BastaBugie n�317 del 04 ottobre 2013

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1 LA DITTATURA GAY COSTRINGE BARILLA A SCUSE UMILIANTI
Aveva dichiarato: ''Non farei mai uno spot con una famiglia omosessuale... La famiglia a cui ci rivolgiamo noi è una famiglia classica (DUE VIDEO: cosa aveva detto e le successive scuse)
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 LE RIDICOLE AFFERMAZIONI DI EUGENIO SCALFARI SU GESU'
Gesù era Dio o un ingannatore: Scalfari invece pensa che Gesù sia un uomo grandissimo, straordinario... non sa di cosa parla!
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
3 QUELLO CHE GIORNALI E TELEVISIONI NON VI DICONO
La dittatura gay comincia da Casale Monferrato (link al VIDEO)
Autore: Alfredo Mantovano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
4 BARTALI GIUSTO TRA LE NAZIONI: 800 EBREI SALVATI
Nella canna della bicicletta portava false carte d'identità e poi i frati li smistavano per salvare gli ebrei dalla deportazione
Autore: Andrea Fagioli - Fonte: Avvenire
5 TUTTE LE ASSURDITA' DELLA LEGGE ANTI-VIVISEZIONE
Questa assurda legge ideologica paralizza la ricerca, danneggia l'uomo e, tra l'altro, non fa bene neanche agli animali
Autore: Emmanuele Michela - Fonte: Tempi
6 IO, EX LESBICA ANTICLERICALE OGGI SPOSATA CON UN UOMO, VI SVELO L'INGANNO DELLA CULTURA GAY
Se quella era la libertà, perché mi sentivo morta? Oggi rispondo: perché venivo da una realtà mossa da interessi politici ed economici che speculava sulla sofferenza dell’altro
Autore: Francesca - Fonte: Avvenire
7 UNGHERIA, DAL NAZISMO AL COMUNISMO: OGGI SI CELEBRANO I ''DOPPI RESISTENTI'' COME IL CARDINAL MINDSZENTY
Voluto nel 2002 dal primo ministro Viktor Orbán, il museo ''Casa del Terrore'' a Budapest intende celebrare il ritorno alla libertà dopo il duplice totalitarismo
Autore: Alessandro Zaccuri - Fonte: Avvenire
8 BEATO ROLANDO RIVI, IL SEMINARISTA UCCISO DAI PARTIGIANI
La formazione partigiana garibaldina ne sentenziò la morte con questa motivazione: ''Domani... un prete di meno''
Autore: Antonio Borrelli - Fonte: santiebeati.it
9 VOLANTINO DA DIFFONDERE SUL REATO DI OMOFOBIA
Tutti dobbiamo fare uno sforzo per diffondere le notizie che la cultura dominante ci vuole nascondere
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie
10 OMELIA XXVII DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO C - (Lc 17,5-10)
Accresci in noi la fede!
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - LA DITTATURA GAY COSTRINGE BARILLA A SCUSE UMILIANTI
Aveva dichiarato: ''Non farei mai uno spot con una famiglia omosessuale... La famiglia a cui ci rivolgiamo noi è una famiglia classica (DUE VIDEO: cosa aveva detto e le successive scuse)
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 30/09/2013

Guardate con molta attenzione questo video, perché è la testimonianza più drammatica della catastrofe sociale, culturale e giuridica che stiamo vivendo. E' un documento che dovrebbe far ribollire le nostre coscienze.
Guido Barilla - presidente della omonima multinazionale alimentare, uno dei marchi italiani più conosciuti al mondo - volto teso, voce nervosa, è costretto a umilianti scuse, sul modello dei dissidenti cinesi. E' una vecchia pratica maoista, ma torna sempre buona. Nella versione originale ci sono prima i lavori forzati e le sessioni di rieducazione, poi la pubblica autocritica. Nel caso specifico la rieducazione è stata veloce: un bombardamento mediatico scatenato dalla lobby gay e amplificato da tutti i maggiori quotidiani: in poche ore un brillante capitano d'industria trasformato sui notiziari di tutto il mondo in uno dei peggiori criminali in circolazione, inviti al boicottaggio dei suoi prodotti. E l'autocritica scatta immediata, anche per le forti pressioni in azienda e in famiglia per evitare un presunto disastro economico. Lo ha spiegato bene suo fratello Luca, vice-presidente del gruppo, parlando ai ragazzi delle scuole di Fidenza: «Mio fratello ha sbagliato - ha detto -, ma ha chiesto scusa perché noi in azienda rispondiamo alla regola che ci diede nostro padre: 'Che nessun dipendente abbia mai a vergognarsi di ciò che fa la Barilla'».

VERGOGNARSI DI COSA?
E di cosa dovrebbe vergognarsi la Barilla? Del fatto che Guido, intervenendo a un programma radiofonico e rispondendo alle domande pressanti dei suoi interlocutori che gli chiedevano perché non fa uno spot pubblicitario sulle famiglie gay, ha dapprima detto che i suoi soldi li investe come vuole, poi ha spiegato che non farà mai spot per famiglie gay perché lui crede che la famiglia sia solo quella naturale, marito, moglie e figli.
Cioè la Barilla dovrebbe vergognarsi di aver affermato ciò che è sancito dalla nostra Costituzione, per la quale la famiglia gay semplicemente non esiste. C'è una sola famiglia, che è «una società naturale fondata sul matrimonio» (art. 29), finalizzata a «mantenere, istruire, educare i figli» (art. 30). Guido Barilla ha detto soltanto ciò che la Costituzione sancisce e rivendicato la facoltà di scegliere un pubblico di riferimento per vendere i suoi prodotti. Nessuna discriminazione, nessun atteggiamento anti-gay, nessun incitamento all'odio e alla violenza.
Eppure si dovrebbe vergognare perché, come dice nel video di scuse, «mi hanno fatto capire che sul dibattito riguardante l'evoluzione della famiglia ho molto da imparare».
Così eccolo che si deve umiliare impegnandosi a incontrare nelle prossime settimane «gli esponenti delle associazioni che meglio rappresentano l'evoluzione della famiglia», cioè le associazioni gay. Affiora la possibilità, evocata dall'onnipresente Dario Fo in una lettera aperta a Guido Barilla, di uno spot Barilla pro-gay. Ed ecco allora che le terribili accuse dei giorni precedenti diventano magnanimità nei confronti del peccatore disposto a riconoscere i suoi peccati. Vedi il linguaggio clericale di Franco Grillini, presidente onorario dell'Arcigay e consigliere regionale in Emilia-Romagna: «Capita a tutti di sbagliare nella vita - ha detto dopo aver visto il video -, l'importante è accorgersi dell'errore, ammetterlo sinceramente e fare di tutto perché ci sia un atteggiamento e una azione riparatrice». Da vomito.
Così adesso Grillini è disposto a ricevere il "pentito" Barilla nel suo ufficio in Regione. Hanno piegato il nemico, adesso lo vogliono vedere strisciare ai loro piedi e farsi pagare un bellissimo spot che magari farà perdere quote di mercato alla Barilla (le famiglie vere contano più dei gay al supermercato) ma che sarà il trionfo dell'ideologia gay, il trionfo della violenza e dell'arroganza.

È TEMPO DI SVEGLIARSI
Possibile che nessuno si svegli davanti a queste cose? I gravi fatti di Casale Monferrato, con lo squadrismo gay che impedisce un normalissimo convegno (fatti ignorati ovviamente dalla stampa, inclusa quella cattolica) e ora la squallida vicenda Barilla: non è ancora chiaro che c'è una minoranza violenta e arrogante che detta legge e di cui siamo tutti ostaggio? Affermare che la famiglia è fondata sul matrimonio tra uomo e donna è diventato un crimine, «un'uscita infelice» nella migliore delle ipotesi (vedi Corriere della Sera). Non è ancora chiaro che la legge sull'omofobia non c'entra niente con le presunte violenze contro gli omosessuali, ma è soltanto un tassello nel consolidamento di una dittatura gay?
Come si fa ancora a sostenere che i gay sono discriminati? Imperversano nei giornali e nelle tv, comandano al cinema, dettano legge in politica, sono forti perfino nella Chiesa. Le donne con figli sono discriminate, non i gay. Nessun datore di lavoro ti chiede se sei gay, ma la stragrande maggioranza chiede alle donne giovani se hanno intenzione di sposarsi e fare figli (inteso che al "sì" si straccia la domanda di assunzione) o più semplicemente vengono scartate subito. E nessuno che si scandalizzi di ciò, nessuno che intervenga. [...]
L'autocritica di Guido Barilla è un documento agghiacciante. Che almeno serva a risvegliare qualche coscienza.

