degenerativa per cui è stato deciso di staccare la spina con il pretesto di fare il suo bene (e l’effetto di fare il bene del bilancio federale). Il titolo di copertina, “The case for killing granny” (l’argomento per uccidere la nonna), non lascia spazio a sotterfugi: dice “killing”, non “cessare le sofferenze” o altre perifrasi ipercorrette. Gli istinti secolaristi di Newsweek, espressione della sinistra wannabe, invocano un (provocatorio) dibattito culturale su un tema che lasciato nel cassetto declassa la morte a procedura, e su cui Washington è chiamata a elaborare argomenti adeguati.
Fonte: Il Foglio, 20/09/09
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RIVOLUZIONE FRANCESE: LIBERTE', EGALITE', FRATERNITE', TI S'AMMAZZE'...
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: I Santi militari, ed. Piemme, p. 270s.
Nel 1789 un pugno di intellettuali prendeva il potere di fatto all'interno dell'Assemblea degli Stati Generali a Parigi. Definivano se stessi "illuministi" (cioè "coloro che illuminano") e "filosofi". Per anni avevano inondato la Francia di opuscoli sovversivi e blasfemi, contenenti le loro idee utopistiche sulla pretesa "bontà naturale dell'uomo" e su un' "età dell'oro" che sarebbe stata nei primordi corrotta dall'avvento della società organizzata. Oggetto privilegiato del loro livore era la religione cristiana, supposta responsabile di quella civiltà che esecravano e che intendevano sostituire coi loro "lumi". «Schiacciate l'infame!», incitava Voltaire, ed intendeva il Dio della religione cattolica. Approfittando della debolezza di Luigi XVI («uno dei più grandi imbecilli della Storia», secondo la definizione dello storico e Accademico di Francia Pierre Chaunu), riuscirono a far votare la nazionalizzazione totale dei beni della Chiesa di Francia, beni che da secoli costituivano la "previdenza sociale" della nazione, dovendo essere impiegati per l'assistenza e l'istruzione gratuita che da sempre erano a carico del clero. In omaggio alla "sacralità" della proprietà privata, abolirono il salario minimo garantito e le associazioni operaie, aprendo un varco tra salariati e padroni che non si è più colmato. Le terre confiscate alla Chiesa furono vendute ai nuovi ricchi e masse enormi di contadini, privi di quei diritti comunitari che avevano costituito la loro difesa economica nei secoli, vennero proletarizzate con un tratto di penna. Una politica economica utopistica e dissennata gettò la Francia nella prima inflazione della storia, affamando il Paese e costringendolo ad aggredire il resto d'Europa che da cinquant'anni era in pace. I preti vennero dichiarati funzionari dello Stato e fu loro imposto il distacco dal Papa e il giuramento alla Costituzione. Pochi di essi aderirono, perché il popolo della "primogenita della Chiesa" rifiutava di partecipare alle funzioni celebrate da quei preti che si erano piegati. Quelli che rifiutarono il giuramento vennero perseguitati e massacrati a migliaia. L'escalation anticristiana divenne in breve parossistica, arrivando alla distruzione delle chiese e delle immagini sacre, alla sostituzione del calendario cristiano con quello giacobino e culminando col Terrore, in cui innumerevoli preti, suore, religiosi e laici cattolici salirono la ghigliottina. I moti spontanei vennero repressi nel sangue, i sacrilegi toccarono le vette del ridicolo: si facevano bere gli asini nelle pissidi consacrate e si adoravano ballerine sugli altari delle cattedrali. Nel marzo del 1793 la Convenzione decretò l'arruolamento coatto di altri 300.000 uomini, parte da mandare a combattere alle frontiere e parte da impiegare nelle repressioni. Allora tutto il nord-ovest della Francia insorse con le armi: Vandea, Anjou, Poitou, Maine, Bretagna, Loira si organizzarono, cucirono il Sacro Cuore sulle giubbe e sui vessilli e si diedero dei capi. Contadini e semplici popolani andarono di loro iniziativa a cercare i nobili perché li guidassero. Alcuni di questi capi improvvisati avevano appena diciott'anni come Henry de la Rochejacquelin, altri appartenevano al ceto più basso, come Cathelineau, detto "il Santo dell'Anjou". Per disprezzo vennero soprannominati dai bleus (i repubblicani, così detti per il colore delle uniformi) chouans che in dialetto bretone significa "civette" (per riconoscersi imitavano il grido dell'uccello notturno), parola poi divenuta sinonimo di "straccioni". I Vandeani (l'insorgenza è passata alla storia come "Vendée militaire") conquistarono le città più importanti e sarebbero arrivati a Parigi se all'ultimo momento non fosse venuto meno il promesso appoggio inglese. Vennero sopraffatti dall'esercito regolare, meglio armato e organizzato, e da quel momento cominciò il loro genocidio sistematico. Con tre leggi consecutive la Convenzione decretò lo sterminio totale in quelle regioni, con particolare accanimento sulle donne, perché i ribelli non si riproducessero. Tutto venne incendiato e raso al suolo, i campi e gli alberi furono bruciati e le acque avvelenate. Fu perfino cambiato il nome di quella parte del Paese perché ne fosse cancellato anche il ricordo. Il genocidio venne effettuato coi gas, con l'arsenico, con le mine, coi forni crematori. Il grasso delle vittime veniva usato per ammorbidire gli stivali degli ufficiali e lubrificare le armi; la loro pelle, conciata, andò a rinforzare i pantaloni della Cavalleria. Nulla fu lasciato d'intentato per quel primo genocidio "scientifico" della storia moderna: per far risparmiare l'erario legavano le vittime a centinaia, dopo averle private dei vestito, su chiatte e barconi che poi facevano affondare. «Noi faremo un cimitero della Francia piuttosto che non rigenerarla a modo nostro» diceva Carrier, braccio destro di Robespierre nella faccenda. Ne eliminarono circa 600.000, l'ottanta per cento dei quali erano donne e bambini. Ancora nel 1785 e nel 1799 i vandeani presero le armi con la forza della disperazione, dando notevole filo da torcere anche allo stesso Napoleone, che alla fine dovette scendere a patti e garantire la libertà religiosa.
