BastaBugie n�314 del 13 settembre 2013
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DON MARCO BISCEGLIA: IL PRETE CHE FONDO' L'ARCIGAY
Contestatore, sospeso a divinis, candidato per il partito radicale, omosessuale, compagno di avventura di Nichi Vendola, poi, abbandonato da tutti, fu riaccolto da Ratzinger nella Chiesa
Autore: Pino Suriano - Fonte: Tempi
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HOLLANDE VIETA DI BOCCIARE GLI ALUNNI A SCUOLA
Garantendo il 6 politico la Francia risparmia soldi, ma trasmette la falsa idea che impegnarsi o non impegnarsi è la stessa cosa
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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OBAMA: IL PIU' IPOCRITA PREMIO NOBEL PER LA PACE
Come mai i pacifisti, scesi nelle piazze contro Bush, ora tacciono? Dove sono le bandiere arcobaleno?
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana
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PAPA FRANCESCO: COSI' VICINO ALLA GENTE, COSI' DIFFICILE DA CAPIRE
Ad esempio: il rifiuto della papamobile blindata è il ritorno alla tradizione di sempre (vedi il beato Pio IX)
Autore: Vittorio Messori - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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CHE COS'E' LA LIBERTA'? SCEGLIERE IL BENE
Ad esempio: se davanti alla droga sono libero di scegliere, mantengo la mia libertà solo se scelgo di non drogarmi, altrimenti divento schiavo della droga e perdo la mia libertà
Autore: Carlo Climati - Fonte: Zenit
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IL VERO BACH: UOMO BURBERO, MA CRISTIANO AMABILE
Marito affettuoso, padre premuroso, soprattutto uomo di profonda fede cristiana
Autore: Alessio Cervelli - Fonte: BastaBugie
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EXODUS INTERNATIONAL CHIUDE DOPO AVER AIUTATO TANTI OMOSESSUALI A CAMBIARE VITA
Ultimamente ha tradito la sua missione, ma le associazioni che ne facevano parte continueranno a praticare terapie riparative
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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LETTERE ALLA REDAZIONE: CARI SIGNORI, TROVO SCANDALOSO ESALTARE LE CROCIATE
Confermiamo quanto scritto più volte: anche San Francesco e Santa Caterina, patroni d'Italia, giustificarono le crociate
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie
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OMELIA XXIV DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO C - (Lc 15,1-32)
Vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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DON MARCO BISCEGLIA: IL PRETE CHE FONDO' L'ARCIGAY
Contestatore, sospeso a divinis, candidato per il partito radicale, omosessuale, compagno di avventura di Nichi Vendola, poi, abbandonato da tutti, fu riaccolto da Ratzinger nella Chiesa
Autore: Pino Suriano - Fonte: Tempi, 9 settembre 2013
Ai tanti che non lo hanno mai saputo potrà sembrare un'assurda fantasia, ma è semplicemente un fatto: l'Arcigay è stata ideata da un prete. Sì, l'associazione per i diritti omosessuali più importante e numericamente rilevante d'Italia deve la sua anima a un consacrato, omosessuale egli stesso. Accadde a Palermo nel dicembre del 1980 e quel sacerdote, allora quasi sessantenne e sospeso "a divinis" alcuni anni prima, si chiamava Marco Bisceglia, per tutti don Marco. Suo compagno di avventura nonché di appartamento, nei mesi successivi, un giovane obiettore di coscienza in servizio civile presso l'Arci, Nicola Vendola detto Nichi. Chiare le premesse? Adesso, però, non ci si scandalizzi per il giudizio in arrivo, forse ancor più sorprendente: la storia di don Marco è una delle più belle storie di vita che si possano raccontare. Di quelle che rendono palese, per chi non lo credesse, quale straordinario luogo di accoglienza e ripresa umana possa essere la Chiesa. Nelle scorse settimane, per la collana "DietroFont" dell'esordiente casa editrice lucana EdiGrafema, è uscito un libro (acquistabile su Ibs) che ne percorre la vita: Troppo amore ti ucciderà, con testimonianze di Vendola, Franco Grillini e Beppe Ramina. O meglio, ne percorre le "tre vite", come recita il sottotitolo del testo, ben scritto e documentato dal giornalista potentino Rocco Pezzano. Nella biografia del sacerdote, infatti, si riconoscono almeno tre momenti di profondissimo strappo per contenuti e stili di vita.
IL PRIMO MATRIMONIO GAY Nella sua "prima vita" don Marco Bisceglia è un prete di lotta. Nato nel 1925, sacerdote dal 1963, ha studiato e abbracciato la Teologia della Liberazione, in particolare la lezione del poco ortodosso teologo gesuita José Maria Diez-Alegria Gutierrez. Quando gli viene affidata la parrocchia del Sacro Cuore di Lavello, suo paese di origine in Basilicata, il desiderio di esprimere i propri ideali si trasforma in azione. La difesa dei più deboli è per don Marco l'autentico contenuto dell'evangelizzazione. Le cronache dell'epoca iniziano a chiamarlo "il don Mazzi del Sud". Don Marco si oppone a tutto ciò che reputa ingiusto, soprattutto all'interno della Chiesa: i funerali a pagamento, per esempio. La lotta al celibato dei sacerdoti, le operazioni finanziarie, le banche, gli investimenti immobiliari, l'arricchimento di alcuni preti con la speculazione edilizia. E la gente si lega a lui: tanti braccianti mai stati in chiesa prima d'allora, si ritrovano a seguirlo nelle sue battaglie, spesso vicine a quelle del Partito Comunista. Don Marco esprime con toni forti, anche in pubblico, durante le omelie la sua opposizione decisa alla Chiesa e alla sua struttura organizzativa. Ne nasceranno presto contrasti con il vescovo della diocesi. Non solo per le idee, ma anche per le azioni. Don Marco, infatti, non si ferma alle parole. In quegli anni, assieme alla sua comunità, è protagonista e animatore di scioperi al fianco di lavoratori, blocchi stradali e altre forme di protesta "borderline", talvolta con conseguenti procedimenti penali. Il 30 settembre 1974, in un clima di esasperata contrapposizione e dopo alcune richieste di ravvedimento, arriva il decreto di rimozione da parte del vescovo Giuseppe Vairo: la parrocchia del Sacro Cuore è dichiarata vacante. Le ragioni non mancano: adesione al movimento radicale per la depenalizzazione dell'aborto e la libertà sessuale; uso della parrocchia come sede dei comitati per i referendum; assenze continue; violenti attacchi a Chiesa cattolica, clero e gerarchia. Poi un'accusa anomala, «scelta socio-rivoluzionaria», e un'altra più drammatica, ma decisiva, «chiara rottura della Comunione col vescovo». Da quel momento la vicenda prende una piega inattesa, che porterà a Lavello i corrispondenti dei maggiori quotidiani e settimanali italiani. La comunità del Sacro Cuore, infatti, non accetta il decreto e si barrica all'interno della chiesa, letteralmente la occupa. Sulla facciata del Sacro Cuore compare una scritta: "La Chiesa è del popolo". È una dichiarazione di intenti. Lavello diventa un caso nazionale, un parroco e il suo popolo contro il vescovo e la Chiesa "ufficiale". Ma il fatto che più avrebbe fatto parlare di don Marco era accaduto pochi giorni prima di quella pubblicazione. È quello che le cronache ricorderanno per anni, seppur impropriamente, come il «primo matrimonio gay celebrato da un sacerdote italiano». Un giorno due omosessuali si presentano nella sagrestia e chiedono se la loro unione possa diventare sacra. «Il vostro matrimonio è già un sacramento di fronte a Dio», spiega don Marco. Quei due signori, in verità, non erano omosessuali ma Bartolomeo Baldi e Franco Iappelli, giornalisti del Borghese che registrano e spiattellano tutto sul giornale. Il 9 maggio 1975, il vescovo prende ulteriori provvedimenti: «Al sacerdote è proibito ogni atto di sacro ministero», si legge nel documento della curia. È la sospensione "a divinis". Da quel momento l'immagine di don Marco, agli occhi della gente, si aggrava. Ma per don Marco non è un dramma. Tutto continua come prima. Si celebra, si fanno i sacramenti, si legge la Parola di Dio. Eppure il legame coi fedeli è sempre più debole. Le presenze si diradano, molti cominciano a staccarsi. Le foto dei primi anni di "occupazione" della parrocchia, sempre stracolma di gente, e quelle "spoglie" degli ultimi tempi, offrono l'immagine di questo progressivo distacco. È drammatica l'immagine dell'ultima Messa, il 25 aprile 1978, con don Marco che celebra tra poche vecchiette e dietro una fila di carabinieri e poliziotti.