Nota di BastaBugie: vi invitiamo a vedere i due video. Il primo è la versione integrale dell'intervista a Guido Barilla a La Zanzara su Radio 24. Pur manifestandosi a favore dei matrimoni gay, viene considerato omofobo. ll secondo video è quello pubblicato nel sito della Barilla dove Guido chiede scusa e si dimostra disponibile ad imparare le evoluzioni della famiglia dalle associazioni omosessualiste: umiliante!


https://www.youtube.com/watch?v=ovLDCzDIO5g


http://www.youtube.com/watch?v=e4roUsVXzR4

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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 30/09/2013

2 - LE RIDICOLE AFFERMAZIONI DI EUGENIO SCALFARI SU GESU'
Gesù era Dio o un ingannatore: Scalfari invece pensa che Gesù sia un uomo grandissimo, straordinario... non sa di cosa parla!
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 25 settembre 2013

Sono sicura che Dio salverà delle anime, chissà quali, per un guizzo di bene, per uno sguardo rivolto a lui, per un momento di umiltà. Sono certa che lui sappia raccogliere da terra le nostre briciole di bene, che non ne sprechi nessuna. Sono certissima che sappia farlo molto più di noi.
L’altra sera persino io, per dire, (che comunque sono nel mio piccolo a sua immagine e somiglianza) ho provato un moto di tenerezza – figuriamoci quanta ne ha provata Lui! – per Scalfari, ascoltando le sue risposte all’intervista di Lilli Gruber. (n.b. Ascoltando è una parola grossa: stavo dando la cena ai ragazzi, e, con una deroga alla regola della tv spenta, mi sono comprata il loro silenzio dicendo alcuni sì a caso alle loro richieste. Credo che si siano mangiati sei gelati a testa).
Comunque, per quel che mi è stato dato di sentire, ho potuto cogliere la grande padronanza e la visione di insieme del vecchio osservatore – non tanto esterno – di tutta la vita politica e sociale italiana degli ultimi decenni.
Ma quando si è arrivati al tema della fede, la mancanza dei fondamentali del grande Eugenio mi si è palesata in tutta la sua evidenza: si capiva benissimo che stava parlando un linguaggio non suo, che attraversava con passo insicuro terreni mai solcati, o abbandonati da tanto tempo, incolti, irti per lui di pericoli. Niente di male, si intenda: io avrei la stessa poca padronanza, la stessa insicurezza nell’esprimermi, la stessa visione elementare se mi trovassi a parlare praticamente di tutti gli argomenti dello scibile umano. Solo che in bocca a un uomo così scaltro, potente, sicuro in altri campi, quella poca sapienza suonava strana.
È poi c’è stato il momento in cui ho provato tenerezza, lo ammetto. Quando il fondatore del giornale che tutti conosciamo (inserire qui aggettivi a scelta, siete soli davanti al computer, potete farlo) ha detto: “ma io sono innamorato!! Sono innamorato di Gesù! Un uomo grandissimo, straordinario!”, ecco, in quel momento ho visto con tenerezza tutta la fragilità di un uomo molto avanti con gli anni, non in ottima salute, di fronte alle grandi domande della vita.
Moltissimi di noi sono innamorati di Gesù. Molti lo sono così tanto che ci si sono giocati tutto, tutta la propria vita. Hanno scommesso su di lui qualcosa di serio, di molto serio, hanno rinunciato a qualcosa che non tornerà mai più. Tutto lasciato alle spalle per seguirlo. Ma perché?
Perché hanno, abbiamo creduto che quello che Gesù diceva è vero.
D’altra parte ci sono solo due possibilità: o è vero, o non lo è. Quel falegname nato in Palestina sotto Augusto e morto sotto Tiberio, una persona esistita davvero, ormai è provato storicamente, o era un bugiardo piuttosto in gamba, o è il Figlio di Dio. O ci ha detto un sacco di balle, o la verità (o, come dice lui, addirittura è la verità).
Se ha mentito, non è che abbia fatto una gran figura. Non è stato un rivoluzionario, non ha cambiato la condizione della gente che diceva di preferire, ha detto persino di dare a Cesare le monete con la sua faccia, e anche se era gentile con i poveri non ha risolto i loro problemi sociali. Diceva di dar loro da mangiare, ma aveva solo qualche pesce e qualche pane raccattato tra i suoi amici. Non è stato un eroe perché è morto senza neanche difendersi, e per di più come un malfattore. Al massimo si può dire che ha sopportato bene il dolore, ma a me che cosa cambia? Si può stimare uno perché ha una soglia del dolore altissima? (Beato lui, ma che mi risolve quando ho mal di testa? Chi consola la mamma di quel bambino malato?) Ha detto che sarebbe risuscitato e non lo ha fatto. Ha detto che poteva guarire le persone, ma se era solo un essere umano, e per di più poco affidabile, come poteva guarire solo toccando? Ha detto alcune belle parole, socialmente meritorie, porgi l’altra guancia e da’ la tunica a chi ti prende il mantello, ma se per tutto il resto ha detto delle bugie non è che sia così affascinante. Ha detto che amava i suoi amici, forse lo ha fatto, ma adesso è morto e quando mi sento incompresa come può consolarmi il pensiero che duemila anni fa è vissuto uno molto affettuoso con i suoi? Io voglio uno che ami me in quel modo assoluto e totale, e lui è morto, e nessuno mi consola. Come si può essere innamorati di uno che spara così tante balle?
Oppure quello che ha detto è tutto vero. È stato messo in un sepolcro che poi è stato trovato vuoto. Il suo corpo trafitto dai chiodi è tornato a vivere. A chi crede in Lui ha dato la possibilità di diventare figlio di Dio, quindi di non morire. Lui è Dio. Lui è con noi tutti i giorni e ci ha lasciato lo Spirito Santo. Il pane che mangiamo a messa è davvero il suo corpo. Chi vede lui vede il Padre. È una delle tre persone della Trinità. Tre persone vive con cui entrare in una relazione vera, la più vera e concreta e importante della nostra vita, più di quella con lo sposo, con i figli, con i genitori. Più amico degli amici, più fratello dei fratelli, più vero di noi stessi che adesso possiamo toccare le nostre mani mentre leggiamo. Questa è la buona notizia che cambia la storia dell’universo. Questa è la persona che tutta la vita continuiamo a cercare e desiderare. Questo è l’amore totale assoluto incondizionato di cui abbiamo nostalgia a ogni respiro.
L’altro invece, il falegname palestinese bugiardo, è uno che ha detto alcune belle parole insieme a un sacco di bugie, praticamente un buon pubblicitario. Squinternato e illuso. Incapace di cambiare la realtà che siamo (saremmo) solo cibo per vermi, destinati a finire nella terra e a marcire.
Io sono sicura che anche Scalfari cerca quell’altro Gesù, quello vero, quello che è Dio, e, chissà che questo desiderio, piccolo, dubbioso, chissà, forse soffocato da tante erbacce Dio non sappia farlo germogliare. Scalfari dice “non ho la fede ma neanche la cerco”. Io però credo che la cerchi eccome, se dice di essere innamorato di Gesù.
E soprattutto, come direbbe Francesco, chi sono io per giudicare un direttore che cerca Dio?

Fonte: Blog di Costanza Miriano, 25 settembre 2013

3 - QUELLO CHE GIORNALI E TELEVISIONI NON VI DICONO
La dittatura gay comincia da Casale Monferrato (link al VIDEO)
Autore: Alfredo Mantovano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 24/09/2013