Fonte: I Santi militari, ed. Piemme, p. 270s.
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IN PREPARAZIONE UN FILM AMERICANO SULLA MADONNA DI GUADALUPE
Autore: Lorenzo Fazzini - Fonte:
Una Donna spopola nella cultura yankee. Dal cinema alla saggistica, la Vergine di Guadalupe guadagna i primi posti del marketing made in Usa: a Hollywood si parla di un prossimo film su di lei e il New York Times registra tra le massime vendite di quest’estate un saggio dedicato alla Madonna messicana. Eventi di cultura che, en passant, dimostrano il sempre maggior peso dei fedeli ispanici in seno alla Chiesa cattolica a stelle e strisce. A lavorare su un film dedicato alla Madonna apparsa all’indio Diego nel 1531 sarà uno dei maggiori sceneggiatori dell’industria cinematografica americana, Joe Eszterhas. Un nome che ai più non dirà niente, se non che a lui si debbono le storie di film di successo come Basic Instinct e Flashdance. Che ha da spartire questo sessantaquatrenne sceneggiatore di origini magiare (emigrò negli States al seguito del padre) con la vicenda della Vergine del santuario messicano, è facile spiegarlo. Eszterhas ha deciso di scrivere tale soggetto come «opera d’amore» dopo la sua conversione al cattolicesimo, occorsagli nel 2001, durante il dramma di un tumore alla gola. «Io ho gridato e Dio mi ha salvato» ha spiegato lo sceneggiatore magiaro-americano in un articolo comparso tempo addietro sul Washington Post . E così l’ex ragazzo dissoluto di Hollywood è al lavoro per redigere il testo di un lungometraggio sulla Virgen per conto della Mpover Pictures, la società che produsse La Passione di Cristo di Mel Gibson, e già promotrice del film pro-life Bella. «Per lungo tempo ho sognato di scrivere un film che fosse interessante e al tempo stesso ispirato» ha confessato Eszterhas. Secondo il produttore della Mpover Steve McEveety «Guadalupe ha cambiato la storia dei popoli indigeni del Messico. Ha trasformato la loro cultura e in particolare la loro fede».
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LA VERGINE DI GUADALUPE
Il miracolo che cambiò il corso degli eventi in America
Autore: Enrico Salomi - Fonte: IL TIMONE - Gennaio - Febbraio 2000 (pag. 24-25)
Messico 1531: la Vergine di Guadalupe, patrona delle Americhe, appare all'indio Juan Diego. E lascia un segno impressionante: una “tilma” su cui è prodigiosamente impressa la sua immagine. La scienza non sa spiegare l'origine di questa effigie miracolosa. “Vìrgen morenita, Virgen milagrosa...”. Inizia così la celeberrima canzone “Virgen India”, conosciuta in tutto il Messico e in America Latina, dedicata alla Madonna di Guadalupe, patrona del Messico, Imperatrice e Madre delle Americhe, apparsa ad un povero indio messicano nell'anno 1531. Un'apparizione importante per tutti i popoli delle Americhe. Da quel momento prende slancio la conversione del Messico al Cristianesimo. E di tutta l'America Latina. Malgrado le calunnie (la cosiddetta “leyenda negra”), che storici anticattolici hanno lanciato contro il processo di evangelizzazione dell'America Latina, resta il fatto che la conversione al Cattolicesimo portò i popoli americani a cambiare radicalmente i loro usi sanguinari, legati alle religioni precolombiane. Usi che prevedevano crudelissimi sacrifici umani, offerti a divinità feroci e assetate di sangue. Scrive lo studioso Giulio Dante Guerra: “Nel giro di pochi anni tutti si sono convinti che l'unico sacrificio dell'Uomo-Dio aveva reso inutili, e condannabili, i sacrifici umani; che non era vero che la fine di quei sacrifici avrebbe fatto oscurare il sole, perché il sole si era, questo sì, oscurato durante il sacrificio di Cristo sulla croce, ma era poi riapparso quando, compiutosi il sacrificio, l'umanità era stata riconciliata con Dio”.