LA CONVIVENZA CON NICHI VENDOLA Don Marco si ritrova da solo, senza lavoro, senza futuro, ma soprattutto senza rapporti con la Chiesa. Un "disoccupato" in cerca di patria. Eppure non perde occasione per far parlare di sé. Il 3 giugno 1979 sono previste le elezioni politiche. Pochi mesi prima si presenta dal sacerdote un vecchio amico di tante battaglie con un'ipotesi scioccante: candidarsi con i Radicali. Quell'amico è Marco Pannella. Don Marco accetta: «Se si vuole essere liberi - scrive in quei mesi - bisogna necessariamente essere eretici. Personalmente non posso non essere uno di loro». La candidatura fa rumore, ma i voti non bastano per entrare in Parlamento. In quei mesi, mentre Bisceglia è ancora impegnato con i Radicali, avviene un incontro decisivo. In «circostanze fortuite», ricorderà poi, incontra a Roma Enrico Menduni (presidente, dal 1978 al 1983, dell'Arci, storica associazione culturale della sinistra italiana) che propone a don Marco di curare l'aspetto organizzativo dell'Arci per la "sezione" diritti civili. Nasce da lì, nel giro di poco, il copyright dell'Arcigay, "proprietà" di Marco Bisceglia. La fondazione ufficiale arriverà solo nel 1985, ma come si legge sul sito arcigay.it: «Il primo circolo Arcy-gay nasce informalmente a Palermo il 9 dicembre del 1980 da un'idea di don Marco Bisceglia, sacerdote cattolico dell'area del dissenso. [...] Di qualche anno prima è il coming out di don Marco: la pubblica dichiarazione di omosessualità. Marco è già attivo da tempo nell'organizzazione dei diritti gay, ma non ha ancora liberato del tutto la sua, di omosessualità. Difficile ricostruire la data e la testata che avrebbe dato spazio alla clamorosa dichiarazione (qualcuno ricorda Panorama), ma nell'aprile 1982 un articolo di Andrea Marcenaro sull'Europeo ne parla come un fatto noto: «I preti omosessuali esistono, ma uno solo si è dichiarato», si legge. Quell'uno, naturalmente, è Marco Bisceglia. In quel periodo vive con 400 mila lire al mese (tanto è lo stipendio) e a stento riesce a recuperare i contributi da religioso per garantirsi una pensione. Risalgono a quegli anni l'amicizia e la convivenza con Nichi Vendola, che non smetterà mai di considerarlo «un maestro». I due vivono insieme per qualche mese a Monte Porzio Catone, nella casa di don Marco. Intanto con l'Arci, da qualche tempo, sorgono i primi problemi. Don Marco, in modo lento e silenzioso, si fa da parte. Non si avrà mai una vera e propria rottura, ma una sfumata e continua presa di distanza. E così, proprio quando la sua creatura metterà le ali per diventare un punto di riferimento nazionale, calerà il sipario sul suo padre nobile. Da quel momento si perdono le tracce di Marco Bisceglia. Una volta era inseguito dai cronisti di tutta Italia, da quel momento quasi nessuno scriverà più un rigo su di lui, e nessuno si preoccuperà di scoprire come finì i suoi giorni. [...]
IL RITORNO E LA RICONCILIAZIONE In un giorno della prima metà degli anni Novanta, squilla il telefono della parrocchia di San Cleto a Roma, quartiere San Basilio. A un capo della cornetta c'è padre Paolo Bosetti, responsabile della parrocchia, dall'altro monsignor Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas diocesana. La richiesta del prelato è quella di accogliere un sacerdote, il quale, però, porta con sé un tremendo fardello: l'Aids. «Cosa dobbiamo fare?», chiede padre Paolo. «Vogliategli solo bene», risponde il monsignore. Sarà così. Don Marco comincia, in punta di piedi, una nuova vita assieme ai confratelli della Congregazione di Gesù sacerdote che lì convivono. Poche parole, tanto tempo libero, nessun impegno parrocchiale. La vita trascorre lenta, don Marco, semplicemente, segue e comincia a vivere tutte le tappe della giornata: lodi, Messa, cena. Sempre creativo e autonomo nelle scelte culturali, accetta anche consigli su cosa leggere: comincia dal Presbyterorum Ordinis, un decreto del Concilio Vaticano II sul ministero e la vita sacerdotale; poi l'Optatam Totius sulla formazione sacerdotale; senza tralasciare naturalmente Bibbia e Vangeli. Testi fondamentali se si pensa alla sua vita passata. Decisivi perché letti con occhi diversi. Don Marco si mette in discussione, come uomo e come sacerdote. Il suo passato è noto a tutti, ma nessuno ne parla. «Solo una volta è successo», ricorda padre Paolo. «Don Marco diceva di non rinnegare nulla, ma di voler prendere le distanze dal passato, per "qualcosa che gli gira dentro", dice. E su cui don Marco vive e medita con serenità». Vivendo al fianco di altri sacerdoti fiorisce nel suo cuore il desiderio più bello: tornare a celebrare l'Eucaristia. Sono trascorsi, dall'ultima volta, almeno quindici anni. Don Marco ne parla con i confratelli. Non può essere il capriccio di un istante, e allora si approfondisce la questione. A frenare tutto c'è la sua sospensione a divinis. Ma non è un ostacolo insormontabile. La persona da informare è il vicario generale, il cardinale Ugo Poletti (colui che fa le veci del Vescovo di Roma, allora Giovanni Paolo II), che si prodiga per la vicenda e che spiega che c'è un unico passo decisivo da fare: la supplica. Don Marco prende carta e penna e stende la sua richiesta. La figura a cui presentare la supplica e che deve valutarla è il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger. Dopo qualche tempo arriva la risposta: la sospensione a divinis è cancellata. Qualche giorno dopo don Marco ne dà notizia alla sorella Anita: «Sono cosciente della mia indegnità, così come sono fermamente fiducioso nel perdono di Dio e nella sua azione purificatrice e rigeneratrice. Spero di potere, con il suo aiuto, riparare ai miei errori e traviamenti». Quella missiva arriva da Loreto. Padre Bosetti ricorda: «Se si riprende a celebrare l'Eucaristia, che è il corpo di Cristo, non si può farlo senza la riconciliazione». E così è stato. Il giorno della "prima Messa" arriva a Loreto una delegazione della vecchia diocesi di don Marco, guidata da monsignor Vincenzo Cozzi. Quella Chiesa a lungo contestata è lì per riabbracciarlo nel giorno più bello. Nessun passato può vincere il presente: i rancori e le incomprensioni sono fatti reali, concreti, ma non prevalgono. È la festa del perdono e della rinascita, è l'Eucaristia.
GLI ULTIMI ANNI, DURI MA INTENSI Quelli che restano da vivere sono anni duri ma intensi. Non è semplice la vita per un malato di Aids, tra continue visite e frequenti ricoveri. «Eppure lui è sereno», racconta Vittorio Fratini, un amico. Una serenità che diventa conforto per gli altri, come testimonia un compagno di stanza in ospedale. Vittorio gli chiede da dove gli provenga questa gioia. La risposta è di quelle che non si dimenticano: «Ricordati che io ero morto e sono risorto. Se devo andare verso la fine della mia vita, ci vado con tanta serenità». Una delle ultime lettere di don Marco è del 4 aprile 2001. Risponde all'amico Giancarlo che si lamenta delle gerarchie ecclesiastiche. Don Marco rompe gli schemi. Prima spiega di esserne consapevole, poi aggiunge: «Non lasciamoci irretire da facili stereotipi. Il mio vescovo è un uomo mite, ricco di umanità, ha favorito la mia reintegrazione, pur sapendo di avere a che fare con un soggetto sieropositivo». È sorprendente. Il vecchio sguardo polemico su ciò che nella Chiesa dovrebbe o non dovrebbe esserci, ha lasciato il passo a uno sguardo pieno di gratitudine per quello che c'è. L'ideologia ha lasciato il posto all'esperienza. Marco Bisceglia muore il 22 luglio 2001, nei giorni del G8 di Genova. Il "contestatore" muore in un giorno di contestazione. Ma quanto è lontano quello scenario di lotta dalla pace che regna ora nel suo cuore. Oggi riposa nel cimitero di Lavello, nella cappella dedicata ai sacerdoti.