Immaginiamo la scena. Una domenica sera di fine estate, una tranquilla città di provincia, un gruppo di associazioni di gay che riuniscono pacificamente i loro simpatizzanti per parlare della legge anti omofobia e per esporre le loro ragioni a sostegno dell'introduzione del matrimonio fra persone dello stesso sesso. Non fanno in tempo a iniziare: nella sala fino a quel momento serena irrompono militanti di organizzazioni ostili, i quali urlano, esibiscono t-shirt e cartelli offensivi, salgono sul palco dei relatori, costringono il convegno a interrompersi. Una vicenda così sarebbe andata subito fra i titoli di apertura dei tg serali, nelle prime pagine dei quotidiani del giorno successivo, qualche alta carica istituzionale si sarebbe precipitata sul posto per manifestare vicinanza agli organizzatori, il Senato si sarebbe riunito d'urgenza per approvare il prima possibile la legge anti omofobia nella versione più punitiva, e guai a chi avesse obiettato qualcosa. Dimenticavo: gli autori della vile aggressione sarebbero stati processati per direttissima.
Domenica 22 a Casale Monferrato non è andata esattamente così. Tre pacifiche associazioni ecclesiali, Alleanza Cattolica, Comunione e liberazione e Movimento per la vita, organizzano nell'auditorium San Filippo un convegno dal titolo Gender, omofobia, transfobia. Verso l'abolizione dell'uomo?, col patrocinio dell'Ufficio per la Pastorale della salute della diocesi di Casale. Presente un pubblico di 150 persone, saluta un sacerdote – don Luigi Cabrino – in rappresentanza della diocesi; introduce una signora, Margherita Garrone, benemerita dei Centri di aiuto alla vita. Relatori l'avv. Giorgio Razeto, dei Giuristi per la vita, e il prof. Mauro Ronco, di Alleanza Cattolica. Un convegno si studio e di approfondimento, al quale assiste il sindaco di Casale, l'ing. Giorgio Demezzi: che l'aria non sia delle migliori lo si coglie prima dell'avvio, quando relatori e pubblico sono accolti all'ingresso da un picchetto di persone che indossano magliette e reggono cartelli con rivendicazioni dei movimenti gay.
Il bello viene quando iniziano le relazioni: parla l'avv. Razeto e partono le prime provocazioni, tutto sommato soft, provenienti da una quarantina di molestatori che entrano in sala. La parola passa al prof. Ronco e si scatena il finimondo: nonostante le urla, i fischi, i "buuu" alternati ai "vergogna!", Ronco va avanti col tono più calmo possibile, senza reagire, nemmeno verbalmente. Alle parole si accompagnano i gesti: c'è chi si mette di fronte al tavolo del convegno con le braccia allargate e grida al relatore che sta mentendo e non sa quello che di dice; una ventina di ragazze, reggendo dei cartelloni, salgono sul palco e si dispongono a cerchio attorno al tavolo stesso. Non potendo più proseguire, Ronco chiude l'intervento e invita il pubblico a lasciare la sala senza raccogliere provocazioni. Nel frattempo giungono due carabinieri, chiamati dal sindaco, ma il convegno è ormai rovinato, e la presenza dei militari evita ulteriori degenerazioni.
Nessun tg, neanche quello regionale, riporta la notizia e il giorno dopo sui quotidiani nazionali non compare nemmeno un trafiletto di cento battute. Silenzio assoluto! Con una sola eccezione: presente all'incontro è un giornalista de Il Fatto quotidiano, Simone Badaucco, che ha cura di filmare le scene dell'irruzione e di pubblicarle sul sito del giornale (per vederle clicca qui e qui).
Apprendiamo così che la contestazione è avvenuta da parte di attivisti e attiviste del Coordinamento Torino pride Glbt, unitamente al collettivo Altereva e ad Arcigay. Nella cronaca che accompagna il video pare cogliersi una giustificazione: "Nel corso dell'incontro – si legge – i relatori, dopo aver affrontato il tema dell'estensione della legge Mancino ai reati di omofobia e transfobia, hanno difeso a spada tratta la naturalità dell'unione tra uomo e donna minimizzando il problema dell'omofobia. Posizioni che hanno scatenato la contestazione del collettivo Altereva e di Arcigay che hanno bloccato l'incontro in segno di protesta." Dal che si ricava che se qualcuno osa criticare l'applicazione della legge Mancino all'omofobia e alla trans fobia e addirittura arriva a difendere – senza spade: i relatori non le possedevano – la famiglia come "società naturale fondata sul matrimonio" fra uomo e donna, come recita l'articolo 29 della Costituzione, è giusto impedirgli di parlare.
Già sarebbe stato grave interrompere una manifestazione in piazza sul medesimo tema, magari piena di slogan ma povera di approfondimenti. A Casale Monferrato l'interruzione del convegno – non è un dettaglio – è avvenuta quando a parlare era il prof. Mauro Ronco, ordinario di diritto penale all'università di Padova, già presidente dell'Ordine forense di Torino e già componente del C.S.M.: il che vuol dire che i contestatori non erano stati disturbati da frasi a effetto, non volevano proprio che venisse trattato il tema da chi non la pensa come loro, pur con ragionamenti fondati su logica e scienza giuridica.
È possibile aggiungere, senza processi alle intenzioni, che la presenza del redattore de Il Fatto da un lato conferma il carattere preordinato dell'iniziativa – a prescindere da ciò che avessero detto, i relatori non dovevano parlare –, dall'altro che si contava su qualche reazione del pubblico per essere pronti, attraverso le riprese, a recitare la parte delle vittime. E la cosa non è riuscita.
Gli attivisti e le attiviste del Coordinamento Torino pride Glbt, insieme col collettivo Altereva e con Arcigay meritano gratitudine. La loro impazienza è istruttiva: sì, impazienza; in fondo hanno anticipato con cartelli, urla e invettive quello che fra breve potrebbe essere scritto nelle sentenze. Bisogna essere loro grati perché, se ve ne fosse bisogno, hanno confermato nei fatti – concedendo quello che può essere definito un acconto – che, come il soggetto sociale realmente discriminato oggi è la famiglia, chi parla della famiglia come realtà di natura deve smetterla, con le buone o con le cattive. Con la consumazione di reati che resteranno impuniti o con norme di una legge liberticida che la Camera ha licenziato sull'onda di suggestioni irragionevoli. Sì, il gesto violento degli attivisti gay in una domenica di fine estate in una città di provincia, reso noto da un quotidiano ferocemente ostile ai principi naturali, può aprire gli occhi a chi finora sul punto ha piegato la schiena per quieto vivere. Come non dire loro grazie?

Nota di BastaBugie: per vedere cosa è successo a Casale Monferrato, clicca qui!
Tutti siamo inviatati alle veglie contro la legge sull'omofobia, in difesa della libertà di pensiero in Italia: Roma, Milano, Pisa, Bologna, Bolzano, Venezia, Bisceglie. Venerdì 11 ottobre: partecipa anche tu! Per informazioni, clicca qui sotto
https://www.bastabugie.it/it/contenuti.php?pagina=utility&nome=_la_manif_pour_tous_italia_no_reato_di_omofobia_scalfarotto_matrimoni_gay

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 24/09/2013

4 - BARTALI GIUSTO TRA LE NAZIONI: 800 EBREI SALVATI
Nella canna della bicicletta portava false carte d'identità e poi i frati li smistavano per salvare gli ebrei dalla deportazione
Autore: Andrea Fagioli - Fonte: Avvenire, 24/09/2013