LA STORIA Veniamo alla storia che, lo diciamo senza paura di smentita, cambiò il corso degli eventi in America. Sabato 9 dicembre 1531, solo dieci anni dopo la conquista del Messico, l'indio Cuauhtlatòhuac (ribattezzato cinquant'anni dopo la nascita Juan Diego), di professione coltivatore diretto, si sta recando alla chiesa francescana di Santiago. È l'alba. All'improvviso una voce dolcissima lo chiama sul colle Tepeyac: “Juantzin, Juan Diegotzin” (cioè il diminutivo di Juan Diego in lingua nàhuatl). Viene da una bellissima donna che si presenta come “la perfetta sempre vergine Maria, la Madre del verissimo e unico Dio” (la tonantzin “la nostra venerata Madre” come gli indios chiameranno poi la Vergine di Guadalupe). La Madonna gli ordina di recarsi dal vescovo locale e di costruire una chiesa! ai piedi del colle. Per un paio di volte, il vescovo, comprensibilmente dubbioso, non vuole credere alle parole del povero indio. Tre giorni dopo la prima apparizione Juan Diego è chiamato ad assistere uno zio, Juan Bernardino, gravemente ammalato. Alla ricerca di un sacerdote che accompagni lo zio nel trapasso alla vita eterna, aggira la collina su cui era apparsa la Vergine “morenita” per evitare di incontrarla nuovamente. Ma la Signora lo intercetta, gli appare lungo la strada, lo rassicura sulla salute dello zio e quindi gli chiede di salire nuovamente sulla collina per raccogliere dei fiori. Juan Diego esegue gli ordini e trova la cima del colle ricoperta di bellissimi fiori di Castiglia, evento assolutamente straordinario dal momento che siamo in pieno inverno e che il luogo è una desolata pietraia. L'indio li raccoglie e li depone nella sua tilma, cioè nel mantello, per portarli al vescovo Juan de Zumarraga, come prova delle apparizioni. Appena Juan Diego spiega il mantello e fa cadere i fiori raccolti davanti all'alto prelato, avviene un vero miracolo: sul mantello si disegna l'immagine della Madonna. È la prova che Juan Diego non è un visionario, un mentitore e che Maria è veramente scesa dal Cielo per parlare all'umile indio. La Tilma e l'immagine si conservano intatte ancora oggi, a distanza di oltre quattro secoli e mezzo, e si possono vedere nella grandiosa basilica di Guadalupe, costruita ai piedi del colle Tepeyac, secondo i desideri della Vergine. Da questo segno prodigioso nasce la sintesi tra la cultura azteca e la fede cristiana: l'evangelizzazione del Messico si compie in modo pacifico e rispettoso delle tradizioni locali.
LA TILMA MIRACOLOSA Nell'immagine impressa sul mantello di Juan Diego, la Vergine Maria è alta 143 centimetri, ha la carnagione meticcia (da qui l'appellativo di Virgen Morenita), segno di una perfetta commistione tra le razze europee e indios; è circondata da raggi di sole e con la luna sotto i suoi piedi, esattamente come la Donna dell'Apocalisse; una cintura le cinge il ventre, simbolo, presso gli Aztechi, di una donna incinta. Dal 1666 sono iniziati gli esami scientifici per stabilire la vera natura dell'immagine. Non si tratta di un dipinto, perché non v'è traccia di colore sulla tela ed è come se le fibre fossero state impresse con un procedimento “naturale”. Inoltre, tenendo conto che l'ayate, il tipico, rozzo tessuto di fibre d'agave popotule, usato in Messico dagli indios più poveri per fabbricare abiti, è un materiale estremamente deteriorabile, non si riesce a spiegare come abbia potuto conservarsi la tilma di Juan Diego, su cui è effigiata la Virgen Morenita e che risulta così essere l'unico ayate del XVI secolo ancora oggi intatto. E a nulla può valere la protezione dei cristalli per fermare lo sgretolarsi del tessuto, come hanno dimostrato diversi esperimenti. In aggiunta, si è constatato - di nuovo inspiegabilmente - che il mantello di Juan Diego respinge gli insetti e la polvere, che invece si accumulano in abbondanza sul vetro e sulla cornice. Nel 1791 si verificò un incidente: alcuni operai lasciarono cadere una soluzione detergente di acido nitrico sulla tela, ma essa, anziché deteriorarsi irreparabilmente, rimase inspiegabilmente integra e, anzi, si vede bene che le due macchie giallastre della reazione chimica stanno sbiadendo con il passare del tempo. In passato vi furono anche tentativi di ritoccare “pittoricamente” l'immagine della Vergine, dovuti probabilmente alla esagerata devozione dei fedeli, ma i colori si sono dissolti quasi subito. I risultati più strabilianti ottenuti da analisi scientifiche provengono dall'osservazione degli occhi della Madonna. Le pupille, il cui diametro originale misura appena otto millimetri, sono state elaborate elettronicamente mediante computer e ingrandite fino a 2500 volte, con un sistema identico a quello impiegato per decifrare le immagini inviate sulla Terra dai satelliti orbitanti nello Spazio. Bene, nelle iridi della Vergine di Guadalupe è riflessa distintamente ed inequivocabilmente la scena di Juai Diego che apre la sua tilma davanti a vescovo Juan de Zumarraga e agli alti testimoni del miracolo. Siamo di fronte ad una vera e propri fotografia, infinitamente minuscola invisibile all'occhio umano, di ciò che accadde il 12 dicembre 1531 nel vescovado di Città del Messico. Poiché l'immagine ritrae la scena con occhi “estranei” ad essa, Josè Aste Tonsmann (l'ingegnere peruviano che nel 1979 analizzò a computer l'istantanea) ipotizza che la Madonna fosse presente, sebbene invisibile, al fatto e abbia “proiettato” sulla tilma la propria immagine avente negli occhi il riflesso di ciò che stava vedendo. Poiché è materialmente impossibile dipingere tutte queste figure in cerchietti di soli 8 millimetri, si deve ammettere che nella sua infinita bontà Dio ha lasciato, oltre quattro secoli orsono, nel lontano Messico, un segno che ora, grazie alla modernissima strumentazione scientifica, riusciamo decifrare sempre meglio. Il segno riguarda la potente intercessione della Vergine Maria, dunque la conferma di una verità di fede cattolica, che rafforza la nostra fede e confonde agnostici ed atei contemporanei.