Fonte: Tempi, 9 settembre 2013
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HOLLANDE VIETA DI BOCCIARE GLI ALUNNI A SCUOLA
Garantendo il 6 politico la Francia risparmia soldi, ma trasmette la falsa idea che impegnarsi o non impegnarsi è la stessa cosa
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 09-09-2013
Il governo francese è sceso in campo per tutelare una specie che non era certo a rischio di estinzione: quella degli asini. Non stiamo parlando del quadrupede della famiglia degli equidi, ma del bipede umano con quaderni e cartella che sta allo studio come Al Qaeda sta alla pace nel mondo. Hollande ha deciso: vietato bocciare per legge. Così recita il primo articolo della "Legge di rifondazione" attinente alla riforma della scuola e attualmente all'esame dell'Assemblea nazionale: "Nel quadro dell'acquisizione di conoscenze, competenze e metodi prevista alla fine del ciclo e non più dell'anno scolastico, far ripetere un anno dev'essere eccezionale". Tale emendamento è stato proposto dal Ministro dell'educazione nonché filosofo e membro del partito socialista Vincent Peillonche, noto anche per aver proposto la liberalizzazione delle droghe considerate erroneamente "leggere". La modifica è stata più radicale rispetto al testo originale che timidamente consigliava di "proseguire la riduzione progressiva" dei ripetenti. La decisione di premiare l'ignoranza di Stato era nell'aria sin dal 2010, quando l'allora Ministro dell'educazione fece girare una circolare nelle scuole ammonendo che la bocciatura "costituisce l'ultima risorsa", monito fatto proprio anche dall'OCSE nel 2011. E' questione tutta di numeri. In Francia uno studente su tre viene bocciato (contro la media mondiale di uno su sette, ci fanno sapere gli esperti: ma sorge il sospetto che le scuole del Congo e simili alterino la media in modo significativo). Questo studente che rimane parcheggiato tra le pareti delle scuole pubbliche oltre il tempo ordinario pesa assai sulle casse dello Stato: 2 miliardi di euro ha segnato il parchimetro scolastico nel 2009. La soluzione è facile: amnistia per tutti e la spending review sorriderà soddisfatta. Ma al di là di biechi motivi di utilità pecuniaria, domandiamoci da quali radici culturali nasce questa iniziativa del governo Hollande. In primo luogo il motto "vietato vietare" di sessantottina memoria è vivo e vegeto: è fatto divieto di bocciare. Questa idea che la sanzione sia cosa brutta e sporca nasce da un'altra idea: che il dovere – il cui non rispetto fa scattare la sanzione – sia a sua volta brutto e sporco. Nella famigerata "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" del 1789 i rivoluzionari francesi avevano stilato un ricco catalogo dei diritti dell'uomo, ma si erano scordati di inserire un solo dovere. Tutte pretese, nessun obbligo, perché gli obblighi vincolano la libertà che deve essere invece assoluta e piena. L'invito a non bocciare sottintende dunque il principio che studiare e apprendere per il ragazzo non è un dovere. Se fosse un dovere sarebbe più che legittimo bocciare. In secondo luogo Hollande nuovamente dà prova di essere un utopista. Avevamo già parlato in un precedente articolo ("Hollande elimina la razza dalla costituzione") di come l'inquilino dell'Eliseo volendo eliminare il termine "razza" dalla costituzione mirasse a far sparire anche il razzismo. Anche in questo caso pare che un articolo di una legge possa per magia essere sufficiente per far sparire gli ignoranti. Un mondo perfetto studiato a tavolino, ma che mai esisterà. Infatti la norma di Hollande non farà altro che nascondere sotto il tappeto uno stuolo di fannulloni. Invece il merito o il demerito di uno studente è questione complicatissima che non può essere decisa a priori, in modo generale ed universale con una legge, bensì attraverso la valutazione del docente, cioè di chi giorno dopo giorno sta con lo studente e può valutare con cognizione di causa i suoi talenti, le sue difficoltà oggettive, le sue pigrizie e moltissime altre circostanze concrete che non si possono prevedere con un norma, in astratto. Inoltre per lo spirito egualitarista che anima questa legge – questa sì da bocciare – far ripetere l'anno è fonte di discriminazione. La livella rosso-progressista vuole allineare – ovviamente verso il basso – il merito e il demerito, il genio e l'insipiente, il talentuoso e lo scemo. Tutti sullo stesso piano. L'aver studiato e ancor di più il dimostrare di eccellere stona con una malsana idea di uguaglianza. Bocciare è atteggiamento ostile verso il minus habens, la nuova figura del proletariato contemporaneo. Bocciare poi sta alla scuola come licenziare al posto di lavoro. Tenuto fermo il fatto che in questo secondo caso le garanzie per ovvi motivi devono essere maggiori, l'inamovibilità dalla sedia a scuola, il posto fisso in aula rimanda all'idea di uno Stato assistenzialista il quale che tu faccia bene o male comunque e sempre come una mamma ti verrà in soccorso e ti assicurerà che niente mai cambierà per te. Far ripetere l'anno inoltre per gli allergici ai principi non negoziabili ha il sapore di un atto moralista: sarebbe come squalificare la persona dello scolaro, imporgli una sanzione di carattere etico, affliggerlo con un giudizio che investe le sue scelte personali. Ma il compito della scuola, tanto più quella pubblica, non è quello – così si sostiene – di giudicare bensì di aiutare ed educare. Una seconda e terza chance se la meritano tutti, perché tutti in fondo sono buoni. La repulsa nel fermare per un anno o più l'iter scolastico del ragazzo poi nasce anche da un atteggiamento poco virile verso i bambini e gli adolescenti che non vengono considerati piccoli uomini responsabili per le loro azioni o omissioni: se non hai studiato e non sai ne paghi le conseguenze. Ma fragili statuine di porcellana che non reggerebbero all'urto psicologico di una bocciatura. In realtà quest'ultima, se motivata, rafforza il carattere, riaccende un sano orgoglio, fa crescere in umiltà. La cieca indulgenza rende invece imbelle il ragazzo, rammollisce la sua volontà, lo deresponsabilizza, incentiva la violenza perché tutto è dovuto e guai a non darglielo, e lo consolida nella certezza che future mancanze saranno sempre perdonate. Il colpo di spugna sulle pagelle degli scolari francesi andrà senza dubbio a detrimento loro e della società. Bocciare è anche invitare a prendere altre strade. Claudio Abbado, genio della bacchetta, voleva fare il pianista ma si ritrovò in una classe di geni e a malincuore optò come ripiego per la direzione di orchestra. Non ce ne dogliamo e crediamo nemmeno lui. Perché tutti quelli che iniziano la corsa alle elementari la devono concludere necessariamente all'università cinti in capo da una corona di lauro? C'è in giro la strana idea che i lavori manuali siano meno dignitosi di quelli intellettuali. E chi lo dice? Esiste anche un'intelligenza pratica. Lo stesso Nostro Signore si guadagnava il pane facendo il carpentiere e non il sacerdote nel Tempio. Non tutti – è un dato di fatto – hanno una forma mentis per fare il medico, l'avvocato, l'ingegnere. Come non tutti – altro dato di fatto - hanno una forma mentis per fare il meccanico o l'operaio. E poi per la collettività il "vietato bocciare" di Hollande è un boomerang pericolosissimo. Questo garantismo tra i banchi di scuola partorirà dei mostri tra i professionisti del domani. Bocciare è un metodo di prevenzione utilissimo per scampare a future tragedie. Il medico che per una grave disattenzione ha lasciato i ferri nel vostro stomaco durante un'operazione, è arrivato a questo risultato non per uno sfortunato caso, ma perché per anni non ha studiato con attenzione, per anni gli è stata condonata qualsiasi negligenza. Quella letale disattenzione professionale è maturata lungamente e lentamente – come cronaca di una morte annunciata – all'ombra dell'indulgenza colpevole di uno stuolo di docenti permissivi. Da ultimo la progressiva cancellazione dell'espressione "Non ammesso" sui quadri scolastici di fine d'anno contribuirà ad abituare le giovani generazioni all'impunità sia su questa terra che nell'Aldilà. Se qui non paghiamo per i nostri errori verrà poi difficile credere che una volta chiusi gli occhi per sempre ci sarà un Dio che ci boccerà per le nostre condotte malvagie. E lì, ahinoi, invece l'anno si ripeterà all'infinito.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 09-09-2013
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OBAMA: IL PIU' IPOCRITA PREMIO NOBEL PER LA PACE
Come mai i pacifisti, scesi nelle piazze contro Bush, ora tacciono? Dove sono le bandiere arcobaleno?