La bici come nascondiglio, la gambe come motore. Poi via, pedalando a più non posso verso Genova, Perugia o Assisi. Così, partendo dalla sua Firenze e fingendosi in allenamento, in una sorta di cilindro montato sulla canna della bicicletta e simile a una pompa per tubolari, Gino Bartali negli anni dell'occupazione nazista trasportava false carte d'identità e altri documenti clandestini prima alla Certosa di Lucca e poi ad Assisi, dove i frati li smistavano per salvare gli ebrei dalla deportazione. Si parla di almeno 800 persone, tanto che lo Yad Vashem, il sacrario della Memoria di Gerusalemme, ieri lo ha dichiarato «Giusto tra le nazioni». Una notizia non inattesa – se ne parlava da tempo – ma ieri final-mente ufficializzata dal sito Internet dell'istituzione israeliana. Lo Yad Vashem spiega che il campione di ciclismo, «cattolico devoto, ha fatto parte di una rete di salvataggio i cui leader sono stati il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l'arcivescovo della città cardinale Elia Dalla Costa. Questa rete ebraico-cristiana, messa in piedi a seguito dell'occupazione tedesca e all'avvio della deportazione degli ebrei, ha salvato centinaia di ebrei locali ed ebrei rifugiati». Bartali ha agito «come corriere della rete, nascondendo falsi documenti e carte nella sua bicicletta e trasportandoli attraverso le città, tutto con la scusa che si stava allenando. Quando veniva fermato chiedeva che la sua bicicletta non venisse toccata perché... le diverse parti erano calibrate attentamente per raggiungere la massima velocità... Pur a conoscenza dei rischi che la sua vita correva per aiutare gli ebrei, Bartali ha trasferito falsi documenti a vari contatti e tra questi il rabbino Cassuto». Ma tra il 1943 e il '44 Bartali collaborò anche con Giorgio Nissim, ragioniere ebreo di Pisa, con il quale costruì una rete clandestina tra Genova e Firenze, evitando controlli accurati sulla bici grazie anche alla sua notorietà. «È una cosa magnifica – ha commentato Andrea Bartali, figlio del grande 'Ginettaccio' –. Aspettavamo questa notizia già da qualche tempo, soprattutto dopo che un mese fa è stato dichiarato 'Giusto tra le nazioni' il cardinale Dalla Costa». Altro motivo di soddisfazione, in attesa della cerimonia che si terrà in Italia in data da stabilire, il fatto che la famiglia sia già stata invitata ad ottobre a Gerusalemme per una gran fondo di ciclismo dedicata al campione. «Nella bici di Bartali le carte della libertà per gli ebrei perseguitati: pure oggi le bici a Firenze siano strumento di fraternità e pace», ha commentato il cardinale Giuseppe Betori facendo riferimento ai Mondiali di ciclismo in corso a Firenze. Parlando di Bartali, Betori ha aggiunto: «Uomo di fede profonda, militante nell'Azione Cattolica e terziario carmelitano, il suo nome verrà ora scolpito accanto a quello del cardinale Elia Dalla Costa con il quale contribuì a salvare decine di ebrei dalla deportazione». [...]
Eppure il grande campione è sempre stato restio a parlare di questa sua attività a favore degli ebrei, preferiva parlare della sua militanza nell'Azione cattolica ricordando l'iscrizione a 10 anni e vantandosi del distintivo che ha portato fino alla fine dei suoi giorni, il 5 maggio del Duemila all'età di 86 anni. Così come per il suo funerale non volle indossare la maglia gialla e nemmeno quella rosa, bensì il saio carmelitano. «Per la sua ultima 'corsa' Gino Bartali ha scelto il segno del suo attaccamento alla fede, anziché il segno delle sue vittorie in bicicletta», disse il cardinale Silvano Piovanelli celebrando la messa nella chiesa di San Piero in Palco, in quella piazza Elia Dalla Costa (guarda caso, proprio l'amico cardinale che aveva celebrato le sue nozze e che gli aveva chiesto di rischiare per salvare gli ebrei) dove Bartali abitava da anni e dove, all'interno della propria abitazione, aveva fatto costruire una cappellina in ricordo del fratello minore, anche lui ciclista, morto in un incidente di bicicletta il 14 giugno 1936.
Nella cappella il grande campione si ritirava spesso in preghiera e ogni tanto ci faceva celebrare la messa. A i tempi delle gare gli avversari lo chiamavano Gino «il pio», ma anche «l'assassino», lo apostrofavano così per la sua militanza nell'Azione cattolica e per i continui scatti in salita che spezzavano le gambe ai compagni di fuga. Tra l'altro il campione ricordava volentieri come una delle sue vittorie più belle nel famoso Tour de France del 1948 fosse stata quella di Lourdes. Ma il santuario per Bartali più importante era il Ghisallo, celebre salita del comasco: «Ci passai già nel '35 quando arrivai secondo al Giro di Lombardia – raccontava scavando nei ricordi il 'brontolone dal grande cuore' –. Al Ghisallo sono sempre rimasto fedele. La Madonnina l'abbiamo fatta dedicare ai ciclisti da Pio XII; si fece una staffetta da Roma con la fiaccola accesa dal Papa. Coppi la portò ai piedi del Ghisallo, io fino alla cima».

Fonte: Avvenire, 24/09/2013

5 - TUTTE LE ASSURDITA' DELLA LEGGE ANTI-VIVISEZIONE
Questa assurda legge ideologica paralizza la ricerca, danneggia l'uomo e, tra l'altro, non fa bene neanche agli animali
Autore: Emmanuele Michela - Fonte: Tempi, 24/09/2013

Prosegue la trattativa tra scienziati e governo italiano per ridimensionare la legge cosiddetta "restringi-vivisezione". Venerdì scorso 20 settembre centinaia di ricercatori sono scesi in piazza per la libertà di ricerca, e ora attendono con fiducia le decisioni della Commissione sanità del Senato. «Confidiamo nel governo: le obiezioni a questa legge sono chiare e hanno trovato ormai condivisione da parte di tutti i centri di ricerca più importanti d'Italia», spiega a tempi.it Dario Padovan, biologo e coordinatore del comitato scientifico di Pro-Test Italia, associazione tra le più attive nel denunciare la disinformazione che accompagna il dibattito sul tema "vivisezione" in Italia.
Dottor Padovan, soddisfatti della manifestazione di venerdì?
Sì, in piazza con noi c'erano tante associazioni, anche europee e americane: penso all'American Physiological Society, o alla Faseb, sigla di biologia sperimentale che raccoglie più di 100 mila ricercatori. La modifica che in Italia si sta cercando di applicare alla direttiva europea in realtà complica solo la vita ai ricercatori, danneggia la vita dei malati e non porta ad alcun beneficio per gli animali.
Nessun beneficio per gli animali?
È il controsenso più grande. Facciamo un esempio: uno dei punti è l'obbligo di anestesia sempre e comunque. Anche per esperimenti che provocano un dolore più che sopportabile: pensiamo a un prelievo di sangue, che provoca un dolore lieve. La direttiva europea specifica che se il dolore è lieve non serve anestesia, la norma italiana invece dice il contrario. È assurdo dover praticare un'anestesia per un prelievo di sangue, una misura che tra l'altro non va neanche a beneficio dell'animale, visto che ogni anestesia ha un coefficiente di rischio, per quanto basso, oltre a causare un certo fastidio nel recupero.
Quali sono le restrizioni più preoccupanti previste dalla "restringi vivisezione"?
Il danno più grande lo fa l'emendamento sugli xenotrapianti, che è una pratica poco conosciuta. Se stiamo alla propaganda animalista, "xenotrapianto" significa prendere il cuore da un babbuino e trapiantarlo in un uomo. Ma non è una definizione che non corrisponde alla realtà. La pratica viene usata per esempio nelle ricerche sul cancro, che servono sia per fare ricerca pura, sia per trovare terapie personalizzate: davanti a un paziente con un tumore, invece di andare avanti per tentativi chemioterapici, io prendo una biopsia del tumore, la impianto in un topo e poi tratto lui. Così riesco a capire a cosa risponde il tumore e la terapia migliore per il malato. E poi ci sono gli xenotrapianti d'organo.
Di che si tratta?
È una pratica che si sta sviluppando. Un organo animale viene "decellularizzato" lasciando solo l'impalcatura di tessuto connettivo. Qui si impiantano le cellule staminali per ricostruire l'organo di partenza. Al momento questo è riuscito con successo sui topi, sembra una cosa di piccolo conto, invece in futuro potrebbe risolvere molti problemi legati ai trapianti. Pensiamo per esempio a un animale con un cuore simile al nostro in quanto a dimensioni, il maiale: potremmo usare l'impalcatura del suo cuore per svilupparne uno da trapiantare nell'uomo. In questo modo si eliminerebbe il problema della scarsa disponibilità di organi e quello del possibile rigetto, dato che il cuore sarebbe ricostruito da cellule staminali del paziente stesso.
E per quanto riguarda i metodi alternativi alla sperimentazione animale? La nuova legge intende incentivarne l'impiego, ma ne esistono di efficaci?
Siamo molto indietro. Già oggi la legge vigente prevede che l'utilizzo di animali per la sperimentazione sia ammesso solo quando non ci sono alternative. Il problema è che i metodi alternativi non consentono una sostituzione da animale a vitro, ma una riduzione. L'idea è quella di seguire le tre "R": riduzione, raffinamento e rimpiazzo. Ma quest'ultimo è la cosa più difficile da ottenere. Testare i cosmetici sugli animali, per esempio, in Europa è vietato, però la conseguenza è che su alcuni prodotti non si possono applicare tutti i test che servirebbero con il risultato pratico che questi cosmetici non saranno messi in commercio. Certo, non è un dramma finché parliamo di cosmetici, però fa riflettere: il blocco della sperimentazione animale ha bloccato in toto l'innovazione in quel campo.
Per altro la legge in questione supera le stesse direttive dell'Unione Europea, cosa che Bruxelles ha espressamente vietato. Perché alla Camera invece si è scelta questa strada?
Già le norme Ue erano molto stringenti. La direttiva è frutto di 15 anni di mediazione e discussione tra i ricercatori e la principale lobby animalista europea, l'"Eurogroup for animals". In Italia siamo andati oltre anche per colpa degli scienziati, che non si sono troppo preoccupati di vigilare sulla cosa. Noi dal canto nostro abbiamo segnalato ai parlamentari tutti i nostri dubbi: pensi che in origine l'emendamento vietava addirittura l'utilizzo di animali nella didattica per veterinari. Un'assurdità che siamo riusciti a impedire, sebbene lo stesso divieto sia rimasto per biologi e zootecnologi. Ma il punto è che in Italia le associazioni animaliste sono molto attive, e più di una fa disinformazione pura.
Ci faccia un esempio.
L'utilizzo dei cani e dei gatti randagi. Se si leggono alcuni commenti firmati da animalisti, sembra che la direttiva ammetta l'utilizzo di questi animali per la ricerca. Ma in realtà la normativa dice chiaramente che non si può sperimentare su animali randagi. Si aggiunge poi che la sperimentazione su di loro è ammessa solo in caso di gravissimo rischio per l'ambiente, per l'uomo o per gli stessi animali, o se si deve fare qualcosa per la sopravvivenza di quella specie e non ci sono alternative. Se volessi studiare, ad esempio, il Fiv, il corrispettivo dell'Hiv per i gatti, ho due alternative: prendo un gatto da laboratorio, lo infetto con il virus e lo studio; oppure cerco un gatto già infettato e lo studio. Per il benessere dei gatti, è molto meglio seguire la seconda strada, ma alcune associazioni animaliste l'hanno fatta passare come un via libera alla sperimentazione su tutti i randagi. Inoltre la normativa prevede chiaramente il divieto di sperimentare sulle cosiddette "specie d'affezione", cani e gatti, a meno che non ci siano motivi specifici per farlo. Va richiesta una deroga, che deve essere approvata dal ministero. Eppure siamo costretti a leggere appelli scandalizzati che denunciano presunti esperimenti sui cani senza anestesia, quando magari ciò che viene testato è un antipulci.
Venerdì è intervenuto il senatore Carlo Giovanardi, che ha spiegato come la battaglia non sia solo politica e scientifica, ma anche culturale: bisognerebbe avere cura dell'uomo, prima che dell'animale. È d'accordo?
Sì. Bisogna offrire una corretta informazione alla gente, quindi è un problema culturale. La parola vivisezione è un termine molto forte, e pure scorretto: lo dice lo stesso Umberto Veronesi, che pure è un vegetariano convinto. Se chiediamo a una persona qualsiasi di scegliere tra sacrificare dieci bambini o dieci animali, è chiaro che tutti sceglieremmo la seconda ipotesi. La gente però non riesce a capire perché debbano essere usati gli animali, proprio perché prevale una disinformazione di fondo. Io sono dell'idea che gli animali vadano tutelati, però le loro esigenze stanno un gradino sotto a quelle degli uomini e dei bambini. Prendiamo la leucemia infantile: quarant'anni fa il 99 per cento dei casi portava alla morte del paziente entro 6 mesi; oggi si riesce a trattare il 90-95 per cento dei casi. Questo progresso è costato il sacrificio di qualche animale? Sicuramente sì, però adesso possiamo salvare tutti quei bambini.