Fonte: IL TIMONE - Gennaio - Febbraio 2000 (pag. 24-25)
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IL VERO SAN FRANCESCO
Il santo di Assisi era un pacifista ed ecologista? Un Bonaccione che parla agli uccellini? No di certo!
Autore: Vittorio messori - Fonte: Pensare la storia, ed. Sugarco
Francesco d'Assisi ci è troppo prezioso per lasciarlo ai faciloni, ai disinformati, quando non ai falsari. Di recente, uno che conosce bene il santo "vero", quello della storia e non del mito che oggi circola, ha reagito con la passione che gli è propria. Ha detto dunque Franco Cardini, il medievista, lo storico delle crociate («E Francesco d'Assisi - ricorda - è il prodotto più rappresentativo ed ortodosso della Chiesa delle crociate») che quel grandissimo «non è affatto il personaggio che generalmente ci viene presentato adesso. Non era il precursore dei teologi della liberazione. Né tantomeno fu l'araldo di un cristianesimo dolciastro, melenso, ecologico-pacifista: il tipo che ride sempre, lo scemo del villaggio che parla con gli uccellini e fa amicizia con i lupi. Gli voglio troppo bene, a Francesco, per vederlo ridotto così dai suoi sedicenti seguaci. No, Francesco era ben altro». Il problema è importante: ancor oggi (anzi, forse oggi più che mai) la straordinaria figura del figlio di Pietro Bernardone esercita un fascino unico sugli uomini di ogni razza, di ogni fede, di ogni incredulità. Ma, spesso, il "loro" Francesco non è mai esistito. A lui credono di rifarsi adepti e proseliti di molte ideologie e utopie contemporanee, sospette e magari dannose sotto le nobili apparenze. È nel suo nome che si parla di uno "spirito d'Assisi" che ha spesso l'aria di uno spirito di pseudo ecumenismo "da otto settembre", da "tutti a casa". Discorsi che, se li sentisse, indurrebbero il santo a riconvocare quel suo "pugile di Firenze". Sentite, infatti, che cosa si racconta nella «Vita seconda» di Tommaso da Celano: «Come ogni animo ripieno di carità, anche Francesco detestava chi era odioso a Dio. Ma fra tutti gli altri viziosi, aborriva con vero orrore i denigratori, e diceva che portano sotto la lingua il veleno, col quale intaccano il prossimo (...). Un giorno udì un frate che denigrava il buon nome di un altro e, rivoltosi al suo vicario, frate Pietro di Cattaneo, proferì queste terribili parole: "Incombono gravi pericoli sull'Ordine, se non si rimedia ai detrattori. Ben presto il soavissimo odore di molti si cambierà in un puzzo disgustoso, se non si chiudono le bocche di questi fetidi. Coraggio, muoviti, esamina diligentemente e, se troverai innocente un frate che sia stato accusato, punisci l'accusatore con un severo ed esemplare castigo! Consegnalo nelle mani del pugile di Firenze, se tu personalmente non sei in grado di punirlo". Chiamava "pugile" fra Giovanni di Firenze, uomo di alta statura e dotato di grande forza». Né, quelle, erano minacce a vuoto, visto che quel fra Giovanni, entrato nell'Ordine e in fama di sante virtù, non esitava a rimettersi, su comando, in azione. E i pugni sapeva usarli in tal modo sui confratelli riottosi che il Salimbene, nella sua «Chronica», non teme di chiamarlo «spietato carnefice». Ammetterete che un simile "fioretto" (taciuto anche da molti storici perché non si inquadra nel loro schema) fa a pugni - è davvero il caso di dirlo... - con l'immagine di un santo tutto svenevole dolcezza. Quanto a certo ecumenismo, quello inteso come resa o dimissioni, il Francesco "vero" vi ha altrettanto poco a che fare. Dopo la conversione, tutta la sua vita è segnata dall'ansia non di «dialogare» accademicamente con i musulmani, ma di «convertirli» a Gesu Cristo. Più volte tenta di giungere in Oriente con lo scopo esplicito di conseguirvi il martirio: non vi andava, dunque, per diffondervi idee ireniche, ma per predicarvi il Vangelo in modo così esplicito da meritare la morte dagli infedeli. Del resto, i primi martiri dell'epoca francescana sono san Daniele e i suoi compagni, trucidati in Marocco poco dopo la morte del santo perché, malgrado gli avvertimenti delle autorità islamiche, non vollero saperne di «dialogo» e tentarono di convertire chi capitava loro a tiro, predicando in italiano e in latino, visto che non conoscevano nulla degli idiomi locali...