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana, 4 settembre 2013
Gli Stati Uniti ed il mondo non meritano Barack Obama, più simile alle piaghe d'Egitto – è il caso di dirlo – che al vecchio Uncle Sam. Pochi anni della sua Amministrazione son riusciti a far perdere alla superpotenza occidentale non solo credibilità e potere, bensì anche il controllo dello scacchiere internazionale. Ora Washington chiede al Congresso il permesso per la sua nuova avventura bellica in Siria, pur volendoci trascinare l'intero Occidente, nonostante gli Usa siano di fatto isolati: invisi ai Fratelli Musulmani – che pure han sostenuto e sostengono ‒ tanto quanto ai salafiti, ai militari ed ai civili, sono guardati con sospetto dai leader moderati, che li considerano troppo deboli e pasticcioni, tanto quanto dai lupi islamici, che per loro nutrono solo odio e sete di vendetta, benché stupiti d'esser ritenuti interlocutori credibili dagli stessi di cui vorrebbero sbarazzarsi. Un'incredibile politica estera totalmente fallimentare, dunque, da qualsiasi punto di vista la si voglia considerare, così da dar buon gioco al vicepremier siriano Qadri Jamil, nell'affermare che gli Usa «sono ormai divenuti oggetto di sarcasmo da parte di tutti». Sul banco degli imputati non ci sono gli Stati Uniti, ragion per cui – tanto per esser subito chiari – sarebbe ideologico riproporre la solita, trita e ritrita deriva antiamericanista, risposta sbagliata ad un problema vero. In discussione c'è, nello specifico, l'ultimo inquilino della Casa Bianca, che ha dimostrato di muoversi con una superficialità tattica, un pressapochismo tecnico, un'improvvisazione strategica tale da far impallidire anche la peggiore gestione repubblicana della Storia statunitense. Specialmente nelle aree più "calde" del pianeta, quel Medio Oriente messo a ferro e fuoco dalle cosiddette "primavere arabe", passepartout in realtà dell'islam più crudele e forsennato. Quanto azzardato fosse assegnare un premio Nobel per la Pace sulla "fiducia" a Barack Obama nemmeno dieci mesi dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, lo conferma oggi proprio la vicenda siriana. Negli ultimi tempi gli Stati Uniti in fatto di politica estera hanno dimostrato di non azzeccarne una: ovunque intervengano, "dopo" è peggio. La "primavera araba" è lì a dimostrarlo con stravolgimenti costruiti su bufale, come i 50 mila anziani e bambini del cui massacro fu accusato Gheddafi oppure le elezioni vinte dai Fratelli Musulmani al Cairo. Ed i "rimedi" sono peggiori dei mali, come confermano la mezzaluna a Tripoli, sharia e corruzione in un Egitto in fiamme, nonché il rapido processo di forzata islamizzazione della Tunisia e poi ancora i disordini in Turchia, Eritrea ed Etiopia. Ora è la volta della Siria, traendo spunto dall'utilizzo di armi chimiche contro i civili a Ghouta, episodio dubbio e di ancor più dubbia matrice, se cioè ne siano responsabili Assad o i ribelli, i quali ‒ secondo il magistrato svizzero Carla Del Ponte, membro della Commissione Onu per i diritti umani in Siria ‒ già al gas nervino, il Sarin nello specifico, avrebbero fatto ricorso la scorsa primavera nel silenzio generale, anzi nell'omertà, visto che proprio gli Usa esautorarono gli ispettori dell'Onu dal compito d'accertare chi l'avesse utilizzato, come scritto dal "Wall Street's Journal". È difficile ritenere i ribelli siriani, sostenuti dai fanatici sunniti, dal Qatar, da Al Qaeda, dai talebani, dai salafiti, dal turco Erdogan, migliori di Assad, come dimostrano già in queste settimane le chiese distrutte, i Vescovi ed i sacerdoti ammazzati o rapiti, i cristiani massacrati o ridotti alle catacombe, le loro case ed i loro negozi devastati da una furia incontrollata. Tutto ‒ ciò ch'è ancor più tragico ‒ nel silenzio internazionale, con i "grandi" preoccupati solo di giocare a RisiKo, proponendo fallimentari soluzioni studiate a tavolino. Con l'unica eccezione della Santa Sede, che ha invitato al digiuno ed alla preghiera con un richiamo simile a quello di Benedetto XV contro l'«inutile strage» del primo conflitto mondiale, sperando che gli esiti non siano i medesimi. Intendiamoci: non piacciono i dittatorelli e che ingiustizie ve ne siano, specialmente nelle aree critiche del mondo, è sotto gli occhi di tutti. Altrimenti non sarebbero "critiche"… Ma rispondervi con interventi dissennati, forieri solo di morte e distruzione, consegnando interi popoli – finora retti da una "calma relativa" e da equilibri precari ‒ all'islam più sanguinario e fanatico, non ce lo possiamo proprio permettere. Dietro i disordini in Tunisia, Egitto e Libia ci sono sempre e solo i Fratelli Musulmani, che puntano alla leadership in Medio Oriente ed al controllo nel Mediterraneo, con le armi e con i denti. E che pare vi stiano riuscendo, incredibilmente con la complicità dell'Occidente. V'è un'ultima cosa, da considerare: come mai gli esagitati pacifisti a senso unico, scesi nelle piazze contro la Presidenza Bush ancora sanguinante per le ferite provocate dall'11 settembre, ora che la Casa Bianca è occupata dall'iperdemocratico Obama, "uno di loro", tacciono? Dove sono con le loro bandiere arcobaleno? L'attuale Presidente degli Stati Uniti non ha mantenuto una sola delle promesse fatte: disse di voler chiudere la prigione di massima sicurezza per sospetti terroristi di Guantanamo, descritta dai media come l'anticamera dell'inferno, e non lo ha fatto. Disse di voler por fine a tutte le guerre. E l'Afghanistan è proseguito con la guerra dei droni, "frutto" dell'attuale Amministrazione, nonché con i nuovi fronti, come la Libia e la Siria. Dove sono i pacifisti? La sicurezza mediterranea è troppo importante: compromettendo gli equilibri euroasiatici, ne esce pregiudicata la stabilità mondiale. Per questo, oggi, Obama è un lusso, che politicamente non ci possiamo permettere.