Fonte: Tempi, 24/09/2013

6 - IO, EX LESBICA ANTICLERICALE OGGI SPOSATA CON UN UOMO, VI SVELO L'INGANNO DELLA CULTURA GAY
Se quella era la libertà, perché mi sentivo morta? Oggi rispondo: perché venivo da una realtà mossa da interessi politici ed economici che speculava sulla sofferenza dell’altro
Autore: Francesca - Fonte: Avvenire, 28/09/2013

Ho scoperto di essere lesbica quando lavoravo negli ambienti universitari. Mi occupavo di scienze sociali perciò, un po' per lavoro, un po' per interesse, iniziai a frequentare movimenti femministi. Provenivo da un ambiente sociale e famigliare segnato da un forte clima di individualismo (ognuno deve sapersela cavare da solo e bene), perciò non fu difficile per me sposare ciò che il femminismo radicale insegna: la donna basta a se stessa e l'uomo rappresenta un nemico. Nei numerosi circoli culturali che frequentavo, notavo che i dibattiti, l'arte, le presentazioni librarie, la moda, la comunicazione, gli eventi avevano un filo comune che tesseva l'immagine della donna di oggi: difenditi e aggredisci per sopravvivere al maschio dominatore e trova solidarietà e protezione nelle donne.
Eppure la quotidiana battaglia che vedevo non era verso il maschio conquistatore dipinto in passato dal femminismo tradizionale. In realtà, mi confrontavo sempre più con uomini profondamente in crisi con la propria mascolinità, intimoriti dall'aggressività della donna e incapaci di gestire e prendere decisioni. Conoscevo donne stanche (tra cui io stessa) di condurre relazioni con uomini simili a bambini impauriti e immaturi. Conoscevo uomini a metà, che dovevano tener testa all'aggressività della donna nella società e sul lavoro. In questo scenario, la complementarietà uomo-donna si stava trasformando in divergenza prima e ribaltamento poi della mascolinità e femminilità. Io stessa ero un meccanismo inconsapevole di questo ingranaggio. Con il tempo, iniziai a provare sempre più sfiducia verso gli uomini, mentre cresceva una forte complicità con le donne che fece emergere la mia omosessualità.
Mi sentii realizzata e credetti finalmente di aver trovato una completezza interiore. Ne ero pienamente sicura! Ero certa che solo un'altra donna potesse comprendermi e darmi quella protezione che io come donna desideravo. Poco alla volta, però, iniziai a sentirmi svuotata. Quel vortice di condivisione emotiva mi consumava. Se quella era la libertà, perché mi sentivo morta? Oggi rispondo: perché venivo da una realtà mossa da interessi politici ed economici che speculava sulla sofferenza dell'altro. Al minimo dubbio sulla condizione omosessuale, mi sentivo rispondere: «Tu sei così, è la tua vera natura, non fare domande inutili e vivi, la colpa è dell'altro che non sa accettarti». Un vero inganno.
Ero un'anticlericale favorevole alla laicità della società, finché qualcosa si mosse in me. Dopo tanto tempo, mi avvicinai alla fede a seguito di un pellegrinaggio a Medjugorje. Iniziai così un percorso cristiano nel quale incontrai sacerdoti e associazioni cattoliche che accolsero la mia sofferenza e con i quali cercai di comprendere la verità della mia identità alla luce dell'onestà intellettuale, scientifica e della dignità umana, aiutata anche da alcuni psicoterapeuti. La presa di coscienza di quanto fosse alterata la realtà femminista nella quale vivevo, mi permise di iniziare un percorso che mi ha portato a riconnettermi con la mia identità di donna. Oggi so che la mia omosessualità è stata la conseguenza di un modo di percepire falsamente la mia identità, secondo una realtà artificiale nella quale mascolinità e femminilità assumono caratteri indistinti, liquidi, sostituibili e ribaltabili. Mi sono sposata e al mio fianco cammina un uomo integro nella sua mascolinità. È nella verità della propria identità che risiede la libertà.

Fonte: Avvenire, 28/09/2013

7 - UNGHERIA, DAL NAZISMO AL COMUNISMO: OGGI SI CELEBRANO I ''DOPPI RESISTENTI'' COME IL CARDINAL MINDSZENTY
Voluto nel 2002 dal primo ministro Viktor Orbán, il museo ''Casa del Terrore'' a Budapest intende celebrare il ritorno alla libertà dopo il duplice totalitarismo
Autore: Alessandro Zaccuri - Fonte: Avvenire, 15/09/2013