Fonte: Pensare la storia, ed. Sugarco
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IL PROF. ANTONINO ZICHICHI RICEVE IL PREMIO FIDES ET RATIO AL GIORNO REGIONALE DEL TIMONE DELL'EMILIA ROMAGNA
Autore: Domenico Mucci - Fonte: ZENIT, 28 settembre 2009
Sabato 26 settembre si è svolta a Modena la quarta edizione della giornata regionale de “Il Timone”, che ha visto una nutrita partecipazione di pubblico e di associazioni cattoliche. Il culmine della giornata è stata senz'altro la consegna del premio “Fides et Ratio”, assegnato dal direttore de “Il Timone”, Giampaolo Barra, al Prof. Antonino Zichichi, scienziato di fama mondiale e professore emerito di Fisica Superiore all'Università di Bologna. Nella dissertazione che ha preceduto la consegna del premio, l'illustre fisico ha inteso sottolineare il rapporto tra scienza e fede, confutando tra l'altro il luogo comune in base al quale “un vero scienziato non può che dichiararsi ateo e un credente non può avvicinarsi alla scienza”. La tesi sostenuta dal professor Zichichi, concorde col pensiero del Santo Padre Benedetto XVI , è che qualunque scienziato interessato all'origine e all'evoluzione del mondo, nonché alla ricerca delle leggi fisiche che regolano la natura, non può che concludere che solo un Ente Superiore può essere all'origine delle cose che esistono, come già insegnava Aristotele. Il professor Zichichi ha esordito sottolineando che l'esistenza del mondo ha avuto come momenti cruciali i cosiddetti tre “big bang”. Il primo, il “big bang” per antonomasia, è quello che ha fatto passare dal vuoto all'esistenza dell'universo. Il secondo big bang è avvenuto nel momento in cui sulla terra è comparsa la vita, mistero cui l'uomo non sa tutt'oggi dare risposta. Il terzo è il momento in cui l'uomo ha sviluppato la ragione. “Contrariamente a quanto affermano alcuni assertori dell'evoluzionismo, secondo i quali l'uomo non sarebbe tanto diverso dalla scimmia, di fatto l'uomo è l'unico essere vivente dotato di ragione, capace quindi di tramandare ai posteri le conoscenze acquisite, con la scrittura cuneiforme e, prima ancora, con le prime rappresentazioni grafiche”. La dissertazione è proseguita ricordando la figura di Galileo Galilei, nell'anno a lui dedicato, considerato dalla comunità scientifica il fondatore della scienza. “La ricerca scientifica avrebbe potuto nascere secoli prima e nell'ambito di altre civiltà, come quella cinese, araba o indiana, invece ha avuto origine, in Italia, dalle osservazioni e deduzioni di Galilei sul pendolo, sulle macchie lunari, sui satelliti planetari, fatte tramite il telescopio”, ha osservato l'eminente fisico. “Usando per primo il metodo del piano inclinato, quattro secoli fa, Galilei ha dedotto la legge che regola il moto di caduta libera di un grave. Misurando il tempo con le pulsazioni arteriose, ha inoltre intuito la legge che regola le piccole oscillazioni di un pendolo. Sir Isaac Newton, due secoli dopo, non avrebbe scritto la legge di gravitazione universale, così semplice nella sua enunciazione, se non ci fossero state prima le osservazioni di Galilei”. Si noti che il calcolo infinitesimale di Newton-Leibniz, e di conseguenza la matematica moderna, nascono dall'esigenza di calcolare il moto dei pianeti. A sostegno della tesi secondo cui Galilei deve essere considerato uno scienziato che credeva in Dio, il professore ha portato ad esempio la reazione incredula di Galilei alla scoperta di Keplero sulle orbite dei pianeti: “Secondo la tradizione Tolemaica, un Dio creatore avrebbe senz'altro ordinato il mondo in maniera perfetta. Ora, il cerchio è una figura perfetta, per cui nell'antichità era impensabile che un pianeta potesse muoversi seguendo un'orbita che non fosse circolare. Quando Keplero gli disse di avere osservato che le orbite dei pianeti sono ellittiche, e non circolari, se fosse stato ateo, Galilei avrebbe dovuto reagire sostenendo tale tesi e usandola per confutare l'esistenza di un Ente Creatore. Invece, Galilei reagì rispondendo a Keplero che non credeva alle sue conclusioni” (cf. il suo libro “Galilei, Divin Uomo”). E' noto, di fatto, che le leggi di Keplero si deducono come conseguenza delle leggi di Newton. “A partire da Galilei - ha continuato - tutti i più importanti scienziati possono essere considerati credenti. Quando uno scienziato si affida alla sperimentazione, fa come un atto di fede, perché cerca di capire quale legge o meccanismo regola un fenomeno della natura”. Ad esempio di come procede la ricerca scientifica, ha ricordato come due secoli di ricerca sull'ottica e sull'elettromagnetismo sono stati riassunti nelle equazioni di Maxwell, tanto che “Lord Kelvin, nel 1897, davanti ad un'assemblea di fisici, disse che ormai non c'era più nulla de scoprire, solo qualche dettaglio da chiarire. In realtà, la ricerca scientifica passa da periodi di euforia, in presenza di grandi scoperte, a periodi di relativa calma. E quello che conosciamo oggi è frutto di quattro secoli di ricerca, paragonati ai millenni precedenti in cui l'uomo era presente sulla terra”. Per spiegare cosa significhi la scoperta scientifica, ha usato come esempio suo nonno, che “non avrebbe mai creduto nella possibilità di viaggiare a mille chilometri all'ora o di vedere immagini dell'uomo sulla luna. Infatti - ha proseguito - ogni scoperta scientifica non è altro che un passo in avanti nella spiegazione di come Qualcuno ha pensato che andasse regolato il mondo”. “Le scoperte sono sorprendenti: si pensi alle leggi di Lorentz, da cui è scaturita la teoria della Relatività di Einstein, secondo le quali le dimensioni spazio-tempo non possono essere entrambe reali; oppure alla relatività del concetto di contemporaneità (la luce impiega un secondo per andare dalla terra alla luna, ma se Napoleone fosse nato in una stella da noi lontanissima, un osservatore su tale stella sosterrebbe che Napoleone è nato prima di Giulio Cesare); oppure il fatto che lo spazio ha addirittura 43 dimensioni, se considerato a livello di besoni. Del resto, fino a cinquant'anni fa si pensava che i livelli più bassi di energia fossero a dimensione nucleare, come recita il nome del centro di ricerca in cui ho lavorato”. Tralasciando ulteriori dettagli di un'analisi precisa ed avvincente dei passi recenti della ricerca nell'ambito della fisica, andiamo al culmine della esposizione, in cui, con tono ironico, ha affermato che “esistono scienziati miei colleghi che da anni lavorano per cercare di dimostrare scientificamente che Dio non esiste. Io sono tranquillo: anzi, ho detto loro che stanno solo perdendo tempo”. Il professore ha anche ricordato l'obiezione di chi sostiene che, per dimostrare l'esistenza di Dio, si dovrebbe darne una prova scientifica: “Una dimostrazione scientifica dell'esistenza di un Ente Superiore non ha senso, perché si vorrebbe provare con strumenti scientifici l'esistenza di chi ha creato quegli strumenti e, quindi, è al di sopra di essi”. “Al contrario, da parte di chi si dice ateo, ci si aspetterebbe l'esibizione di una prova scientifica del fatto che il mondo è regolato dal caos – ha spiegato –. Questo mi pare impossibile, e solo chi non è un vero scienziato può cercare di sostenere tale tesi”. E' nota a tutti l'aspra critica di Zichichi alla teoria darwiniana dell'evoluzionismo per quanto riguarda la specie umana, da alcuni usata per negare l'esistenza di Dio, a suo avviso priva di sufficienti prove scientifiche e di una solida base matematica (il cosiddetto metodo galileiano). Per concludere, il professor Zichichi ha fatto sue le parole del Pontefice, sottolineando l'importanza che ogni cristiano debba avere a cuore il fatto che la fede e la ragione non sono in contraddizione. “Oggi nel mondo stiamo tornando all'era pre-Aristotelica, in cui le filosofie dominanti sostenevano che i processi della vita erano regolati dalla casualità. Invece, ogni volta che scopriamo qualcosa, ci sorprendiamo di come ci sia un Ordine dietro tutto; di fronte ai fenomeni che non possiamo spiegare, possiamo solo dire che non siamo ancora pronti e che, probabilmente, ci riusciremo fra qualche secolo o, ancor meglio, qualche decennio”. “Nata con un atto di Fede nel Creato, la Scienza non ha mai tradito il Suo Padre. Essa ha scoperto – nell'Immanente - nuove leggi, nuovi fenomeni, inaspettate regolarità, senza però mai scalfire, anche in minima parte, il Trascendente” (A. Zichichi, “Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo”, 1999).