Fonte: Corrispondenza Romana, 4 settembre 2013
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PAPA FRANCESCO: COSI' VICINO ALLA GENTE, COSI' DIFFICILE DA CAPIRE
Ad esempio: il rifiuto della papamobile blindata è il ritorno alla tradizione di sempre (vedi il beato Pio IX)
Autore: Vittorio Messori - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 02/08/2013
Mentre scrivo, ho sul tavolo il penultimo numero di Time. La sua celebre copertina è interamente occupata da un'immagine di Jorge Bergoglio, sul cui profilo campeggia lo «strillo», per dirla in gergo: The people's Pope, il Papa della gente. Una «svolta epocale», naturalmente, «una novità storica», secondo il settimanale americano, cui si riconosce ovunque una inappellabile autorità. Leggendo l'articolo si ha il sospetto che - per guardare solo al recente passato - un Giovanni Paolo II fosse un cupo misantropo, chiuso nel suo palazzo, interdetto alla mitica «gente». Peccato, per i giornalisti sempre in cerca di «svolte inedite», che una curiosa classifica abbia stabilito come, nel quarto di secolo del suo pontificato, papa Wojtyla sia stato il personaggio della storia - ma sì, della storia intera - che ha incontrato più persone, nel maggior numero di Paesi nel mondo. Non solo la sua vita ma anche la sua morte, con i funerali mai visti e, poi, con l'oceanica cerimonia di beatificazione, confermarono che attorno a lui non si erano assiepate semplici folle di curiosi. È del Pontefice polacco un altro record: mai un assembramento umano - neppure quello dell'altro giorno sulla spiaggia di Copacabana - mai ha raggiunto i cinque milioni di partecipanti, come avvenne nella messa alla Giornata della Gioventù a Manila. Ma chi ricorda le folle immense di Colonia, Sydney, Madrid sa bene che in quelle Giornate la «gente», in particolare quella giovane, non disdegnò certo di accorrere acclamante anche attorno a quel Benedetto XVI che molti media presentavano come un introverso teologo, un amico dei libri più che dei rapporti umani, un inquisitore e non un capo carismatico. Continuando a fare, da Papa, ciò che ha sempre fatto e che per lui è «naturale» (per usare un termine che ha impiegato più volte anche con i giornalisti al ritorno da Rio) Francesco, e lo ha fatto capire chiaramente, è il primo ad essere stupito dell'enfasi data dai media a ogni suo gesto. Quanto a lui, per dirla alla romanesca, «ci è» e non «ci fa». Da qualche parte ho già ricordato che, in un talk show televisivo cui partecipavo, si parlò a lungo - traendone insegnamenti edificanti - delle grosse scarpe nere che il nuovo eletto continuava a portare, invece di leggeri ed eleganti mocassini. Suscitai forte irritazione quando mi permisi di ricordare quanto mi aveva rivelato poco prima un vescovo che ben lo conosceva. Bergoglio soffre da molto tempo di problemi alla schiena e proprio nell'intervista in aereo ha detto, con un sorriso agrodolce: «La cosa peggiore che mi è capitata, proprio all'inizio del pontificato, è stata un attacco di sciatica. Dolorosissima, da non augurare a nessuno!». In quel dibattito, dunque, mi permisi di dire (tra il fastidio generale) che quei vistosi scarponi erano in realtà calzature ortopediche, confezionate su misura da un artigiano di Buenos Aires. Precisazione fondata eppure sgradita, per tanti media. Ma, buon conoscitore della storia della Chiesa come ogni gesuita (non si è accettati nella Compagnia se non dopo avere percorso e superato un lunghissimo cursus studiorum), pensiamo che papa Francesco sorrida anche della «svolta epocale» che gli è attribuita per la sua decisione di stare il più possibile tra la gente. The people's Pope, per dirla con gli americani. L'isolamento dei Papi nei palazzi vaticani risale a Porta Pia, all'occupazione di quella loro città in cui erano così invisi alla «gente» che quella dei Pontefici non è soltanto la catena dinastica più lunga della storia, ma è anche quella in cui nessuno di quei singolari monarchi è mai morto in un attentato popolare. Per stare agli ultimi tempi prima della breccia di Cadorna, ogni sera Pio IX (alla pari dei suoi predecessori) amava fare, prima di cena, una passeggiata per il centro di Roma. Accompagnato solo dal segretario e talvolta da qualche prelato, senz'ombra di gendarmi, camminava, salutava, si informava dei prezzi, si intratteneva con chi voleva consegnargli una supplica, lanciava battute dialettali, con il suo fare cordiale ed arguto. Per dire il clima di quei giri quotidiani: un giorno vide un ragazzo che piangeva sotto un portone. Interrogatolo, seppe che, mandato dai genitori a comprare del vino, era inciampato, rompendo la bottiglia, e non osava più rientrare a casa. Si vide allora il Papa Re, il vicario di Cristo, il successore di Pietro, entrare dal vinattiere lì accanto, comprare un fiasco del miglior bianco dei Castelli e ordinare al segretario di pagare, non avendo con sé un borsellino, e consegnarlo di persona al giovanetto. Il caso di Pio IX si iscrive in una lunghissima serie di Pontefici che mai hanno pensato di muoversi tra la loro gente in una carrozza blindata: il rifiuto della papamobile a prova di mitra e bombe è dunque il ritorno alla tradizione di sempre. Anche se, come lo stesso Francesco ha riconosciuto, con qualche rischio in più. Una novità vera è stata, piuttosto, la decisione di restare in albergo e di lasciar vuoto l'alloggio pontificio. Chi ne ha fatto esperienza, ha un ricordo un po' soffocante delle visite in quelle stanze papali del palazzo Vaticano, tra blocchi per il riconoscimento dell'identità, telefonate interne di conferma, guardie svizzere e gendarmeria, successioni di anticamere popolate da personaggi da film in costume. Possiamo ben capire il «problema psichiatrico» di Francesco per la reclusione in simili ambienti e la sua decisione di non lasciare la suite a Santa Marta. Ma, qui pure, egli sa bene come questo sia un retaggio dei tempi in cui la passeggiata serale per Roma, senza alcuna scorta, fu forzosamente interrotta e sostituita dalla chiusura in Vaticano, mentre la città attorno era occupata con le armi. Il Papa fu sempre il più accessibile dei sovrani fino a quando non fu costretto a barricarsi. Con la sua decisione imprevista, Bergoglio ha avuto il merito di mostrare che c'è una questione che occorre esaminare. Ma il problema vero sta, forse, in un paradosso: assetato di «personaggi», quel media system internazionale che, sino a Paolo VI compreso, sembrò snobbare il papato come cosa anacronistica e opprimente, si è impadronito della figura del Pontefice argentino, rivestendolo di panni spesso non suoi. Una incursione su Internet mostra che si giunge sino all'invenzione pura e semplice di episodi di cui è protagonista e che vogliono mostrarlo ben diverso dai suoi predecessori. Da una parte «umiltà e candore» (parole testuali dalla copertina di Time), dall'altra l'attaccamento a una tradizione trionfalista e insostenibile. Papa Francesco non fa che ripetere parole di stima, affetto, fedeltà intellettuale ai suoi predecessori, ma l'aneddotica su di lui, vera o spesso falsa, vigoreggia. Chi ne scapita è il suo insegnamento, ridotto troppo spesso (almeno nei titoli) a slogan da omelia sempliciona, a pillole di scontata saggezza da Bertoldo paesano. Il Bergoglio vero non è affatto così. Ma così vuole il personaggio che gli si è ormai costruito attorno e che, almeno sinora, sembra rendere in share televisivo e in tiratura di periodici.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 02/08/2013
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CHE COS'E' LA LIBERTA'? SCEGLIERE IL BENE
Ad esempio: se davanti alla droga sono libero di scegliere, mantengo la mia libertà solo se scelgo di non drogarmi, altrimenti divento schiavo della droga e perdo la mia libertà
Autore: Carlo Climati - Fonte: Zenit, 6 Settembre 2013
Esiste, forse, una parola più affascinante di "libertà"? Pensiamo a quante persone hanno dato la vita per conquistarla o per difenderla, nel corso della storia. Senza libertà, non potrebbero esistere neppure la pace, la dignità, il rispetto dell'essere umano. Oggi, purtroppo, la parola "libertà" tende ad assumere significati sempre meno nobili. Spesso viene interpretata come una specie di diritto a fare ciò che si vuole, a vivere senza regole, pur di soddisfare il proprio egoistico piacere. A volte, per giustificare certi comportamenti, viene utilizzata un'altra parola affascinante: "scelta". E così drogarsi diventa "una scelta". Ubriacarsi è "una scelta". Abortire è "una scelta". Affittare la gravidanza di una donna povera, per poi comprare il suo bambino, è "una scelta". Volere l'eutanasia è "una scelta"… E' evidente che ci troviamo in un momento di grande confusione. Ma di chi è la colpa? Alla base di certe derive ci sono, a volte, i cattivi modelli offerti ai giovani dagli stessi genitori ed educatori, che hanno rinunciato a proporre una sana cultura del limite. Molti di loro sono cresciuti negli anni sessanta e settanta. Hanno assorbito quella non-cultura relativista e materialista che ha danneggiato progressivamente la famiglia e la scuola. Pensiamo alla moda dei "figli dei fiori". Si parlava di "pace, amore e musica". Ma la pace non era altro che l'anestesia dei cervelli, oscurati dalla droga. E l'amore si riduceva ad una semplice forma di ginnastica, in cui gli esseri umani diventavano oggetti da consumare e gettare via. Questo, purtroppo, è il terreno in cui si sono formati molti genitori ed insegnanti di oggi. Molti ragazzi del terzo millennio sono figli della generazione del "Che male c'è?" e del buonismo che giustifica tutto. Che male c'è a farsi uno spinello? Che male c'è a dire una parolaccia, ogni tanto? Che male c'è ad andare in vacanza con la fidanzata, senza essere sposati? Eppure basterebbe poco per cambiare rotta. Sarebbe sufficiente comunicare ai ragazzi il grande fascino della gestione della propria libertà. Una libertà che dovrebbe tenere conto, prima di tutto, dell'esistenza degli altri. Pensiamo ad un bellissimo film del passato: "La vita è meravigliosa" di Frank Capra. In questa pellicola indimenticabile, un angelo mostra ad un uomo sfiduciato come sarebbe stata la vita della sua città se lui non fosse mai nato. L'uomo scopre che sarebbe stata completamente diversa, essendo mancati i frutti della sua generosità e le tante case che lui aveva costruito per aiutare i poveri. L'angelo gli ricorda: "La vita di un uomo è legata a quella di tanti altri uomini. E quando quest'uomo non esiste, lascia un vuoto". Questo bellissimo esempio cinematografico ci aiuta a capire che non siamo soli. E che ogni nostra "scelta" finisce per toccare inevitabilmente anche gli altri. Così, a poco a poco, è possibile anche capire che drogarsi, ubriacarsi o abortire non può essere una "scelta". Certi comportamenti non possono far parte della nostra libertà, perché danneggiano la propria vita e quella degli altri. Per un giovane, imparare ad amministrare la propria libertà può essere davvero bello ed affascinante, soprattutto nel tempo libero. Ed è proprio da qui che deve ripartire l'educazione delle nuove generazioni. E' bello parlare di "libertà" e di "scelta". Ma in un altro modo: cercando di valorizzare la nostra capacità di usare la testa. E quindi, la possibilità che tutti noi abbiamo di scegliere ciò che è giusto o sbagliato per la nostra vita. E' questa la vera libertà. Non la libertà di fare tutto, che diventa a poco a poco una schiavitù degli istinti e delle emozioni disordinate. Imparare a scegliere significa, davvero, essere liberi. Perciò: se una discoteca offre la droga, è meglio non andarci. Se un cinema programma un film carico di violenza, è meglio recarsi da un'altra parte. Se un amico propone di bere un bicchiere di troppo, aiutiamolo a capire che può essere pericoloso per sé e per gli altri. Evitare i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio non significa essere inferiori agli altri. Dire "no" ad una folle corsa notturna in motocicletta non significa rinunciare alla propria libertà. E' esattamente il contrario. Certo, non è facile insegnare questi valori in un mondo in cui trionfano canzoni che inneggiano alla marijuana! Ma non bisogna arrendersi. E' necessario avere fiducia nei giovani, nella loro intelligenza e sensibilità.