Niente ultimi desideri, né altre smancerie. Al condannato veniva servito un pasto particolarmente abbondante e via, secondo la procedura: lo sgabello, il cappio, la morte. Il racconto dell'ex boia scorre sullo schermo mentre l'ascensore scende lentamente verso i sotterranei dove i prigionieri del regime comunista erano costretti a rannicchiarsi in celle minuscole, oppure a starsene accucciati nell'acqua. Un senso di oppressione che si comunica al visitatore della Terror Háza, la "Casa del Terrore" che ricorda il tragico destino della nazione ungherese, passata senza soluzione di continuità dall'invasione nazista all'asservimento sovietico. C'è il dovere della memoria, come in un analogo allestimento museale, la "Topografia del Terrore" sorta a Berlino nel luogo in cui, negli anni Trenta, aveva trovato sede la Gestapo. Ma a Budapest non è difficile cogliere un sottotesto di maggiore attualità politica: voluta nel 2002 dal primo ministro Viktor Orbán, la Terror Háza intende infatti celebrare il ritorno alla democrazia dopo la liberazione dal duplice totalitarismo. Una circostanza, questa, plasticamente rappresentata dall'edificio in cui il museo è ospitato. Ci troviamo al numero 60 di Andrássy út, il più elegante fra i boulevard della capitale magiara. Ma l'ottimo indirizzo non deve ingannare: a partire dal 15 ottobre 1944, quando si insediò al potere il governo filonazista delle Croci Frecciate, il palazzo fu scelto come quartier generale della polizia politica. Un capitolo di storia poco conosciuto fuori dall'Ungheria e rievocato alla Terror Háza attraverso la cupa ricostruzione della sala da pranzo presieduta dal fantoccio di Ferenc Szálasi, pallida ma non meno sanguinaria imitazione locale del Führer. Mentre in tutto il Paese si svolgevano le operazioni della Soluzione finale (in soli due mesi più di quattrocentomila ebrei furono deportati nei lager), una parte del territorio era già sotto il controllo delle truppe sovietiche.
Una "doppia occupazione" che, al termine del conflitto, ebbe la sua traduzione pratica nel fenomeno dei voltagabbana. Sfruttando le suggestioni della multimedialità, il percorso del museo ricorre a un filmato d'epoca: miliziani e ausiliarie delle Croci Frecciate entrano in una stanza con le loro divise, si spogliano e indossano le insegne del nuovo regime comunista. La rappresentazione è più realistica di quanto si potrebbe immaginare, come dimostrano i moduli appositamente predisposti per rendere più rapida ed efficace l'abiura. L'ammissione degli errori ideologici del passato metteva a disposizione del governo una ben addestrata manovalanza della persecuzione, secondo i dettami degli onnipresenti "consiglieri" sovietici. Non a caso, gli uffici della polizia politica comunista – capeggiata inizialmente da Gábor Péter, un sarto proiettato ai vertici del sistema – si trovavano in queste stesse stanze, al 60 di Andrássy út.
Esplicita nel ricostruire l'intreccio fra oppressione e propaganda (a un certo punto, per esempio, ci si muove in un corridoio le cui pareti sono composte da grossi pani di burro, a ricordo delle vessatorie "consegne" alle quali erano tenuti i contadini), la Terror Háza dedica molto spazio alla memoria di quanti hanno invece tentato di resistere con coraggio all'oppressione. L'episodio centrale è rappresentato dall'insurrezione antisovietica del 1956, con il processo-farsa che portò all'esecuzione del primo ministro Imre Nagy. Ma determinante per la cultura della dissidenza fu il ruolo svolto dalle diverse confessioni religiose, prima fra tutte la Chiesa cattolica, da sempre maggioritaria nel Paese. Proprio in queste settimane il museo propone una mostra dedicata alla figura del cardinale József Mindszenty, salutato come «coscienza d'Ungheria». Nato nel 1892 e primate della nazione dal 1946, già nel 1919 Mindszenty aveva subìto le prime accuse di condotta controrivoluzionaria nell'ambito della Repubblica sovietica di Béla Kun. Poi erano venute la guerra, l'attività dell'arcivescovo a favore degli ebrei e l'insediamento del potere comunista, che non aveva tardato a individuare nel cardinale un pericoloso "nemico del popolo". L'ergastolo comminatogli nel 1949 era stato interrotto per pochi giorni nel 1956, durante l'entusiasmante ed effimera insurrezione popolare contro l'Urss. Appena liberato, Mindszenty aveva tenuto un lungo radiodiscorso, che aveva subito confermato il suo ruolo di leader spirituale. Ma la controffensiva di Mosca era stata rapida e spietata. Il cardinale si era rifugiato presso l'ambasciata degli Stati Uniti a Budapest. Ne sarebbe uscito solo nel 1971, quindici anni più tardi, grazie alla mediazione personale di Paolo VI. Morì a Vienna nel 1975, disponendo nel testamento che il suo corpo fosse tumulato in Ungheria quando il Paese avesse finalmente riconquistato la libertà. Dal 1991 è sepolto nella cattedrale di Esztergom, sua sede arcivescovile. Alla Terror Háza si possono vedere il rosario, il breviario e gli altri libri adoperati da Mindszenty durante il lungo esilio in patria.
Tutto attorno, sulle pareti del palazzo, i volti delle vittime della "doppia occupazione".
In cortile intanto fa buona guardia un T-54, l'utilitaria dei carri armati sovietici. Il rodaggio, tanto per cambiare, fu effettuato qui a Budapest, nel '56.

Nota di BastaBugie: non consiglieremo mai abbastanza il documentario "Gli orrori di comunismo e nazismo". Guardalo su YouTube, cliccando qui sotto
http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=39

Fonte: Avvenire, 15/09/2013

8 - BEATO ROLANDO RIVI, IL SEMINARISTA UCCISO DAI PARTIGIANI
La formazione partigiana garibaldina ne sentenziò la morte con questa motivazione: ''Domani... un prete di meno''
Autore: Antonio Borrelli - Fonte: santiebeati.it

Rolando Rivi nacque il 7 gennaio 1931 a San Valentino, villaggio del Comune di Castellarano (Reggio Emilia), borgo campagnolo, posto a 300 metri d'altitudine sulle prime alture dell'Appennino, tra il torrente Tresinaro e il fiume Secchia.
Secondo dei tre figli di Roberto Rivi e di Albertina Canovi, al battesimo, amministrato dal parroco don Luigi Lemmi, gli fu imposto il nome di Rolando Maria.
Il giovane papà di 28 anni, Roberto, era figlio di Alfonso Rivi e di Anna Ferrari, che dall'inizio del Novecento, provenienti da Levizzano-Baiso, si erano trasferiti a San Valentino a lavorare la terra, e verso gli anni Venti si erano spostati nell'ampio casolare di campagna del "Poggiolo" con i loro nove figli, dei quali Roberto era il primogenito, nato nel 1903 anche lui a San Valentino.
Il papà di Rolando era cresciuto educato alla fede genuina e forte della sua mamma Anna Ferrari, e nei tempi eroici dell'Azione Cattolica degli anni Venti, aveva fatto parte dei giovani iscritti della sua parrocchia; prima di andare a lavorare nei campi, ogni mattina assisteva alla celebrazione della Messa e si accostava alla Comunione.
In questa atmosfera di forte religiosità e fede concreta, crebbe Rolando, insieme al fratello maggiore Guido e alla sorella minore Rosanna.
Sano di salute ed esuberante nel carattere, con la sua vivacità procurava spesso ansia ai genitori, ma la nonna Anna aveva intuito il suo temperamento e diceva: "Rolando o diventerà un mascalzone o un santo! Non può percorrere una via di mezzo".
A sei anni nel 1937, iniziò a frequentare le scuole elementari e nel contempo la parrocchia; sia la maestra Clotilde Selmi, sia la catechista Antonietta Maffei, profusero nella giovane anima di Rolando l'amore per la vita, per la famiglia, per Gesù, per i fratelli, completando ed integrando l'educazione che riceveva dai suoi familiari.
Fu ammesso a ricevere l'Eucaristia quasi subito, perché era tra i fanciulli che si erano preparati meglio ed in fretta; fece la Prima Comunione il 16 giugno 1938 festa del Corpus Domini; dopo quel giorno Rolando cambiò, pur rimanendo vivace divenne più maturo e responsabile, cambiamento che si accentuò dopo aver ricevuto la Cresima il 24 giugno 1940.
Intanto il suo parroco don Olinto Marzocchini, che dal marzo 1934 aveva preso il posto del defunto parroco Lemmi, divenne il suo maestro e modello di vita, indirizzando da padre spirituale, la sua giovane e innocente anima verso la scoperta di Cristo.
Rolando si accostava ogni settimana al Sacramento della Penitenza e ogni mattina si alzava presto per servire la Messa e ricevere la Comunione.
Aveva quasi 11 anni, quando non potendo più contenere dentro di sé la voce di Gesù che lo chiamava, disse ai genitori e nonni: "Voglio farmi prete, per salvare tante anime: Poi partirò missionario per far conoscere Gesù, lontano, lontano".
I suoi pii genitori non si opposero, e Rolando completato il ciclo delle elementari, all'inizio dell'ottobre 1942 entrò nel Seminario di Marola (Carpineti, Reggio Emilia) per le medie-ginnasio; come allora si usava, vestì subito la tonaca talare e Rolando ne fu orgoglioso, portandola con dignità e amore.
L'avvertiva come segno della sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa e ne era fiero, e proprio l'amore che portava all'abito talare, sarà la causa della sua prematura fine.