Fonte: ZENIT, 28 settembre 2009
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LETTERE ALLA REDAZIONE: IL QUINTO COMANDAMENTO VIETA DI UCCIDERE SEMPRE? I CASI DELLA LEGITTIMA DIFESA E DELLA GUERRA GIUSTA
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BASTABUGIE, 5 ottobre 2009
Spettabile redazione di BASTABUGIE, mi permetto di dissentire... E' da qualche tempo che non sono affatto d'accordo su temi che proponete. Ora quello del "piccolo catechismo del buon soldato" è davvero esagerato. Cari Signori, ci vogliamo rendere conto che "non uccidere" è un comandamento? E non ci sono scusanti, non c'è difesa di alcuna altra cosa che valga più di una vita umana. Vi scagliate prontamente (e giustamente) contro l'aborto e non fate altrettanto contro qualunque altra guerra che miete vittime, anche civili. Ed ora addirittura un supporto a coloro che si dedicano alla vita militare!!! Ma stiamo scherzando? Chi si dedica alla vita militare si dichiara apertamente disposto ad uccidere! E no, non importa la difesa della Patria! Uccidere è contro ogni morale cristiana a rescindere! Mi dispiace davvero. (...) Le guerre, quindi, come le vogliamo giustificare alla luce del vangelo???? Nel discorso della montagna (...) si legge chiaramente che non c'è giustificazione alla violenza, evangelicamente parlando. Punto. Non ci sono altre discussioni da fare. Vogliamo essere cristiani? Dobbiamo vivere alla Luce del Vangelo, non ci sono scusanti, non ci sono altre possibilità. (...) Giorgio
Gentile signor Giorgio, le rispondo molto volentieri. Per quanto riguarda il "non uccidere", attenzione! In realtà il quinto comandamento non ammette eccezioni, su questo punto ha ragione. Però il quinto comandamento si riferisce alle persone innocenti. Quindi può essere letto così: "non uccidere l'innocente". Solo così questo comandamento non ha eccezioni. Se non è convinto di quello che sto dicendo (cioè che nel quinto comandamento bisogna intendere l'uccisione dell'innocente), provi a pensare alla legittima difesa. Se uno mi sta per sparare e non ho altro modo per salvarmi la vita che quello di sparargli a mia volta, moralmente è lecito sparare (questo vale anche per la legge umana, oltre che per quella divina). Ora: se fosse vero quello che dice lei, ci sarebbe una contraddizione, in quanto, non potrei sparare perché "non uccidere" non ammette eccezioni, quindi io non dovrei sparare nemmeno a chi sta per uccidermi. Quindi con il suo ragionamento il comandamento non ammetterebbe la legittima difesa. Invece non è così. La legittima difesa è sacrosanta e a volte anche doverosa quando riguarda la vita di chi devo proteggere, quando ad esempio un poliziotto vede che sta per essere ucciso un innocente, deve (e sottolineo deve) sparare al malvivente che sta per uccidere. Se il poliziotto non lo facesse, in prigione ci andrebbe lui. Come ci va chi non soccorre un automobilista in pericolo di morte. Il reato si chiama appunto omissione di soccorso. Allora perché è moralmente lecita la legittima difesa? La legittima difesa non è una eccezione, ma, al contrario, la realizzazione del comandamento "non uccidere l'innocente". In quel caso l'innocente per difendere se stesso uccide il colpevole perché il comandamento non prevede difesa incondizionata per il colpevole, ma solo per l'innocente. Certamente, se ci sono altri modi per non essere ucciso, questi hanno la prevalenza: se posso scappare, o se è sufficiente un calcio, non sono autorizzato a sparare, ma se non ho alternative allora posso anche arrivare a uccidere (il colpevole) pur di salvarmi la vita. Per quanto riguarda la sua affermazione secondo la quale la vita militare sarebbe inconciliabile con il cristianesimo, se fosse vera, bisognerebbe dire che Gesù non era cristiano. Egli, infatti, non ha mai condannato i soldati! Anzi, ha lodato ad esempio il centurione per la sua fede. Secondo il ragionamento che fa lei, invece, avrebbe dovuto condannarlo per la sua professione. Anche Giovanni Battista (che pure era molto rigido) ai soldati che gli chiedono cosa fare dice di contentarsi delle loro paghe. Non dice di smettere di fare i soldati! Per quanto riguarda la citazione del discorso della montagna, bisogna fare una premessa. Non si può prendere un versetto della bibbia e con questo giustificare le proprie opinioni. Così si può far dire alla Bibbia anche il contrario di quello che vuol dire. Ad esempio in un salmo a un certo punto c'è scritto: "Dio non c'è". Se io usassi queste parole per dire che la Bibbia dice che non c'è Dio, farei un grave errore (ovviamente). Infatti, in realtà, la frase completa è "dice lo stolto: Dio non esiste". Togliendo solo una parte, ho snaturato la Parola di Dio. Questo è solo un piccolo e banale esempio per dire che la Bibbia va letta nella sua interezza. Solo leggendola tutta si può capire la Parola di Dio. La Chiesa è appunto l'interprete ufficiale, per mandato divino, di tutta l'interezza della rivelazione divina. Ripeto quindi che anche l'episodio del centurione con Gesù che ho riportato sopra fa parte del vangelo, come pure l'episodio di Giovanni Battista con i soldati. L'interpretazione che "evangelicamente parlando" non si possono mai fare le guerre è sbagliata. Basti leggere il numero 2309 del Catechismo della Chiesa Cattolica che ricorda gli elementi tradizionali della "guerra giusta". Pur essendo tutti tenuti a cercare di evitare le guerre, ci possono essere delle condizioni per cui il ricorso alle armi diventa possibile e in certi casi anche doveroso. Altrimenti sarebbero, del resto, incomprensibili alcune figure di santi soldati come Longino o santi che hanno difeso a parole o combattuto nelle crociate: Santa Caterina, San Bernardo, San Luigi, ecc. La Chiesa in ogni caso non fa che ripetere l'insegnamento di Gesù. Le interpretazioni soggettive della Bibbia, invece, hanno portato gravi errori ed eresie... Certo, approfondire il vangelo e conformarsi alle richieste di Gesù è un percorso difficile per tutti, ma non possiamo vendere come se fossero idee di Gesù, quelle che sono le nostre personali opinioni.