Fonte: Zenit, 6 Settembre 2013
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IL VERO BACH: UOMO BURBERO, MA CRISTIANO AMABILE
Marito affettuoso, padre premuroso, soprattutto uomo di profonda fede cristiana
Autore: Alessio Cervelli - Fonte: BastaBugie, 30 agosto 2013
Nel 2011, in un liceo romano, di cui è carità e compassione tacere il nome, si tenne un singolare collegio docenti. Il preside riferì che era venuta a trovarlo la madre di un allievo: era un po' agitata. Si rifiutava di mandare il figlio a visitare la piazza e la basilica di San Pietro, come previsto dal calendario delle visite d'istruzione. La donna aveva sentito della sentenza della corte europea dei diritti dell'uomo sul crocifisso e sosteneva che tale visita sarebbe un condizionamento religioso emotivamente troppo forte per un quindicenne. Il docente di storia dell'arte, amareggiato, aveva fatto notare al preside che, come a Roma così in tutta l'Europa, ogni angolo ricorda il cristianesimo: per non rendersene conto, occorrerebbe starsene chiusi in aula e lasciar perdere ogni forma di approfondimento culturale; aveva insistito sul fatto che i ragazzi hanno pure diritto a essere istruiti, a sapere le cose come stanno, per poi formarsi la propria libera opinione in merito. Per tutta risposta, il preside aveva detto che il diritto di chi non vuole subire la non richiesta ostensione di simboli religiosi ha sempre la preminenza. Venne poi il turno dell'insegnante di musica, reo di aver fatto ascoltare Bach, per l'esattezza la Messa in Si minore, un capolavoro sommo! Alla richiesta da parte del dirigente scolastico di scegliere qualcosa di più religiosamente tranquillo, come Stravinskij, il professore propose la "Sinfonia di Salmi", suscitando le ire del preside, il quale ordinò al docente che, "se proprio era necessario fare un po' di Bach" (sic!), non si doveva insistere troppo sul cristianesimo e non importava riferire agli allievi certi dettagli, come il fatto che il grande compositore tedesco avesse scritto "Soli Deo Gloria" in calce a molte delle sue composizioni. I libri universitari e i testi di saggistica che spesso vengono proposti agli studenti di conservatorio non sono da meno, quanto a censure ideologiche di certo tipo. Un profilo di Bach che va molto di moda in certi ambienti accademici lo vorrebbe non uomo alquanto semplice seppur di cultura soddisfacente, persona di buona modestia e di sana ambizione; affezionato marito, buon padre di famiglia e fervente cristiano luterano, seppure con certe postille catechetiche e devozionali che attirerebbero forse di più certe simpatie dei cattolici che non quelle dei protestanti. Affatto! In verità J.S. Bach sarebbe stato un orgoglioso, tronfio e litigioso esibizionista, cosa che gli avrebbe procurato freddezza da parte dei contemporanei e perfino valso alla morte una sepoltura praticamente anonima, senza particolari onori. A detta di alcuni testi accademici molto diffusi, questa indifferenza avrebbe causato addirittura la dispersione dei suoi resti in una fossa comune e il suo corpo risulterebbe tutt'oggi disperso (Mario Carrozzo, Cristina Cimagalli, "Storia della Musica Occidentale. Volume 2", Armando Editore, Roma 2005 pag. 274). Invece, la salma di Bach fu sepolta a Lipsia, vicino alla chiesa di San Giovanni. Nel 1894, quando la chiesa dovette essere abbattuta, si decise di riesumare i resti del compositore. Si occuparono dell'operazione il Dr. Tranzschel, Rettore della chiesa, il Dr. Jungmann, Rettore emerito della Thomasschule di Lipsia, e il Dr. Wilhelm His, Professore di anatomia dell'Università di Lipsia. Dai registri della chiesa si sapeva che Bach riposava in una bara di quercia ed in un luogo preciso, e dunque l'individuazione del suo corpo non fu particolarmente difficile: lo scheletro trovato, portato in un laboratorio per le analisi, apparteneva ad un uomo anziano, alto 166,8 centimetri, di corporatura robusta. Un'ultima conferma si ebbe dall'applicazione sul cranio di una maschera funeraria in cera realizzata prima della sepoltura del musicista; l'equipe non ebbe più alcun dubbio. Le ossa vennero ricomposte e trasferite all'interno della chiesa di San Tommaso, dove riposano tuttora (il tutto oculatamente e correttamente documentato durante le operazioni di esumazione e ricognizione sul corpo di Bach: HIS 1895; HARTOG 1910; TERRY 1933: 279-280). E' poi la volta di Piero Buscaroli, col suo saggio "Bach", dove il musicologo sostiene che il nostro Johann Sebastian avrebbe usato l'organo solo come trampolino di lancio per la sua carriera: i suoi interessi erano ben altri, anche rispetto alla fede religiosa che gli sarebbe stata eccessivamente attribuita. Un giovane in cammino di formazione, trovandosi davanti un simile libro di un insigne musicologo, difficilmente sospetterà che l'autore in questione abbia fatto proprio il motto hegeliano secondo il quale, "se le mie idee ed i fatti non coincidono, tanto peggio per i fatti!". Bach ha composto per organo per tutta la sua vita, anche quando non aveva incarichi organistici remunerati, fino a pochi giorni prima della morte. Inoltre è davvero singolare la vicenda che riguarda la comparsa nella storia della musica occidentale delle Variazioni Canoniche su Vom Himmel hoc BWV 769, un canto tedesco per il tempo natalizio. Nel 1747, Bach viene ammesso tra i membri della Societat der Musikalischen Wissenschaften, fondata da Lorenz Mizler, professore di contrappunto all'università di Lipsia e precedentemente allievo di Johann Sebastian. I membri della società avevano il compito di scambiarsi ogni anno una dissertazione scientifica su argomenti matematico-musicali. Si tratta di circostanze di fatto non legate alla liturgia né al culto. Eppure Bach cosa fa? Nel primo anno di appartenenza a questo sodalizio, pre-para una relazione scientifica a dir poco singolare: appunto le Variazioni Canoniche per organo sul corale natalizio. Perché proprio un lavoro per organo in un contesto squisitamente scientifico, avulso dalla liturgia? Per una ragione molto semplice: il nostro Bach ha dedicato all'organo le proprie migliori e più appassionate energie creative, dando luogo a capolavori fino a oggi ineguagliati. In altre parole, ha consegnato all'organo i suoi sfoghi, le sue suppliche, e gli slanci della sua fede. Giustappunto! Riguardo alla vita di fede di Bach? Esaminando la Bibbia da lui posseduta in vita, possiamo osservare come appaia letteralmente divorata dall'uso costante: errori di stampa corretti a penna, centinaia di annotazioni a lato. A margine di una pagina del Secondo Libro delle Cronache, dove si racconta di come il fumo della potente presenza dell'Altissimo avesse riempito il tempio non appena i musicisti aveva intonato i canti sacri (2Cornache, 5), Bach, commosso, scrive: ""N.B. Con una musica devota Dio è sempre presente con la Sua grazia". Sul suo modo di intendere la musica sacra ed il ruolo di musicista da chiesa, ci potremmo accontentare anche soltanto di una riflessione che Johann Sebastian scrisse nel testo scolastico noto come "Principi e istruzioni per suonare il basso continuo o accompagnamento a quattro parti...", scritto per gli allievi della scuola di San Tommaso a Lipsia, di cui Bach era Kantor, ossia responsabile di tutto l'insegnamento musicale e della lingua latina (materia, quest'ultima che, come dimostrano le fonti archivistiche, Bach conosceva a buoni livelli, ma per la quale non nutriva molta simpatia). Dettando in tal sede agli allievi le istruzioni sul modo di suonare il basso continuo, Bach afferma: «Si dovrebbe produrre un' armonia eufonica per la gloria di Dio e per il possibile diletto della mente; e come tutta la musica, il suo finis e la sua causa finale non dovrebbe giammai essere altra cosa che la gloria di Dio e la ricreazione della mente, dello spirito. Se non si bada a questo, in realtà non c' è musica, ma solo grida e strepito». Alla morte del grande musicista, presentandosi la necessità di nominare il Kantor che succedesse a Bach, il borgomastro Stieglitz raccomandò: "La scuola ha bisogno di un Kantor (cioè di un insegnante per tutta la materia musicale), non di un Kapellmeister (ossia di qualcuno che spasima per la musica sacra), ancorché ovviamente debba conoscere la musica!". Un' affermazione alquanto curiosa, questa, per chi, secondo certi musicologi, avrebbe guardato all'organo e alla musica liturgica unicamente per interessi di carriera. La logica deduzione che emerge da questi aneddoti è la seguente. Ciò che occorre oggi per gli adolescenti delle scuole e i giovani studenti di conservatorio e delle accademie è una "voce controcorrente", un'adeguata apologetica in materia musicale, che, senza i paraocchi della cultura dominante laicista, in poche pagine e con parole semplici, mostri Bach per come è stato, padre e marito, uomo e cristiano, artigiano e credente. Solo allora brani come la straordinaria Ciaccona per violino e la Fantasia e Fuga in Sol minore per organo apriranno i propri scrigni contenenti frammenti di un'umanità, quella di Johann Sebastian, burbera e calda, profonda e davvero amabile, che ancora oggi ha tanto da insegnare a questo mondo, sempre più affamato di bellezza e di autenticità.