IL SEMINARIO E IL RITORNO FORZATO A CASA
Si distinse subito per lo studio, per la bontà verso tutti, per la sua gioia verso Gesù, per le preghiere prolungate davanti al Tabernacolo; divideva con i compagni, cibo, frutta, dolci, che spesso erano portati dai suoi genitori in visita.
Amante della musica, entrò a far parte della corale e cominciò a suonare l'armonium e l'organo per rendere più solenni le cerimonie liturgiche; quando tornava a casa, aiutava i genitori nei lavori di campagna e suonando l'armonium accompagnava il coro parrocchiale, dove cantava anche il padre Roberto; organizzava i ragazzi nei giochi, partecipò ai pellegrinaggi mariani che don Marzocchini organizzava.
Intanto la guerra infuriava e anche il tranquillo villaggio di San Valentino ne era scosso; dopo l'8 settembre 1943 con la caduta di Benito Mussolini e l'occupazione della Penisola da parte dei tedeschi, si erano aggregate, specie nelle province emiliano-romagnole, formazioni partigiane, che a parte gruppi minoritari di cattolici democratici, erano in maggioranza composte da comunisti, socialisti, aderenti al Partito d'Azione, tutti accomunati oltre che dall'odio verso i fascisti, anche da una forte connotazione anticattolica.
La frangia più estrema, quella dei comunisti, non si limitava a combattere i tedeschi; vedendo nel clero un pericoloso argine al proprio progetto rivoluzionario, l'anticlericalismo diventò violento e man mano sempre più minaccioso.
Nel giugno 1944, quando Rolando finì la II Media, i tedeschi occuparono il Seminario di Marola e i seminaristi furono mandati a casa.
Anche Rolando dovette tornare a San Valentino, portando con sé i libri per poter continuare a studiare a casa e per non perdere l'anno scolastico.
Continuò a sentirsi seminarista, la chiesa e la casa parrocchiale furono i luoghi prediletti per il trascorrere del suo tempo: la Messa quotidiana con la Comunione, la meditazione, la visita pomeridiana a Gesù nel Tabernacolo, il rosario alla Madonna, suonava con letizia l'armonium; simpatico a tutti, riprese i contatti con i bambini, con i coetanei, insegnando loro a fare i chierichetti, a sera in casa, guidava vicino alla nonna, la recita del rosario.
Il parroco l'osservava compiaciuto del suo fervore, che non veniva meno fuori dell'ambiente specifico del seminario, d'altra parte Rolando Rivi non smise di portare la tonaca, pur restando a casa, in attesa di poter ritornare nel Seminario.
I genitori, spaventati da quanto succedeva nei dintorni, con le scorribande di tedeschi, fascisti e partigiani, accompagnate anche da furti, razzie e violenze, insistevano col figlio di togliersi quella benedetta veste nera, perché i tempi non erano buoni per il momento; ma Rolando rispondeva: "Ma perché? Che male faccio a portarla? Non ho voglia di togliermela"; "Io studio da prete e la veste è il segno che io sono di Gesù".

LA SITUAZIONE IN PAESE PRECIPITA
Intanto a San Valentino anche don Olinto Marzocchini era stato aggredito una notte, e giacché già altri preti (Donatelli, Ilariucci, Corsi, Manfredi), erano stati uccisi dai partigiani comunisti (nella sola provincia di Reggio Emilia si conteranno alla fine 15 sacerdoti uccisi), fu opportunamente trasferito in luogo più sicuro e al suo posto fu inviato un giovane sacerdote, don Alberto Camellini.
Rolando si trovò ancora più spaesato, venendo meno la sua guida spirituale, ma soprattutto era addolorato per la violenza che don Olinto aveva subito; comunque prese a collaborare col nuovo vice curato, con la consueta disponibilità ed entusiasmo.
In paese scoppiavano spesso discussioni politiche, alle quali non era facile rispondere, meglio tacere, ma in un'occasione in cui era presente l'adolescente seminarista, alcuni attaccarono ingiustamente la Chiesa e l'attività dei sacerdoti e Rolando con impulsività, ne prese le difese davanti a tutti senza alcuna paura. Così a quanti già l'ammiravano in paese, si alternarono taluni che lo presero a malvedere.
Trascorse così l'inverno a San Valentino, allietando e solennizzando le funzioni religiose dell'Immacolata, del Natale, dell'Epifania, con le armoniose note dell'organo da lui suonato.
Il 1° aprile 1945, Pasqua di Resurrezione, ritornò in parrocchia don Marzocchini e al suo fianco rimase il giovane curato don Capellini, e come previsto, Rolando partecipò alle solenni funzioni della Settimana Santa, alternandosi al servizio dell'altare e al suono dell'organo; il parroco insistendo, volle dargli un piccolo dono in denaro, per ricompensarlo di tutti servizi fatti in quell'intenso periodo di celebrazioni.

IL MARTIRIO DEL GIOVANE SEMINARISTA
C'era ancora la guerra, ma nell'aria si avvertiva che stava finalmente avviandosi alla fine; Rolando nei giorni successivi, non mancò mai alla Messa e alla Comunione e dopo con i libri sottobraccio, nel fiorire della primavera, si spostava in un vicino boschetto a studiare.
E anche martedì 10 aprile al mattino presto, era già in chiesa per la Messa cantata in onore di s. Vincenzo Ferreri, che non si era potuta celebrare il 5 aprile, perché cadeva nell'Ottava di Pasqua, suonò e accompagnò all'organo i cantori, fra i quali suo padre; ricevette come al solito la Comunione e al termine della celebrazione, dopo aver preso accordi con i cantori per la Messa dell'indomani, ritornò a casa.
Mentre i genitori si recavano a lavorare nei campi, Rolando prese i libri e si allontanò come al solito a studiare nel boschetto, indossando sempre la sua veste nera.
A mezzogiorno, i genitori l'attendevano per il pranzo e non vedendolo si recarono nel vicino boschetto a cercarlo; trovarono a terra i libri e un biglietto: "Non cercatelo; viene un momento con noi partigiani".
I partigiani comunisti che l'avevano sequestrato, lo portarono nella loro 'base'; il padre e il cappellano don Camellini, angosciati presero a cercarlo dovunque nei dintorni, intanto Rolando era stato spogliato della veste nera, che li irritava particolarmente, percosso con la cinghia sulle gambe e schiaffeggiato.
Rimase tre giorni prigioniero dei partigiani, subendo offese e violenze; davanti a quel poco più di un ragazzino piangente, qualcuno di loro mosso a pietà, propose di lasciarlo andare, perché in effetti era soltanto un ragazzo; ma altri si rifiutarono e lo condannarono a morte, per avere "un prete futuro in meno".
Lo portarono in un bosco presso Piane di Monchio (Modena); scavata lì una fossa, Rolando fu fatto inginocchiare sul bordo e quando lui, avendo ormai compreso, singhiozzando implorò di risparmiarlo, ebbe come risposta dei calci e mentre pregava per sé e per i suoi cari, due scariche di rivoltella, una al cuore e una alla fronte, lo fecero stramazzare colpito a morte nella fossa.
Fu ricoperto con pochi centimetri di terra e foglie secche; era venerdì 13 aprile 1945 e Rolando aveva solo 14 anni e 3 mesi: la sua veste da seminarista fu arrotolata come un pallone da calciare e dopo appesa come un trofeo di guerra, sotto il porticato di una casa vicina.
Solo il giorno dopo, su indicazione di uno dei partigiani, il padre Roberto e il cappellano ritrovarono il corpo, la salma ricomposta, fu posta in una bara improvvisata e portata nella chiesa parrocchiale di Monchio per la funzione liturgica, e poi sepolta nel locale cimitero parrocchiale.
Solo dopo, il padre e il cappellano ritornarono a San Valentino a portare la notizia alla desolata madre e al villaggio; la notizia suscitò uno sgomento generale di fronte a tanta barbarie.
A guerra ultimata, il 29 maggio 1945, la salma del giovane martire fu riportata nel suo villaggio, posta in una bara bianca e fra le lacrime di tutta la popolazione, fu tumulata in località Montadella.
I suoi genitori scrissero sulla sua tomba: "Tu che dalle tenebre e dall'odio fosti spento, vivi nella luce e nella pace di Cristo".
Rolando Rivi fu, ed è, una delle tante stelle luminose del firmamento affollato dei martiri, specie del XX secolo, che passando dalla Rivoluzione Messicana, alla Guerra Civile Spagnola, alla Rivoluzione e persecuzione in Russia o vittime delle due Guerre Mondiali, hanno testimoniato con il loro sangue innocente, la fede in Cristo seguendolo lungo il Calvario.
Dopo 60 anni, il 7 gennaio 2006, l'arcivescovo di Modena mons. Benito Cocchi, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 30 settembre 2005, ha dato inizio, nella chiesa modenese di Sant'Agostino, al processo diocesano per la beatificazione del seminarista Rolando Rivi, martire innocente, caduto sotto l'odio anticlericale e anticristiano del tempo, per aver voluto testimoniare, indossando l'abito talare fino all'ultimo, la sua appartenenza a Cristo.