DOSSIER "LETTERE ALLA REDAZIONE" Le risposte del direttore ai lettori Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: Redazione di BASTABUGIE, 5 ottobre 2009
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OMELIA PER LA XXVIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - B - (Mc 10,17-30)
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per l'11 ottobre 2009)
La prima lettura di questa domenica ci parla della vera sapienza. La sapienza deve essere preferita a scettri e a troni, e tutta la ricchezza, al suo confronto, è un nulla (cf Sap 7,8). La Sapienza deve essere amata più della salute e della bellezza, e deve essere preferita alla stessa luce che illumina i nostri passi (cf Sap 7,10). L’Autore del Libro della Sapienza, da cui è tratta questa prima lettura, afferma: «Insieme con lei mi sono venuti tutti i beni, nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile» (Sap 7,11). In che modo possiamo ottenere la Sapienza? Il testo che abbiamo letto ci fa comprendere che, per possedere questo dono, innanzitutto dobbiamo pregare il Signore. È un dono, e lo dobbiamo domandare umilmente nella preghiera: «Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito della sapienza» (Sap 7,7). Ma in che cosa consiste la Sapienza? Vera Sapienza è ricercare sempre la volontà di Dio, ogni giorno della nostra vita, per dare un frutto che rimanga e per essere autenticamente felici. Il Vangelo di oggi si collega molto bene con questo tema. Un giovane si gettò in ginocchio davanti a Gesù e gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?» (Mc 10,17). Egli ricercava la Volontà di Dio; ma, come si capisce dal proseguo del racconto, non era pienamente determinato in questa ricerca. Egli osservava diligentemente tutti i Comandamenti di Dio, e avvertiva che Dio gli stava domandando qualcosa di più. Infatti Dio, nella sua eterna Sapienza, destina a ciascuna delle sue creature una missione particolare da svolgere, per la sua gloria e per il bene delle anime. A quel giovane Dio chiedeva qualcosa di grande: la rinuncia a tutti i suoi averi e il dono completo della sua vita. Gesù infatti «fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una sola cosa ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”» (Mc 10,21). È questo il dono della vocazione che Dio riserva ad alcuni a preferenza di altri. La vocazione consiste nel seguire Gesù sulla strada dei Consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. La vocazione consente a queste creature di imitare la vita di Gesù nel modo più completo, ed è un anticipo di quella che sarà la condizione futura in Paradiso, ove saremo tutti come angeli. La vocazione comporta delle rinunce, ma, certamente, dona più di quanto domanda. Gesù lo dice chiaramente con queste parole: «Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà» (Mc 10,29-30). Il giovane di cui parla il Vangelo di oggi non ebbe la forza di dire di “sì” a quella chiamata e se ne andò via triste (cf Mc 10,22). Non trovò la forza di seguire Gesù perché era legato ai molti beni, alla grande ricchezza materiale che possedeva. Quando non si dice di “sì” alla vocazione si perde la gioia del cuore; soltanto chi aderisce pienamente alla Volontà di Dio è sempre lieto, pur nelle grandi prove che deve superare. San Leonardo da Porto Maurizio diceva verso il termine della sua vita: «Ho settantadue anni e non sono stato nemmeno un giorno triste». Egli poteva dire così perché aveva sempre fatto la Volontà di Dio. Gesù inoltre dice: «Quanto è difficile, per quelli che posseggono ricchezze, entrare nel regno di Dio!» (Mc 10,23). Si intende chiaramente l’attaccamento a queste ricchezze, dal momento che uno potrebbe anche non averle, ma, in cuor suo, esserne attaccato più di tutti gli altri. La virtù della povertà consiste nell’essere distaccato dai beni di questo mondo e di servirsene con sobrietà, non come il fine della vita, ma come un mezzo per poter servire il Signore e per far del bene al prossimo. Secondo l’insegnamento di san Giovanni Bosco, Dio chiama molti giovani alla vita di consacrazione, secondo lui sarebbero addirittura un terzo; ma, purtroppo, molti sono quelli che non ascoltano questa chiamata, perché storditi dai piaceri e dalle ricchezze di questo mondo. Ognuno di noi dovrebbe far sua la preghiera di san Francesco: «Signore, cosa vuoi che io faccia?». Dalla risposta alla chiamata di Dio, dipenderà la nostra felicità.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per l'11 ottobre 2009)
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