Nota di BastaBugie: l'autore dell'articolo ha pubblicato il libro "Bach: tra amore e fede. Apologia ed esegesi della Grande Fantasia e Fuga", Collana Teologica Fides Quaerens Intellectum, Edizioni Bonanno 2013.
http://www.youtube.com/watch?v=j2pp5NXNE-w
Fonte: BastaBugie, 30 agosto 2013
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EXODUS INTERNATIONAL CHIUDE DOPO AVER AIUTATO TANTI OMOSESSUALI A CAMBIARE VITA
Ultimamente ha tradito la sua missione, ma le associazioni che ne facevano parte continueranno a praticare terapie riparative
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 06-09-2013
Da qualche settimana in Italia organi di stampa e blog favorevoli alla legge contro l'omofobia e al riconoscimento legale delle unioni omosessuali cantano vittoria e sbandierano come grande successo la chiusura dell'organizzazione protestante statunitense Exodus International, che per anni ha promosso la cosiddetta terapia riparativa, cioè l'aiuto terapeutico offerto a omosessuali che vivono la loro condizione come un disagio e vogliono provare a cambiarla. Il 19 giugno scorso il presidente di Exodus International, Alan Chambers, ha annunciato la fine dell'organizzazione – e la sua trasformazione in gruppo che promuoverà la riconciliazione con il mondo omosessuale – in un messaggio dove chiede scusa alla comunità gay per avere promosso forme di omofobia e le terapie riparative, che ora giudica dannose, e si dichiara anche favorevole all'adozione di bambini da parte di coppie dello stesso sesso. Evidentemente, per gli attivisti gay, questa è la sconfitta finale delle terapie riparative. "Vedete? Lo dice persino Exodus". Ma le cose non stanno proprio così. Exodus International non era un'associazione o un movimento ma una di quelle che in America si chiamano "umbrella organizations": una coalizione, che metteva insieme, forniva servizi comuni e promuoveva con campagne pubblicitarie nazionali circa centoventi gruppi che offrivano la terapia riparativa e la loro assistenza spirituale a omosessuali che cercavano di modificare la propria condizione. Le "umbrella organizations" non vivono di vita propria: esistono finché riescono a mettere insieme un numero sufficiente di associazioni che operano sul territorio. Exodus International ha avuto momenti di grande successo grazie alle sue campagne pubblicitarie nazionali sulla possibilità per i gay di cambiare, ma ha sempre avuto anche qualche problema. Nel mondo protestante americano è stata a lungo accusata di promuovere, a posizioni di leadership, piuttosto rapidamente, persone che si presentavano come omosessuali che avevano cambiato il loro orientamento, senza troppo indagare sul carattere solido o duraturo di certe conversioni. Sono così cominciati per tempo incidenti e infortuni. Uno dei fondatori, Michael Bussee, è stato il primo nel 2007 a pubblicare una lettera di scuse per avere promosso le terapie riparative. Nel frattempo, Bussee – che si era, a suo tempo, sposato – aveva divorziato dalla moglie, aveva ripreso il suo stile di vita omosessuale e aveva anche organizzato una pubblica "cerimonia d'impegno" – il matrimonio omosessuale all'epoca non esisteva ancora negli Stati Uniti – con il suo compagno. Lo scandalo peggiore aveva riguardato uno dei più popolari portavoce di Exodus, John Paulk. Riconosciuto in un bar per gay di Washington, aveva dapprima negato di essere John Paulk, poi affermato di essere entrato nel bar per errore e infine ammesso di essere lì in cerca di avventure. Escluso da Exodus vi era poi rientrato, e – dentro o fuori dall'organizzazione – ha continuato a mantenere buoni rapporti con il presidente Chambers, che ha preceduto nel 2013 con la solita lettera di scuse per avere promosso le terapie riparative, accompagnata da una chiara dichiarazione secondo cui oggi Paulk è un omosessuale praticante. Per una qualunque associazione questi scandali sarebbero devastanti, ma per una "umbrella organization" significano semplicemente non potere continuare a esistere. I primi scandali risalgono a venticinque anni fa, ma negli ultimi anni, alle cadute morali, si sono accompagnate cadute teologiche, dal momento che il presidente Chambers ha provato a giustificare i protagonisti degli scandali con vaghi appelli alla misericordia e alla bontà di Dio, che tutto perdona (ma, evidentemente, non tutto giustifica). La più diffusa rivista evangelica americana, Christianity Today – dove Chambers ha tuttora i suoi difensori – ha dato spazio a critiche secondo cui il presidente di Exodus promuove una «teologia antinomica» simile a quella degli antichi gnostici, ed è anche – con le sue tirate contro l'omofobia in interviste a giornali come il New York Times e a trasmissioni televisive – alla ricerca di una facile popolarità "politicamente corretta". La stessa Christianity Today, nel corso degli ultimi anni ha anche documentato puntigliosamente come, uno dopo l'altro, i gruppi che aderivano a Exodus se ne siano andati. Nel dicembre 2012 la rivista riportava che «i principali leader e dozzine delle organizzazioni affiliate» erano uscite dalla «umbrella organization», un vero «esodo da Exodus», a causa delle posizioni filo-gay di Chambers e della rinuncia alle terapie riparative. La più grande delle associazioni che aderivano a Exodus International, Desert Stream Ministries, era fra quelle che avevano abbandonato Chambers. I fuoriusciti da Exodus International hanno fondato una nuova "umbrella organization" chiamata Restore Hope Network, divenuta rapidamente più grande di Exodus. C'è anche una certa confusione fra la sigla – che non esiste più – Exodus International e l'altra Exodus Global Alliance, una "coalizione di coalizioni" che operano in numerosi Paesi del mondo a sostegno degli omosessuali che intendono cambiare la loro condizione. Dopo la chiusura di Exodus International, Exodus Global Alliance ha precisato in un comunicato che le due organizzazioni sono indipendenti e che la Global Alliance continua a operare come ha sempre fatto, prendendo semplicemente atto che l'organizzazione americana ne è uscita (ma altre statunitensi ne rimangono parte). La storia di Exodus International è molto triste, ma non è andata come qualche giornale italiano la racconta. A causa delle debolezze umane dei suoi dirigenti e di una certa approssimazione e imprudenza organizzative, il suo ruolo di "umbrella organization" – che era stato a suo tempo utile – è venuto meno. L'ultimo presidente, Chambers, ha cercato di giustificare il fallimento morale e organizzativo rovesciando le premesse teologiche di Exodus International e abbracciando alcune tesi tipiche delle ideologie omosessualiste. Questo ha portato decine di associazioni che facevano parte di Exodus International ad abbandonarla. Ma non ad abbandonare la loro causa. Queste associazioni continuano a operare indipendentemente da Exodus International, e anche a collaborare tra loro nel nuovo network Restore Hope. Non bisogna confondere, come ha spiegato Andrew Comiskey, presidente di Desert Street Ministries, il «fallimento di un uomo», Chambers, e dei suoi ambigui amici con il presunto fallimento di un movimento – quello dell'assistenza spirituale e terapeutica agli omosessuali che si sentono a disagio nella loro condizione – che, nonostante l'ostilità dei media e i tentativi di chiuderlo per legge, continua invece a prosperare in tutti gli Stati Uniti.