Nota di BastaBugie: guarda il seguente video dove Andrea Zambrano racconta la storia del beato Rolando Rivi al Giorno del Timone della Toscana del 2015.


https://www.youtube.com/watch?v=C4Xc764uqds

Fonte: santiebeati.it

9 - VOLANTINO DA DIFFONDERE SUL REATO DI OMOFOBIA
Tutti dobbiamo fare uno sforzo per diffondere le notizie che la cultura dominante ci vuole nascondere
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie, 2 ottobre 2013

CON LA LEGGE SULL'OMOFOBIA SIAMO TUTTI A RISCHIO!!!
Con la legge Scalfarotto sul contrasto all’omofobia e alla transfobia, approvata alla Camera il 19 settembre 2013 e in attesa di approvazione definitiva anche al Senato, si addensano nubi oscure sul nostro futuro.

A RISCHIO LA LIBERTÀ DI OPINIONE IN ITALIA
Si verrebbe ad introdurre quel particolare reato d’opinione in uso in quelle forme delle dittature totalitarie.

CHI E' CONTRARIO ALLE ADOZIONI PER I GAY RISCHIA IL CARCERE
Chiunque dichiari qualsiasi cosa contro il matrimonio omosessuale e la possibilità di adozione per le coppie di persone dello stesso sesso, sarà perseguibile a norma di legge con pene fino a 5 anni di carcere e recupero con servizi sociali obbligatori in una struttura omosessualista.
La legge sull'omofobia è del tutto inutile sul piano legale in quanto gli omosessuali godono già, come tutti i cittadini, degli strumenti giuridici previsti dal codice penale, contro qualunque forma di ingiusta discriminazione, di violenza, di offesa alla propria dignità personale.

IL REATO DI OMOFOBIA È SOLO L'INIZIO DELLA SPIRALE
Dopo la legge sull'omofobia seguiranno ovviamente: unioni civili, matrimoni gay, adozioni per i gay e uteri in affitto. E nessuno potrà criticare, pena l'arresto!

IL VERO OBIETTIVO DELLA LEGGE SULL'OMOFOBIA
Cosa vogliono davvero i promotori della legge sull'omofobia? Il vero obiettivo è far tacere chi ha opinioni contrarie alle loro e mandarlo in prigione.

COSA POSSIAMO FARE?
Per salvare l'Italia occorre agire. La grande manifestazione a Roma organizzata per sabato 11 gennaio 2014 è molto importante. Partecipare personalmente e coinvolgere parenti, amici e conoscenti è il primo aiuto che si può dare. Poi anche le adesioni di tutte le associazioni cattoliche e non cattoliche sono fondamentali per il coinvolgimento del maggior numero di persone possibile.

LA DITTATURA DEL RELATIVISMO MINACCIA LA LIBERTÀ
Tutti abbiamo il dovere di informarci perché pochi se ne rendono conto, ma con la legge sull'omofobia è tornata in Europa l'età delle persecuzioni violente.

L'ESEMPIO DELLA FRANCIA
Prima si sono introdotti i PACS (unioni di fatto). Poi la legge sull'omofobia. Poi il matrimonio gay. Raccolte 700.000 firme per un referendum: la corte respinge il quesito. Allora la gente scende in piazza: milioni di partecipanti. Ecco cosa è accaduto:
- La polizia usa i lacrimogeni su vecchi e bambini!
- 4 mesi di prigione al 23enne che manifestava contro il matrimonio gay. Invece all'aggressore che ha minacciato con un coltello un manifestante anti-adozioni ai gay è stato subito liberato.
- Un uomo è stato arrestato perché in un luogo pubblico aveva una maglietta con il logo della famiglia: babbo, mamma e figli.

ABBIAMO UNA RESPONSABILITÀ STORICA
Le persone e la società civile saranno di nuovo in strada per chiedere il ritiro della legge Scalfarotto sul reato di omofobia.
Non si tratta di negare diritti individuali ma, al contrario, di difendere il diritto fondamentale dei figli ad avere un papà e una mamma, a manifestare pacificamente il proprio dissenso sulle unioni omosessuali e conservare il sesso biologico. Il popolo italiano deve levarsi in piedi: per i suoi figli, il suo futuro... e la nostra umanità, costituita da uomini e donne.

LA MANIF POUR TOUS ITALIA
La Manif pour Tous Italia ha lo scopo di essere il portavoce di tutti coloro che vogliono contrastare la legge che vuole istituire il reato di omofobia e preparare la strada allo stravolgimento dell’istituto matrimoniale composto da un uomo ed una donna. Agisce in stretto legame con La Manif pour Tous francese che si è opposta al matrimonio e adozioni gay in Francia con grandiose manifestazioni di piazza.
Sito ufficiale: www.lamanifpourtous.it

DOSSIER SU BASTABUGIE
Tutti gli articoli relativi alle notizie esposte qui sopra le trovi su BastaBugie.
www.bastabugie.it

Fonte: Redazione di BastaBugie, 2 ottobre 2013

10 - OMELIA XXVII DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO C - (Lc 17,5-10)
Accresci in noi la fede!
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 6 ottobre 2013)

Fede e umiltà. Con queste due parole possiamo riassumere il messaggio del Vangelo di oggi. La fede e l'umiltà, fervidamente unite, sono l'anima della testimonianza e dell'apostolato cristiano.
Soffermiamo la nostra attenzione su alcune frasi del testo. La prima frase è la preghiera che gli Apostoli rivolsero al Signore: "Accresci in noi la fede!" (Lc 17,6). Anche noi dobbiamo rivolgere di continuo questa supplica. La fede è un dono di Dio e noi, per crescere nella fede, dobbiamo umilmente pregare. Chiediamo questa fede sempre più grande, ogni volta che riceviamo la Comunione e ogni volta che ci rivolgiamo a Dio nella nostra preghiera personale.
La seconda frase è la seguente: "Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: sràdicati e vai a piantarti nel mare" (Lc 17,6). Il seme di senape è un seme molto piccolo, piccolo quanto una punta di spillo, mentre la pianta che ne deriva è piuttosto grande. Per quale ragione Gesù paragona la fede a un granello di senape, ovvero ad un piccolo seme? Perché la fede è seminata nel cuore dei cristiani e deve crescere sempre di più fino a giungere a perfetta maturazione, fino a realizzare nella nostra vita ciò che ci sembra impossibile. Questo piccolo seme della fede giungerà a perfetta maturazione nella misura della nostra preghiera.
Nel linguaggio biblico sradicare o trasportare le montagne significa realizzare ciò che appare impossibile, e tale linguaggio veniva applicato ai maestri, i quali riuscivano con la loro capacità a risolvere le difficoltà più ardue. Un uomo di ingegno acuto era detto uno "sradica-monti".
Anche noi dobbiamo avere una tale fede, una fede che ci fa superare tutte le difficoltà della vita. Chi ha fede non confida nelle proprie capacità, ma soprattutto nell'aiuto onnipotente di Dio. Tutto è possibile in Colui che ci dà forza. Animati da questa fede, tanti nostri fratelli e sorelle sono riusciti a compiere delle grandi opere per Dio e a superare difficoltà apparentemente insormontabili. Pensiamo alla beata Madre Teresa di Calcutta: con la sola ricchezza della sua fede e senza un soldo in tasca è riuscita ad abbracciare i poveri di tutto il mondo.
Il testo del Vangelo prosegue poi con una parabola, quella del servo che, appena tornato da lavoro, si mette a servire il suo padrone. Il padrone non si ritiene in dovere nei confronti del suo domestico. Così, al termine della parabola, Gesù dice: "Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17,10). Servire Dio, per il cristiano, è un onore; lavorando per la sua Gloria, noi facciamo solo il nostro dovere. Ci sono due parole sulle quali dobbiamo soffermarci: servi inutili. Cosa intendeva Gesù per servi inutili? Il termine inutile indica la povertà, la modestia, l'umile condizione dell'uomo. Ciò significa che non possiamo vantarci del bene che riusciamo a compiere. Il bene che facciamo è già un dono di Dio, perché da soli, con le sole nostre forze, non riusciremmo a fare nulla di buono.
Il Vangelo ci insegna, quindi, a ringraziare Dio per tutto quello che riusciamo a compiere di bene e ci insegna che nessuno di noi è indispensabile davanti a Dio. Dio si può servire di chiunque per realizzare i suoi progetti di misericordia. Se si serve di noi, ringraziamolo di cuore e cerchiamo di fare del nostro meglio.
Si racconta che santa Bernardetta Soubirous si paragonava a una vecchia scopa che, una volta adoperata, la si mette in un angolo. La Madonna si era servita di lei affidandole un compito ben preciso. Finite però le Apparizioni, si era messa nell'ombra, felice di essere dimenticata da tutti.
Questa è l'umiltà che rapisce il Cuore di Dio! Consideriamoci anche noi servi inutili, senza pretendere alcun riconoscimento, allora andremo molto in alto.

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Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 6 ottobre 2013)

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