Nota di BastaBugie: per approfondimenti sulla teoria riparativa, consigliamo la lettura dell'articolo da noi già pubblicato il 30 agosto GAY: CAMBIARE SI PUO' Raffaele ci spiega come sta uscendo dall'omosessualità (VIDEO: il professor Joseph Nicolosi e la terapia riparativa) https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2915
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 06-09-2013
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LETTERE ALLA REDAZIONE: CARI SIGNORI, TROVO SCANDALOSO ESALTARE LE CROCIATE
Confermiamo quanto scritto più volte: anche San Francesco e Santa Caterina, patroni d'Italia, giustificarono le crociate
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie, 22/07/2013
All'attenzione della redazione. Posso chiedervi perché un così bell'articolo come quello su Teresa Neumann debba essere accompagnato da un'immagine disgustosa che, come cristiano, trovo ripugnante perché assolutamente anticristiana? Cosa c'è di più contradditorio di una spada alzata per colpire da parte di un cavaliere che porta sulla propria divisa il segno di una croce? Possibile che non vi rendiate conto di questa incongruenza? Sarei contento di sapere cosa penserebbe in proposito papa Francesco. Grazie per la risposta che mi vorrete dare. Federico
Gentile Federico, sono lieto che lei abbia apprezzato l'articolo di Teresa Neumann (si legge Nòiman): TERESA NEUMANN: 36 ANNI SENZA MANGIARE E SENZA BERE E' in corso la causa di beatificazione della mistica tedesca alla quale Hitler tolse la tessera per il cibo e dette doppia razione di sapone per la biancheria inzuppata dal sangue delle stigmate https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2850
Per quanto riguarda l'immagine associata, c'è da dire che ogni articolo pubblicato su BastaBugie è correlato all'argomento di cui tratta l'articolo stesso. L'articolo sulla serva di Dio Teresa Neumann è stato messo nella categoria "Storia" e questa categoria ha come icona un crociato. Per quanto riguarda le crociate e cosa ne pensi Papa Francesco, andrebbe chiesto a lui. Certamente ci ricordiamo che già ci fu il tentativo di far passare un discorso di Benedetto XVI come se avesse chiesto scusa per le crociate. Ne parlammo a suo tempo in questo articolo di Massimo Viglione: SECONDO GIORNALI E TELEVISIONI BENEDETTO XVI AD ASSISI AVREBBE CHIESTO SCUSA PER LE CROCIATE: OVVIAMENTE È LA SOLITA BUFALA! Se per mille anni i cristiani si sono difesi dall'avanzare dell'Islam, se per secoli Papi, teologi, santi, dottori della Chiesa, sovrani, militari, interi popoli, hanno predicato la crociata o preso direttamente le armi, non sarà stato forse perché... ce n’era bisogno? Alcune precisazioni storiche https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2031
E anche se non sappiamo cosa ne pensi Papa Francesco, sappiamo però cosa ne pensava San Francesco a cui evidentemente il papa si è rifatto per la scelta del nome. Ecco l'articolo in cui ne abbiamo parlato: SAN FRANCESCO GIUSTIFICA LE CROCIATE E NON ERA PACIFISTA Ecco le prove testimoniali di chi ha conosciuto il santo https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=428
Non ci stancheremo di ricordare che le crociate, lungi dall'essere qualcosa di cui i cristiani debbano vergognarsi, furono un momento glorioso della storia della Chiesa. Ulteriori approfondimenti si possono ricavare da questo articolo del prof. Roberto De Mattei: IN DIFESA DELLE GLORIOSE CROCIATE Il vero spirito del cristianesimo è combattere per la verità (ecco perché la Chiesa ha sempre rifiutato il pacifismo) https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=82
Infine vorrei ricordare, per chi volesse approfondire ulteriormente, quanto sono preziosi i Quaderni del Timone. Costano solo € 6.00 e sono riccamente illustrati ed esaustivi nel trattare gli argomenti. Ce n'è anche uno sulle crociate. Per vedere l'elenco completo e per ordinarli basta andare a questo link: http://www.iltimone.org/index.php?option=com_content&view=article&id=81&Itemid=41
DOSSIER "LETTERE ALLA REDAZIONE" Le risposte del direttore ai lettori Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: Redazione di BastaBugie, 22/07/2013
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OMELIA XXIV DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO C - (Lc 15,1-32)
Vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 15 settembre 2013)
Il brano del Vangelo di questa domenica ci presenta diverse parabole chiamate le "parabole della misericordia". Prima di tutto abbiamo ascoltato la parabola della pecorella smarrita e poi ricondotta all'ovile; subito dopo quella della moneta ritrovata; infine la stupenda parabola del figliol prodigo. Il più grande insegnamento di queste parabole riguarda l'infinita Misericordia di Dio. Se grande è il nostro peccato, ancor più grande è la Bontà di Dio. Egli costantemente cerca le pecorelle smarrite, fà di tutto per portarle alla conversione, suscitando salutari rimorsi di coscienza e permettendo a volte anche delle sofferenze affinché il peccatore rientri in se stesso e rifletta sulla sua infelice condizione. Proprio come si legge nella parabola del figliol prodigo: il figlio ritornò in se stesso solo quando si vide ridotto alla fame. L'inizio della conversione è questo rientrare in se stessi per riflettere. Giustamente sant'Alfonso diceva che meditazione e peccato non vanno mai insieme: se ci abituiamo a meditare ogni giorno, troveremo la determinazione di abbandonare il peccato. Un tempo si insisteva molto sulla meditazione dei cosiddetti "Novissimi", ovvero sulle ultime realtà, sulla morte, il Giudizio, l'inferno e il Paradiso. Ritorniamo a queste meditazioni, ci doneranno molta luce. Per meditare basta poco. Bisogna, innanzitutto, mettersi alla presenza di Dio, ovvero essere raccolti, e leggere con calma un libro spirituale. Quando si trova un brano che ci colpisce particolarmente, ci si ferma a riflettere e ci si domanda: "Cosa vuole dirmi Gesù con questa frase?". Si riflette e si conclude poi la meditazione con un proposito pratico di miglioramento. Come il figliol prodigo, anche noi sentiremo l'ispirazione a rialzarci, a tornare a Dio, a cambiare profondamente la nostra vita, e diremo: «Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: "Padre, ho peccato verso il cielo e verso di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio"» (Lc 15,18-19). Da tutte e tre queste parabole emerge, inoltre, la gioia che vi è in Cielo per ogni peccatore che si converte. Al termine del primo racconto Gesù dice: «Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7). Concludendo la seconda parabola Gesù afferma: «Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte» (Lc 15,10). Infine, la parabola del figliol prodigo si conclude con le parole del padre rivolte al figlio maggiore: «Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Lc 15,32). Vogliamo anche noi dare questa gioia a Gesù. Rallegreremo il suo Sacratissimo Cuore convertendoci personalmente, lottando con tenacia contro i nostri difetti. Gli daremo una grande gioia, inoltre, adoperandoci per la conversione di tanti nostri fratelli che vivono lontani da Dio. Ci adopereremo alla loro conversione con la nostra preghiera, innanzitutto, sull'esempio di Mosè (cf Es 32,11), il quale, subito dopo il peccato degli israeliti, che si erano costruiti un vitello di metallo fuso, supplicò il Signore e ottenne per loro la Misericordia divina. Ci adopereremo per la conversione dei peccatori con l'offerta dei nostri sacrifici. Da soli non hanno valore, ma uniti al Sacrificio di Gesù diventeranno molto efficaci. La Madonna a Fatima insegnò ai tre Pastorelli ad offrire continuamente preghiere e sacrifici. In poche parole, questo è il grande insegnamento che ci viene dalle sei Apparizioni della Madonna a Fatima.
Nota di BastaBugie: Per l'omelia della domenica successiva, vai a https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=549
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 15 settembre 2013)
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